Democrazia

  • Il vizio esce con l’ultimo respiro

    Niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato.

    Victor Hugo

    Ogni nazione/popolo ha il governo che si merita. Nel bene e nel male. È una frase molto nota ed usata da tempi remoti. Un’affermazione attribuita a Socrate, uno dei più rinomati filosofi della Grecia antica, vissuto venticinque secoli fa. Ma la frase usata da Socrate sarebbe stata espressa non proprio così. Secondo molti studiosi, la frase usata da Socrate era “Ogni nazione/popolo merita il suo sovrano”. Anche perché in quel periodo, più che di governo, si trattava di una persona che gestiva il potere, come despota, come sovrano assoluto. L’incertezza sulle vere parole usate dal noto filosofo è dovuta al fatto che tutti i pensieri di Socrate ci sono pervenuti tramite quanto hanno lasciato scritto altri suoi coetanei e/o discepoli. Ma in tempi molto più recenti, la frase, che ormai si usa comunemente, è quella formulata dal filosofo e diplomatico Joseph De Maistre. Lui era l’inviato del re Vittorio Emanuele I presso la corte dello Zar Alessandro I a San Pietroburgo tra il 1803 e 1817. In una sua lettera, pubblicata su un giornale russo nel 1811 egli scriveva: “Ogni popolo ha il governo che si merita”. E si riferiva a quanto accadeva nella Russia zarista in termini critici.

    “Ogni popolo ha il governo che si merita” è un’affermazione che, purtroppo, lo sta testimoniando anche la realtà albanese; almeno quella vissuta e sofferta dal 2013 in poi. Ma in male però. Analizzando quanto è accaduto durante questi ultimi otto anni, sempre facendo riferimento a dei dati verificabili e ai fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati, risulta che gli albanesi sono diventati sempre più permissivi, indifferenti e, addirittura apatici. Ma anche “pragmatici”. Le ragioni potrebbero essere diverse e specifiche per diversi gruppi sociali e/o per dei singoli individui. Ovviamente la sempre più crescente delusione dai rappresentanti politici dei vari partiti ha fatto la sua. Ma anche la crescente povertà, quella realmente vissuta e non mascherata dai tanti “abili giochetti statistici” delle istituzioni governative, ha indotto gli albanesi a “scendere a patti”, vendendo il loro voto in cambio di soldi e/o di generi alimentari. Un fenomeno questo sempre più presente e sempre più diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Ma anche nelle città, compresa la capitale. Un fenomeno che è stato evidenziato e sottolineato nei rapporti ufficiali degli osservatori internazionali durante le ultime elezioni, quelle del 25 aprile scorso, che hanno permesso all’attuale primo ministro di ottenere il suo terzo mandato. Ma ci sono anche altre ragioni che hanno permesso agli albanesi di “tollerare” e di avere il “governo che si meritano”. Lo hanno fatto per degli interessi diversi. Lo hanno fatto la maggior parte degli impiegati nell’amministrazione pubblica, per paura di perdere il lavoro e/o perché erano stati costretti a dimostrare il voto, fotografando le schede elettorali, in piena violazione delle leggi in vigore. Lo hanno fatto non pochi imprenditori che sono in “buoni rapporti” con il governo. E loro stessi, come datori di lavoro, hanno obbligato coloro che sono stipendiati in quelle imprese. Lo hanno fatto anche non pochi “rappresentanti” della società civile che beneficiano della “generosità” del governo e/o di tutti quelli che finanziano i loro progetti, comprese anche alcune ambasciate e/o organizzazioni internazionali. E coloro che sono ormai “rappresentanti’ della società civile in Albania non sono pochi.  Ma, ovviamente, in tutto ciò hanno contribuito anche alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Così come hanno contribuito, perché direttamente interessati, diversi clan della criminalità organizzata, non solo quella locale, che da anni ormai, contenuti dei rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate internazionali alla mano, ma non solo, collaborano strettamente con i rappresentanti politici. Si tratta di quell’alleanza che, da anni ormai, l’autore di queste righe sta informando il nostro lettore. E cioè dell’alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Ragion per cui, nolens volens, anche il popolo albanese, durante questi ultimi anni merita il governo che ha. Che diventa sempre peggiore. Ma purtroppo, parafrasando la sopracitata frase formulata da Joseph De Maistre, sembrerebbe che il popolo albanese meriti anche l’opposizione che ha.

    L’autore di queste righe, da anni, ma soprattutto dal 2017, ha spesso trattato per il nostro lettore questa drammatica situazione in cui si trovava l’opposizione albanese, riferendosi, prima di tutto, ai dirigenti dell’opposizione, quelli del partito democratico in primis, essendo quel partito il maggiore partito dell’opposizione. Si tratta del primo partito oppositore della dittatura comunista, costituito il 12 dicembre 1990. Si tratta proprio di quel partito che ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato alla caduta della dittatura comunista. Da tutti i fatti accaduti alla mano, soprattutto dal 2017 in poi, risulta che il dirigente del partito democratico, allo stesso tempo anche il capo dell’opposizione, in carica dal 2013, solo due mesi prima che il primo ministro cominciasse il suo primo mandato, ha deluso tutte, veramente tutte le aspettative. Aspettative che diventano un obbligo istituzionale, ma anche personale e riguardano le responsabilità politiche da onorare. Il capo del partito democratico, durante tutto il suo operato come tale, con le sue decisioni prese, con le sue scelte fatte, ha palesemente dimostrato che più di un dirigente del partito, è stato un usurpatore di quell’incarico istituzionale. Ragion per cui anche l’autore di queste righe, da tempo ormai, quando si riferisce a lui lo considera proprio come l’usurpatore del partito democratico. Un individuo che si ricorderà come una persona che ha promesso pubblicamente e mai ha mantenuto e rispettato una sola sua promessa fatta. Un individuo che ha mentito ripetutamente e costantemente non solo agli elettori del partito democratico, ma anche ai cittadini albanesi. Un individuo che ha cercato in seguito, dopo ogni sua promessa non mantenuta, dopo ogni sua bugia pubblica, di ingannare di nuovo, facendo altre promesse e pronunciando pubblicamente altre bugie. Un individuo che con il suo operato non ha fatto altro che facilitare l’operato disastroso del suo “avversario politico”, il primo ministro, diventando così una sua misera “stampella”.

    L’autore di queste righe e, come lui, anche tanti altri, da innumerevoli fatti accaduti alla mano, non può non pensare che l’usurpatore del partito democratico ha avuto almeno due compiti prestabiliti da attuare, nonostante possano sembrare alquanto strani ed inverosimili. Il primo è stato la continua disgregazione delle strutture del partito democratico. Il secondo è stato quello di corrodere e di corrompere lo spirito della sacrosanta ribellione dei cittadini di fronte alla violazione dei loro diritti. Purtroppo, da tutto quello che è accaduto e pubblicamente noto in questi ultimi anni, risulterebbe che tutti e due questi compiti sono stati esauditi dall’usurpatore del partito democratico, allo stesso tempo capo dell’opposizione albanese. Di tutto ciò, da anni, l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore. Compresi anche gli articoli degli ultimi mesi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021). Così come ha informato il nostro lettore della nascita, dal settembre scorso, di un nuovo Movimento che ha, come obiettivo primario, la ricostituzione del partito democratico albanese con i principi del conservatorismo occidentale. Un Movimento il quale, da quando è stato avviato, sta avendo sempre più appoggio dalla base del partito ma che sta attirando anche l’attenzione di tutta l’opinione pubblica, avendo così lo sviluppo che, da più di tre mesi ormai, sta offuscando tutti gli altri. Un Movimento che, in rispetto dello Statuto del partito democratico albanese, in seguito alla richiesta di almeno un quarto dei delegati del congresso del partito, ha convocato l’11 dicembre scorso il congresso straordinario del partito. E proprio quel congresso si è svolto sabato scorso, alla presenza di circa 65% dei delegati. Durante quel congresso i legittimi partecipanti hanno preso diverse decisioni importanti che si riferivano a diversi e necessari emendamenti dello Statuto del partito. Durante il congresso dell’11 dicembre scorso i delegati hanno votato anche l’espulsione dell’usurpatore del partito democratico come dirigente del partito. E per rendere quella decisione più democratica possibile, sempre durante il congresso del sabato scorso, i delegati hanno deciso anche la votazione di tutti gli iscritti del partito democratico sabato prossimo, 18 dicembre, tramite un referendum, per la conferma di quella decisione. In più, i delegati del congresso hanno votato anche la costituzione di una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico. Una Commissione che coordinerà tutte le attività del partito democratico fino alla ristrutturazione degli organi dirigenti del partito, in centro e sul tutto il territorio. In più, questa Commissione avrà il compito di organizzare la convocazione del congresso ricostituivo del partito democratico, il 22 marzo 2022.

    Nel frattempo, l’usurpatore del partito democratico, non più dirigente dall’11 dicembre scorso, ma soltanto un semplice deputato, trovandosi in vistosa difficoltà, con alcuni suoi “fedelissimi”, sta cercando di fare “diversione”. Stanno cercando di ingannare di nuovo. E come sempre, si stanno contraddicendo vistosamente, vergognosamente e miseramente. Ma a loro non importa che stanno diventando ridicoli pubblicamente. Per loro si tratta di una “reazione” di sopravvivenza. Ragion per cui tutto è permesso. Bugie, promesse, inganni e “minacce” comprese. Ma come la saggezza popolare ci insegna, in diverse lingue, il vizio esce con l’ultimo respiro. Saggezza, che si sta dimostrando anche adesso, in queste ultime settimane e in questi ultimi giorni, con quanto sta facendo l’ormai ex dirigente/usurpatore del partito democratico albanese. Ma la sua corsa è agli ultimi metri. E la fine di quella corsa, con ogni probabilità, sarà quella che lui e i suoi pochi, pochissimi “fedeli” non avrebbero mai voluto accadesse. E insieme con l’ormai ex dirigente e usurpatore del partito, neanche il suo “protettore”, il primo ministro, avrebbe voluto accadesse.

    Chi scrive queste righe, visti gli sviluppi prodotti dal Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese, continuerà a seguirli e poi informare il nostro lettore. E sempre con la massima oggettività possibile. Egli però e convinto che se non ci fosse questo Movimento, la situazione in Albania sarebbe stata peggiore di quella del settembre scorso, quando il Movimento prese via. Perché l’ormai costituita dittatura sui generis in Albania non avrebbe avuto, come in questi ultimi anni, nessun vero ostacolo oppositivo. Adesso potrebbe rinascere la speranza per gli albanesi che la frase “Ogni nazione ha il governo che si merita” possa avere una connotazione positiva in futuro. Anche perché, come era convinto Victor Hugo, niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato. E quell’idea potrebbe essere rappresentata dal nuovo Movimento. Spetta però agli albanesi vegliare e fare di tutto perché quell’idea possa essere realizzata senza alterazioni. Agli albanesi la scelta.

  • Myanmar: Soldiers accused of shooting, burning 13 villagers

    Soldiers have been accused of killing 13 people from a village in central Myanmar, 11 of whose burned bodies were discovered on Tuesday.

    The incident occurred near the city of Monywa, after local militias opposing military rule carried out at least two bomb attacks on a military convoy.

    Locals say soldiers then swept through nearby villages, rounding up and killing six men and five teenagers.

    The military junta is yet to comment on the incident.

    Locals say that people’s defence forces volunteers – armed groups formed to resist military rule in towns and villages – from the area planted two improvised explosives on a road used by the military in an attempted attack.

    One of these devices detonated early, killing the two men planting it. When the second device exploded, two more men were reportedly detained and shot dead.

    Residents allege the military then swept through nearby villages, rounding up and capturing six men and five teenage boys, who were in hiding. Their hands were tied, and they were shot before their bodies set alight.

    Armed volunteer people’s defence forces in towns and villages in Myanmar have carried out hundreds of bombings and assassinations targeting officials working with the military government after the violent suppression of pro-democracy rallies made peaceful protest almost impossible.

    What is the background to the violence?

    Mass protests had broken out across Myanmar after the military seized control of the South East Asian country in February and declared a year-long state of emergency following a general election.

    The military claimed there had been widespread fraud during the election late last year, which had returned elected leader Aung San Suu Kyi and her National League for Democracy (NLD) party to power. The election commission has dismissed these claims.

    Since then, the military has engaged in a brutal campaign of repression, killing at least 1,303 people in the demonstrations and arresting more than 10,600.

    Earlier this week, Ms Suu Kyi was sentenced to four years in prison for inciting dissent and breaking Covid-19 rules, in the first of a series of verdicts that could see her jailed for life.

    Monywa is also close to a controversial Chinese-owned copper mine, which has provoked protests from local villagers going back 10 years over grievances that the Chinese company operating it, Myanmar Wanbao, is in a joint venture with a conglomerate controlled by the Myanmar military.

  • Consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura

    La tolleranza diventa un crimine quando applicata al male.

    Thomas Mann

    Durante i secoli ogni popolo, a seconda dell’appartenenza religiosa, della tradizione e della storia vissuta, ha stabilito le sue festività che devono essere rispettate e celebrate. Comprese quelle che si riferiscono all’indipendenza e alla liberazione del proprio Paese. Sì, perché durante la loro lunga storia, ogni popolo ha dovuto combattere il male dell’oppressione e dell’occupazione.

    In Italia, per esempio, si celebra ogni anno dal 1946, la festa della Repubblica, per ricordare ed onorare la nascita della Repubblica italiana. Una scelta che fecero gli italiani, tra la monarchia e la repubblica, tramite il referendum istituzionale tenuto il 2 ed il 3 giugno 1946. Una scelta che è stata determinata anche dal fatto che la famiglia reale dei Savoia diede il suo appoggio al regime fascista. Da quel giugno del 1946, gli italiani festeggiano il 2 giugno la festa della loro Repubblica. Così come festeggiano, dal 1945, ogni 25 aprile anche la festa della Liberazione, per commemorare la liberazione dell’Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, sia da una dura, spietata e sofferta occupazione nazista, che dal regime fascista che lo ha preceduto.

    In Francia si celebra, ogni 14 luglio dal 1880, la Festa Nazionale francese per eccellenza, le 14 juillet. Una ricorrenza proposta e decisa per ricordare ed onorare non la presa della Bastiglia (14 luglio 1789; n.d.a.), ma la festa della Federazione, ossia il giuramento federativo del 14 luglio 1790. Giorno in cui, a Parigi, si radunarono in tantissimi per salutare la grande armata dei federati, guardie nazionali e volontari, provenienti da tutti i dipartimenti della Francia per dare appoggio alla rivoluzione. Quel giorno loro prestarono giuramento “alla Nazione, alla Legge e al Re”. In Francia si celebra, dal 1944, anche il 25 agosto. Era il giorno della liberazione di Parigi dai nazisti da parte delle forze armate francesi ed americane, dopo lo sbarco degli alleati in Normandia, il 6 giugno 1944. Ma era dal 19 agosto che i parigini erano stati ribellati contro le forze naziste presenti nella capitale, sapendo anche dell’arrivo delle truppe alleate. Era però la 2a divisione blindata francese, e non altre truppe che, dietro la ferma insistenza del generale Charles de Gaulle già dalla notte del 24 agosto entrò a Parigi. Si è trattato, soprattutto, di un atto con una grande valenza simbolica che i dirigenti militari francesi, de Gaulle in testa, volevano a tutti i costi. Perché volevano ridare alla Francia tutto il suo prestigio perso con l’occupazione nazista nel giugno 1940 e la costituzione del governo collaborazionista, la cosiddetta repubblica di Vichy. Così facendo, i dirigenti francesi affermavano la rinascita della Francia e la sua parità con le altre grandi potenze alleate. Un’altra ricorrenza che si celebra in Francia è l’8 maggio, la festa della Vittoria (la Fête de la Victoire; n.d.a.). Una festa che ricorda la vittoria delle truppe alleate contro i nazisti e la fine, nel territorio europeo, della seconda guerra mondiale. L’8 maggio 1945 è stato scelto proprio per ricordare la resa definitiva e senza condizioni della Germania nazista, dopo i negoziati della capitolazione tra il 7 ed il 9 maggio 1945. E come in Italia ed in Francia, le festività e le ricorrenze legate all’indipendenza e alla liberazione si commemorano in tutti i Paesi europei e in tutte le altre parti del mondo. Anche in Albania.

    Il 28 novembre 1912 l’Albania, con l’appoggio anche delle grandi potenze europee, divenne un Paese libero e sovrano, staccandosi definitivamente dall’allora traballante Impero ottomano. Quel giorno non era scelto a caso, ma aveva un forte significato storico. Perché il 28 novembre 1443 l’eroe nazionale dell’Albania, Georgio Castriota, detto Scanderbeg (dalla lingua turca Iscander significa Alessandro e si riferisce ad Alessandro Magno di Macedonia; n.d.a.), tornato nella sua terra natale, dopo aver disertato dall’esercito ottomano, ha cacciato le truppe d’occupazione dal castello della propria famiglia, alzando la sua bandiera. L’indipendenza dell’Albania dall’Impero ottomano è stata riconosciuta internazionalmente, con la firma del Trattato di Londra, il 30 maggio 1913. Da quel tempo, il 28 novembre viene celebrata come la festa Nazionale dell’Albania. Ed era proprio il 28 novembre 1944, quando l’ex dittatore comunista proclamò questa data anche come la festa della Liberazione dell’Albania dall’occupazione fascista e nazista, durante la seconda guerra mondiale. Una proclamazione ufficializzata dal Bollettino n.51 del 28 novembre 1944, che veniva pubblicato allora quotidianamente dal partito comunista. In quel Bollettino, riferendosi alla festa dell’Indipendenza, si scriveva: “I festeggiamenti del grande giorno del 28 novembre che ricorda la vittoria dell’Indipendenza nazionale nel 1912 e che quest’anno coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania continueranno per tre giorni…”. Attenzione! Si ribadiva senza equivoci che “coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania”. Ma in poco meno di un anno, il 9 novembre 1945, il partito comunista albanese al potere, durante una riunione della dirigenza del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale, organo supremo allora, decise diversamente sulla data della Liberazione. La cambiò di solo un giorno, proclamando come tale da allora il 29 novembre. E non a caso. Tutto è dovuto alla totale dipendenza dal partito comunista jugoslavo del partito comunista albanese, già dalla sua costituzione nel novembre 1941. Come “giustificazione” si diede allora un “fatto storico”, inventato a proposito, ma mai documentato e/o testimoniato. Si dichiarò ufficialmente che era proprio il 29 novembre il giorno in cui “…l’ultimo soldato nazista lasciò il territorio albanese” (Sic!). Mentre gli scontri armati, secondo diverse testimonianze, continuarono ancora. La vera ragione era un’altra ed era legata alla Jugoslavia. Il 29 novembre rappresentava una data importante per il partito comunista di Tito. Il 29 novembre 1943, il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale jugoslavo (imitato come denominazione anche dal partito comunista albanese, come sopracitato) si autoproclamò come l’unico potere legale in Jugoslavia. In più Tito è stato nominato presidente del Consiglio. Ma il 29 novembre in Jugoslavia aveva anche un’altra valenza storica. Il 29 novembre 1945 è stata proclamata la Repubblica popolare federativa della Jugoslavia. Perciò i “vassalli” del partito comunista albanese decisero di cambiare la data della festa di Liberazione dal 28 al 29 novembre, come espressione di devozione e di sudditanza ai cari “compagni” jugoslavi. Bisogna sottolineare che era così forte quella sudditanza, che nel 1946 i dirigenti del partito comunista albanese avevano sottoscritto un Trattato di Amicizia e di Collaborazione, concordato per far diventare più solido il legame tra i due Paesi, che mirava a fare dell’Albania la settima repubblica jugoslava. Per fortuna che in seguito i rapporti peggiorarono e, nel 1948, l’Albania si staccò dall’influenza jugoslava per entrare sotto quella dell’Unione sovietica.

    Da allora, comunque, in Albania continuano ad essere celebrate separate le due feste: quella dell’indipendenza il 28 novembre e quella della Liberazione il 29 novembre.  E continuano, dopo il crollo della dittatura comunista, anche i dibattiti e le discussioni, a vari livelli, tra gli specialisti storici e i rappresentanti politici, sulla vera data della liberazione dell’Albania dall’occupazione nazista. Ma, ad oggi, non c’è un comune accordo. Il partito socialista albanese, diretto discendente del partito comunista, riconosce il 29 novembre come festa della Liberazione. Mentre i partiti della parte opposta festeggiano sia la festa dell’Indipendenza che quella della Liberazione ogni 28 novembre. Ed è proprio il 28 novembre che, dal punto di vista protocollare, arrivano anche tutti i messaggi d’auguri dalle presidenze e dalle cancellerie degli altri Paesi. Anche quelli dagli Stati Uniti d’America, dopo il crollo della dittatura comunista nel 1991, quando si ristabilirono i rapporti diplomatici. All’occasione, oltre al presidente statunitense, che manda un messaggio d’auguri al suo omologo albanese, il Dipartimento di Stato diffonde pubblicamente una dichiarazione con la quale augura in occasione della festa dell’Indipendenza, il 28 novembre. Così è stato anche la scorsa settimana. Ma guarda caso, l’ambasciatrice statunitense in Albania, diversamente dai suoi dirigenti istituzionali del Dipartimento, ha inviato i suoi auguri agli albanesi con un suo “cinguettio” in rete per il 77esimo anniversario della liberazione. “Auguri per il Giorno della Liberazione, Albania!”. Così scriveva l’ambasciatrice. Mettendosi inutilmente, inspiegabilmente e ingiustificabilmente al centro dei dibattiti e delle meritate critiche ed accuse per schierarsi apertamente ed ufficialmente, al contrario del Dipartimento di Stato, in un modo del tutto non diplomatico, con il partito del primo ministro. Cosa che infatti sta facendo pubblicamente da poche settimane, dopo che è stata accreditata. Lei sa anche il perché, ma dovrebbe essere stato un buon motivo che l’ha spinta ad una simile scelta. Dovrebbe però conoscere quel minimo necessario della storia albanese della seconda metà del secolo passato almeno e di quella di questi due ultimi decenni prima di scrivere un simile “messaggio d’auguri”. Perché da quella data, il 29 novembre 1944, considerandola per un momento come giustificata storicamente, l’Albania è stata liberata sì dall’occupazione nazista, ma è entrata in un periodo molto drammatico, durato per più di 46 lunghissimi e soffertissimi anni sotto la più spietata e sanguinosa dittatura comunista dell’Europa dell’Est. Ma così facendo però, l’ambasciatrice statunitense in Albania si schiera apertamente e consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura. Appoggiando proprio la dittatura sui generis restaurata e ormai consolidata, come espressione diretta dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro istituzionalmente, la criminalità organizzata locale ed internazionale e alcuni clan occulti, anche quelli locali ed internazionali. Ed uno di quei raggruppamenti occulti, il più potente dal punto di vista finanziario e decisionale in Albania, secondo le cattive lingue, ha la sua sede proprio oltreoceano. Sempre secondo le cattive lingue, l’ambasciatrice statunitense in Albania, così come alcuni suoi superiori nel Dipartimento di Stato statunitense, sono sotto le dirette influenze e al servizio di quel raggruppamento occulto di oltreoceano. E, guarda caso, le cattive lingue raramente hanno sbagliato su quello che, da anni, sta accadendo e tuttora accade in Albania.

    Chi scrive queste righe da anni sta denunciando quanto stanno facendo alcuni ambasciatori, quelli statunitensi in primis e certi “rappresentanti internazionali” in Albania. Quanto è stato ormai reso pubblico, dal 15 agosto scorso, su quello che era accaduto per venti anni in Afghanistan, potrebbe rendere meglio l’idea. Chi scrive queste righe ricorda di nuovo al nostro lettore che l’ambasciatrice, come altri suoi predecessori, non ha mai detto una parola per condannare la corruzione galoppante dei massimi rappresentanti politici in Albania. Anche quando i rapporti ufficiali del Dipartimento di Stato statunitense riferivano di una preoccupante realtà. La stessa ambasciatrice era tra le primissime persone che si sono congratulate ufficialmente e pubblicamente, con il primo ministro per la sua “vittoria” elettorale del 25 aprile scorso, prima ancora del risultato finale delle elezioni! E si potrebbe continuare con molti altri fatti, ormai pubblicamente noti, che dimostrerebbero la violazione, da parte dell’ambasciatrice statunitense dell’articolo 41 della Convezione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Chi scrive queste righe, visti anche gli sviluppi di questi ultimi mesi in Albania, pensa che tutti gli albanesi onesti e patrioti devono prendere in mano le loro sorti e anche quelle del Paese ed agire di conseguenza, ribellandosi contro il Male. Perché, come era convinto anche Thomas Mann, la tolleranza diventa un crimine quando applicata al male,

  • Il sovranismo mediatico ed il dubbio socratico

    Esiste una corrente di pensiero estremamente pericolosa e detestabile che avrebbe l’intenzione, ergendosi a censore in virtù di una non meglio identificata superiorità morale ed ideologica, di porre un limite alla divulgazione di notizie “false” specialmente in questo periodo di ennesima pandemia di covid.

    Andrebbe ricordato a lorsignori come la democrazia non può prevedere alcun limite all’espressione del pensiero del singolo cittadino, il quale ovviamente se ne assume, in relazione ai contenuti, tutte le responsabilità penali e civili.

    Si cerca, invece, di imporre una sorta ‘Pensiero Unico’ come espressione di una forma   di totalitarismo mediatico la cui prima apparizione e, peggio ancora, di certificazione istituzionale si potrebbe individuare nella istituzione di una commissione parlamentare nel luglio 2020 relativa alle fake news.

    Il desiderio di porre un filtro, quindi un vincolo, e conseguentemente un istituto censore dotato di questo potere, alla libera circolazione delle notizie risulta talmente evidente in quanto, sempre in relazione al carosello mediatico, questa commissione ed il Parlamento non si sono mai preoccupati della posizione del nostro Paese all’interno della classifica mondiale della libertà di stampa.

    Il tutto si delinea come quanto di più indegno all’interno di uno stato democratico nel quale gli organi istituzionali, invece di attivarsi per il mantenimento di una pur sempre migliorabile libertà di pensiero ed espressione, si preoccupano degli effetti, spesso risibili, delle teorie ridicole dei no Green pass, come dei terrapiattisiti, e contemporaneamente di verità “scientifiche” considerate assolute poi spesso smentite dallo stessa comunità.

    Andrebbe ricordato a questi dotti signori assieme agli esponenti delle istituzioni parlamentari, che oggi come allora si ergono a  tutori della verità assoluta in nome di una superiorità intellettuale ed etica e, di conseguenza, come gli unici “distributori” della verità, nel momento in cui si ponga un limite alla diffusione delle notizie, fermo restando le responsabilità penali quanto  civili, verrebbe meno la stessa democrazia la quale prevede appunto la libertà indipendentemente dai contenuti o dai divulgatori.

    In verità questo tentativo rappresenta semplicemente una pessima “riesumazione di obsoleti contenuti politici ed ora mediatici” di un’ideologia post-comunista la quale ritrova nella gestione mediatica la possibilità di imporre i medesimi paradigmi espressione di una propria superiorità intellettuale etica e morale.

    Un totalitarismo che si estende ovviamente nel non prevedere ogni possibilità, anche solo del dubbio in relazione alla continua evoluzione del mondo scientifico, come è normale vista l’eccezionalità della situazione. A questa normale difficoltà e tourbillon comunicativo, tuttavia, la cittadinanza dovrebbe dimostrare un’assoluta fiducia priva di ogni dubbio quasi in segno di una propria sottomissione al mondo della scienza e di una parte del ceto politico. In questo contesto andrebbe ricordato come il trenta  giugno  del 2021 all’interno de Il Messaggero venne pubblicato il risultato di una ricerca della Washington University School of Medicine nella quale si affermava come la seconda dose del vaccino assicurasse una immunizzazione   per almeno  3-5 anni (https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/pfizer_moderna_vaccini_durata_immunita_studio_varianti_ultime_notizie_news-6053222.html). La dinamica della pandemia delle ultime settimane di fatto ridicolizza le conclusioni a soli pochi mesi da questa ricerca espressione di un’altra “certezza scientifica” ma proprio grazie alla sublimazione del Dubbio Socratico applicato, allora come oggi, questa notizia risulta passata nell’oblio senza che abbia determinato alcuna reazione antiscientifica e tantomeno ispiratrice di un passaggio verso le teorie no-vax.

    Purtroppo la complessa gestione pandemica viene utilizzata dai promotori della supremazia del Pensiero Unico ancora una volta come un’occasione finalizzata all’imposizione della propria supremazia ideologica etica la quale utilizza i fallibili risultati scientifici in continua evoluzione con l’obiettivo di imporre i propri dogmi morali, etici ed ideologici.

    Questa miserabile declinazione di un nuovo “socialismo mediatico” trova la propria massima espressione nella gestione di molti programmi televisivi sia pro vax che no vax: in quanto il confronto tra opinioni diverse, se non addirittura opposte, presuppone la dimostrazione di competenze minime non necessarie nelle trasmissioni ad indirizzo unico.

    Anche la elementare libertà di espressione di incompetenze più assolute rappresenta una garanzia democratica e si può porre come base per l’evoluzione del progresso ed un termine di riferimento dal quale sottrarsi. Contemporaneamente a questa strategia mediatica umiliante per un paese democratico per comoda convenienza politica si omette di commentare come l’Italia nella classifica della Libertà di Stampa risulti al settantasettesimo (77°) posto. Un risultato vergognoso e non perché non esistano giornali a sufficienza o format televisivi ma perché giornalisti ed editori hanno scelto di divulgare semplicemente la propria ideologia di appartenenza o dell’area politica di appartenenza.

    Socrate diede il valore e i connotati di una forma di intelligenza al Dubbio verso chi proponeva certezze: egli sapeva di non sapere. Un sano bagno di umiltà sarebbe certamente rigeneratore per la nostra democrazia anche solo per comprendere come dimostrare di avere un dubbio nei confronti di granitiche certezze non comporti automaticamente appartenere alla fazione avversa come gli “illuminati del pensiero unico” credono e vorrebbero imporre.

    Il dubbio si manifesta, invece, come una limpida espressione di quel processo di crescita complessiva il quale per fortuna di ideologico non ha proprio nulla.

  • La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette

    I codardi non possono mai essere morali.

    Mahatma Gandhi

    Da più di due mesi ormai, l’attenzione pubblica, mediatica e politica in Albania si sta concentrando su un nuovo Movimento che, come obiettivo fondamentale e come missione, ha la ricostituzione del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione in Albania. Si tratta del primo partito, costituito nel dicembre 1990 per opporsi alla dittatura comunista, ma che, purtroppo, dopo trentun anni, ha ormai perso quasi tutto della sua fisionomia politica e combattente. Un partito che adesso, più che un partito che dovrebbe avere e rispettare il sacrosanto obbligo politico, morale, civile e patriottico di opporsi alla nuova dittatura che si sta consolidando in Albania in questi ultimi anni, è diventato, nolens volens, un “alleato” dell’attuale primo ministro. Tutto dovuto alla totale irresponsabilità degli attuali dirigenti del partito, ma soprattutto del capo del partito che dal 2013 lo sta dirigendo. Tutto ebbe inizio un mese dopo che il capo storico del partito, a sua volta presidente della Repubblica (1992-1997) e poi primo ministro (2005-2013), dichiarò le dimissioni irrevocabili da tutte le sue cariche, in seguito alla sconfitta elettorale del partito democratico nelle elezioni del 23 giugno 2013. Ma, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, l’attuale capo del partito democratico più che un dirigente che rispetta lo Statuto del partito durante il suo multidimensionale operato si presenta come un usurpatore del partito. Si presenta come un individuo che, purtroppo, ha trasformato il partito da un’istituzione politica e parte dei valori a livello nazionale in un’impresa molto rimunerativa a gestione familiare. Un’impresa che è stata sempre vista di “buon occhio” dal primo ministro e dai suoi, quando si è trattato e si tratta di assegnare degli appalti pubblici milionari. Il nostro lettore è stato da tempo informato di tutto ciò, a più riprese, dal 2017 in poi. Proprio da quando tra l’usurpatore del partito democratico e il primo ministro c’è stato un accordo occulto solo tra loro due, i contenuti del quale non sono stati mai resi pubblici. Un accordo, le cui gravi conseguenze da allora hanno generato però innumerevoli danni e sofferenze per la maggior parte degli albanesi. Così come il nostro lettore, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, è stato informato durante questi ultimi mesi sia delle evidenti e gravi conseguenze dell’incapacità e dell’irresponsabilità politica e personale dell’usurpatore del partito democratico sia anche di un nuovo e sempre più vasto Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021).

    Si tratta di un Movimento al quale diede inizio il capo storico del partito democratico proprio il 16 settembre scorso a Tirana, durante un incontro con la base e gli iscritti del partito. L’obiettivo primario di questo Movimento è la ricostituzione del partito sulle fondamenta del conservatorismo occidentale, con un programma simile a quelli dei partiti conservatori europei e del partito repubblicano statunitense, ovviamente adattato alle tradizioni, alle condizioni sociali e politiche e alle esigenze future dell’Albania. Parlando del Movimento, il 16 settembre scorso, il capo storico del partito ha detto che si tratta di un importante impegno, con una valenza storica, che la base del partito democratico si sta avviando a compiere per avere un partito democratico più unito, più forte, più aperto e più sicuro, tenendo presente le sfide del futuro. La scorsa settimana l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo Movimento e dei suoi obiettivi (Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso; 22 novembre 2021).

    Bisogna sottolineare che, nel frattempo, questo Movimento ha messo in serie e vistose difficoltà non solo l’usurpatore del partito democratico, ma soprattutto il primo ministro. Anche perché proprio l’abbattimento del regime da lui restaurato e consolidato in questi ultimi anni rappresenta uno degli obiettivi pubblicamente e ripetutamente dichiarati del Movimento. Ragion per cui si sono messi in moto tutti i potenti mezzi governativi ed altri ancora contro questa avviata iniziativa ed azione politica che sta avendo un grande e sempre crescente appoggio. E non solo dalla base, dagli iscritti e dai rappresentanti politici del partito democratico a tutti i livelli, ma anche da altri cittadini che stanno soffrendo sempre più la vera, drammatica e quotidianamente vissuta realtà albanese. Non a caso tutta la propaganda del primo ministro, la vasta schiera dei media da lui controllati, gli analisti e gli opinionisti a pagamento si stanno ormai dando da fare, per appoggiare palesemente e senza batter ciglio l’usurpatore del partito democratico. Proprio colui che fino a pochi mesi prima era un bersaglio quanto facile da affrontare, tanto ridicolo da prenderlo in giro ed umiliarlo, riferendosi alle continue contraddizioni ed incoerenze logiche, espresse durante le sue dichiarazioni pubbliche. Ormai sembrerebbe che gli “strateghi” del primo ministro stiano cercando di fare del loro meglio, proprio per aiutare a sopravvivere la “stampella” del primo ministro, e cioè l’usurpatore del partito democratico albanese.

    Proprio colui che soltanto nell’arco di questi due ultimi mesi è passato, da un lungo ed evidenziato “silenzio e scomparsa pubblica”, per più di un mese, ad una riapparizione mediatica, proprio negli studi televisivi controllati dalla propaganda governativa. Si è anche “ricordato” di diffondere per il pubblico le sue “opinioni e convinzioni”, tramite i “cinguettii” su Twitter. Ma così facendo però, ha messo chiaramente e pubblicamente in evidenza la metamorfosi delle sue affermazioni, che in realtà rappresenta lo stato d’anima di un vigliacco messo alle strette. Di un individuo, però, che ha la capacità di essere portatore attivo di quello che George Orwell, nel suo rinomato e molto letto romanzo 1984, chiamava il “Bipensiero” (Doublethink). E cioè la capacità, innata oppure inculcata, di un individuo di sostenere simultaneamente due pensieri del tutto diversi, due opinioni in palese contraddizione logica; di accettarle come esatte e di difendere, convinto, in pubblico la veridicità di entrambe! Il 9 settembre scorso, l’usurpatore del partito democratico albanese, in palese violazione dello Statuto del partito, aveva preso personalmente la decisione di espellere dal gruppo parlamentare il capo storico del partito democratico. Ma, da grande ipocrita e bugiardo qual è, l’usurpatore ha espresso la sua massima valutazione politica ed umana per il suo predecessore. Alcuni giorni dopo, trattando quella decisione personale dell’usurpatore del partito, l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “Lo ha fatto, da vigliacco, da misero ipocrita, bugiardo ed impostore qual è, all’ultimo momento, proprio la sera di giovedì scorso e poche ore prima che cominciasse, nella mattinata del giorno seguente, la prima sessione della decima legislazione del Parlamento. Una forzata e ordinata decisione, presa da una persona che, come dicono in tanti in Albania, è sotto pressione, perché è ricattata e ricattabile” (Meglio perderli che trovarli; 13 settembre 2021). Dopo aver preso quella “sofferta decisione della sua vita”, l’usurpatore del partito democratico, per alcune settimane, ha continuato ad elogiare il capo storico del partito. Lo ha fatto, “recitando il suo ruolo”, rivolgendosi anche al primo ministro in parlamento, affermando: “Non tolgo neanche una virgola alle parole [di riconoscimento e di elogio] che ho detto…e le valutazioni che ho fatto…”, riferendosi al capo storico del partito. Nel frattempo però il Movimento per la ricostituzione del partito democratico cresceva e diventava sempre più un grande pericolo personale per lui. Ma anche per il primo ministro, suo “protettore”. Ragion per cui, l’usurpatore “decise di attaccare”. Non importava più quello che aveva detto fino a poco fa. L’unica cosa che importava era lui stesso. La sua “metamorfosi” verbale cominciata il 23 ottobre scorso, quando considerò il capo storico del partito una persona che “…sta cercando di far diventare il partito democratico un bunker per i propri problemi”. In seguito e mentre il Movimento cresceva, l’usurpatore ha parlato del “triangolo delle Bermuda”, un lato del quale era l’ormai il suo nemico dichiarato, il capo storico del suo partito. Per poi arrivare finalmente ad una aperta “dichiarazione di guerra”, il 12 novembre scorso, durante un’intervista rilasciata per una rete televisiva a lui “amica”. In quell’intervista ha attaccato il capo storico del partito, affermando che “solo adesso lo stava veramente conoscendo per quello che realmente era”. Ma tutto quello che ha dichiarato “faceva a pugni” con quanto lui stesso aveva detto pubblicamente fino a pochi giorni fa. Ma non importava più. La metamorfosi verbale era, nel frattempo, avviata e non poteva più fermarsi. Il 7 novembre scorso l’usurpatore diceva, riferendosi sempre al suo ormai dichiarato nemico, che “il suo tempo era finito”. Mentre in queste ultime settimane, sia l’usurpatore del partito democratico che quei pochissimi “fedeli” rimasti hanno aumentato gli “attacchi” contro il “nemico comune”. La “metamorfosi” però non è rimasta solo verbale. È diventata anche decisionale. Circa un mese fa, il capo storico del partito democratico aveva annunciato la convocazione del congresso straordinario del partito l’11 dicembre 2021, chiesto, come prevede lo Statuto, da un quarto dei delegati (in realtà erano state raccolte le firme di più della metà dei delegati del congresso e che continuano ad aumentare). Allora l’usurpatore del partito ha dichiarato che non avrebbe mai permesso un simile congresso, nonostante in questo caso lo Statuto prevede la convocazione senza dover chiedere nessun permesso né dal capo del partito e né da tutti gli organi dirigenti del partito, riconoscendo ai delegati la “sovranità”. E siccome neanche tutti gli “argomenti” usati da lui e dai suoi pochissimi “fedeli” sono serviti a nulla, allora si è arrivati alla “trovata”. L’usurpatore ha dichiarato la convocazione del congresso del partito per il 18 dicembre 2021! Proprio una settimana dopo la convocazione chiesta e decisa da un quarto dei delegati (attualmente sono circa 70% dei delegati che hanno firmato le schede)! Chissà quale sarà l’altra “metamorfosi” decisionale, oltre a quelle verbali, pronunciata dall’usurpatore del partito e/o da chi per lui?! Ma senz’altro sarà una metamorfosi di un vigliacco messo alle strette.

    Chi scrive queste righe è convinto che quanto sta accadendo in queste ultime settimane testimonia la grave crisi esistenziale che sta attraversando l’usurpatore del partito democratico albanese e i suoi veramente pochi, pochissimi “fedeli”. Sono diventati ridicoli e del tutto incredibili. In pieno panico, e anche costretti e ricattati in lingua inglese, stanno agendo da codardi e vigliacchi. Però come non dare ragione a Mahatma Gandhi, il quale era convinto che i codardi non possono mai essere morali.

  • Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso

    Non aspetto mai di vedere un lavoro perfetto fatto da un uomo imperfetto.

    Alexander Hamilton; Il Federalista

    Era il dicembre del 1990. In quasi tutti i Paesi dell’Europa centrale ed orientale erano crollati i regimi totalitari comunisti. Tutto in seguito a quelle che, nel 1989, si chiamarono le Rivoluzioni delle Nazioni. I primi segnali erano stati dati però in Polonia, nel 1980, dalle manifestazioni degli operai nei cantieri navali di Danzica e dalla costituzione del sindacato indipendente Solidarność (Solidarietà). Ma era dopo la proclamazione nell’Unione Sovietica delle due dottrine politiche di Glasnost (Trasparenza) e di Perestrojka (Ristrutturazione) che nei Paesi dell’Est Europa sono stati fomentati e cominciati i primi movimenti contro i regimi totalitari. Nelle elezioni parlamentari del giugno 1989 in Polonia Solidarność, diventato partito politico, vinse tutti i seggi della Camera dei Deputati e 99 dei 100 seggi del Senato. Nell’ottobre 1989, durante una seduta del Parlamento ungherese si decise di avere elezioni parlamentari multipartitiche e l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Il 9 novembre 1989, una data che rimarrà nella memoria collettiva, crollò il muro di Berlino. Il 10 dicembre 1989, dopo delle massicce proteste pacifiche ad oltranza a Praga, crollò anche il regime comunista della Cecoslovacchia. Il 22 dicembre 1989 in Romania veniva giustiziato il segretario generale del partito comunista, catturato dopo il suo disperato tentativo di fuga ed in seguito alle massicce proteste a Bucarest ed in altre città. Cadeva così un altro regime. La stessa fine ebbe anche il regime comunista in Bulgaria, dopo le elezioni del giugno 1990. Simili sviluppi politici seguirono nei Paesi baltici, ai quali fu riconosciuta la loro indipendenza dall’Unione Sovietica nel settembre 1991. Il 1º dicembre l’Ucraina proclamò la sua indipendenza dall’Unione Sovietica dopo un referendum, per poi arrivare alla caduta definitiva del regime comunista nella stessa Unione Sovietica. Era il 25 dicembre 1991 quando, sul Cremlino, sventolò di nuovo dal 1917, la bandiera della Russia.

    L’unico Paese dell’Est Europa nel quale ancora, nel 1991, governavano i comunisti era l’Albania. Ma anche in Albania le proteste contro la dittatura comunista cominciarono già nel 1990, in seguito alle influenze delle Rivoluzioni delle Nazioni in altri Paesi del blocco comunista. Era proprio l’8 dicembre 1990 quando gli studenti dell’Università di Tirana scesero numerosi in piazza per protestare contro il regime. Proteste, alle quali subito dopo si sono uniti i cittadini della capitale. Alcuni giorni dopo, l’11 dicembre 1990, in uno degli edifici del campus universitario si riunirono i rappresentanti degli studenti, insieme con alcuni loro professori. Alla fine di quella riunione si costituì il primo partito d’opposizione in Albania, il partito democratico. Era il 12 dicembre 1990. In seguito il partito democratico organizzò le proteste contro la dittatura, costringendo i massimi suoi dirigenti a indire le prime elezioni pluripartitiche nel marzo 1991. Elezioni che però sono state manipolate e vinte dal partito comunista. Ma l’onda delle proteste massicce continuò e costrinse l’allora primo ministro a dimettersi nel giugno 1991. Seguirono due altri governi, uno il cosiddetto governo della stabilità fino a dicembre 1991 e l’altro un governo tecnico che doveva portare il Paese verso le nuove ed anticipate elezioni fissate per il 22 marzo 1992. In quelle elezioni il partito democratico albanese vinse 92 dei 140 seggi del Parlamento. Cominciò così, ventinove anni fa, il lungo e tortuoso periodo, ancora in corso, della transizione democratica dell’Albania. Ma purtroppo, non solo quel processo non è ancora terminato, ma dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, in Albania, in questi ultimi anni è stato restaurato e si sta consolidando un nuovo regime totalitario. L’autore di queste righe da anni e spesso ha informato il nostro lettore di questa sempre più grave e preoccupante realtà.

    Dal settembre 2013 al potere in Albania vi è il partito socialista, che è il diretto discendente politico del famigerato partito comunista albanese. Non solo, ma sempre dati alla mano, alcuni dei massimi rappresentanti del governo, compreso il primo ministro, nonché altri alti dirigenti delle istituzioni governative e statali in Albania, sono dei diretti discendenti e/o parenti dei dirigenti del partito comunista degli anni ’80 del secolo passato. E dal 2013 in poi il partito socialista sta diventando, sempre più, un partito nel quale tutto viene deciso dal suo capo, che è il primo ministro. Proprio tutto. Mentre gli altri ubbidiscono, sottomessi, ma in cambio di benefici abusivi e corruttivi. Una situazione questa che ormai è nota a tutti.

    Il partito democratico albanese, dopo aver perso alle elezioni del 23 giugno 2013 e dopo le dimissioni irrevocabili del suo capo storico da ogni incarico istituzionale, purtroppo ha archiviato solamente delle sconfitte elettorali e non solo. Il partito democratico, dal 2013 in poi, con le sue decisioni politiche, ha semplicemente facilitato il “compito” al primo ministro nella sua folle, irresponsabile e pericolosa corsa verso il continuo consolidamento della nuova dittatura in Albania. Anche di questi preoccupanti sviluppi il nostro lettore è stato continuamente informato. Così come è stato sempre informato, dal 2017 in poi, anche delle dirette responsabilità politiche ed istituzionali dell’attuale capo del partito democratico di una simile e grave situazione sociale e politica in Albania. In più, e sempre dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il capo del partito democratico e dell’opposizione risulta essere più che un dirigente un usurpatore del partito. Le cattive lingue da tempo dicono che lui è stato selezionato e poi sostenuto per avere quell’alto ed importante incarico politico ed istituzionale dallo stesso sostenitore oltreoceano dell’attuale primo ministro. Le cattive lingue da tempo stanno ripetendo che l’usurpatore del partito democratico albanese è stato scelto per fare sempre la “stampella” al primo ministro. E, come spesso è accaduto e accade in Albania, le cattive lingue hanno avuto sempre ragione. Quanto è accaduto e sta accadendo testimonia che all’usurpatore del partito democratico è stato assegnato un duplice compito, per quanto possa sembrare strano ed improprio. Quello di sgretolare e rendere non funzionali le strutture del partito, con tutte le derivate conseguenze. Ma anche quello di inculcare l’indifferenza e l’apatia e di annientare lo spirito di ribellione e delle proteste degli albanesi contro le ingiustizie, le continue violazioni dei sacrosanti diritti dei cittadini, contro gli scandalistici abusi e la galoppante corruzione governativa. E fino ad ora quel duplice compito l’usurpatore del partito democratico è riuscito a farlo.

    Fino ad ora però. Perché da alcuni mesi, ma soprattutto dallo scorso settembre, la posizione politica ed istituzionale dell’usurpatore sembrerebbe essere stata messa in serie difficoltà. Tutto dopo l’espulsione, con una decisione personale dell’usurpatore, in piena e palese violazione dello Statuto, il 9 settembre scorso, del capo storico del partito democratico dal gruppo parlamentare. Risulterebbe che questa decisione sia stata presa dietro dei ricatti fatti all’usurpatore del partito democratico in lingua inglese. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questi recenti sviluppi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021). La situazione è diventata così allarmante politicamente, ma anche con delle dirette conseguenze sociali, che nel partito democratico, dallo scorso settembre, si è messo in moto un crescente Movimento interno. Un Movimento guidato dal capo storico del partito, con un vasto e sempre in crescita sostegno della base, dei dirigenti locali delle strutture del partito e di non pochi deputati, contro l’operato dell’usurpatore del partito democratico e di alcuni pochi, pochissimi altri dirigenti del partito, suoi “fedeli”. Un operato del tutto in palese violazione dello Statuto del partito, fino al punto che anche i “fedeli” dell’usurpatore non sono stati eletti come prevede lo Statuto, ma sono semplicemente nominati da lui per servire, ubbidienti, il “benefattore”. Così facendo lui, il “benefattore”, ha trasformato, purtroppo, il partito democratico, sempre dati e fatti accaduti alla mano, in un’impresa famigliare molto rimunerativa. Godendo però anche della “magnanimità” del primo ministro e dei suoi. Che poi sono anche coloro che ne traggono non pochi benefici. Come risulterebbe sia da fonti mediatiche, ma anche dalle accuse dirette, documentate e pubbliche che, durante queste ultime settimane, sta facendo e denunciando il capo storico del partito in molti suoi incontri con la base sul tutto il territorio. Durante questi quasi tre mesi sono state depositate anche le firme della maggior parte dei delegati del Congresso del partito, come prevede lo Statuto, per convocare proprio il Congresso. Il numero delle firme sta aumentando con il tempo. Comunque, siccome è stata ormai superata la soglia prevista dallo Statuto del partito, la convocazione del Congresso straordinario, richiesto almeno da un quarto dei delegati, è stata fissata per l’11 dicembre prossimo. Anche il simbolismo vuole e merita la sua parte! Sì perché era proprio l’11 dicembre del 1990 quando si radunarono i rappresentanti degli studenti, insieme con alcuni loro professori, e costituirono il partito democratico albanese. Adesso, dopo trentuno anni, il partito ha un indispensabile bisogno di ricostituirsi sugli stessi principi messi nelle sue fondamenta nel dicembre 1990, quando si costituì per la prima volta. E fino all’11 dicembre sono rimaste soltanto tre settimane. Nel frattempo l’usurpatore del partito, quel misero e solitario perdente, si sente sempre più solo ed isolato dalla base, circondato soltanto da quei suoi pochi “fedelissimi”. E che, guarda caso, sta avendo però tutto il sostegno della potente propaganda mediatica del primo ministro, nonché dei suoi tanti “opinionisti” a pagamento, i quali, fino a pochi mesi fa hanno fatto dell’usurpatore del partito democratico un ridicolo bersaglio. Chissà perché questo cambiamento di “strategia” adesso, in queste ultime settimane?!

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire ed informare il nostro lettore su tutti questi sviluppi, cercando, come sempre ha fatto, di essere più oggettivo possibile. Egli è però convinto che si tratta di sviluppi che oltrepassano il partito democratico albanese per la loro importanza. Sono sviluppi che interessano tutti gli albanesi onesti e patrioti, vista la drammatica, preoccupante, pericolosa e sofferta realtà albanese. E siccome la base ideologica per la ricostituzione del partito democratico è quella del conservatorismo occidentale, bisogna tenere presente anche il pensiero politico di Alexander Hamilton, un conservatore per eccellenza e uno dei tre autori della raccolta dei saggi The Federalist (Il Federalista, pubblicato a New Your nel 1788; n.d.a.). Compreso quanto egli affermava sugli “imperfetti” – e l’imperfezione sarebbe solo uno dei ben altri difetti dell’usurpatore del partito democratico albanese – e cioè che non bisogna aspettare mai di vedere un lavoro perfetto fatto da un uomo imperfetto.

  • Interessi, indifferenza, irresponsabilità, ipocrisia e gravi conseguenze

    L’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni
    genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

    François de La Rochefoucauld

    Il 14 novembre è stata celebrata la quinta Giornata mondiale dei Poveri. Papa Francesco ha scelto di onorare questa Giornata ad Assisi, la città che diede i natali al “poverello d’Assisi”, a San Francesco, a colui al quale si ispirò lo stesso il Santo Padre, scegliendo di essere chiamato proprio Francesco, come “l’uomo della povertà e della pace”. Perciò venerdì scorso, 12 novembre, è stato ad Assisi in forma privata, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, per partecipare all’Incontro di preghiera e testimonianze, insieme con un gruppo di 500 poveri provenienti da diverse parti d’Europa. Durante il suo intervento Papa Francesco ha ribadito determinato la necessità che “…ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate”. Aggiungendo, convinto e perentorio, che “è tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza”. E si riferiva anche all’indifferenza di tutte le persone che hanno delle responsabilità istituzionali ai più alti livelli e in tutto il mondo. Perché la loro irresponsabilità ha causato enormi danni, mentre con la loro ipocrisia, cercano di coprire e nascondere i propri interessi e la loro indifferenza di fronte alle inderogabili evidenti necessità, di fronte alla tanta povertà, alle tante sofferenze e, purtroppo, anche di fronte alle tantissime perdite di preziose vite umane. Sempre in occasione della quinta Giornata mondiale dei Poveri, domenica 14 novembre, il Santo Padre ha celebrato la messa nella basilica di San Pietro a Roma. Nell’omelia, durante la Santa messa, Papa Francesco, rivolgendosi sempre ai “potenti” del mondo, ha detto che “…non serve parlare dei problemi, polemizzare, scandalizzarci, [perché] questo lo sappiamo fare tutti; serve imitare le foglie, che senza dare nell’occhio ogni giorno trasformano l’aria sporca in aria pulita”. E non a caso ha fatto riferimento alla foglia, all’aria sporca e all’aria pulita. Ha usato la metafora della foglia e dell’aria per ribadire la grave situazione ambientale e sociale, a livello globale, e le tantissime preoccupanti conseguenze che ne derivano. Dopo l’Angelus, Papa Francesco ha parlato anche del vertice sul clima, concluso un giorno prima a Glasgow. “Il grido dei poveri, unito al grido della Terra, è risuonato nei giorni scorsi al Vertice delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP26, a Glasgow. Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ed economiche ed agire subito con coraggio e lungimiranza” ha detto il Santo Padre. Un appello che da anni sta ripetendo. Un appello, il cui contenuto è stato trattato ed analizzato dettagliatamente nella sua enciclica Laudato sì pubblicata nel 2015. E non a caso anche il titolo dell’enciclica, ispirata direttamente al Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi. In quella enciclica l’autore tratta le gravi crisi, quella ambientale e quella sociale, con le quali si sta affrontando da anni l’umanità, nonché tutte le loro derivanti e gravi conseguenze.

    Sabato scorso, 13 novembre, con un giorno più del previsto, si è conclusa a Glasgow, in Scozia, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, iniziata il 31 ottobre scorso. Si tratta della “COP26” (COP è l’acronimo della Conference of Parties – Conferenza delle Parti, che è il vertice annuale dei Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; n.d.a.). Questo di Glasgow, che si doveva tenere l’anno scorso, e stato il 26esimo in ordine di tempo, di una serie di vertici, iniziati nel 1992 a Rio de Janiero, in Brasile. Dopo il secondo vertice, quello del 1995 a Berlino, tutti gli altri sono svolti annualmente, eccezion fatta per quello ultimo di Glasgow, dovuto all’impedimento pandemico. Sono però rimasti nella memoria collettiva soltanto alcuni di questi vertici, sia per quanto è stato deciso, che per quanto non è stato in seguito adempiuto. Tra questi si possono annoverare la “COP3”, quella del 1997 a Kyoto in Giappone, durante la quale è stato approvato il “Protocollo di Kyoto” sul riscaldamento globale; la “COP21” svoltasi nel 2015 a Parigi e la “COP 25” svoltasi nel 2019 a Madrid. Durante il vertice di Parigi tutti i Paesi firmatari hanno deciso di contenere il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C dal livello pre-industriale” attraverso un taglio delle emissioni di gas serra. Per attuare quell’impegno preso, tutti i Paesi firmatari dovevano avere e gestire un programma per garantire la riduzione delle emissioni a livello nazionale, che è ormai noto come “Contributo determinato a livello nazionale” (NDC – Nationally Determined Contribution; n.d.a.). Si tratta di dati che dovranno essere esaminati e aggiornati ogni cinque anni.  Da quello che è stato reso noto durante il vertice di Glasgow, gli obiettivi posti dal “COP21” di Parigi e dai programmi nazionali dei Paesi firmatari sono risultati insufficienti. Purtroppo, dati alla mano, anche la Conferenza “COP25” di Madrid, organizzata ed ospitata dal governo cileno, è risultata un fallimento. I negoziati, che dovevano portare ad un accordo sui mercati del carbonio, durante quel vertice presero molto tempo e poi, alla fine, non si decise niente di concreto, tranne che tutto si doveva trattare durante la Conferenza di Glasgow.

    Gli obiettivi posti e concordati da tutti i Paesi partecipanti durante la “COP26” sono tre. Il primo riguarda “l’impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura entro gli 1,5o C rispetto all’era preindustriale”. Il che rappresenterebbe, se adempiuto, un passo avanti rispetto all’Accordo di Parigi, che fissava il tetto al 2o C. Il secondo obiettivo prevede “l’impegno a ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010 ed a dimezzarle entro il 2050”. Il terzo stabilisce “l’impegno a riformulare, entro il 2022, i piani nazionali per la decarbonizzazione”. Bisogna però sottolineare che i negoziati svolti durante le due settimane del “COP26” a Glasgow miravano a degli obiettivi più impegnativi. Soprattutto per quello che riguarda l’abolizione delle fonti fossili più inquinanti. Obiettivo, la cui formulazione è stata modificata, dopo lunghi negoziati risultati non positivi, con i rappresentanti dell’India e della Cina. Ragion per cui nel documento finale della Conferenza di Glasgow, riferendosi alle centrali a carbone, invece della formulazione “eliminazione graduale” sostenuta dalla maggior parte dei Paesi, si è adottata la formulazione “riduzione graduale”. Un altro obiettivo sul quale si è discusso e negoziato era quello dei sussidi, il cosiddetto carbon budget, per i Paesi poveri ed in via di sviluppo. Alcune delle loro delegazioni, soprattutto quelle africane, hanno chiesto di prevedere un sostegno di 1.300 miliardi di dollari l’anno, mentre i rappresentanti dei Paesi ricchi si sono opposti. E tutto è stato rimandato alla prossima Conferenza, quella del 2022 a Sharm el-Sheik, in Egitto. Per gli analisti e i rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste, i risultati della “COP26” hanno testimoniato un fallimento nel raggiungimento degli obiettivi preposti. Secondo loro i Paesi ricchi hanno rifiutato e bloccato le richieste dei Paesi poveri e più vulnerabili, che rappresentano più di 6 miliardi di persone. La sintesi della Conferenza di Glasgow, sui cambiamenti climatici, l’ha fatto il suo presidente, il Segretario di Stato del governo britannico per gli Sviluppi internazionali. Alla fine dei lavori, il 13 novembre scorso, commosso, riferendosi alla tanta discussa bozza sui combustibili fossili e il carbone ha detto: “Mi scuso per il modo in cui questo processo si è svolto”, per poi concludere aggiungendo: “Sono profondamente dispiaciuto, ma è fondamentale proteggere questo pacchetto”. Una Conferenza quella di Glasgow, durante la quale, purtroppo, hanno prevalso di nuovo le “ragioni” e gli interessi dei “più forti”, lasciando soli, nelle loro sofferenze e nei loro sforzi di sopravvivenza intere popolazioni in diverse parti del mondo. Un’ulteriore dimostrazione dell’indifferenza, dell’irresponsabilità e dell’ipocrisia dei “grandi del pianeta”! Le conseguenze del loro operato, delle loro scelte e decisioni andranno di nuovo a colpire i più poveri.

    La settimana appena passata è cominciata con un altro preoccupante avvenimento. Lunedì scorso, 8 novembre, al confine tra la Polonia e la Bielorussia, centinaia di profughi provenienti da Paesi orientali e del nord Africa, sono stati bloccati dalla polizia polacca. Da allora i profughi, che nel frattempo sono aumentati, hanno dovuto subire tante sofferenze legate al freddo e a tanto altro. Le autorità della Polonia accusano il presidente della Bielorussia di aver provocato questa nuova crisi umanitaria, in accordo con la Russia. L’8 novembre scorso, con la crisi in corso, durante una sessione speciale del Parlamento, il primo ministro polacco ha dichiarato che “La nostra sicurezza esterna viene brutalmente violata”, considerando quanto stava accadendo come un tentativo da parte della Russia di “ricostruire il suo impero nell’Europa dell’Est”. Le autorità bielorusse hanno smentito e respinto le accuse. In una nota ufficiale del ministero degli Esteri si afferma: “Vogliamo anticipatamente mettere in guardia la parte polacca contro l’utilizzo di qualsiasi provocazione”. Durante la scorsa settimana sono state rese note anche le dichiarazioni ufficiali delle massime autorità dell’Unione europea, che accusano il presidente bielorusso di aver fomentato questa crisi e promettono nuove sanzioni contro la Bielorussia. La crisi è tuttora in corso. Anche in questo caso si scontrano degli interessi, compresi quegli geostrategici. Mentre l’irresponsabilità di alcuni autocrati causa sofferenze umane. Come, purtroppo, anche l’indifferenza. E, come spesso accade, si cerca di camuffare tutto con una cinica e ripugnante ipocrisia.

    Venerdì scorso, 12 novembre, a Parigi è stata organizzata e svolta una Conferenza internazionale sulla Libia. I promotori sono stati l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la Germania, l’Italia e la Francia. Gli obiettivi posti erano quegli di “assicurare lo svolgimento delle prossime elezioni in Libia”, previste per il 24 dicembre prossimo e di “concretizzare il ritiro dei mercenari stranieri ancora presenti nel paese, inviati da Russia e da Turchia”. I partecipanti alla Conferenza hanno sottolineato il loro pieno sostegno “alla piena applicazione del cessate il fuoco del 23 ottobre 2020” e al nuovo governo ad interim, costituito a febbraio scorso, il quale ha messo fine all’esistenza di due governi diversi in Libia. Secondo gli organizzatori della Conferenza le elezioni previste per il 24 dicembre potrebbero rappresentare una significativa svolta per il processo di pacificazione della Libia. Da dieci anni ormai, dopo l’intervento militare internazionale iniziato nel marzo 2011, che portò alla caduta del regime di Gheddafi, la Libia in pieno caos, è stata dilaniata da lotte interne fra i due campi rivali. Lotte e conflitti generate, anche nel caso della Libia, da diversi interessi, compresi soprattutto quegli economici e geostrategici. E anche in questo caso tutto è stato causato dall’irresponsabilità politica ed istituzionale e dall’indifferenza quando, invece, si doveva reagire con determinazione.  Da parte di tutti, che poi, per giustificarsi, hanno fatto uso dell’ipocrisia.

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che gli interessi, l’indifferenza, l’irresponsabilità e l’ipocrisia causano sempre delle gravi e molto sofferte conseguenze. Proprio come la storia, anche quella molto recente, ci insegna. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento per il nostro lettore (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019; Bisogna reagire, 17 maggio 2021 ecc..). Bisogna sempre ricordare e tenere ben presente che, come affermava François de La Rochefoucauld, l’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

  • Al via la conferenza di Parigi sulla Libia, grandi assenti Putin ed Erdogan

    Venerdì 12 novembre si aprirà a Parigi una nuova Conferenza internazionale sulla Libia. L’incontro, annunciato dal ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre, potrebbe svolgersi in un clima di grande sfiducia visto che sebbene le elezioni siano state programmate il 24 dicembre non è certo che la data possa essere rispettata. Parigi ha offerto a Germania e Italia la co-presidenza dell’evento per lanciare un segnale forte all’Unione Europa affinché giochi un ruolo chiave nella partita con la Libia per evitare che siano altri attori ad intervenire con modalità poco trasparenti. “Le elezioni sono alle porte – ha osservato il presidente francese Emmanuel Macron – ma le forze che vogliono far deragliare il processo sono in agguato. Bisogna tenere la barra dritta. È in gioco la stabilità del paese”.

    All’incontro partecipano una ventina tra capi di stato regionali e internazionali, tra cui la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Saranno presenti anche Tunisia, Niger e Ciad, i tre paesi confinanti che stanno subendo i maggiori contraccolpi della crisi libica, in termini di instabilità, traffico di armi e mercenari. L’Algeria, dopo la crisi diplomatica con Parigi, non ha ancora confermato la sua partecipazione. Grandi assenti i presidenti di Turchia e Russia, i due paesi maggiormente coinvolti nel conflitto. Per Mosca andrà il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, mentre da Ankara hanno fatto sapere che non intendono partecipare a causa della presenza della Grecia, di Israele e dell’amministrazione greco-cipriota, con cui la Turchia è ai ferri corti per il gasdotto East-Med. Un’assenza pesante visto che in Libia sono tuttora presenti diverse migliaia di militari turchi o siriani filo-turchi intervenuti a sostegno del governo di Tripoli quando era sotto assedio, oltre a mercenari russi del gruppo privato Wagner, accorsi in aiuto delle forze della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar. Entrambe le milizie straniere non hanno mai smobilitato né si sono ritirate dal paese, come era previsto dopo la firma del cessate-il-fuoco e l’approvazione di una road-map mediata dall’Onu per la fine delle ostilità e il ripristino di istituzioni democratiche.

  • Preoccupanti avvisaglie dai Balcani

    Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate,

    ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.

    Martin Luther King

    A volte una sola fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda, cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Un’inequivocabile e significativa testimonianza è stata evidenziata la scorsa settimana. Una fotografia scattata durante un vertice a Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre scorso, ha svelato una verità che si stava cercando con tutti i modi di nasconderla. Una verità che da anni però era stata pronunciata, ma mancavano ancora delle convincenti e esaustive evidenze per togliere ogni dubbio e crederla.

    La scorsa settimana a Belgrado si è tenuto un vertice di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. L’anfitrione, il presidente della Serbia, insieme con i suoi due ospiti, il primo ministro albanese ed il vice primo ministro della Macedonia del Nord, si sono incontrati ed hanno discusso tra di loro. Non era presente il primo ministro macedone, come al solito in tutti gli altri precedenti incontri, perché il 31 ottobre scorso aveva annunciato le sue dimissioni subito dopo la pesante sconfitta del suo partito nelle elezioni amministrative (17 e 31 ottobre 2021). Per due giorni a Belgrado si è parlato dell’iniziativa regionale riconosciuta adesso come i “Balcani Aperti” (Open Balcan). Gli obiettivi di base dell’iniziativa sono stati resi pubblici però circa due anni prima, il 10 ottobre 2019, a Novi Sad (Serbia), ma allora quella era stata battezzata come l’iniziativa del “Mini-Schengen balcanico”. Nome con il quale veniva identificata fino al 29 luglio 2021, per poi essere ribattezzata con il nome Open Balcan, durante il Forum di Skopje (Macedonia del Nord), per la cooperazione economica regionale. Bisogna sottolineare che a tutti i vertici che hanno trattato i contenuti e gli accordi del “Mini-Schengen balcanico”, prima e dopo l’iniziativa ribattezzata come Open Balcan, hanno partecipato soltanto i massimi rappresentanti di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. Si tratta del presidente serbo, del primo ministro albanese e del primo ministro macedone. Gli altri, quelli del Montenegro, della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo, hanno sempre rifiutato di partecipare, considerando l’iniziativa come non rappresentativa degli interessi dei propri Paesi. È necessario sottolineare che i “Balcani occidentali” sono semplicemente una denominazione “geopolitica”, più che una vera entità e realtà geografica. Nei Balcani occidentali vengono raggruppati la Serbia, la Macedonia del Nord, il Montenegro, la Bosnia ed Erzegovina, il Kosovo e l’Albania. Un raggruppamento quello di tutte le repubbliche dell’ex Jugoslavia, tranne la Slovenia, la Croazia ed il Kosovo, che allora era parte della repubblica serba. La denominazione “Balcani occidentali” è stata coniata, per la prima volta, da alcuni rappresentanti diplomatici francesi presso le istituzioni dell’Unione europea all’inizio degli anni 2000. Chissà perché?!

    L’iniziativa Open Balcan, come quella sua simile del “Mini-Schengen balcanico” è stata presentata come un’iniziativa regionale che garantisce la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. I suoi obiettivi mirano allo sviluppo ed al rafforzamento della collaborazione economica e commerciale tra i tre Stati aderenti, visto che gli altri tre hanno sempre rifiutato di partecipare. Durante l’ultimo vertice, quello di Belgrado della scorsa settimana, si è concordato, tra l’altro, di abbattere gli ostacoli e di abolire le barriere doganali tra i Paesi. In più, si prevede che i cittadini dei tre Paesi aderenti all’iniziativa possono circolare passando le frontiere con solo una carta d’identità. Da sottolineare però che tra la Serbia e l’Albania non c’è un confine comune. Ma la Serbia, non riconoscendo lo Stato del Kosovo e ribadendo che il Kosovo è parte integrante della Serbia, considera come suo confine con l’Albania proprio quello del Kosovo. Una situazione un po’ strana e contraddittoria questa, perché l’Albania è tra i primissimi degli altri 116 Paesi in tutto il mondo che, dal 2008 ad oggi, hanno riconosciuto lo Stato del Kosovo. In più suonano demagogiche tutte le dichiarazioni e diventano, perciò, strani tutti gli inviti dei massimi rappresentanti della Serbia per convincere il governo del Kosovo ad aderire all’iniziativa Open Balcan. Perché in quell’iniziativa aderiscono gli Stati sovrani ed indipendenti!

    Subito dopo il sopracitato vertice di Novi Sad, il 10 ottobre 2019, quando è stata presentata per la prima volta l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico”, ormai ribattezzata come Open Balcan, sono state tante e continue le critiche degli analisti politici e degli specialisti economici che si riferiscono a questa iniziativa. Analizzando le realtà economiche dei tre Paesi aderenti e le capacità produttive di ciascuno di loro, tutti sono concordi e  considerano l’iniziativa Open Balcan come una grande opportunità per la Serbia di approfittare economicamente, di garantire un’egemonia serba nella regione balcanica e altro ancora. In più, sono non pochi coloro che considerano l’iniziativa non necessaria, essendo ormai attive diverse altre iniziative ed accordi internazionali, firmati da tutti e sei i Paesi balcanici che permettono l’attuazione di quanto previsto dall’iniziativa Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020 ecc…).

    Una di quelle iniziative è nota come il “Processo di Berlino”. Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione. E non a caso i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea non sono stati presenti anche durante l’ultimo vertice della scorsa settimana a Belgrado.

    A questo punto bisogna sottolineare che, in realtà, quanto si prevede dall’iniziativa Open Balcan non è una novità. I punti cardini e gli obiettivi di questa iniziativa sono stati ideati e resi noti già negli anni ’90 del secolo passato. Nel 1999, dopo il definitivo sgretolamento dell’ex Jugoslavia, è stato pubblicato un articolo che presentava quelli che, venti anni dopo, nel 2019, sono proposti come gli obiettivi dell’iniziativa prima denominata “Mini-Schengen balcanico” e attualmente nota come Open Balcan. L’autore di quell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). In quell’articolo l’autore ribadiva che i Balcani “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. Secondo lui “L’unico modo per [avere] la pace e la prosperità è la creazione di una società aperta in cui lo Stato esercita un ruolo meno dominante e dove diminuisce l’importanza delle frontiere”. Lui proponeva, altresì, riferendosi ai Balcani, che “La regione deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania”. L’autore dell’articolo prevedeva anche una serie di misure da intraprendere per attuare il suo progetto nei Balcani e confermava che tutte queste necessità “sono note e la mia rete delle Fondazioni della Società Aperta adesso è attiva in diversi campi [previsti] del programma”. Guarda caso, ventidue anni dopo, durante il vertice di Skopje del 29 luglio 2021, l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico” veniva ribattezzata come l’iniziativa Open Balcans! Mentre i tre firmatari dell’iniziativa adesso, dopo venti e più anni, si presentano come ideatori di quell’iniziativa, presentandola come una novità (Sic!).

    Le cattive lingue, da anni, stanno parlando dei legami di “amicizia personale” tra il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta e i tre firmatari dell’iniziativa Open Balcan. Almeno il primo ministro albanese lo ha pubblicamente dichiarato il 23 settembre scorso, affermando che lui “è amico mio e sono fiero che l’ho come amico”! Dichiarazione d’amicizia fatta dopo che il primo ministro aveva pubblicato una fotografia fatta con il suo amico a New York, aggiungendo sotto anche la seguente dicitura: “A New York, con l’amico prezioso George Soros, una mente rara ed un incrollabile sostenitore della Società Aperta”. Ma, parlando di fotografie, durante il vertice della scorsa settimana a Belgrado è stata scattata e pubblicata una molto significativa. In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stando “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani. Ed è proprio il caso di affermare che, a volte, soltanto una fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Bisogna sottolineare che durante questi ultimi anni, alcune volte dietro le quinte, altre sul palco, il Soros junior è stato presente in tutti gli eventi che hanno a che fare con i progetti e le iniziative che riguardano i Balcani e che cambiano soltanto il nome.

    Nel frattempo, nei Balcani si stanno evidenziando dei focolai di tensione e di conflitti armati. Prima in Montenegro, all’inizio di settembre. Poi, due settimane dopo, sul confine tra la Serbia ed il Kosovo. Mentre attualmente in Bosnia ed Erzegovina. Molti media internazionali ne hanno dato notizia. Per gli analisti si tratterebbe di conflitti basati su quella che viene chiamata come la strategia della “Grande Serbia”. Paragonandola con quella ben nota ormai come la strategia della “Grande Russia”. Il nostro lettore capisce anche chi potrebbe aver ispirato cosa. E capisce anche il grande pericolo che potrebbe rappresentare, non solo per i Balcani, una simile realtà!

    Chi scrive queste righe ha spesso informato il nostro lettore sia sulla storia della regione balcanica, compresa quella degli ultimi anni, sia della drammaticità degli scontri etnici nella regione. Egli pensa che l’attuale situazione nei Balcani, da dove stanno arrivando delle preoccupanti avvisaglie, merita tutte le dovute e necessarie attenzioni, sia dalle istituzioni dell’Unione europea che da quelle oltreoceano. Attenzioni che, purtroppo, durante queste ultime settimane, almeno pubblicamente, sembrerebbero mancanti o, comunque, non quelle indispensabilmente dovute. A tutti coloro che hanno delle responsabilità istituzionali, ovunque siano, bisogna che venga ricordato, se non si ricordino, l’ammonimento [perifrasato] di Martin Luter King. Perché può darsi non siano ancora responsabili per la situazione nei Balcani, ma lo diventeranno se non fanno nulla per cambiarla.

  • Verso un neo-peronismo dei poveri

    L’ultimo atto del governo Conte 2 nel giorno delle proprie dimissioni fu quello di cancellare la sintesi del delirio narcisistico del precedente Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti e del Ministro dello Sport Spadafora i quali avevano interposto la società Sport&Salute nella gestione dei finanziamenti pubblici allo sport, una volta destinati e gestiti dal solo CONI in assoluta autonomia.

    Attraverso questo ingiustificato delirio istituzionale dei due rappresentanti del governo si era cercato di favorire il controllo pubblico o, meglio, politico all’interno del movimento sportivo venendo meno ad un principio fondativo del Cio (Comitato Olimpico internazionale) il quale, va ricordato, prevede la assoluta distinzione tra le risorse pubbliche e la loro gestione al fine di evitare proprio il controllo e il conseguente uso politico dello sport da parte del potere esecutivo.

    Ignorando tutto questo, la pessima iniziativa dei due soggetti governativi aveva relegato l’interno movimento sportivo italiano ai margini internazionali e se non fosse sopraggiunta all’ultimo momento la cancellazione questa scellerata iniziativa avrebbe determinato anche l’esclusione dalla partecipazione ai giochi olimpici di Tokyo della compagine italiana.

    Non pago della figuraccia internazionale alla quale l’intero movimento sportivo era stato esposto il ministro Giorgetti propone per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, iniziativa assolutamente legittima anche se mossa da interessi diversi da quelli del bene del Paese.  A suffragio della propria tesi, in più, sostiene come sia costituzionalmente possibile per il nuovo Presidente della Repubblica Mario Draghi continuare ad “indirizzare” la politica dell’esecutivo. E’ evidente come l’attuale ministro non possegga il minimo sindacale di competenze istituzionali richieste per esercitare la propria funzione di Ministro della Repubblica italiana. L’assetto istituzionale italiano, infatti, trova la propria forza democratica proprio dalla separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giurisdizionale all’interno del quale il Presidente della Repubblica rappresenta una figura di garanzia (art.66).

    L’idea, invece, di offrire la possibilità ad un Presidente della Repubblica di influenzare l’attività esecutiva bypassa completamente l’asset istituzionale in vigore e di conseguenza renderebbe “INUTILE” ogni modifica costituzionale frutto di un iter complesso di approvazione.

    Molto probabilmente al ministro risultano incomprensibili gli effetti delle sue farneticazioni politiche quanto le motivazioni stesse della divisione dei poteri come espressione di una garanzia democratica.

    Di fatto questa proposta politica e costituzionale indirizzerebbe il nostro Paese verso un sistema semipresidenziale ma soprattutto verso un triste declino neoperonista ma rigorosamente dei poveri in considerazione della competenza istituzionale dimostrata.

    Non da oggi emerge evidente come i partiti e le segreterie intenderebbero sbarazzarsi della figura ingombrante dell’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi con l’obiettivo di gestire le risorse europee del PNRR ottenute in gran parte proprio grazie alla credibilità internazionale dello stesso Draghi (https://www.ilpattosociale.it/politica/le-prossime-elezioni-del-presidente-della-repubblica/). Il PNRR, infatti, viene inteso come l’insieme di risorse a disposizione in aggiunta alla spesa pubblica corrente e rappresenta per i famelici quadri governativi e politici una preda troppo invitante per saziare i loro appetiti insanabili.

    Tornando al quadro istituzionale offeso con intollerabile leggerezza da un ministro della Repubblica, una simile affermazione, già di per sé risibile ad uno studente del primo anno di giurisprudenza, per l’incompetenza sottostante diventa assolutamente intollerabile al limite del vilipendio della stessa Costituzione quando questa venga esposta e proposta da un ministro.

    Già questo dovrebbe provocare come logica conseguenza e contemporaneamente per un minimo di decenza istituzionale le sue immediate ed irrevocabili dimissioni.

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