Democrazia

  • Soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni

    I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito.

     Oriana Fallaci, da “La forza della ragione”

    William Shakespeare aveva dedicato uno dei suoi sonetti proprio al Merito. Lo aveva dedicato a quel merito calpestato, spregiato, ignorato ed offeso. A quel merito, che, come scriveva il noto drammaturgo, era nato purtroppo per mendicare, mentre la Nullità vuota appariva sempre abbellita gioiosamente. Il sonetto 66 comincia così: “Stanco di tutto questo, quiete mortale invoco/ vedendo il Merito a mendicare nato/ e vuota Nullità gaiamente agghindata”. Era stanco ed indignato anche perché la pura Fede era miseramente tradita ed i più grandi Onori spartiti oscenamente. Ma anche perché la casta Virtù era divenuta prostituta e la retta Perfezione era caduta in disgrazia. Il grande scrittore era indignato perché la Forza era avvilita da un potere impotente ed il Genio creativo per legge era stato imbavagliato. Egli si sentiva male mentre la Follia dottorale opprimeva la Saggezza, la creduta Stupidità faceva altrettanto con la Sincera Franchezza ed il Bene era reso schiavo del Male condottiero. Così scriveva William Shakespeare nel suo sonetto 66.

    I Padri Fondatori dell’attuale Unione europea, quando idearono, durante e dopo la seconda guerra mondiale, di evitare e scongiurare altre guerre, erano convinti del valore della collaborazione tra i Paesi europei e non degli attriti e degli scontri tra di loro. I Padri Fondatori ne erano convinti che tutto si doveva basare sui meriti e non sulle ingannatrici apparenze e su certi “interessi”, compresi quegli “geostrategici e/o geopolitici”. Ma i Padri Fondatori dell’attuale Unione europea erano altrettanto convinti che prima di arrivare ad unire insieme meriti e valori dei singoli Paesi, si dovevano valorizzare i meriti ed i valori in ciascuno di loro. Compresi anche i ben noti valori della democrazia. Il che significava che la forma dell’organizzazione statale, tenendo presente proprio le allora esperienze in Paesi come la Germania e l’Italia, doveva essere tale da tutelare i diritti e la libertà dei propri cittadini. Perché soltanto così si potevano poi tutelare e rispettare i diritti e la libertà dei cittadini di altri Paesi. E quando si tratta dell’attuale Unione europea è doveroso, ma anche utile, fare riferimento ad un documento scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, in stretta collaborazione anche Ursula Hirschmann e pubblicato nell’estate del 1941. Quel documento è stato intitolato “Per un’Europa libera e unita” e ormai noto come “Il Manifesto di Ventotene”, proprio perché in quell’isola del mar Tirreno, a Ventotene, si trovavano in confino i primi due autori.

    Essi, analizzando le ragioni che hanno portato il mondo nella seconda guerra mondiale, tra l’altro evidenziavano che “…lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficienza bellica.”. E riferendosi a quanto era accaduto e stava accadendo in quel periodo, gli autori del documento storico “Il manifesto di Ventotene”, hanno altresì evidenziato: “… Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. […] Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”. In quel documento basilare per la costituzione, a Roma il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, gli autori affermavano, tra l’altro, che “..un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. Esso ribadivano, altresì, che “…occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, […], abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”. Gli autori di quel documento storico erano convinti che “…Se ci sarà nei principali Paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani […] Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!”. E gli autori di quel documento storico, “Il Manifesto di Ventotene”, nell’ultimo paragrafo scrivevano: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo”. Gli autori del documento storico, inizialmente intitolato “Per un’Europa libera e unita” per poi essere noto in seguito come “Il Manifesto di Ventotene”, esprimevano la loro convinzione, scrivendo quest’ultima riga: “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

    Un altro basilare documento che ha preceduto la costituzione nel Campidoglio a Roma, il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, precursore dell’attuale Unione europea, è la Dichiarazione Schuman. Una dichiarazione resa nota dall’allora ministro degli Esteri di Francia, Robert Schuman. Era il 9 maggio 1950. Il testo della dichiarazione cominciava con la frase: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Ne era convinto Robert Schuman. Così come era convinto che “…Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”. Egli però, tenendo presente quanto era accaduto, non solo in Europa, in quegli ultimi decenni, ammetteva che ‘…l’Europa non è stata fatta; abbiamo avuto la guerra”. Robert Schuman ne era convinto e lo affermava nella sua dichiarazione che “…l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. La proposta che Schuman ha presentato, mediante la sua dichiarazione resa nota il 9 maggio 1950, era diretta e riguardava i due Paesi che storicamente, sia quando erano delle monarchie, che in seguito, da repubbliche, avevano combattuto diverse guerre tra di loro. Purtroppo anche con le tante gravi, drammatiche e inevitabili conseguenze. Perciò, secondo Robert Schuman, “…l’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania”. Ma, per evitare altre guerre, questi due Paesi si dovevano accordare. E non a caso, la proposta di Robert Schuman si riferiva, come obiettivo d’accordo, a due materie prime, indispensabili per la produzione di armamenti e munizioni e cioè indispensabili per attuare delle guerre: il carbone e l’acciaio. Il carbone era allora la materia prima per rendere operativo il settore siderurgico che, a sua volta, fondendo il ferro, ne produceva l’acciaio, indispensabile per produrre gli armamenti. Ragion per cui, Jean Monnet e Robert Schuman idearono la proposta di un accordo sul controllo comune della produzione del carbone e dell’acciaio. Una proposta che è stata appoggiata e condivisa anche dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Alcide De Gasperi. In base a quella proposta, il 18 aprile 1951, è stata costituita a Parigi la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio. I primi sei Paesi aderenti sono stati la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda. Questi sei primi Paesi europei hanno firmato sei anni dopo a Roma, il 25 marzo 1957, due altri trattati; quello dell’istituzione della Comunità Economica Europea ed il trattato che ha permesso l’istituzione della Comunità europea dell’Energia Atomica. In seguito, il 7 febbraio 1992 a Maastricht, in Olanda, i dodici Paesi membri, in quel periodo, della Comunità Economica Europea decisero di costituire quella che ormai è l’Unione europea.

    I Paesi membri dell’Europa unita hanno dovuto affrontare diverse situazioni non facili da gestire. Anzi, non di rado, anche molto difficili. Sia tra loro, che attualmente sono ventisette, che nell’ambito di diverse crisi internazionali. E purtroppo, non sempre i modi con i quali sono state affrontate simili situazioni, nonché i risultati raggiunti, sono stati quelli dovuti. Non sempre, purtroppo, i Paesi membri sono stati concordi tra di loro. La cosiddetta “crisi della sedia vuota” avviata nel 1965 dall’allora presidente francese Charles de Gaulle, ne era solo l’inizio. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimi anni, con la crisi dei profughi che arrivano dalle coste del nord Africa in Europa, soprattutto in Italia, lo conferma. Così come lo confermano anche quanto è accaduto dall’inizio della pandemia e poi, dopo, dall’inizio della guerra in Ucraina. Il che prova l’importanza del rispetto dei principi fatti propri dai Padri Fondatori dell’Europa unita, nonché la priorità data alle scelte durature e non agli interessi temporanei. Compresi anche quelli noti come gli “interessi geostrategici e geopolitici”. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimissimi decenni, sia in Europa che in altre parti del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza. Ragion per cui, anche quando si dovrebbe decidere sull’allargamento dell’Unione europea con altri Paesi membri, non devono prevalere gli “interessi geostrategici e/o geopolitici”, bensì i meriti. Si, proprio i meriti che ogni Paese candidato ha dimostrato di avere e di portare, come valore aggiunto, con la propria adesione all’Unione europea. Compresi anche i Paesi dei Balcani occidentali. Anzi, soprattutto quei Paesi. E soprattutto l’Albania e la Serbia.

    Durante questi ultimissimi mesi, una dichiarata sostenitrice dell’adesione di questi Paesi balcanici all’Unione europea è stata la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. Lo ha dimostrato prima e durante la firma dell’accordo sui migranti con il primo ministro albanese, il 6 novembre scorso. Così come lo ha dimostrato domenica scorsa, 3 dicembre, durante la conferenza stampa a Belgrado, in seguito alla sua visita ufficiale in Serbia, insieme con il presidente serbo. Colui, l’ex ministro della propaganda di Miloscevic, che non ha mai nascosto i rapporti di stretta amicizia con la Russia. Colui che, nonostante la Serbia sia un Paese candidato all’adesione all’Unione, non ha aderito alle sanzioni fatte alla Russia dopo l’aggressione contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Si potrebbero immaginare tutte le derivanti conseguenze, nel caso di una possibile adesione per delle “ragioni geostrategiche” della Serbia nell’Unione europea! Bisogna altresì sottolineare, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, che sia in Albania che in Serbia il potere viene gestito da due autocrati che ne hanno non pochi di scheletri nei propri armadi. Potrebbe spiegare la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia quali siano i meriti e i valori aggiunti che porterebbero questi due Paesi con la loro futura adesione nell’Unione europea?!

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che l’adesione all’Unione europea deve essere fatta solo e soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni. Compresi anche determinati e temporanei “interessi geopolitici e geotrategici”. Si dovrebbe perciò non permettere mai che, perifrasando Oriana Fallaci, i mediocri del Politically Correct negassero sempre il merito. Si dovrebbe altresì non permettere agli autocrati di presentarsi come portatori di meriti non esistenti!

  • Il Premierato rischia di trasformare la Democrazia Italiana in Democratura

     L’aspirazione ad una Repubblica Presidenziale, che la Destra italiana ha coltivato per decenni, ha una sua valenza oggettiva sul piano del superamento di un sistema parlamentare, che ha sempre avuto il limite di governi deboli e con scarsa capacità di continuità ed incidenza, specie in riferimento alle riforme.

    Ma, come spesso accade in Italia, una ipotesi lineare di una democrazia presidenziale alla francese, che personalmente ho sempre pensato fosse la soluzione più vicina alle nostre tradizioni politiche, ma anche statunitense, magari con contrappesi più incisivi di quelli esistenti negli U.S.A., non poteva essere presa in considerazione, non perché non fosse la cosa giusta, ma semplicemente perché è nel DNA della nostra classe politica, il virus dell’UCCS (ufficio complicazione cose semplici) e quindi si è preferita la scelta dell’oggetto misterioso del Premierato che, lungi dall’essere una trovata intelligente, è un sistema alieno, sconosciuto e misterioso, con tanti difetti e di fatto nessun pregio, che non risolve nessuno dei processi di cambiamento che dovrebbero innescarsi con la sostituzione della forma di governo Parlamentare con quella appunto Presidenziale.

    Non starò a elencare adesso tutti i limiti della proposta di Premierato, ben conosciuti, a partire dall’inesistenza, non a caso, di precedenti storici di ricorso a tale forma di governo, ad eccezione di un brevissimo e subito dopo abolito tentativo dello stato di Israele, o dell’assenza di un tetto minimo per l’elezione, anche per giustificare il 55% di maggioranza parlamentare assegnata al vincitore, al di sotto della quale ricorrere al ballottaggio, e tante altre discutibili peculiarità della proposta, ma vorrei concentrare questo intervento su due aspetti fondamentali, per sottolineare la differenza tra democrazia e democratura, per chiarire il rischio che corre il Paese.

    Intendo alludere alla esigenza preliminare ad ogni modifica costituzionale possibile, della riforma della legge elettorale, con la restituzione del diritto di scelta ai cittadini dei loro parlamentari alla Camera e al Senato, ed alla assoluta priorità di introdurre la garanzia dei contrappesi, che sono lo strumento fondamentale per garantire la Democrazia.

    Appare incredibile che il dibattito, anche da parte delle opposizioni al governo Meloni, non ha fino ad ora, almeno nelle cronache dei media, toccato nessuna di queste due questioni, che al contrario appaiono fondamentali, oltre che necessariamente propedeutiche a qualsiasi operazione di riforma costituzionale.

    Incredibilmente il problema principale sembrerebbe addirittura quello di non offendere i sentimenti del Presidente della Repubblica in carica, e quindi di evitare una qualsiasi riduzione dei suoi poteri, che invece di fatto sono fortemente ridotti, e si sarebbe deciso lo strano oggetto del Premierato, apparentemente solo per questo, inventando un meccanismo barocco, appunto per giustificare la parità, che però non c’è, tra Premier eletto dal popolo e Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento.

    Ma non si può fare alcuna riforma seria se il problema diventa personale, confondendo l’uomo con la carica.

    Le riforme costituzionali si devono fare con una visione dei guasti del passato e del presente, e le soluzioni per il futuro.

    Per questo occorre metter da parte il Premierato e piuttosto tornare ad una visione di Presidente della Repubblica eletto dal Popolo, così come ad un Parlamento eletto dai cittadini e non nominato dai capi partito, che sono anche i candidati al Premierato, perché si creerebbe solo un sistema dell’uomo o della donna soli al comando, perché con un parlamento come quello in carica di nominati, non c’è alcun contrappeso, ma solo yes-man pronti a qualsiasi obbedienza, pur di mantenere la poltrona.

    Il 21 dicembre prossimo sarà il diciottesimo anno da quando fu approvato lo sciagurato sistema elettorale del “Porcellum”, e da allora l’Italia vive la tragedia dell’assenza quasi totale di parlamentari in rappresentanza dei territori, che sono lasciati a se stessi, come dimostra l’assurda vicenda dell’Autonomia Differenziata, che registra incredibilmente l’assenza di qualsiasi difesa del Mezzogiorno da parte di nessun parlamentare della maggioranza, malgrado sia chiara la conseguenza devastante di una riforma che di fatto abolirà il Sud e non solo.

    Se non si ritorna alla restituzione del diritto di scelta ai cittadini elettori dei Parlamentari, e si dovesse approvare la riforma del Premierato con gli yes-man in parlamento, sarebbe la fine della Democrazia e l’inizio di un’altra narrazione più somigliante alla logica della Democratura.

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

  • Anche il sistema della giustizia a servizio del regime

    Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica

    Montesquieu, dal libro ‘Spirito delle leggi’ (1748)

    Durante questi ultimi anni l’autore di queste righe ha fatto spesso riferimento al principio della separazione dei poteri. Un principio che si basa sulla necessità di garantire la sovranità dello Stato e che individua tre poteri, i quali devono essere sempre attivi e ben indipendenti uno dall’altro, proprio per non permettere abusi di potere che danneggerebbero il normale funzionamento di uno Stato democratico. Il principio della separazione dei poteri era già noto dall’antichità, sia in Grecia che, in seguito, anche nella Roma antica. Un principio trattato da Platone, nella sua nota opera “La Repubblica” e da Aristotele, nella sua opera “La Politica”. Un principio che venne adottato anche nella Costituzione della Roma antica. Ma un trattamento dettagliato del principio della separazione dei poteri in uno Stato democratico è stato fatto secoli dopo. Prima da John Locke, nella sua opera “Due trattati sul governo”, pubblicata nel 1690. In seguito Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, dopo un lungo e impegnativo lavoro, durato per ben quattordici anni, pubblicò  nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato “Spirito delle leggi” (De l’esprit des lois; n.d.a.). Un vero e proprio trattato del pensiero politico e giudiziario del Settecento che è attuale anche adesso. Montesquieu evidenziava e definiva i tre poteri che dovevano essere divisi ed indipendenti; il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario. Il principio della separazione dei poteri, tra l’altro, serve per identificare se un’organizzazione statale, in un determinato Paese, è quella democratica, oppure si tratta di una delle diverse forme di un regime dittatoriale. Ovviamente Montesquieu, quando ha scritto la sua opera prendeva in considerazione l’organizzazione statale di quel tempo, tenendo presente soprattutto l’organizzazione statale nel Regno Unito e la sua Costituzione. Perciò affermava che il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece, per quanto riguarda il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre, riferendosi al potere giudiziario, Montesquieu ribadiva che doveva essere rappresentato ed esercitato da “…giudici tratti temporaneamente dal popolo”. Il potere giudiziario dovrebbe, altresì, “…essere sottoposto solo alla legge, di cui deve riprodurre alla lettera i contenuti”. Secondo lui il potere giudiziario, doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.). L’autore di queste righe, analizzando e trattando per il nostro lettore il principio della separazione dei poteri, evidenziava anche la convinzione di Montesquieu, secondo la quale “…Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Sottolineando che Montesquieu ne era altresì convinto che “…una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022).

    Quando sta accadendo in questi ultimi anni in Albania, fatti alla mano, tra l’altro e purtroppo testimonia palesemente ed inconfutabilmente anche la consapevole violazione del principio della separazione dei poteri. Un principio sul quale si basano anche alcuni articoli della Costituzione della Repubblica d’Albania. Quanto sta accadendo anche in questi ultimi giorni testimonia palesemente ed inconfutabilmente che in Albania, ogni giorno che passa, si sta consolidando perciò e sempre di più un pericoloso regime dittatoriale. Pericoloso, non solo perché è un regime oppressivo, come tutti i regimi dittatoriali. Pericoloso non solo perché è camuffato da una parvenza, da una fasulla facciata pluripartitica, ma soprattutto pericoloso proprio perché, fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano che il regime ormai attivamente operativo in Albania rappresenta una ben pericolosa alleanza. Si tratta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E soprattutto uno di questi raggruppamenti di oltreoceano è molto attivo non solo in Albania, ma in molte altre parti del mondo. Un raggruppamento che finanzia ingenti somme di denaro con lo scopo di promuovere la cosiddetta “Società aperta”, per poi controllare quanto più possibile. Uno dei principali obiettivi di quell’organizzazione/raggruppamento occulto presente ed attiva in varie parti del mondo, dove investe centinaia di milioni per “beneficenza”, è anche il controllo delle varie istituzioni dei sistemi della giustizia. Sia negli Stati Uniti d’America, dove ha la sede base quell’organizzazione, sia in molti altri Paesi ovunque nel mondo. Compresa anche l’Albania. E in Albania quel raggruppamento occulto appoggia palesemente da anni l’attuale primo ministro, una persona accuratamente scelta precedentemente e poi promossa e sostenuta. Non a caso la filiale albanese di quell’organizzazione della “Società aperta” ha ideato e poi scritto la riforma del sistema della giustizia. Una riforma approvata, in seguito, con tutti i voti dei deputati del parlamento albanese il 17 luglio 2016. Una riforma che è il “vanto” del primo ministro albanese. Una riforma di cui si vantano pubblicamente anche i suoi veri ideatori, i rappresentanti di quell’organizzazione/raggruppamento occulto che è anche una parte attiva dell’alleanza pericolosa che gestisce, abusa ed approfitta del regime dittatoriale operativo da qualche anno in Albania. Una “riforma” quella del sistema della giustizia, che però fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, da quanto è stata approvata dal parlamento, ha permesso al primo ministro albanese, di controllare personalmente e/o da chi per lui, tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito anche di tutto ciò.

    La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese dimostra in modo inequivocabile anche il voluto ed, in seguito, attuato annientamento di tutto quello che stabilisce il principio della separazione dei poteri, maestosamente presentato da Montesquieu, già dal 1748! La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese rappresenta perciò anche una convincente testimonianza del consolidamento del regime dittatoriale sui generis, istituito ormai da qualche anno in Albania.

    Una diretta testimonianza del ben ideato e altrettanto ben attuato fallimento della “riforma” del sistema della giustizia in Albania è stata resa pubblicamente nota la scorsa settimana dal rapporto ufficiale per il 2023, dell’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Un’organizzazione fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. E per raggiungere un simile obiettivo, dal 2009 l’organizzazione World Justice Project ha attivato anche un apposito strumento, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Ogni anno, grazie a questo strumento, si ottengono dati che riguardano otto distinti aspetti sullo Stato di diritto in 142 Paesi diversi del mondo, che sono soggetti dello studio. I dati si riferiscono a tutti gli otto distinti aspetti dello studio che sono: il potere limitato del governo, l’assenza di corruzione, l’ordine e la sicurezza, i diritti fondamentali, il governo aperto [che garantisce la trasparenza e la qualità dell’informazione], il rafforzamento [dell’applicazione] delle normative, la giustizia civile e la giustizia penale. Questi otto oggetti di studio sono poi suddivisi in ben quarantaquattro indicatori diversi per meglio presentare la reale situazione dello Stato di diritto in ciascuno dei 142 Paesi oggetti di studio annuale.

    Ebbene, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, risulta che l’Albania ha fatto di nuovo un ulteriore regresso. Elencata nella 91a posizione, dal 2015 ad oggi, l’Albania è solo e palesemente regredita in tutti gli indicatori dello studio attuato dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index. Riferendosi soltanto al rapporto per il 2022, l’Albania è regredita di quattro punti, passando dall’87a posizione alla 91a. Mentre riferendosi al 2017 l’Albania è regredita di ben 23 punti, passando dalla 68a posizione alla 91a di quest’anno! Più specificatamente, il rapporto per il 2023 afferma che l’Albania si posiziona al 133o posto, solo nove posti in meno dall’ultimo, per l’indicatore che si riferisce all’indipendenza del sistema giudiziario e alla sua capacità di esercitare un controllo efficace sull’operato del governo! L’Albania si posiziona al 125o posto per quanto riguarda il fatto che le decisioni dei tribunali siano indipendenti dalle interferenze illegittime del governo, degli interessi privati e delle organizzazioni criminali! L’Albania si posiziona al 122o posto riferendosi all’indicatore riguardante l’indipendenza dei funzionari della polizia di Stato, dei procuratori e dei giudici dalle influenze illegittime da parte della criminalità organizzata e, altresì, di non essere influenzati nel loro operato da illeciti pagamenti. In più, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, l’Albania si posiziona al 107o posto riferendosi all’indicatore che riguarda le elezioni libere e le nomine dei funzionari statali e governativi in conformità con la Costituzione e le leggi in vigore. Quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese, completamente diversa da quella che cerca di far credere, ingannando, il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa. Ma quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 sull’Albania, in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta anche un’inconfutabile testimonianza della consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, presentato nel 1748 da Montesquieu nella sua maestosa e sempre attuale opera “Spirito delle leggi”. E visto che il primo ministro controlla sia il potere esecutivo che quello legislativo, con il controllo anche del potere giudiziario, lui controlla tutti e tre i poteri ben definiti da Montesquieu. In più il primo ministro albanese controlla anche la maggior parte dei media, che ormai viene considerato come il quarto potere. Un potere questo che non esisteva nel 1748 quando Montesquieu pubblicò la sua sopracitata opera. Il che testimonia chiaramente e con convinzione che in Albania ormai da qualche anno si sta consolidando un pericoloso regime dittatoriale.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania ormai è consolidata una dittatura, espressione di un’alleanza pericolosa tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che ordina e ottiene sempre, quando ne ha bisogno, anche l’ubbidiente servizio del sistema “riformato” della giustizia. Ormai in Albania il primo ministro, rappresentante del regime, controlla tutto.  Confermando così la convinzione di Montesquieu che una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica.

  • Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione

    La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica.

    Blaise Pascal

    Quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania dimostra la megalomania e la falsità di quell’innato bugiardo, imbroglione e buffone, qual è il primo ministro e delle propaganda governativa. Ma quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania evidenzia chiaramente anche la vera, vissuta e sofferta realtà in cui si trovano i cittadini. Quanto è accaduto la scorsa settimana testimonia, in modo convincente ed esaustivo, quello che da anni si sta cercando con tutti i modi di nascondere da parte dei veri e diretti responsabili di una simile e preoccupante realtà. E cioè la restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime autocratico. Di una dittatura sui generis, che si cerca di camuffarla dietro una fasulla parvenza di pluripartitismo. Una dittatura come espressione di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale e alcuni raggruppamenti occulti. E soprattutto uno in particolare, di oltreoceano, che da anni ha scelto l’Albania per mettere in atto degli occulti e pericolosi obiettivi regionali, ma non solo. E purtroppo, tutto ciò da anni ormai accade anche in presenza di certi “rappresentanti internazionali” i quali, stranamente, non vedono non sentono e non capiscono nulla di tutto quello che, in realtà, è ben evidente. E da anni ormai, le cattive lingue dicono che alcuni di loro ne hanno beneficiato non poco per un simile atteggiamento, nell’ambito e grazie a delle determinate attività lobbistiche. Quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania è stata una ghiotta opportunità per il primo ministro di realizzare la sua ennesima ingannatrice messinscena. Ed anche in questo caso, come sempre, la potente e ben organizzata propaganda governativa ha fatto egregiamente il suo dovere. Ma quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania ha evidenziato purtroppo anche l’ipocrisia, l’irresponsabilità ed il consapevole e dannoso coinvolgimento di alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di singoli Paesi membri.

    Invece, quanto è accaduto alla fine della scorsa settimana in Albania ha messo in evidenza tutte le falsità delle messinscene di alcuni giorni prima. Ha messo in evidenza sia le buffonate del primo ministro, sia, nel migliore dei casi, la mancata conoscenza della realtà locale da parte di alcuni importanti rappresentanti istituzionali internazionali. Si, perché quanto è accaduto sabato scorso in Albania è stata una inconfutabile testimonianza del consolidamento di una pericolosa dittatura in azione. E una simile, grave e molto preoccupante realtà non poteva essere presente senza la messa in atto di una ben ideata e realizzata “strategia” che, come obiettivo, aveva e ha tutt’ora l’ottenimento di una garanzia per la stabilità, a scapito dei principi della democrazia. Una “strategia”, per l’attuazione della quale, da anni hanno insistito e lavorato certi “rappresentanti internazionali”. Una “strategia” quella che permetteva però agli autocrati locali di fare i loro comodi e di diventare sempre più potenti. Come è accaduto anche in altre parti del mondo e con tutte le derivanti e ben note ripercussioni. Una “strategia” le cui dirette conseguenze purtroppo le stanno soffrendo i cittadini albanesi. Ma non solo loro, perché la criminalità organizzata locale con la quale collabora strettamente il primo ministro albanese, ormai sta creando serie preoccupazioni anche in altri Paesi e non solo europei. Una “strategia” quella di garantire ed ottenere la stabilità, applicata precedentemente anche in altri Paesi del nord Africa ed altrove in zona e altresì nel centro e sud America, di cui ormai si conoscono pubblicamente le gravi e preoccupanti conseguenze. Una “strategia” che permette la costituzione di un sistema che viene ormai considerato non più come una democrazia, ma come una “stabilocrazia”, proprio per evidenziare quello che si perde dalla democrazia per permettere la “garanzia” della stabilità. Che, in realtà, quella “stabilità” non viene poi neanche ottenuta, perché non ci si può mai fidare di coloro ai quali è stato consapevolmente permesso di gestire e approfittare dalla “stabilocrazia”. Spesso un simile sistema  viene nominato anche “democratura”, per indicare una dittatura attiva, che opera dietro una facciata di democrazia. L’autore di queste righe ha trattato anche questi argomenti per il  nostro lettore.

    All’inizio della scorsa settimana, lunedì 16 ottobre, nella capitale dell’Albania si è svolto il vertice organizzato dalla Commissione europea e dedicato al Processo di Berlino. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di quest’iniziativa europea, che di una iniziativa concorrente, nota come Open Balkans (Balcani aperti; n.d.a.), promossa e fortemente sostenuta solo dal presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone. Un’iniziativa, guarda caso, fortemente appoggiata anche dalla Russia. Ma boicottata però da tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali. Riferendosi all’iniziativa europea nota come il Processo di Berlino l’autore di queste righe scriveva già nel novembre 2021: “…Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più, visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Per analizzare, trattare ed informare il nostro lettore di tutto quello che si è visto e/o detto il 16 ottobre scorso nella capitale albanese, durante il vertice sul Processo di Berlino, ci sarebbero volute molte pagine. Sia per evidenziare le messinscene puramente propagandistiche realizzate con il diretto coinvolgimento personale dell’anfitrione, il primo ministro albanese, sia per analizzare e trattare quanto è stato detto durante il vertice dagli ospiti, i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Paesi membri. E purtroppo per evidenziare, in determinati casi, anche la loro ipocrisia. Bisogna sottolineare però che il primo ministro albanese, da alcuni mesi, ha usato la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Lui, addirittura, dal luglio scorso, quando è stato annunciato lo svolgimento di questo vertice in Albania, ha pubblicamente “ripudiato ed abbandonato” l’iniziativa Open Balkans, tanto preferita e fortemente sostenuta fino a pochi giorni prima da lui, dal suo amico, il presidente serbo e dal suo omologo macedone. Il primo ministro albanese, da buon bugiardo ed imbroglione qual è, ha cominciato subito, dall’inizio del luglio scorso, a presentarsi come un convinto sostenitore del Processo di Berlino. In più ha abusato del fatto di essere stata scelta l’Albania come Paese ospitante del vertice, presentandolo pubblicamente con tanto vanto come un suo merito e successo personale, come una conferma dei “successi” raggiunti dall’Albania nell’ambito del suo percorso europeo. Ovviamente la sua potente e ben strutturata propaganda governativa che controlla la gran parte dei media, gli ha fatto eco. Si, perché non si poteva perdere una simile opportunità, visto che di veri meriti e successi lui, il primo ministro albanese, fatti accaduti alla mano, non può presentare niente, proprio niente! In realtà non si è saputo mai il perché della scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Forse una simile decisione è dovuta all’ordine alfabetico dei nomi dei Paesi balcanici. Oppure la decisione di svolgere in Albania il vertice del Processo di Berlino è frutto delle attività lobbistiche, dietro pagamenti di ingenti somme di denaro, fatti da determinati raggruppamenti occulti, uno soprattutto da oltreoceano, che, come risulterebbe da documenti resi ormai pubblici, riescono a “convincere” anche le istituzioni dell’Unione europea. Perché altrimenti non si spiegherebbe la scelta dell’Albania, almeno non per le ragioni che sta sbandierando il primo ministro albanese. Si perché non possono essere stati l’abuso di potere, la corruzione ben radicata, partendo dai più alti livelli istituzionali e il preoccupante ed allarmante riciclaggio del denaro sporco, che ha inserito l’Albania nella cosiddetta “zona grigia” dal 2020, i veri motivi che hanno permesso la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice del Processo do Berlino. E neanche i continui e ben evidenziati brogli elettorali, in collaborazione con la criminalità organizzata. Non possono essere stati i traffici illeciti dei vari tipi di droghe, che hanno fatto dell’Albania sia un importante centro di produzione, sia di smistamento, i motivi per cui è stata fatta una simile scelta. Ma l’anfitrione, il primo ministro albanese cerca di far credere quello che a lui conviene ed interessa, ma che non ha niente a che fare con la vera, vissuta e sofferta realtà. E nel frattempo, durante tutto il periodo del vertice, lui ha cercato di attirare l’attenzione degli ospiti con delle messinscene, con delle danze popolari e con dei piatti di pizza che portavano il suo nome! Purtroppo anche alcuni degli ospiti, con le loro dichiarazioni ufficiali, hanno sostenuto i “successi” raggiunti dall’Albania durante il suo percorso europeo. E così facendo hanno agito, nel migliore dei casi, da persone non informate. Perché se no, il loro comportamento sarebbe stato ipocrita e anche irresponsabile. L’autore di queste righe continuerà a trattare ed analizzare per il nostro lettore cosa è accaduto durante il vertice del Processo di Berlino, svolto in Albania il 16 ottobre scorso

    Ma le buffonate del primo ministro albanese, nonché l’ipocrisia di alcuni degli ospiti durante quel vertice sono state smentite subito, dopo qualche giorno. Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto. Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), è anche un deputato. Una decisione che ha palesemente dimostrato fino a che punto il primo ministro albanese controlla personalmente il sistema “riformato” della giustizia.

    E tenendo presente i principi di Montesquieu sulla separazione dei poteri, quanto è accaduto sabato scorso rappresenta anche una inconfutabile testimonianza di una pericolosa dittatura in azione. Il diretto interessato, accusato di corruzione passiva, ha denunciato, documenti alla mano, tutta la falsità della decisione. Adesso si attendono degli inevitabili  e significativi sviluppi politici.

    Chi scrive queste righe seguirà tutti gli attesi sviluppi che riguardano la decisione contro il dirigente dell’opposizione ed informerà il nostro lettore già la prossima settimana, sempre con la dovuta oggettività. Tenendo presente la vera realtà vissuta e sofferta in Albania, egli però ricorda agli albanesi che ribellarsi ai tiranni significa ubbidire a Dio. Ne era convinto Benjamin Franklin. Chi scrive queste righe trova significativa e condivide l’affermazione di Blaise Pascal, secondo cui la giustizia senza la forza è impotente e la forza senza la giustizia è tirannica.

  • Due più due

    Putin si reca dal presidente cinese lanciando un messaggio criptico: ”Il piano cinese per la pace può essere un buon punto di partenza”, peccato che nessun altro, oltre a loro due, lo conosca e che tutti invece conosciamo molti degli interessi comuni che legano i due paesi, interessi che ovviamente non corrispondono ai diritti del popolo ucraino.

    Dopo le stragi di Hamas Il presidente cinese ha annunciato al mondo arabo la sua vicinanza ed il suo sostegno alla causa palestinese.

    Abu Mazen proclama che i palestinesi non sono Hamas, ma i palestinesi di Gaza hanno scelto Hamas già dal lontano 2007.

    Hamas ha usato i soldi della cooperazione internazionale per armarsi sempre di più senza migliorare di un millimetro la vita degli abitanti della striscia di Gaza, ha come obiettivo principale la distruzione di Israele, ha condotto in modo militare un’operazione terrorista di violenza inaudita, che ha portato alle morte, per ora accertata, di più di 1300 cittadini israeliani, migliaia di feriti, almeno 200 ostaggi, e ben sapendo che ci sarebbe stata una violenta e legittima reazione da parte di Israele.

    L’Isis ha proclamato la Jihad, il che non è una novità visto che non l’aveva mai ritirata, e nei paesi occidentali stanno ricominciando gli attentati, documenti e volantini del cosiddetto stato islamico sono stati ritrovati dai soldati israeliani nei luoghi delle stragi.

    Gli hezbollah si uniscono alla guerra contro Israele mentre i paesi musulmani più moderati, anche se carenti di democrazia sostanziale, rischiano rivolte interne da parte dei fratelli musulmani.

    L’Iran gioca le sue carte per ottenere via libera per l’atomica e ancor maggiore peso nell’area o per scatenare una guerra non solo contro Israele o altri paesi musulmani nemici da sempre, ma anche per dare una svolta alle proteste interne che continuano e l’amicizia, la collaborazione tra Iran e Hamas è nota da sempre.

    Non ci sarebbe da stupirsi se ricominciassero, con più violenza, anche le azioni degli al Shabaab non solo nel corno d’Africa ma in tutti quei paesi africani nei quali i governi sono impegnati a combattere  il terrorismo.

    Molti paesi africani hanno al loro interno guerre e sommosse nelle quali la mano della Russia è presente, anche dopo la scomparsa di Prigozhin, mentre la Cina tiene in pugno altri paesi del continente africano per gli enormi prestiti fatti e che questi non avranno mai modo di restituire, i gravi problemi del continente africano rientrano nello scenario di un conflitto che rischia di essere sempre più esteso.

    La Russia con la battaglia del grano sta portando alla fame paesi africani musulmani le cui democrazie agli albori si sono dimostrare  troppo fragili.

    L’attenzione dei media da alcuni giorni si è spostata quasi completamente dalla guerra in Ucraina con il rischio che l’opinione pubblica se ne disinteressi e che possano crescere le più o meno palesi simpatie di alcuni per Putin e per il suo progetto, condiviso con il presidente cinese e non solo, di un nuovo ordine mondiale.

    Non è un mistero la convinzione, che troppi hanno, che i sistemi autoritari funzionino meglio delle democrazie, democrazie che rischiano quando metà della popolazione non si reca al voto.

    La reazione di Israele, se sarà portata avanti fino alla distruzione, almeno di gran parte di Hamas, rischia di scatenare un altro conflitto senza precedenti, se si fermerà Israele rischia la propria esistenza e il rischio è anche del mondo occidentale che non potrà più pensare di vivere in pace come negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale.

    Sono solo alcune considerazioni, molte altre se ne potrebbero fare, esaminando gli errori degli uni e degli altri e la debolezza, la quasi inesistenza, da tempo, delle Nazioni Unite ma lasciamo questo lavoro ai tanti che in televisione parlano, spesso a ruota libera, mentre abbiamo, anche in questi giorni, visto bruciare in piazza le bandiere di Israele e gridare morte ai sionisti.

    La sofferenza dei civili palestinesi sotto le bombe, che doveva portare a più tempestivi aiuti umanitari, non deve lasciare indifferenti ma non può farci dimenticare che Hamas usa i civili come scudi umani mentre continua a lanciare missili su Israele, due errori non fanno mai una ragione, ciascuno si prenda  responsabilità e conseguenze
    Vogliamo solo ricordare che 1) è difficile fare i fluire maggiormente la diplomazia dopo che la si è ignorata per anni basandoci invece su qualche  improvvido Twitter, 2) se si vuole salvare Gaza bisogna eliminare Hamas, 3) se si vuole fermare la guerra Abu Mazen e i paesi arabi devono subito riconoscere Israele, solo con il pieno riconoscimento di Israele, e a seguire dello stato palestinese, si potrà sperare di costruire un Medio Oriente che guardi al futuro e continuare nelle azioni necessarie a distruggere il terrorismo. Resta fermo il fatto che Gerusalemme è la culla delle tre religioni monoteiste.

    In sintesi due più due non fanno quattro se chi conta ha obiettivi diversi dalla pace.

  • Giornata internazionale della democrazia: dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante/Vicepresidente Josep Borrell e della Vicepresidente Šuica

    In occasione della Giornata internazionale della democrazia, che si celebra ogni anno il 15 settembre, l’Unione europea ribadisce il suo fermo impegno a sostenere e difendere la democrazia, basata sui diritti umani universali, all’interno e al di là delle sue frontiere.

    La democrazia ha trasformato e migliorato le società di tutto il mondo. L’erosione della democrazia e dei diritti umani è tuttavia una realtà che non risparmia nessuno.

    La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina costituisce anche un attacco alla democrazia e all’ordine basato su regole. L’Unione europea, i suoi Stati membri e le democrazie di tutto il mondo si sono riuniti per sostenere l’Ucraina, riconoscendo che sono in gioco i principi fondamentali delle nostre società.

    Nessuna democrazia è immune alle sfide che ci troviamo ad affrontare oggi. Dobbiamo sempre restare vigili e agire sugli sforzi continui per attaccare lo Stato di diritto, sopprimere le libertà civili, manipolare le elezioni e reprimere la società civile.

    Mano a mano che i regimi autoritari sviluppano e diffondono false narrazioni che si presentano come semplici alternative alle democrazie, non dobbiamo sottovalutare il potenziale nefasto delle attività di manipolazione delle informazioni e di disinformazione.

    L’inclusività è la forza della democrazia. Il rigetto dell’autoritarismo è possibile quando le persone di tutte le generazioni sono in grado di esercitare le loro libertà e i loro diritti per partecipare e impegnarsi nelle rispettive società. Siamo determinati a proteggere le istituzioni democratiche che sono alla base della nostra democrazia. Tale protezione va di pari passo con l’approfondimento del nostro impegno nei confronti dei cittadini per costruire la resilienza democratica.

    Il nostro impegno a favore dell’inclusività è illustrato dalle nostre innovazioni in materia di coinvolgimento dei cittadini all’interno dell’Unione europea attraverso panel di cittadini, sulla scorta del successo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Le innovazioni nel nostro ecosistema democratico ci consentono di condividere reciprocamente gli insegnamenti tratti. Inoltre, il nostro operato globale per consentire alle donne, ai giovani e ai bambini di partecipare agli affari pubblici e al processo decisionale è un investimento per il futuro. Ciò è legato all’importanza di trasmettere i valori fondamentali e di dotare i cittadini delle competenze necessarie per impegnarsi nella democrazia e sostenerla.

    L’Unione europea continuerà a dialogare con i paesi di tutto il mondo per unire le forze con coloro che credono nei principi e nei valori democratici in Africa, Asia-Pacifico, Americhe ed Europa. Dobbiamo continuare ad adoperarci per trovare un terreno e interessi comuni con i nostri partner.

    Più che mai, dobbiamo sostenere attivamente i paesi con aperture democratiche e continuare a dotarci di meccanismi di sostegno agili e flessibili, anche attraverso il sistema multilaterale

    Perché insieme costruiamo la democrazia. Insieme difendiamo la democrazia. Insieme difendiamo l’universalità dei diritti umani.

  • Se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Santa Madre Teresa di Calcutta

    Era il 1865 quando Lewis Carroll, un giovane scrittore, matematico e prete inglese, il cui vero nome era Charles Lutwidge Dogson, pubblicò “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” (titolo in originale: Alice’s Adventures in Wonderland). Un libro i cui personaggi sono delle strane creature, esseri umani, animali e carte da gioco a sembianza umana, frutto dell’immaginazione dell’autore. Tutto comincia quando, dopo essersi addormentata, nel sogno Alice segue un coniglio bianco attraverso la sua tana che diventa sempre più buia. Ragion per cui Alice non può vedere una buca profonda e cade. Precipitando giù, si trova davanti ad un giardino, la cui entrata è troppo piccola. Ma alla fine riesce ad entrare dentro. Si trova così nel regno della Regina di Cuori. In seguito e fino alla fine, Alice si troverà in un luogo dove tutto era strano, surreale e fantastico. Lei si trova così nel Paese delle Meraviglie. E lì incontra molti personaggi come la Regina del paese, ma anche il Cappellaio matto, la lepre marzolina, il gatto del Cheshire che appare e scompare subito dopo, il bruco, la lucertola, la duchessa brutta, il ghiro dormiglione e tanti altri. Ma nel Paese delle Meraviglie, la maggior parte degli abitanti erano delle carte da gioco. E non a caso, appena entrata nel Paese delle Meraviglie, Alice incontra tre giardinieri con corpo proprio di carta da gioco. Loro si affrettavano a dipingere di rosso i petali delle rose bianche perché se no la regina avrebbe tagliato le loro teste. E mentre i tre giardinieri spiegano tutto ad Alice, arriva la regina che ordina subito l’attuazione della punizione estrema. Alice però riesce a nascondere i giardinieri, salvandoli. Nel Paese delle Meraviglie tutti devono ubbidire ai sovrani del regno: il Re e la Regina di Cuori. Il Re è anche il Magistrato del Paese, mentre la Regina non permette mai che i sudditi disobbediscano, minacciando di farli giustiziare. Ma non a caso, nel Paese delle Meraviglie tutto può succedere e, perciò, nonostante la determinazione della regina, non si eseguono mai delle esecuzioni. Si, perché il Paese delle Meraviglie è un regno dove tutto è diverso da quello che sembra essere e dove la logica normale degli esseri umani non esiste. È un Paese dove la natura e l’ordine delle cose cambiano continuamente. Ragion per cui, anche Alice comincia ad adattarsi al nuovo mondo in cui si trova, cambiando anche fisicamente. Il suo corpo, o parte del corpo, si ingrandisce o diminuisce a seconda delle circostanze e a seconda di quello che fa e che mangia. Quando lei mangia nella casa del coniglio diventa enorme. E quando il coniglio tira dei sassi ad Alice, i sassi diventano dei saporiti pasticcini e lei, mangiandone uno diventa di nuovo piccolissima. Un’altra volta si trova con il collo lungo, dopo aver toccato le due parti del fungo. Il Paese delle Meraviglie è un luogo dove tutte le leggi del mondo reale non hanno senso e non si verificano. Così come anche il tempo e lo spazio. Alice è stata poi costretta a partecipare come testimone, insieme con il cappellaio matto e la cuoca della duchessa brutta, al processo giudiziario contro il fante di cuori. Nel frattempo però lei era diventata sempre più corpulenta. Ragion per cui non temeva più né il re, che era il magistrato e neanche la regina. E ritrovato il necessario raziocinio, Alice rivolgendosi a loro disse la verità: “non siete altro che un mazzo di carte”. Al che anche il sogno finisce e, risvegliandosi, Alice abbraccia sua sorella e insieme vanno a prendere il tè. Così termina il libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”.

    L’autore di queste righe analizzerà in seguito la realtà vissuta e spesso anche sofferta in un Paese europeo, ma senza nominarlo. Lo chiamerà semplicemente il Paese delle Meraviglie, anche se non è quello descritto maestosamente da Lewis Carroll nel suo libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Lo chiamerà così, con questo nome di fantasia, semplicemente perché chi governa e gestisce la cosa pubblica lì cerca di convincere chiunque che si tratta proprio di un Paese dove tutto sta progredendo e andando a meraviglia. E tutto grazie alla sua dedizione e devozione, nonché alla sua lungimiranza. Ma la vera realtà è ben diversa da quella che si cerca di far credere a tutti, sia ai cittadini del Paese delle Meraviglie, che ai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e delle cancellerie dei singoli Paesi. L’autore di queste righe è convinto però, fatti accaduti e documentati alla mano, che nel Paese delle Meraviglie, si sta progredendo, sì, ma verso il peggio, verso il consolidamento di un regime dittatoriale camuffato. Un regime il quale usa sempre più la sua ben organizzata e potente propaganda governativa per apparire diverso da quello che in realtà è. Un regime che usa anche la maggior parte dei media. Un regime camuffato da una parvenza di “pluripartitismo”, che sceglie e appoggia anche chi deve rappresentare l’opposizione “ufficiale”. E colui che rappresenta istituzionalmente il nuovo regime camuffato, il primo ministro, non perde nessuna occasione di ripetere che lui non è “un dittatore e neanche un autocrate”. Sì, proprio così, testimoniando in questo modo i suoi complessi di colpa che la sua psiche non riesce a nascondere.

    Ma la vera, vissuta e sofferta realtà nel Paese delle Meraviglie, sempre fatti accaduti, documentati e denunciati ufficialmente alla mano, testimonia che lì si stanno continuamente calpestando sempre più i diritti e i principi base della democrazia, permettendo il consolidamento della dittatura.

    Una dittatura viene definita nei vari dizionari di diverse lingue del mondo come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”. Mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento. Egli scriveva per il nostro lettore che “La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848, nella sua opera intitolata Spirito delle leggi …” (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023). Trattando sempre il principio della separazione dei poteri, in un altro articolo per il nostro lettore, l’autore di queste righe scriveva: “La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio, quello della divisione dei poteri, che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu” (Il fallimento voluto ed attuato di una riforma; 26 ottobre 2020). Mentre riferendosi a quanto è stato scritto da Montesquieu nel suo libro De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) riguardo al principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), l’autore di queste righe citava, sempre per il nostro lettore, la convinzione di Montesquieu: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Poi riferendosi all’importanza della separazione del potere legislativo da quello esecutivo e giudiziario, citava di nuovo Montesquieu: “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. E sottolineava la convinzione di Montesquieu: “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). Nel Paese delle Meraviglie però, in palese e consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, una persona sola, il rappresentante istituzionale del regime dittatoriale, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, controlla oltre al potere esecutivo e legislativo, anche quello giudiziario. In più controlla anche quello ormai noto come il quarto potere, i media. Perciò tutto porta a pensare che nel Paese delle Meraviglie la democrazia abbia sempre meno a che fare con la realtà, mentre è in continuo consolidamento un regime dittatoriale camuffato.

    Il Paese delle Meraviglie è un Paese candidato all’adesione all’Unione europea. E come tale ha l’obbligo di rispettare, tra l’altro, anche i tre criteri di Copenaghen. Un obbligo quello per tutti i Paesi che hanno avviato un percorso di adesione. Il criterio politico prevede la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ma le istituzioni, controllate con mano di ferro da una persona sola e/o da chi per lui, non possono però garantire niente che non abbia a che fare con la sua volontà e i suoi interessi. Nel Paese delle Meraviglie non si rispetta neanche il criterio economico, il quale prevede l’esistenza di un’economia di mercato affidabile. Da anni ormai il mercato viene controllato da alcuni oligarchi, “amici” di colui che rappresenta il regime. Nel Paese delle Meraviglie non si può rispettare ed adempiere neanche il terzo criterio, quello dell’acquis comunitario. Lo testimoniano, tra l’altro, anche le continue condizioni poste al Paese delle Meraviglie dal Consiglio europeo che aumentano sempre e che da tre anni ormai sono diventate quindici. Ma i massimi rappresentanti istituzionali del Paese delle Meraviglie non rispettano non solo i criteri di Copenaghen. Da anni fanno lo stesso anche con l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione che ogni Paese che vuole aderire nell’Unione europea è obbligato a rispettare, dal momento che diventa firmatario. E non sono valse a niente le diverse contestazioni fatte soprattutto dal Consiglio europeo.

    La realtà vera, vissuta e sofferta nel Paese delle Meraviglie è veramente preoccupante. E con le “meraviglie” che cerca di far credere e convincere il gestore istituzionale del regime dittatoriale camuffato e la sua propaganda non ha niente a che fare. L’autore di queste righe ha sempre informato il nostro lettore, con la dovuta e richiesta oggettività, di questa preoccupante e pericolosa realtà. Alcuni anni fa egli, usando sempre l’allegoria delle favole e paragonando il nuovo autocrate del Paese delle Meraviglie ad un re, scriveva per il nostro lettore: “Essendo un re capace di tutto e pieno di poteri, aveva anche il dono di fare delle magie. E per magia il re costruì, da un cetriolo, un gigantesco carrozzone. […] Il re trasformò, con la sua bacchetta magica una mandria di pecore in tantissimi cavalli e li attaccò al gigantesco carrozzone. Le pecore le prese dalla Fattoria degli Animali, inventata da George Orwell. Il re le mise tutte in fila, stupide e ubbidienti, e le chiamò ministri e alti funzionari. Il loro compito era semplicemente quello di trainare il carrozzone, al quale il re diede il nome Governo. […] Il siffatto monarca prese le briglie e cercò di portare il carrozzone fino in cima. Ma sempre non ci riusciva. E sempre il carrozzone, invece di salire, scendeva e rischiava di precipitare nei burroni” (La mosca cocchiera; 7 gennaio 2019). E se non si è indovinato ancora di chi e di quale Paese si tratta, allora si potrebbe cercare di chi e dove è stata ospite, insieme con la sua famiglia, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia, tra il 14 ed il 17 agosto scorso. Oppure si potrebbe cercare perché il primo ministro greco ha tolto ogni appoggio del suo governo, anche nelle istituzioni dell’Unione europea, all’autocrate del Paese delle Meraviglie, che da anni sta abusando del potere, prima conferito ed in seguito usurpato.

    Chi scrive queste righe, riferendosi al Paese delle Meraviglie (nome di fantasia) e aperto ad ogni suggerimento, fa una semplice domanda: se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?  Egli condivide la convinzione di Santa Madre Teresa di Calcutta, secondo la quale “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Perché continuano ancora ad appoggiare un simile autocrate?

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Il mese appena passato è stato un mese caldo, climaticamente parlando. È stato anche un periodo di vacanze, per coloro che potevano permettersi delle vacanze. Nonostante ciò, durante l’agosto scorso però sono state svolte anche delle attività a livello europeo. Attività durante le quali sono state discusse delle questioni riguardanti l’attuale situazione ed il futuro dell’Unione europea, nonché le realtà in singoli Paesi dell’Unione e di quelli che lì intendono aderire. Durante quelle attività si è discusso perciò sull’allargamento dell’Unione con diversi Paesi come l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia e quelli dei Balcani occidentali. Tra il 21 ed il 22 agosto scorso ad Atene è stato celebrato il ventesimo anniversario del vertice di Salonicco. Mentre solo dopo una settimana, tra il 28 ed il 29 agosto, si è svolto a Bled, in Slovenia, il diciottesimo vertice del Forum strategico, durante il quale alti rappresentanti politici ed istituzionali dai vari Paesi, soprattutto dall’Europa centrale e Sud orientale, nonché rappresentanti di varie organizzazioni specializzate e quelle della società civile, da diversi Paesi europei, ma non solo, solitamente presentano delle idee e discutono sulle sfide e sui probabili sviluppi del futuro.

    Venti anni fa, a conclusione del semestre della presidenza della Grecia del Consiglio dell’Unione europea, a Salonicco, tra il 21 e 22 giugno 2003, è stato organizzato e svolto il vertice del Consiglio europeo. Alla fine del vertice si presentò anche un documento ufficiale, noto come la Dichiarazione di Salonicco. Un documento quello che ribadiva la necessità dell’adesione dei Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea. I capi di Stato e di governo degli allora quindici Paesi membri dell’Unione hanno deciso sulla prospettiva europea dei Balcani occidentali. “Noi, Capi di Stato o di Governo degli Stati membri dell’Unione europea, degli Stati aderenti e candidati, dei potenziali candidati Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Serbia e Montenegro e il Presidente della Commissione europea, alla presenza del Presidente del Parlamento europeo, […] riuniti a Salonicco, abbiamo oggi convenuto quanto segue.”. Cosi cominciava il testo della Dichiarazione. Un testo che in 10 punti sanciva la strategia per rendere possibile l’adesione dei Paesi balcanici all’Unione europea. Il punto 2 affermava: “L’Unione europea ribadisce il suo sostegno inequivocabile alla prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali. Il futuro dei Balcani è nell’Unione europea. Per i paesi dei Balcani occidentali, l’allargamento in atto e la firma del trattato di Atene nell’aprile 2003 sono motivo di stimolo e di incoraggiamento a percorrere lo stesso positivo cammino”. Mentre nel punto 4 della stessa Dichiarazione si affermava: “Riconosciamo che il processo di stabilizzazione e associazione (PSA) continuerà a costituire il quadro delle relazioni tra l’Europa e i paesi dei Balcani occidentali durante l’intero processo verso la futura adesione. Il processo e le prospettive che esso offre servono per ancorare le riforme nei Balcani occidentali secondo le stesse modalità del processo di adesione all’Europa centrale e orientale. I progressi compiuti da ciascun paese verso l’Unione europea dipenderanno dalla capacità degli stessi di rispettare i criteri di Copenaghen e le condizioni stabilite per il PSA e confermate nella dichiarazione finale del vertice di Zagabria del novembre 2000”.

    Proprio in occasione del ventesimo anniversario del vertice di Salonicco, il primo ministro greco ha organizzato una cerimonia commemorativa e di lavoro invitando i massimi rappresentanti governativi dei Paesi balcanici, sia di quelli che intendono aderire all’Unione europea, che quelli già membri dell’Unione. È arrivato a partecipare al vertice anche il presidente dell’Ucraina. Ospiti del primo ministro della Grecia erano anche il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione europea. C’era però anche un “grande assente”, il primo ministro albanese. Assente perché volutamente non è stato invitato dall’anfitrione. Bisogna sottolineare però che tra i due fino a qualche mese fa c’era un buon rapporto di collaborazione. Le cattive lingue dicevano che c’era anche un’intesa tra loro, legata al contenzioso tra i due paesi sul confine marino. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo contenzioso.  Il primo ministro greco, invece del suo omologo albanese, aveva invitato il presidente della repubblica dell’Albania. Ma quest’ultimo, da buon “ubbidiente collaboratore”, qual è, del primo ministro, che l’ha scelto e portato alla massima carica istituzionale dello Stato, ha declinato l’invito per degli “impegni precedentemente presi”. Il motivo del mancato invito al primo ministro albanese era dovuto ai recenti attriti tra la Grecia e l’Albania. Attriti causati dall’arresto, solo due giorni prima delle elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania, di un candidato sindaco, rappresentante di una comunità di etnia greca, in un municipio sulla costa ionica albanese. Il nostro lettore è stato informato di questo clamoroso caso due settimane fa: “… nel frattempo in Albania continua ad essere in carcere una persona che vinse come sindaco durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso. Una persona arrestata in palese violazione della legge proprio due giorni prima delle elezioni. Lui è stato eletto sindaco proprio nel municipio dove si trova anche la villa governativa in cui è stata ospite la Presidente del Consiglio e la sua famiglia dal 14 al 17 agosto scorso. Si tratta di una zona dove si sta abusando dei terreni sulla costa ionica e che il sindaco eletto aveva promesso di mettere ordine. Ma adesso lui si trova ancora in prigione, in palese violazione delle leggi e delle convenzioni internazionali sul diritto dell’uomo”. Il nostro lettore è stato informato altresì, due settimane fa, che “… non a caso, il primo ministro della Grecia sta dichiarando che con le sue decisioni contro i diritti dell’uomo il primo ministro albanese non avrà mai l’appoggio della Grecia nel percorso europeista dell’Albania”. E come diretta conseguenza di questo attrito tra i due “… il primo ministro albanese non è stato invitato lunedì scorso, 21 agosto, alla cerimonia ospitata dal primo ministro greco per ricordare il vertice di Salonicco tenutosi venti anni fa, durante il quale si decise anche sul futuro europeista dei Balcani occidentali.” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 22 agosto 2023).

    Tra il 28 ed il 29 agosto scorso in Slovenia, a Bled, una cittadina a nord-ovest della capitale slovena sull’omonimo lago, alle pendici delle Alpi Giulie, si è svolto il diciottesimo Forum strategico. Un Forum, quello di Bled, che è stato concepito e che funziona come una piattaforma dove si generano e si presentano delle idee e si discute di diversi temi e strategie di comune interesse che riguardano gli sviluppi sociali, economici e politici del futuro. Ogni anno, dal 2005, a fine agosto, il ministero degli esteri sloveno organizza proprio a Bled una conferenza internazionale, un forum strategico, sull’Europa centrale e Sud orientale. Quest’anno il tema della conferenza internazionale del Forum strategico di Bled era “La solidarietà per la sicurezza globale”. Ma viste le alluvioni dell’inizio mese in Slovenia, che hanno causato ingenti danni, alcuni morti e migliaia di persone costrette ad evacuare dalle proprie abitazioni, il tema del Forum strategico di quest’anno è stato in parte modificato. Durante il Forum si è svolto anche un dibattito fra i primi ministri dei Paesi dei Balcani occidentali. Alla fine di quella attività è stato ribadito che “L’allargamento dell’Unione europea ai Balcani occidentali può fare da traino per i processi di riforma nella regione, ma serve anche a soddisfare un maggiore bisogno di sicurezza dell’Unione europea”. Mentre la ministra slovena degli Esteri ha dichiarato, riferendosi agli sviluppi in seguito alla guerra in Ucraina, ma anche a quelli precedentemente accaduti, che “c’è un’atmosfera diversa nel Consiglio (europeo; n.d.a.), c’è la consapevolezza di potersi allargare ai Balcani occidentali”.

    Durante ed in seguito al Forum strategico di quest’anno a Bled, però, sono state pronunciate anche delle dichiarazioni, non in piena sintonia, da parte dei rappresentanti istituzionali dell’Unione europea. Il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato: “Nel preparare la prossima agenda strategica dell’Union europea, dobbiamo porci un obiettivo chiaro. Credo che entro il 2030 dovremo essere pronti – da entrambe le parti – all’allargamento”. Aggiungendo che si tratta di “un obiettivo ambizioso, ma necessario”. Un obiettivo il quale “dimostra che facciamo sul serio”. In più il presidente del Consiglio europeo ha affermato che: “L’allargamento è e rimarrà un processo basato sul merito. L’adesione all’Unione comporta sia responsabilità che benefici. Per assumersi le prime e raccogliere i secondi in un ambiente altamente competitivo, bisogna essere pronti”. Dopo queste dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo ha reagito anche la Commissione europea, tramite una sua portavoce. “La Commissione europea non è focalizzata sui termini di tempo durante il processo dell’allargamento dell’Unione europea, ma [è focalizzata] ad aiutare i Paesi candidati ad adempiere i criteri e ad essere pronti (all’adesione; n.d.a.)”. E rispondendo alle dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo, lei ha detto: “La presidente della Commissione europea ha ribadito specificatamente come noi siamo impegnati per rendere l’allargamento un successo. Sempre abbiamo detto che l’allargamento è una priorità e i [Paesi] candidati devono aderire quando saranno pronti. Abbiamo lavorato strettamente con i [Paesi] candidati per aiutarli a compiere le riforme”. La portavoce della Commissione europea ha in più chiarito che non era a conoscenza se tra il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione europea ci fossero stati dei contatti prima che il presidente del Consiglio avesse fatto le sue dichiarazioni al Forum strategico di Bled, il 29 agosto scorso.

    Tra i partecipanti del sopracitato Forum strategico di Bled, c’era anche il primo ministro albanese. E dopo la sua ben evidenziata mancanza nel vertice di Atene, ha cercato di mettersi in mostra, come al solito. A Bled è stato “critico” con l’operato delle istituzioni europee, ha espresso il suo “rammarico” per il supporto che l’Unione europea sta dando all’Ucraina ma, alla fine, facendo il “figliol prodigo”, ha fatto un passo indietro. Niente di strano per uno come lui, voltagabbana all’estero, ma autocrate e corrotto in patria.. Basta che attiri l’attenzione. Il primo ministro albanese, riferendosi a quando aveva dichiarato prima il presidente del Consiglio europeo, ha detto: “Non credo che nel 2030 noi saremo nell’Unione europea”. E qui è stato sincero. L’autore di queste righe da tempo, fatti documentati alla mano, ha espresso la sua convinzione che il primo ministro albanese non vuole l’adesione dell’Albania all’Unione europea. Non gli conviene. Lui finge, ma non ha nessun interesse ad entrare, anzi! Ragion per cui sta continuamente e consapevolmente violando i criteri di Copenaghen e quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Come il suo “amico e fratello”, il presidente della Turchia. Lui ha poi aggiunto ‘invidioso’”: “Chi deve attaccare chi in questo panel per avere l’adesione prima dell’Ucraina? La Bulgaria può attaccare la Macedonia del Nord, la Croazia può benissimo attaccare la Serbia, la Serbia il Kosovo, la Bosnia se stessa”. E poi, per togliersi un fastidioso sassolino dalla scarpa, e riferendosi alla Grecia, ha aggiunto: “E se noi [albanesi] chiediamo ai greci di farsi un favore, anche loro ci attaccheranno con grande piacere”! Ha finito questo ‘scenario guerresco’ dicendo: “Il Montenegro può giocare, può godere il sole, così che noi (i paesi balcanici; n.d.a.) tutti possiamo essere pronti ad unirci al treno con l’Ucraina.” (Sic!).

    Chi scrive queste righe avrebbe molto altro da aggiungere e continuerà a trattare questo argomento. Ma come spesso ha fatto, riferendosi all’atteggiamento degli alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di alcuni singoli Paesi membri, egli si chiede come mai continuano ancora ad appoggiare un simile autocrate? Perché, come ne era convinto Publilio Siro ventuno secoli fa, chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

  • Come si può credere ad un ciarlatano?

    Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò.

    Jean de La Fontaine

    “Sempre il mondo fu pien di vendifrottole, che van spacciando le più strane iperboli.” Così comincia la favola Il ciarlatano del noto scrittore francese Jean de La Fontaine. Una favola in cui, con la sua ben nota maestria, l’autore ci racconta come un ciarlatano andava in giro e cercava di convincere tutti che lui era capace di “render dotti i più massicci zotici”. Aggiungendo “O contadino o tanghero ignorante, in breve tempo io ve lo cambio in Dante”. Proprio così! “Signori sì, dicea, datemi un asino, un asino ferrato ed io più classico vel do di quanti sono all’Accademia”. La notizia venne portata anche al re il quale, curioso di quello che gli avevano raccontato, ordinò subito di portargli quella persona. Una volta davanti a lui, il re disse: “Dottore eccellentissimo, ho nelle stalle un asinel d’Arcadia, che voglio addottrinar nella retorica”.  Il re era pronto a pagare per quel servizio, “a patto che in dieci anni su una cattedra ei mettesse la bestia atta a discutere”. Ma se invece non ci riuscisse lui “sarebbe impiccato in luogo pubblico spacciatamente e senza cerimonie con appesa alla schiena la retorica, ch’ei va vendendo come roba onesta, e con orecchie d’asin sulla testa”. Uno dei gentiluomini della corte, sentendo il dialogo tra il re e colui che cercava di far credere agli altri che era una persona dotta e sapiente, un simile di Cicerone, disse ridendo, ma convinto, al ciarlatano: “…in man del giudice ti vedremo a tempo debito”. Aggiungendo che “…dev’esser stupendo lo spettacolo d’un uom sì dotto e di cotanto peso che danza al vento ad una corda appeso”. E diede al ciarlatano anche un consiglio: “Quando sarai nell’oratorio, un tenero discorso in bello stil cerca di stendere coll’arte bella delle tue metafore, classico testo che potrà servire ai falsi Ciceroni in avvenir”. Ma lui, il ciarlatano, il “falso Cicerone”, accettò la proposta del re, pensando fra sé e sé: “Dieci anni? eh, eh!… prima che scada il termine, saremo morti il re, l’asino od io. […] Per quanto non ci manchi il ben di Dio, e si mangi e si beva di gran gusto, su tre, in dieci anni, morir uno è giusto”. La favola finisce così e Jean de La Fontaine ha lasciato in sospeso cosa è accaduto con il ciarlatano. Una cosa è certa però, che quell’asinel d’Arcadia, scelto dal re per essere “addottrinato nella retorica”, è rimasto sempre un asino!

    Si, aveva ragione Jean de La Fontaine, il mondo è sempre pieno di vendifrottole, di imbroglioni, di ciarlatani che “… van spacciando le più strane iperboli”. Individui che non solo non credono a quello che dicono, ma spesso e come se niente fosse, dicono in seguito proprio il contrario di ciò che hanno detto prima. Purtroppo anche il primo ministro albanese, fatti accaduti, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, ne è uno di loro. Si, proprio lui che, come il ciarlatano della sopracitata favola di Jean de La Fontaine, afferma e dichiara cose, essendo però consapevole di mentire, di ingannare e di raccontare frottole. Ma lo fa sempre per qualche “guadagno”, lo fa soprattutto per spostare l’attenzione pubblica e mediatica dalle sue grandi e continue difficoltà in cui si trova. Difficoltà causate dagli innumerevoli scandali milionari che si susseguono e che coinvolgono direttamente e/o indirettamente il primo ministro albanese, sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano. E non di rado, anche ultimamente lui, il primo ministro, nega e/o contraddice, senza nessuna dovuta spiegazione istituzionalmente, quanto aveva dichiarato in precedenza. Oppure sta zitto e si “nasconde” per qualche tempo, a seconda delle tante sue bugie e dei tanti suoi inganni. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa deformazione caratteriale del primo ministro albanese. Anche durante queste ultime settimane.

    E con la stessa facilità, leggerezza, sfacciataggine e irresponsabilità, con la quale il primo ministro mente ed inganna, ma anche nega quanto ha detto in precedenza, lui si vanta delle sue amicizie con determinate persone molto altolocate in altri Paesi e/o nelle istituzioni internazionali, soprattutto dell’Unione europea. Ma quelle del primo ministro albanese sono solo e semplicemente delle “amicizie” di convenienza, congiunturali, ma mai delle vere amicizie. E non poteva essere altrimenti, vista la persona e considerando chi sono gli altri suoi “amici”. E, guarda caso, quasi sempre si tratta di persone note come autocrati, che con la democrazia hanno poco a che fare. Oppure si tratta di alcuni alti rappresentanti, sia governativi/statali di alcuni singoli Stati, che di determinate istituzioni importanti internazionali, compresa la Commissione europea, i quali si permettono di oltrepassare i propri obblighi istituzionali. La saggezza secolare del genere umano, dalla quale bisogna sempre imparare, ci insegna che similes cum similibus congregantur, e cioè che i simili si accompagnano tra di loro.

    Da anni ormai il primo ministro albanese si vanta pubblicamente della sua “amicizia” con il presidente della Turchia. E, fatti accaduti alla mano, si sa, sia nella sua madre patria, sia a livello internazionale, chi è e cosa rappresenta l’attuale presidente turco. Si sanno anche i suoi rapporti con i principi della democrazia. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito durante questi anni degli appoggi che il primo ministro albanese ha avuto dal suo “caro amico”, il presidente della Turchia. Il nostro lettore è stato informato anche della attuazione in questi ultimi anni, da parte del presidente turco, della cosiddetta “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina che prevede e cerca di mettere in atto una politica attiva per garantire l’influenza della Turchia su tutti i territori dell’ex impero ottomano, Albania compresa. Il nostro lettore è stato informato anche delle “condizioni” poste al primo ministro albanese dal suo “caro amico”, il presidente turco, per quanto riguarda i rappresentanti di un’organizzazione guidata da un suo ex stretto collaboratore, il quale ormai è un suo nemico. E tra “amici” ci si intende. Ragion per cui il primo ministro albanese ha ordinato la chiusura di alcune scuole finanziate dall’organizzazione. Ha ordinato anche la consegna, in palese violazione con le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, di cittadini turchi, oppositori del presidente. Alcune di quelle “condizioni” poste dal presidente turco al suo “caro amico” albanese si riferiscono anche alla comunità musulmana in Albania e ai suoi dirigenti.

    La storia ci insegna che i rapporti tra l’Albania e la Serbia, soprattutto dall’inizio del secolo passato ad oggi, sono stati tutt’altro che buoni. Rapporti condizionati anche dalle mire espansionistiche della Serbia sui territori abitati dalla popolazione albanese, soprattutto in Kosovo, ma non solo. Il nostro lettore è stato informato anche di questo. Così come è stato informato dei “rapporti di amicizia” tra il primo ministro albanese ed il presidente della Serbia durante questi ultimi dieci anni. Rapporti tra simili perché, sempre fatti accaduti alla mano, il presidente della Serbia, l’ex ministro della propaganda del regime di Slobodan Miloscevic, è considerato un autocrate, con stretti contatti anche con determinati gruppi della criminalità organizzata. Come, tra l’altro, il suo simile, il suo “amico”, il primo ministro albanese. Rapporti che hanno avuto la loro espressione anche con un’iniziativa regionale nota come Open Balkan (Balcani aperti; n.d.a.). Un’iniziativa che cerca di garantire il controllo della regione dei Balcani occidentali dalla Serbia. Un’iniziativa che ha avuto solo l’appoggio della Serbia, dell’Albania e della Macedonia del Nord, mentre gli altri Paesi balcanici l’hanno rifiutata. Si tratta di un’iniziativa che cerca di annientare l’attuazione di un’iniziativa dell’Unione europea, nota come il Processo di Berlino. Anche di questa iniziativa regionale il nostro lettore è stato spesso e dettagliatamente informato. Ma guarda caso però, il primo ministro albanese, un “convinto e ben determinato sostenitore” dell’iniziativa Open Balkan, all’inizio del luglio scorso, proprio quando si trovava in grosse difficoltà a causa degli scandali in corso, quello degli inceneritori soprattutto e per altre ragioni pubblicamente sconosciute, da buon ciarlatano qual è, ha smentito e ha negato se stesso e quanto aveva dichiarato pubblicamente e con tanto entusiasmo. Per alcuni giorni ha dichiarato il fallimento dell’iniziativa balcanica. Ma i suoi “amici”, soprattutto il presidente serbo, sono rimasti tranquilli, facendo pubblicamente capire che niente era e poteva essere cambiato e che il primo ministro albanese non l’aveva sul serio. E, conoscendolo bene, hanno avuto ragione. In realtà il progetto Open Balkan è stato ideato e reso pubblico tramite un articolo lungo e dettagliato di George Soros, già nel 1999. E si sa che Soros è colui che da anni sta apertamente appoggiando il suo “beniamino”, il primo ministro albanese. Non a caso, in tutte le riunioni riguardanti l’iniziativa Open Balkan, è stato presente il figlio di George Soros. E, guarda caso, nonostante il Soros figlio non avesse nessun “titolo” istituzionale per essere presente in quelle riunioni, era la persona davanti alla quale tutti gli altri stavano “sugli attenti”. Chissà perché?!  Si tratta però di colui che, da alcuni mesi, sta gestendo le attività di suo padre e che non nasconde “l’amicizia” con il suo “caro fratello”, il primo ministro albanese.

    Ma il primo ministro albanese ha avuto degli “ottimi rapporti di amicizia” anche con alcuni degli ormai ex presidenti del Consiglio dei ministri dell’Italia. Prima con Massimo D’Alema e poi con Matteo Renzi. Con il primo avevano organizzato diverse attività comuni, tutte “sostenute” dalla fondazione della quale l’ex presidente del Consiglio era anche presidente. Il primo ministro albanese è stato “fiero” dei rapporti anche con Matteo Renzi. Non a caso ha pubblicamente appoggiato nel 2014 la campagna elettorale del suo “caro amico”. Il primo ministro albanese chiedeva allora agli albanesi con cittadinanza italiana e con diritto al voto di votare per il partito di Renzi. Allora il primo ministro albanese dichiarava: “L’Italia sicuramente cambierà presto e in meglio, grazie all’energia e al coraggio straordinario di Matteo Renzi”! Ebbene, vinte le elezioni e diventato presidente del Consiglio dei ministri, Renzi è arrivato a fine dicembre 2014 in una visita ufficiale in Albania. Una visita che il suo omologo ed “amico” albanese ha usato bene dal punto di vista propagandistico. Il primo ministro albanese, durante la conferenza stampa comune, tra tanto altro, ha fatto anche una proposta a Renzi. Una proposta che aveva qualcosa suggerita dal suo subconscio, una specie di lapsus freudiano. “Vorrei dire al Presidente del Consiglio italiano di investire in Albania perché qui non abbiamo sindacati…”. Cioè lui, il primo ministro, si vantava che in Albania non c’erano i sindacati per difendere i diritti dei lavoratori e perciò si potevano fare “dei buoni affari” (Sic!). Il primo ministro albanese ha molto “beneficiato” spesso degli appoggi dei massimi rappresentanti della sinistra politica italiana. Con uno di loro, un ex ministro degli esteri ed attualmente rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, addirittura avevano “contrabbandato vaccini” durante il periodo della pandemia (Un imbroglione che confessa, poi nega ed in seguito elogia altri; 17 ottobre 2022).

    Il primo ministro albanese si sta vantando adesso anche della “stretta amicizia” con la sua “giovane e grande sorella dell’Albania”, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato della “visita privata” di Meloni e della sua famiglia nella residenza governativa sulle rive ioniche dell’Albania, ospite del primo ministro. L’autore di queste righe si chiedeva: “Chissà però perché la Presidente del Consiglio ha deciso di incontrare il suo “amico” autocrate?!” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 23 agosto 2023). Ed ancora non ha una risposta a quella domanda. Ma la delusione rimane.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese, quel bugiardo ed imbroglione, trovatosi in grandi e continue difficoltà, cercherà di ingannare tutti, “amici illustri” compresi. Farà di tutto per riuscire ad avere degli “appoggi amichevoli” che servono a lui per sopravvivere politicamente e non solo. Chi scrive queste righe si chiede però come si può credere ad un simile e ben noto ciarlatano? Si, aveva ragione Jean de La Fontaine. Il suo consiglio “Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò” è sempre valido.

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