Democrazia

  • Se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Santa Madre Teresa di Calcutta

    Era il 1865 quando Lewis Carroll, un giovane scrittore, matematico e prete inglese, il cui vero nome era Charles Lutwidge Dogson, pubblicò “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” (titolo in originale: Alice’s Adventures in Wonderland). Un libro i cui personaggi sono delle strane creature, esseri umani, animali e carte da gioco a sembianza umana, frutto dell’immaginazione dell’autore. Tutto comincia quando, dopo essersi addormentata, nel sogno Alice segue un coniglio bianco attraverso la sua tana che diventa sempre più buia. Ragion per cui Alice non può vedere una buca profonda e cade. Precipitando giù, si trova davanti ad un giardino, la cui entrata è troppo piccola. Ma alla fine riesce ad entrare dentro. Si trova così nel regno della Regina di Cuori. In seguito e fino alla fine, Alice si troverà in un luogo dove tutto era strano, surreale e fantastico. Lei si trova così nel Paese delle Meraviglie. E lì incontra molti personaggi come la Regina del paese, ma anche il Cappellaio matto, la lepre marzolina, il gatto del Cheshire che appare e scompare subito dopo, il bruco, la lucertola, la duchessa brutta, il ghiro dormiglione e tanti altri. Ma nel Paese delle Meraviglie, la maggior parte degli abitanti erano delle carte da gioco. E non a caso, appena entrata nel Paese delle Meraviglie, Alice incontra tre giardinieri con corpo proprio di carta da gioco. Loro si affrettavano a dipingere di rosso i petali delle rose bianche perché se no la regina avrebbe tagliato le loro teste. E mentre i tre giardinieri spiegano tutto ad Alice, arriva la regina che ordina subito l’attuazione della punizione estrema. Alice però riesce a nascondere i giardinieri, salvandoli. Nel Paese delle Meraviglie tutti devono ubbidire ai sovrani del regno: il Re e la Regina di Cuori. Il Re è anche il Magistrato del Paese, mentre la Regina non permette mai che i sudditi disobbediscano, minacciando di farli giustiziare. Ma non a caso, nel Paese delle Meraviglie tutto può succedere e, perciò, nonostante la determinazione della regina, non si eseguono mai delle esecuzioni. Si, perché il Paese delle Meraviglie è un regno dove tutto è diverso da quello che sembra essere e dove la logica normale degli esseri umani non esiste. È un Paese dove la natura e l’ordine delle cose cambiano continuamente. Ragion per cui, anche Alice comincia ad adattarsi al nuovo mondo in cui si trova, cambiando anche fisicamente. Il suo corpo, o parte del corpo, si ingrandisce o diminuisce a seconda delle circostanze e a seconda di quello che fa e che mangia. Quando lei mangia nella casa del coniglio diventa enorme. E quando il coniglio tira dei sassi ad Alice, i sassi diventano dei saporiti pasticcini e lei, mangiandone uno diventa di nuovo piccolissima. Un’altra volta si trova con il collo lungo, dopo aver toccato le due parti del fungo. Il Paese delle Meraviglie è un luogo dove tutte le leggi del mondo reale non hanno senso e non si verificano. Così come anche il tempo e lo spazio. Alice è stata poi costretta a partecipare come testimone, insieme con il cappellaio matto e la cuoca della duchessa brutta, al processo giudiziario contro il fante di cuori. Nel frattempo però lei era diventata sempre più corpulenta. Ragion per cui non temeva più né il re, che era il magistrato e neanche la regina. E ritrovato il necessario raziocinio, Alice rivolgendosi a loro disse la verità: “non siete altro che un mazzo di carte”. Al che anche il sogno finisce e, risvegliandosi, Alice abbraccia sua sorella e insieme vanno a prendere il tè. Così termina il libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”.

    L’autore di queste righe analizzerà in seguito la realtà vissuta e spesso anche sofferta in un Paese europeo, ma senza nominarlo. Lo chiamerà semplicemente il Paese delle Meraviglie, anche se non è quello descritto maestosamente da Lewis Carroll nel suo libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Lo chiamerà così, con questo nome di fantasia, semplicemente perché chi governa e gestisce la cosa pubblica lì cerca di convincere chiunque che si tratta proprio di un Paese dove tutto sta progredendo e andando a meraviglia. E tutto grazie alla sua dedizione e devozione, nonché alla sua lungimiranza. Ma la vera realtà è ben diversa da quella che si cerca di far credere a tutti, sia ai cittadini del Paese delle Meraviglie, che ai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e delle cancellerie dei singoli Paesi. L’autore di queste righe è convinto però, fatti accaduti e documentati alla mano, che nel Paese delle Meraviglie, si sta progredendo, sì, ma verso il peggio, verso il consolidamento di un regime dittatoriale camuffato. Un regime il quale usa sempre più la sua ben organizzata e potente propaganda governativa per apparire diverso da quello che in realtà è. Un regime che usa anche la maggior parte dei media. Un regime camuffato da una parvenza di “pluripartitismo”, che sceglie e appoggia anche chi deve rappresentare l’opposizione “ufficiale”. E colui che rappresenta istituzionalmente il nuovo regime camuffato, il primo ministro, non perde nessuna occasione di ripetere che lui non è “un dittatore e neanche un autocrate”. Sì, proprio così, testimoniando in questo modo i suoi complessi di colpa che la sua psiche non riesce a nascondere.

    Ma la vera, vissuta e sofferta realtà nel Paese delle Meraviglie, sempre fatti accaduti, documentati e denunciati ufficialmente alla mano, testimonia che lì si stanno continuamente calpestando sempre più i diritti e i principi base della democrazia, permettendo il consolidamento della dittatura.

    Una dittatura viene definita nei vari dizionari di diverse lingue del mondo come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”. Mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento. Egli scriveva per il nostro lettore che “La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848, nella sua opera intitolata Spirito delle leggi …” (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023). Trattando sempre il principio della separazione dei poteri, in un altro articolo per il nostro lettore, l’autore di queste righe scriveva: “La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio, quello della divisione dei poteri, che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu” (Il fallimento voluto ed attuato di una riforma; 26 ottobre 2020). Mentre riferendosi a quanto è stato scritto da Montesquieu nel suo libro De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) riguardo al principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), l’autore di queste righe citava, sempre per il nostro lettore, la convinzione di Montesquieu: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Poi riferendosi all’importanza della separazione del potere legislativo da quello esecutivo e giudiziario, citava di nuovo Montesquieu: “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. E sottolineava la convinzione di Montesquieu: “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). Nel Paese delle Meraviglie però, in palese e consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, una persona sola, il rappresentante istituzionale del regime dittatoriale, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, controlla oltre al potere esecutivo e legislativo, anche quello giudiziario. In più controlla anche quello ormai noto come il quarto potere, i media. Perciò tutto porta a pensare che nel Paese delle Meraviglie la democrazia abbia sempre meno a che fare con la realtà, mentre è in continuo consolidamento un regime dittatoriale camuffato.

    Il Paese delle Meraviglie è un Paese candidato all’adesione all’Unione europea. E come tale ha l’obbligo di rispettare, tra l’altro, anche i tre criteri di Copenaghen. Un obbligo quello per tutti i Paesi che hanno avviato un percorso di adesione. Il criterio politico prevede la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ma le istituzioni, controllate con mano di ferro da una persona sola e/o da chi per lui, non possono però garantire niente che non abbia a che fare con la sua volontà e i suoi interessi. Nel Paese delle Meraviglie non si rispetta neanche il criterio economico, il quale prevede l’esistenza di un’economia di mercato affidabile. Da anni ormai il mercato viene controllato da alcuni oligarchi, “amici” di colui che rappresenta il regime. Nel Paese delle Meraviglie non si può rispettare ed adempiere neanche il terzo criterio, quello dell’acquis comunitario. Lo testimoniano, tra l’altro, anche le continue condizioni poste al Paese delle Meraviglie dal Consiglio europeo che aumentano sempre e che da tre anni ormai sono diventate quindici. Ma i massimi rappresentanti istituzionali del Paese delle Meraviglie non rispettano non solo i criteri di Copenaghen. Da anni fanno lo stesso anche con l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione che ogni Paese che vuole aderire nell’Unione europea è obbligato a rispettare, dal momento che diventa firmatario. E non sono valse a niente le diverse contestazioni fatte soprattutto dal Consiglio europeo.

    La realtà vera, vissuta e sofferta nel Paese delle Meraviglie è veramente preoccupante. E con le “meraviglie” che cerca di far credere e convincere il gestore istituzionale del regime dittatoriale camuffato e la sua propaganda non ha niente a che fare. L’autore di queste righe ha sempre informato il nostro lettore, con la dovuta e richiesta oggettività, di questa preoccupante e pericolosa realtà. Alcuni anni fa egli, usando sempre l’allegoria delle favole e paragonando il nuovo autocrate del Paese delle Meraviglie ad un re, scriveva per il nostro lettore: “Essendo un re capace di tutto e pieno di poteri, aveva anche il dono di fare delle magie. E per magia il re costruì, da un cetriolo, un gigantesco carrozzone. […] Il re trasformò, con la sua bacchetta magica una mandria di pecore in tantissimi cavalli e li attaccò al gigantesco carrozzone. Le pecore le prese dalla Fattoria degli Animali, inventata da George Orwell. Il re le mise tutte in fila, stupide e ubbidienti, e le chiamò ministri e alti funzionari. Il loro compito era semplicemente quello di trainare il carrozzone, al quale il re diede il nome Governo. […] Il siffatto monarca prese le briglie e cercò di portare il carrozzone fino in cima. Ma sempre non ci riusciva. E sempre il carrozzone, invece di salire, scendeva e rischiava di precipitare nei burroni” (La mosca cocchiera; 7 gennaio 2019). E se non si è indovinato ancora di chi e di quale Paese si tratta, allora si potrebbe cercare di chi e dove è stata ospite, insieme con la sua famiglia, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia, tra il 14 ed il 17 agosto scorso. Oppure si potrebbe cercare perché il primo ministro greco ha tolto ogni appoggio del suo governo, anche nelle istituzioni dell’Unione europea, all’autocrate del Paese delle Meraviglie, che da anni sta abusando del potere, prima conferito ed in seguito usurpato.

    Chi scrive queste righe, riferendosi al Paese delle Meraviglie (nome di fantasia) e aperto ad ogni suggerimento, fa una semplice domanda: se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?  Egli condivide la convinzione di Santa Madre Teresa di Calcutta, secondo la quale “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Perché continuano ancora ad appoggiare un simile autocrate?

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Il mese appena passato è stato un mese caldo, climaticamente parlando. È stato anche un periodo di vacanze, per coloro che potevano permettersi delle vacanze. Nonostante ciò, durante l’agosto scorso però sono state svolte anche delle attività a livello europeo. Attività durante le quali sono state discusse delle questioni riguardanti l’attuale situazione ed il futuro dell’Unione europea, nonché le realtà in singoli Paesi dell’Unione e di quelli che lì intendono aderire. Durante quelle attività si è discusso perciò sull’allargamento dell’Unione con diversi Paesi come l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia e quelli dei Balcani occidentali. Tra il 21 ed il 22 agosto scorso ad Atene è stato celebrato il ventesimo anniversario del vertice di Salonicco. Mentre solo dopo una settimana, tra il 28 ed il 29 agosto, si è svolto a Bled, in Slovenia, il diciottesimo vertice del Forum strategico, durante il quale alti rappresentanti politici ed istituzionali dai vari Paesi, soprattutto dall’Europa centrale e Sud orientale, nonché rappresentanti di varie organizzazioni specializzate e quelle della società civile, da diversi Paesi europei, ma non solo, solitamente presentano delle idee e discutono sulle sfide e sui probabili sviluppi del futuro.

    Venti anni fa, a conclusione del semestre della presidenza della Grecia del Consiglio dell’Unione europea, a Salonicco, tra il 21 e 22 giugno 2003, è stato organizzato e svolto il vertice del Consiglio europeo. Alla fine del vertice si presentò anche un documento ufficiale, noto come la Dichiarazione di Salonicco. Un documento quello che ribadiva la necessità dell’adesione dei Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea. I capi di Stato e di governo degli allora quindici Paesi membri dell’Unione hanno deciso sulla prospettiva europea dei Balcani occidentali. “Noi, Capi di Stato o di Governo degli Stati membri dell’Unione europea, degli Stati aderenti e candidati, dei potenziali candidati Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Serbia e Montenegro e il Presidente della Commissione europea, alla presenza del Presidente del Parlamento europeo, […] riuniti a Salonicco, abbiamo oggi convenuto quanto segue.”. Cosi cominciava il testo della Dichiarazione. Un testo che in 10 punti sanciva la strategia per rendere possibile l’adesione dei Paesi balcanici all’Unione europea. Il punto 2 affermava: “L’Unione europea ribadisce il suo sostegno inequivocabile alla prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali. Il futuro dei Balcani è nell’Unione europea. Per i paesi dei Balcani occidentali, l’allargamento in atto e la firma del trattato di Atene nell’aprile 2003 sono motivo di stimolo e di incoraggiamento a percorrere lo stesso positivo cammino”. Mentre nel punto 4 della stessa Dichiarazione si affermava: “Riconosciamo che il processo di stabilizzazione e associazione (PSA) continuerà a costituire il quadro delle relazioni tra l’Europa e i paesi dei Balcani occidentali durante l’intero processo verso la futura adesione. Il processo e le prospettive che esso offre servono per ancorare le riforme nei Balcani occidentali secondo le stesse modalità del processo di adesione all’Europa centrale e orientale. I progressi compiuti da ciascun paese verso l’Unione europea dipenderanno dalla capacità degli stessi di rispettare i criteri di Copenaghen e le condizioni stabilite per il PSA e confermate nella dichiarazione finale del vertice di Zagabria del novembre 2000”.

    Proprio in occasione del ventesimo anniversario del vertice di Salonicco, il primo ministro greco ha organizzato una cerimonia commemorativa e di lavoro invitando i massimi rappresentanti governativi dei Paesi balcanici, sia di quelli che intendono aderire all’Unione europea, che quelli già membri dell’Unione. È arrivato a partecipare al vertice anche il presidente dell’Ucraina. Ospiti del primo ministro della Grecia erano anche il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione europea. C’era però anche un “grande assente”, il primo ministro albanese. Assente perché volutamente non è stato invitato dall’anfitrione. Bisogna sottolineare però che tra i due fino a qualche mese fa c’era un buon rapporto di collaborazione. Le cattive lingue dicevano che c’era anche un’intesa tra loro, legata al contenzioso tra i due paesi sul confine marino. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo contenzioso.  Il primo ministro greco, invece del suo omologo albanese, aveva invitato il presidente della repubblica dell’Albania. Ma quest’ultimo, da buon “ubbidiente collaboratore”, qual è, del primo ministro, che l’ha scelto e portato alla massima carica istituzionale dello Stato, ha declinato l’invito per degli “impegni precedentemente presi”. Il motivo del mancato invito al primo ministro albanese era dovuto ai recenti attriti tra la Grecia e l’Albania. Attriti causati dall’arresto, solo due giorni prima delle elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania, di un candidato sindaco, rappresentante di una comunità di etnia greca, in un municipio sulla costa ionica albanese. Il nostro lettore è stato informato di questo clamoroso caso due settimane fa: “… nel frattempo in Albania continua ad essere in carcere una persona che vinse come sindaco durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso. Una persona arrestata in palese violazione della legge proprio due giorni prima delle elezioni. Lui è stato eletto sindaco proprio nel municipio dove si trova anche la villa governativa in cui è stata ospite la Presidente del Consiglio e la sua famiglia dal 14 al 17 agosto scorso. Si tratta di una zona dove si sta abusando dei terreni sulla costa ionica e che il sindaco eletto aveva promesso di mettere ordine. Ma adesso lui si trova ancora in prigione, in palese violazione delle leggi e delle convenzioni internazionali sul diritto dell’uomo”. Il nostro lettore è stato informato altresì, due settimane fa, che “… non a caso, il primo ministro della Grecia sta dichiarando che con le sue decisioni contro i diritti dell’uomo il primo ministro albanese non avrà mai l’appoggio della Grecia nel percorso europeista dell’Albania”. E come diretta conseguenza di questo attrito tra i due “… il primo ministro albanese non è stato invitato lunedì scorso, 21 agosto, alla cerimonia ospitata dal primo ministro greco per ricordare il vertice di Salonicco tenutosi venti anni fa, durante il quale si decise anche sul futuro europeista dei Balcani occidentali.” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 22 agosto 2023).

    Tra il 28 ed il 29 agosto scorso in Slovenia, a Bled, una cittadina a nord-ovest della capitale slovena sull’omonimo lago, alle pendici delle Alpi Giulie, si è svolto il diciottesimo Forum strategico. Un Forum, quello di Bled, che è stato concepito e che funziona come una piattaforma dove si generano e si presentano delle idee e si discute di diversi temi e strategie di comune interesse che riguardano gli sviluppi sociali, economici e politici del futuro. Ogni anno, dal 2005, a fine agosto, il ministero degli esteri sloveno organizza proprio a Bled una conferenza internazionale, un forum strategico, sull’Europa centrale e Sud orientale. Quest’anno il tema della conferenza internazionale del Forum strategico di Bled era “La solidarietà per la sicurezza globale”. Ma viste le alluvioni dell’inizio mese in Slovenia, che hanno causato ingenti danni, alcuni morti e migliaia di persone costrette ad evacuare dalle proprie abitazioni, il tema del Forum strategico di quest’anno è stato in parte modificato. Durante il Forum si è svolto anche un dibattito fra i primi ministri dei Paesi dei Balcani occidentali. Alla fine di quella attività è stato ribadito che “L’allargamento dell’Unione europea ai Balcani occidentali può fare da traino per i processi di riforma nella regione, ma serve anche a soddisfare un maggiore bisogno di sicurezza dell’Unione europea”. Mentre la ministra slovena degli Esteri ha dichiarato, riferendosi agli sviluppi in seguito alla guerra in Ucraina, ma anche a quelli precedentemente accaduti, che “c’è un’atmosfera diversa nel Consiglio (europeo; n.d.a.), c’è la consapevolezza di potersi allargare ai Balcani occidentali”.

    Durante ed in seguito al Forum strategico di quest’anno a Bled, però, sono state pronunciate anche delle dichiarazioni, non in piena sintonia, da parte dei rappresentanti istituzionali dell’Unione europea. Il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato: “Nel preparare la prossima agenda strategica dell’Union europea, dobbiamo porci un obiettivo chiaro. Credo che entro il 2030 dovremo essere pronti – da entrambe le parti – all’allargamento”. Aggiungendo che si tratta di “un obiettivo ambizioso, ma necessario”. Un obiettivo il quale “dimostra che facciamo sul serio”. In più il presidente del Consiglio europeo ha affermato che: “L’allargamento è e rimarrà un processo basato sul merito. L’adesione all’Unione comporta sia responsabilità che benefici. Per assumersi le prime e raccogliere i secondi in un ambiente altamente competitivo, bisogna essere pronti”. Dopo queste dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo ha reagito anche la Commissione europea, tramite una sua portavoce. “La Commissione europea non è focalizzata sui termini di tempo durante il processo dell’allargamento dell’Unione europea, ma [è focalizzata] ad aiutare i Paesi candidati ad adempiere i criteri e ad essere pronti (all’adesione; n.d.a.)”. E rispondendo alle dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo, lei ha detto: “La presidente della Commissione europea ha ribadito specificatamente come noi siamo impegnati per rendere l’allargamento un successo. Sempre abbiamo detto che l’allargamento è una priorità e i [Paesi] candidati devono aderire quando saranno pronti. Abbiamo lavorato strettamente con i [Paesi] candidati per aiutarli a compiere le riforme”. La portavoce della Commissione europea ha in più chiarito che non era a conoscenza se tra il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione europea ci fossero stati dei contatti prima che il presidente del Consiglio avesse fatto le sue dichiarazioni al Forum strategico di Bled, il 29 agosto scorso.

    Tra i partecipanti del sopracitato Forum strategico di Bled, c’era anche il primo ministro albanese. E dopo la sua ben evidenziata mancanza nel vertice di Atene, ha cercato di mettersi in mostra, come al solito. A Bled è stato “critico” con l’operato delle istituzioni europee, ha espresso il suo “rammarico” per il supporto che l’Unione europea sta dando all’Ucraina ma, alla fine, facendo il “figliol prodigo”, ha fatto un passo indietro. Niente di strano per uno come lui, voltagabbana all’estero, ma autocrate e corrotto in patria.. Basta che attiri l’attenzione. Il primo ministro albanese, riferendosi a quando aveva dichiarato prima il presidente del Consiglio europeo, ha detto: “Non credo che nel 2030 noi saremo nell’Unione europea”. E qui è stato sincero. L’autore di queste righe da tempo, fatti documentati alla mano, ha espresso la sua convinzione che il primo ministro albanese non vuole l’adesione dell’Albania all’Unione europea. Non gli conviene. Lui finge, ma non ha nessun interesse ad entrare, anzi! Ragion per cui sta continuamente e consapevolmente violando i criteri di Copenaghen e quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Come il suo “amico e fratello”, il presidente della Turchia. Lui ha poi aggiunto ‘invidioso’”: “Chi deve attaccare chi in questo panel per avere l’adesione prima dell’Ucraina? La Bulgaria può attaccare la Macedonia del Nord, la Croazia può benissimo attaccare la Serbia, la Serbia il Kosovo, la Bosnia se stessa”. E poi, per togliersi un fastidioso sassolino dalla scarpa, e riferendosi alla Grecia, ha aggiunto: “E se noi [albanesi] chiediamo ai greci di farsi un favore, anche loro ci attaccheranno con grande piacere”! Ha finito questo ‘scenario guerresco’ dicendo: “Il Montenegro può giocare, può godere il sole, così che noi (i paesi balcanici; n.d.a.) tutti possiamo essere pronti ad unirci al treno con l’Ucraina.” (Sic!).

    Chi scrive queste righe avrebbe molto altro da aggiungere e continuerà a trattare questo argomento. Ma come spesso ha fatto, riferendosi all’atteggiamento degli alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di alcuni singoli Paesi membri, egli si chiede come mai continuano ancora ad appoggiare un simile autocrate? Perché, come ne era convinto Publilio Siro ventuno secoli fa, chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

  • Come si può credere ad un ciarlatano?

    Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò.

    Jean de La Fontaine

    “Sempre il mondo fu pien di vendifrottole, che van spacciando le più strane iperboli.” Così comincia la favola Il ciarlatano del noto scrittore francese Jean de La Fontaine. Una favola in cui, con la sua ben nota maestria, l’autore ci racconta come un ciarlatano andava in giro e cercava di convincere tutti che lui era capace di “render dotti i più massicci zotici”. Aggiungendo “O contadino o tanghero ignorante, in breve tempo io ve lo cambio in Dante”. Proprio così! “Signori sì, dicea, datemi un asino, un asino ferrato ed io più classico vel do di quanti sono all’Accademia”. La notizia venne portata anche al re il quale, curioso di quello che gli avevano raccontato, ordinò subito di portargli quella persona. Una volta davanti a lui, il re disse: “Dottore eccellentissimo, ho nelle stalle un asinel d’Arcadia, che voglio addottrinar nella retorica”.  Il re era pronto a pagare per quel servizio, “a patto che in dieci anni su una cattedra ei mettesse la bestia atta a discutere”. Ma se invece non ci riuscisse lui “sarebbe impiccato in luogo pubblico spacciatamente e senza cerimonie con appesa alla schiena la retorica, ch’ei va vendendo come roba onesta, e con orecchie d’asin sulla testa”. Uno dei gentiluomini della corte, sentendo il dialogo tra il re e colui che cercava di far credere agli altri che era una persona dotta e sapiente, un simile di Cicerone, disse ridendo, ma convinto, al ciarlatano: “…in man del giudice ti vedremo a tempo debito”. Aggiungendo che “…dev’esser stupendo lo spettacolo d’un uom sì dotto e di cotanto peso che danza al vento ad una corda appeso”. E diede al ciarlatano anche un consiglio: “Quando sarai nell’oratorio, un tenero discorso in bello stil cerca di stendere coll’arte bella delle tue metafore, classico testo che potrà servire ai falsi Ciceroni in avvenir”. Ma lui, il ciarlatano, il “falso Cicerone”, accettò la proposta del re, pensando fra sé e sé: “Dieci anni? eh, eh!… prima che scada il termine, saremo morti il re, l’asino od io. […] Per quanto non ci manchi il ben di Dio, e si mangi e si beva di gran gusto, su tre, in dieci anni, morir uno è giusto”. La favola finisce così e Jean de La Fontaine ha lasciato in sospeso cosa è accaduto con il ciarlatano. Una cosa è certa però, che quell’asinel d’Arcadia, scelto dal re per essere “addottrinato nella retorica”, è rimasto sempre un asino!

    Si, aveva ragione Jean de La Fontaine, il mondo è sempre pieno di vendifrottole, di imbroglioni, di ciarlatani che “… van spacciando le più strane iperboli”. Individui che non solo non credono a quello che dicono, ma spesso e come se niente fosse, dicono in seguito proprio il contrario di ciò che hanno detto prima. Purtroppo anche il primo ministro albanese, fatti accaduti, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, ne è uno di loro. Si, proprio lui che, come il ciarlatano della sopracitata favola di Jean de La Fontaine, afferma e dichiara cose, essendo però consapevole di mentire, di ingannare e di raccontare frottole. Ma lo fa sempre per qualche “guadagno”, lo fa soprattutto per spostare l’attenzione pubblica e mediatica dalle sue grandi e continue difficoltà in cui si trova. Difficoltà causate dagli innumerevoli scandali milionari che si susseguono e che coinvolgono direttamente e/o indirettamente il primo ministro albanese, sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano. E non di rado, anche ultimamente lui, il primo ministro, nega e/o contraddice, senza nessuna dovuta spiegazione istituzionalmente, quanto aveva dichiarato in precedenza. Oppure sta zitto e si “nasconde” per qualche tempo, a seconda delle tante sue bugie e dei tanti suoi inganni. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa deformazione caratteriale del primo ministro albanese. Anche durante queste ultime settimane.

    E con la stessa facilità, leggerezza, sfacciataggine e irresponsabilità, con la quale il primo ministro mente ed inganna, ma anche nega quanto ha detto in precedenza, lui si vanta delle sue amicizie con determinate persone molto altolocate in altri Paesi e/o nelle istituzioni internazionali, soprattutto dell’Unione europea. Ma quelle del primo ministro albanese sono solo e semplicemente delle “amicizie” di convenienza, congiunturali, ma mai delle vere amicizie. E non poteva essere altrimenti, vista la persona e considerando chi sono gli altri suoi “amici”. E, guarda caso, quasi sempre si tratta di persone note come autocrati, che con la democrazia hanno poco a che fare. Oppure si tratta di alcuni alti rappresentanti, sia governativi/statali di alcuni singoli Stati, che di determinate istituzioni importanti internazionali, compresa la Commissione europea, i quali si permettono di oltrepassare i propri obblighi istituzionali. La saggezza secolare del genere umano, dalla quale bisogna sempre imparare, ci insegna che similes cum similibus congregantur, e cioè che i simili si accompagnano tra di loro.

    Da anni ormai il primo ministro albanese si vanta pubblicamente della sua “amicizia” con il presidente della Turchia. E, fatti accaduti alla mano, si sa, sia nella sua madre patria, sia a livello internazionale, chi è e cosa rappresenta l’attuale presidente turco. Si sanno anche i suoi rapporti con i principi della democrazia. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito durante questi anni degli appoggi che il primo ministro albanese ha avuto dal suo “caro amico”, il presidente della Turchia. Il nostro lettore è stato informato anche della attuazione in questi ultimi anni, da parte del presidente turco, della cosiddetta “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina che prevede e cerca di mettere in atto una politica attiva per garantire l’influenza della Turchia su tutti i territori dell’ex impero ottomano, Albania compresa. Il nostro lettore è stato informato anche delle “condizioni” poste al primo ministro albanese dal suo “caro amico”, il presidente turco, per quanto riguarda i rappresentanti di un’organizzazione guidata da un suo ex stretto collaboratore, il quale ormai è un suo nemico. E tra “amici” ci si intende. Ragion per cui il primo ministro albanese ha ordinato la chiusura di alcune scuole finanziate dall’organizzazione. Ha ordinato anche la consegna, in palese violazione con le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, di cittadini turchi, oppositori del presidente. Alcune di quelle “condizioni” poste dal presidente turco al suo “caro amico” albanese si riferiscono anche alla comunità musulmana in Albania e ai suoi dirigenti.

    La storia ci insegna che i rapporti tra l’Albania e la Serbia, soprattutto dall’inizio del secolo passato ad oggi, sono stati tutt’altro che buoni. Rapporti condizionati anche dalle mire espansionistiche della Serbia sui territori abitati dalla popolazione albanese, soprattutto in Kosovo, ma non solo. Il nostro lettore è stato informato anche di questo. Così come è stato informato dei “rapporti di amicizia” tra il primo ministro albanese ed il presidente della Serbia durante questi ultimi dieci anni. Rapporti tra simili perché, sempre fatti accaduti alla mano, il presidente della Serbia, l’ex ministro della propaganda del regime di Slobodan Miloscevic, è considerato un autocrate, con stretti contatti anche con determinati gruppi della criminalità organizzata. Come, tra l’altro, il suo simile, il suo “amico”, il primo ministro albanese. Rapporti che hanno avuto la loro espressione anche con un’iniziativa regionale nota come Open Balkan (Balcani aperti; n.d.a.). Un’iniziativa che cerca di garantire il controllo della regione dei Balcani occidentali dalla Serbia. Un’iniziativa che ha avuto solo l’appoggio della Serbia, dell’Albania e della Macedonia del Nord, mentre gli altri Paesi balcanici l’hanno rifiutata. Si tratta di un’iniziativa che cerca di annientare l’attuazione di un’iniziativa dell’Unione europea, nota come il Processo di Berlino. Anche di questa iniziativa regionale il nostro lettore è stato spesso e dettagliatamente informato. Ma guarda caso però, il primo ministro albanese, un “convinto e ben determinato sostenitore” dell’iniziativa Open Balkan, all’inizio del luglio scorso, proprio quando si trovava in grosse difficoltà a causa degli scandali in corso, quello degli inceneritori soprattutto e per altre ragioni pubblicamente sconosciute, da buon ciarlatano qual è, ha smentito e ha negato se stesso e quanto aveva dichiarato pubblicamente e con tanto entusiasmo. Per alcuni giorni ha dichiarato il fallimento dell’iniziativa balcanica. Ma i suoi “amici”, soprattutto il presidente serbo, sono rimasti tranquilli, facendo pubblicamente capire che niente era e poteva essere cambiato e che il primo ministro albanese non l’aveva sul serio. E, conoscendolo bene, hanno avuto ragione. In realtà il progetto Open Balkan è stato ideato e reso pubblico tramite un articolo lungo e dettagliato di George Soros, già nel 1999. E si sa che Soros è colui che da anni sta apertamente appoggiando il suo “beniamino”, il primo ministro albanese. Non a caso, in tutte le riunioni riguardanti l’iniziativa Open Balkan, è stato presente il figlio di George Soros. E, guarda caso, nonostante il Soros figlio non avesse nessun “titolo” istituzionale per essere presente in quelle riunioni, era la persona davanti alla quale tutti gli altri stavano “sugli attenti”. Chissà perché?!  Si tratta però di colui che, da alcuni mesi, sta gestendo le attività di suo padre e che non nasconde “l’amicizia” con il suo “caro fratello”, il primo ministro albanese.

    Ma il primo ministro albanese ha avuto degli “ottimi rapporti di amicizia” anche con alcuni degli ormai ex presidenti del Consiglio dei ministri dell’Italia. Prima con Massimo D’Alema e poi con Matteo Renzi. Con il primo avevano organizzato diverse attività comuni, tutte “sostenute” dalla fondazione della quale l’ex presidente del Consiglio era anche presidente. Il primo ministro albanese è stato “fiero” dei rapporti anche con Matteo Renzi. Non a caso ha pubblicamente appoggiato nel 2014 la campagna elettorale del suo “caro amico”. Il primo ministro albanese chiedeva allora agli albanesi con cittadinanza italiana e con diritto al voto di votare per il partito di Renzi. Allora il primo ministro albanese dichiarava: “L’Italia sicuramente cambierà presto e in meglio, grazie all’energia e al coraggio straordinario di Matteo Renzi”! Ebbene, vinte le elezioni e diventato presidente del Consiglio dei ministri, Renzi è arrivato a fine dicembre 2014 in una visita ufficiale in Albania. Una visita che il suo omologo ed “amico” albanese ha usato bene dal punto di vista propagandistico. Il primo ministro albanese, durante la conferenza stampa comune, tra tanto altro, ha fatto anche una proposta a Renzi. Una proposta che aveva qualcosa suggerita dal suo subconscio, una specie di lapsus freudiano. “Vorrei dire al Presidente del Consiglio italiano di investire in Albania perché qui non abbiamo sindacati…”. Cioè lui, il primo ministro, si vantava che in Albania non c’erano i sindacati per difendere i diritti dei lavoratori e perciò si potevano fare “dei buoni affari” (Sic!). Il primo ministro albanese ha molto “beneficiato” spesso degli appoggi dei massimi rappresentanti della sinistra politica italiana. Con uno di loro, un ex ministro degli esteri ed attualmente rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, addirittura avevano “contrabbandato vaccini” durante il periodo della pandemia (Un imbroglione che confessa, poi nega ed in seguito elogia altri; 17 ottobre 2022).

    Il primo ministro albanese si sta vantando adesso anche della “stretta amicizia” con la sua “giovane e grande sorella dell’Albania”, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato della “visita privata” di Meloni e della sua famiglia nella residenza governativa sulle rive ioniche dell’Albania, ospite del primo ministro. L’autore di queste righe si chiedeva: “Chissà però perché la Presidente del Consiglio ha deciso di incontrare il suo “amico” autocrate?!” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 23 agosto 2023). Ed ancora non ha una risposta a quella domanda. Ma la delusione rimane.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese, quel bugiardo ed imbroglione, trovatosi in grandi e continue difficoltà, cercherà di ingannare tutti, “amici illustri” compresi. Farà di tutto per riuscire ad avere degli “appoggi amichevoli” che servono a lui per sopravvivere politicamente e non solo. Chi scrive queste righe si chiede però come si può credere ad un simile e ben noto ciarlatano? Si, aveva ragione Jean de La Fontaine. Il suo consiglio “Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò” è sempre valido.

  • Tutto è vero e nulla è vero

    In Russia tutto è vero e nulla è vero perché quello che appare non è quello che veramente accade e quello che accade non è quasi mai quello che si pensava sarebbe accaduto, quello che era stato annunciato.

    Così il giallo della morte di Prigožin, vera o presunta, continuerà ad alimentare le più fantastiche supposizioni: morto per vendetta di Putin, ucciso perché non rivelasse a Putin le dissidenze e le diaspore interne, eliminato per consentire a Putin di impossessarsi subito delle sue grandi ricchezze, vivo, sull’altro aereo, o addirittura mai partito, per proseguire nell’azione iniziata ed interrotta due mesi fa quando minacciava di marciare su Mosca, vivo ma fingendosi morto per sfuggire alla vendetta di Putin, sparire, cambiare connotati e vita come tanti fuorilegge hanno fatto e fanno. O ancora un’altra complessa attività di contro, contro informazione dello stesso Putin che ormai non sa neppure lui se può credere a se stesso e di chi di può fidare? Ancora una manovra diversiva o un’uccisione voluta dallo zar per dare un esempio al proprio cerchio magico?

    Tante le ipotesi, le congetture, mentre una cosa è assolutamente certa e cioè la menzogna degli organi di stampa del regime russo quando affermano che i corpi di Prigožin e del suo vice sono stati identificati tra i rottami dell’aereo perché, se le foto che abbiamo visto sono reali, dal rogo di quell’aereo non può essere rimasto nessun corpo identificabile con certezza, ed anche facendo il dna sui pochi resti chi di noi avrebbe la sicurezza che quanto comunicato dagli organi ufficiali russi corrisponda alla verità?

    Prigožin, l’uomo dai mille volti e travestimenti finito banalmente sotto il fuoco “amico“, l’uomo dalle cento furbizie vittima di una imprudenza, di un tradimento, della propria eccessiva sicurezza?

    Nessuno sembra stupirsi della sua morte, in tanti la consideravano una morte annunciata dopo il così detto fallito golpe, forse anche lui, come tanti, credeva nei propri super poteri, in una sorta di pericolosa onnipotenza.

    Resta certo che un altro inquinante dubbio si aggiunge agli altri confermando, dopo tante guerre passate e tanti errori recenti che gli occidentali non riescono a capire cosa muove il pensiero dei russi e questo resta un problema, come resta un grave problema l’annuncio di vari aiuti militari all’Ucraina mentre invece continuano gli sciagurati ritardi nella consegna degli armamenti necessari.

  • La libertà

    La  libertà rappresenta, ancora oggi, un valore sconosciuto.

    Nella medesima spiaggia del veneziano solo qualche settimana addietro era possibile imbattersi in una famiglia musulmana con la moglie al bagno con il burkini e a solo a poche centinaia di metri trovare delle persone adulte che praticavano il naturismo.

    Queste due forme di approccio sicuramente sono agli antipodi nella interpretazione della vita in riva al mare, ma dimostrano come contemporaneamente possano coesistere due filosofie di costume ed espressione di valori etici e religiosi diversi, in quanto non hanno intenzione di imporre il proprio codice alla parte “avversa”.

    In altre parole, la lezione veneziana esprime la superiorità valoriale del codice occidentale che proprio per la propria forza riesce a contenere nell’alveo democratico le più diverse espressioni di costume umano.

    Viceversa, l’idea di vietare l’accesso ad una spiaggia pubblica ad una donna  per il solo motivo del costume indossato, come intenderebbe imporre la sindaca di Monfalcone, rappresenta l’espressione della peggiore retroguardia culturale.

    Innanzitutto tutto perché ghettizzare una donna che forse esprime la propria situazione con il burkini impedisce alla stessa di venire a contatto con una realtà diversa da quella del proprio ambito familiare e religioso e conseguentemente emanciparsi.

    Ed in secondo luogo una democrazia cresce anche attraverso la consapevolezza della priorità forza che parte dalla uguaglianza tra donna e uomo, quindi non vieta nessuna, perché un divieto rappresenta una forma di debolezza ed  investe nel progresso culturale forte della propria consapevolezza.

    A Monfalcone, la scelta della sindaca esprime solo una triste debolezza culturale ed una povertà umana che nulla hanno in comune con il valore occidentale della libertà.

  • Ragion di Stato e interesse collettivo

    In questi giorni abbiamo gioito per la liberazione di Zaki ed apprezzato il delicato lavoro del governo italiano che ha aiutato ad arrivare a questa soluzione.

    Sono purtroppo poi seguite una serie di elucubrazioni e di fantasiose ipotesi alle quali rispondiamo molto in sintesi: l’Egitto ha bisogno dell’Italia, l’Italia ha bisogno dell’Egitto, inoltre il presidente al Sisi, piaccia o non piaccia, con tutti i difetti che ci sono in un sistema ancora lontano dall’essere una democrazia compiuta, è un importante, decisivo baluardo contro le corti islamiche ed i Fratelli musulmani che tanto dolore e sangue stanno ancora spargendo in Africa e non solo.

    Se una nota stonata c’è stata, a nostro parere, è l’aver offerto il volo di Stato per il rientro di Zaki, volo che infatti Zaki ha rifiutato. E’ stato un inutile di più, che ha portato a critiche e perplessità verso chi, con questa iniziativa, non aveva capito anche i risvolti diplomatici e di opportunità politica che sarebbero seguiti per tutti i protagonisti  di questa brutta vicenda, Zaki per primo.

    Purtroppo il mondo è pieno di ingiustizie e di governanti che non rispettano oppositori, giornalisti, donne libere e diritti inalienabili, portato a casa Zaki riprendiamo ad occuparci dei tanti che, non solo nelle carceri, sono privati della libertà e del diritto di parola e di critica sapendo che comunque la ragion di Stato prevale quando è in gioco l’interesse collettivo, basti pensare alla Turchia, al grano ucraino e a chi potrebbe provare a mediare per la fine del conflitto.

  • La messinscena con un ‘sostegno’ avuto in un periodo difficile

    Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita.

    Eduardo De Filippo

    La saggezza secolare ci insegna che nei momenti di difficoltà si sente anche il bisogno del sostegno degli amici. Ed è proprio nei momenti di difficoltà che si distinguono i veri amici. Una saggezza che ci viene trasmessa anche dalle favole, che sono una fonte di insegnamento non solo per i bambini. Tra le tante favole sulla vera amicizia c’è anche quella di una scoiattolina ed una volpe. Era inverno ed una mattina la scoiattolina si svegliò presto perché doveva andare al mercato. Ma siccome il tempo non era buono, pensò che non era il caso di andare da sola. Perciò andò dalla sua amica, la volpe, che ancora stava dormendo, avvolta da calde coperte. Dopo averla svegliata, la scoiattolina le chiese di accompagnarla al mercato. Ma visto che quella giornata d’inverno non prometteva niente di buono, la volpe non voleva uscire di casa e cercò di dissuadere anche la sua amica di non andare al mercato quel giorno. La scoiattolina però si sentì offesa ed abbandonata dalla sua amica e decise di andare da sola al mercato, nonostante il tempo minaccioso. Così partì ed entrò nel bosco. Il vento soffiava forte e poco dopo cominciò a nevicare. Trovatasi in difficoltà la scoiattolina riuscì a mettersi sotto un grande ramo caduto dall’albero ed accese un piccolo fuoco per scaldarsi. E solo allora si pentì di non aver ascoltato quanto le aveva detto la volpe. Sperava, però, che qualcuno potesse arrivare ad aiutarla. Nel frattempo la volpe, avendo visto il tempo che stava diventando sempre più minaccioso, chiamò altri amici ed andarono nel bosco, dove doveva essere entrata la scoiattolina per andare al mercato. Perché si sa che i veri amici si riconoscono nel momento del bisogno. Entrati nel bosco, nonostante il vento forte e la neve, la volpe riuscì ad intravedere il fuocherello acceso dalla scoiattolina per riscaldarsi. Tutti corsero subito in quella direzione e, per fortuna, trovarono la scoiatollina tremante sotto il grosso ramo caduto dall’albero. Si può immaginare la grande gioia che provarono tutti. Uscirono insieme dal bosco e si diressero verso le loro abitazioni calde e sicure. Appena arrivati, la scoiattolina invitò tutti ad assaggiare un dolce e si mise subito a cucinare una deliziosa torta per festeggiare la loro amicizia. Si perché, come ci insegna la favola, gli amici veri non solo si riconoscono nel momento del bisogno, ma sanno condividere i momenti di gioia insieme.

    La saggezza secolare ci insegna però che l’amicizia non è interesse. Mentre la storia, quella grande maestra, ci insegna che, purtroppo, sempre ci sono state e ci saranno delle persone che abusano consapevolmente della parola amicizia, usandola per camuffare ben altro. Ne era convinto il noto filosofo romano Seneca, circa duemila anni fa, quando affermava che “Chi è diventato amico per convenienza, per convenienza finirà di esserlo. Se nell’amicizia si ricerca un utile, per ottenerlo si andrà contro l’amicizia stessa”. E ne era convinto anche il noto filosofo e scienziato dell’antica Grecia, Aristotele, il quale ventitrè secoli fa pensava che “Si fa in fretta a decidere di essere amici, tuttavia l’amicizia è un frutto che matura lentamente”. Invece per il noto scienziato e filosofo Galileo Galilei un amico è colui che sta dalla tua parte quando hai torto, non quando hai ragione. Perchè quando hai ragione sono capaci tutti”. Perciò bisogna distinguere sempre i veri amici da quelli che cercano di apparire come tali. Da quelli che usano le parole amico ed amicizia con una tale facilità e sconsideratezza semplicemente per convenienza e per ingannare. Purtroppo ci sono tante, tantissime tali persone, che per leggerezza, per interesse e/o per imbroglio fanno questo, E tra queste persone c’è anche l’attuale primo ministro albanese. Lui, soprattutto quando parla e/o si riferisce ad alcuni dirigenti politici ed istituzionali di altri Paesi, ma anche a delle persone che hanno ed esercitano delle influenze di vario tipo, usa facilmente ed intenzionalmente la parola ‘amico”. Un sacerdote e storico britannico del Seicento, Thomas Fuller, affermava però che “Chi è amico di tutti non è amico di nessuno”. E si potrebbe aggiungere anche che non ha nessun vero amico. Parole che calzano a pennello al primo ministro albanese!

    Quanto è accaduto in Albania all’inizio della scorsa settimana ne è una dimostrazione di come un “amichevole sostegno”, avuto in un periodo molto difficile che sta attraversando il primo ministro, possa diventare come una messinscena dove si cerca di focalizzare tutto sulla sua persona, sui suoi “indiscussi meriti” e sulle sue “eccezionali e riconosciute capacità”. Quel’“amichvole sostegno” è stato offerto da un ex presidente statunitense, il quale è arrivato per una “visita privata” in Albania nel pomeriggio del 3 luglio scorso. Lui, l’ex presidente statunitense, era però accompagnato dalla sua famiglia, figlia e genero compresi. E parte di quello stretto “gruppo famigliare” era anche il figlio di George Soros, noto multimiliardario e speculatore di borsa statunitense, E guarda caso, padre e figlio sono dei “cari amici” del primo ministro albanese. Nel frattempo le cattive lingue, che ne sanno tutto su tutti, hanno subito detto che la visita ed il discorso dell’ex presidente statunitense sono stati profumatamente ricompensati finanziariamente dalla “dinastia Soros”, Si sa anche che George Soros ha sempre sponsorizzato finanziariamente, ma non solo, sia l’ex presidente statunitense, sia sua moglie. Come si sa che il figlio di Soros è anche “amico” del genero dell’ex presidente statunitense e parte del gruppo che lo accompagnava. Chissà perché?!

    L’ex presidente statunitense che, per due giorni, è stato all’inizio della scorsa settimana in Albania per una “visita privata” è Bill Clinton, il 42o presidente degli Stati Uniti d’America, (1993 – 2001). Durante la sua presidenza, lui, insieme con il premier britannico Tony Blair sono stati tra i più noti sostenitori di quell’insieme di teorie e posizioni politiche note come Third Way (Terza via; n.d.a.).

    A proposito, l’ex-premier britannico Tony Blair, dall’autunno 2013, quando l’attuale primo ministro albanese ha iniziato il suo primo mandato ad oggi, è uno dei suoi consiglieri “senza pagamento”. Mentre sua moglie, titolare di un noto studio di avvocatura, da anni assiste il primo ministro albanese ed il suo governo con dei lauti ricompensi finanziari. E guarda caso, anche loro due, il primo ministro albanese e l’ex-premier britannico, si dichiarano “amici” tra di loro! Mentre durante la messinscena del 3 luglio scorso a Tirana, il primo ministro albanese ha detto: “L’Albania è uno dei pochi Paesi qui in torno dove un partito della “Terza via” continua a governare da anni”. Ma la vera e vissuta realtà in Albania testimonia che il primo ministro ed il suo partito/clan occulto non ha governato, bensì ha abusato del potere ed ha fatto della corruzione e dell’alleanza con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti due pilastri importanti del suo regime.

    L’ex presidente statunitense, in “visita privata’ in Albania all’inizio della scorsa settimana, è stato colui che nel marzo 1999 ha deciso di iniziare gli attacchi aerei della NATO contro la Serbia per porre fine alle barbarie dei militari serbi in Kosovo. Questo fatto, mentre di nuovo da fine maggio scorso i rapporti tra la Serbia ed il Kosovo si sono aggravati, è stato formalmente il motivo di quella “visita privata”. Ma in realtà i veri motivi sono stati altri. Prima di tutto le gravi difficoltà con le quali si sta confrontando continuamente il primo ministro albanese. Difficoltà che hanno a che fare con gli innumerevoli scandali che lo coinvolgono direttamente e/o indirettamente. Ma anche molti altri scandali pubblicamente noti e denunciati, che coinvolgono i suoi ministri, i suoi sindaci e deputati, nonché suoi famigliari e stretti collaboratori. Per quanto lui, il primo ministro albanese, possa avere degli “stretti” collaboratori. Perché fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano anche in questi ultimi giorni dimostrano che il primo ministro, quando si trova in difficoltà, nega tutto e tutti, “amici” e “stretti collaboratori” compresi. Ma non sono solo gli scandali che hanno messo in difficoltà il primo ministro albanese. Anche il suo compromesso e spesso fallito tentativo di presentarsi come un “mediatore” a livello regionale, soprattutto nei Balcani occidentali, gli hanno causato molti problemi. Il nostro lettore è stato informato anche durante queste ultime settimane di tutto ciò. Come è stato informato anche delle problematiche riguardanti l’iniziativa Open Balkan della quale il primo ministro albanese, insieme con il presidente serbo ed il primo ministro della Macedonia del Nord, sono stati promotori ed ardenti sostenitori. Ma adesso il primo ministro albanese ha cambiato completamente opinione e considera come chiusa l’iniziativa. Mentre i due altri suoi “amici” balcanici continuano a sostenere fortemente l’iniziativa Open Balkan. Anche la scorsa settimana, mettendo in difficoltà il primo ministro albanese. Un altro grattacapo che sembra stia fortemente preoccupando lui è legato alle indagini svolte da due procure, a New York e a Washington D.C. e da due separate commissioni parlamentari, una della Camera e l’altra del Senato statunitense a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle indagini risulterebbe che il primo ministro, il quale ha incontrato diverse volte ed in “privato” la persona indagata, che nel settembre scorso considerava “un suo amico”, potrebbe essere coinvolto nel processo giudiziario che comincerà tra poco negli Stati Uniti d’America. Anche di tutti questi fatti il nostro lettore è stato informato durante gli ultimi mesi (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023 ecc.). Nel frattempo le cattive lingue dicono che il primo ministro sta soffrendo molto e non solo per la faccenda legata all’ex alto funzionario del FBI.

    Ragion per cui la visita di un ex presidente statunitense, in questo periodo, poteva essere usata e così è stato, per spostare l’attenzione e per fare in modo che il primo ministro si presentasse diversamente, “amico” dei “grandi del mondo”. La propaganda governativa ed il primo ministro, con il suo diretto impegno hanno fatto di tutto perché ciò accadesse e che lui diventasse per due giorni, periodo che è durata la “visita privata”, un personaggio importante a livello internazionale. Anche in questo caso è stata organizzata ad artem una messinscena basata su un “sostegno” pubblico, durante una visita privata, il 3 ed il 4 luglio scorso, di un ex presidente statunitense. E così facendo, essendo il 4 luglio non solo la festa nazionale degli Stati Uniti, ma anche il giorno del compleanno del primo ministro albanese, lui ha fatto un “particolare” regalo a se stesso. Le cattive lingue però sono convinte che niente poteva essere successo senza lo zampino della “dinastia Soros” che ultimamente è passata nelle mani del figlio del multimiliardario e speculatore di borsa. Figlio che è anche un “caro amico” del primo ministro e che considera lui come “suo amico e fratello”. Il figlio di Soros ha pubblicato in rete una sua fotografia con il primo ministro albanese e Bill Clinton, durante i festeggiamenti privati, il 4 luglio scorso, per il compleanno del primo ministro. Sotto la fotografia aveva scritto: “Ieri con due dei più grandi leader del mondo” (Sic!).

    Durante il suo discorso nel pomeriggio del 3 luglio scorso, l’ex presidente statunitense disse che “noi siamo impegnati per la libertà, la forza, l’integrità ed il futuro dell’Albania”. Ma lo sa lui che il suo “anfitrione” ha restaurato una nuova dittatura sui generis in Albania, come espressione di una pericolosissima alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali?! Quello della “dinastia Soros” compreso.

    Chi scrive queste righe è convinto che quanto è accaduto nel pomeriggio del 3 luglio scorso a Tirana, di fronte all’edificio del Consiglio dei ministri, era semplicemente una messinscena basata su un ‘sostegno’ avuto in un periodo difficile per il primo ministro albanese. Ma gli “attori” non hanno convinto, anzi. Aveva ragione Eduardo De Filippo quando affermava che “Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita”.

  • Il Sud Sudan terrà le prime elezioni dall’indipendenza

    Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha dichiarato che le elezioni del Paese, a lungo rimandate e le prime da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, si terranno il prossimo anno, come previsto, e lui si candiderà.

    Nessun altro ha parlato finora di candidatura, ma tra i possibili candidati potrebbe esserci anche il primo vicepresidente Riek Machar.

    Kiir è presidente dall’indipendenza, nel 2011, raggiunta dopo una lunga guerra civile, anche se il conflitto in realtà è ripreso nel 2013. Nell’agosto 2018 è stato firmato un accordo di condivisione del potere tra le parti in conflitto nel tentativo di porre fine alla guerra civile quinquennale.

    Il mandato del governo di transizione, che avrebbe dovuto concludersi nel 2022, è stato prorogato per consentire ai leader di affrontare le sfide con l’attuazione dell’accordo di pace.

    Martedì, Kiir ha affermato che queste sfide saranno affrontate “prima delle elezioni” fissate per dicembre del prossimo anno.

  • Le forze somale prendono il controllo delle aree lasciate libere dalle truppe dell’Unione Africana

    Le forze somale hanno assunto responsabilità di sicurezza in cinque dei sei settori in cui sono state dispiegate le truppe dell’Unione Africana (UA).

    Il ministero della Difesa ha detto di aver apprezzato i “sacrifici” compiuti negli anni dalla missione dell’UA e dai paesi che avevano fornito soldati: Burundi, Gibuti, Etiopia, Kenya e Uganda.

    La dichiarazione è arrivata dopo il previsto ritiro di 2.000 soldati dell’UA il 30 giugno.

    La maggior parte delle basi militari finora consegnate si trovano nella regione del Basso Shabelle ed erano gestite dal contingente burundese della missione.

    Altri 3.000 soldati dell’UA dovrebbero partire entro la fine di settembre, con l’intera forza che dovrebbe lasciare la Somalia entro la fine del 2024.

    L’UA aiuta il fragile governo somalo a combattere il gruppo militante islamista al-Shabab dal 2007.

  • Mediaset ed il fragile equilibrio democratico

    Potrà anche sembrare sgradevole nei giorni appena successivi alla sua morte, ma il forte rialzo delle azioni Mediaset fa pensare a scenari allarmanti per il nostro Paese.

    Uno dei maggiori pericoli viene rappresentato dalla non remota possibilità di vedere ora svenduta l’azienda di Cologno Monzese a capitali francesi (*) (Ballore?) di fatto trasferendo, ancora una volta, il baricentro aziendale all’estero.

    Per qualcuno potrebbe rappresentare anche un aspetto secondario, tuttavia all’interno della nostra società, o meglio, di un sistema economico sociale e politico complesso fortemente esposto all’influenza dei canali tradizionali televisivi, in aggiunta a tutti i canali social, la perdita della proprietà di uno dei due tradizionali rappresenta un pericolo non secondario.

    Andrebbe, infatti, ricordato come la stessa imparzialità dell’informazione nel nostro Paese si regge, non tanto sull’espressione di una sistema mediatico equilibrato all’interno del quale gli editori si manifestano come indipendenti ed imparziali, quanto sulla sua imperfetta pluralità, perché ormai risulta evidente come tutte le testate giornalistiche e gli stessi telegiornali abbiano implicitamente esercitato una scelta di campo abbracciando interessi ed obiettivi politici dell’intero arco costituzionale.

    L’equilibro sostanziale, come inevitabile conseguenza, fino ad oggi è stato assicurato proprio dalla sola molteplicità di canali “informativi”, i quali con i propri contenuti esprimevano le più diverse interpretazioni di parte del singolo avvenimento. Un equilibrio forse insano, tuttavia l’unico possibile nella nostra società, ma che ora se l’azionariato di uno dei principali canali televisivi finisse in mani straniere probabilmente verrebbe infranto.

    Il sistema della comunicazione italiano, in ultima analisi, può rappresentare esso stesso una forma di certo impropria di Made in Italy ma la sua tutela dovrebbe rappresentare un aspetto e soprattutto un valore fondamentale della stessa democrazia.

    Valutare oggi le dinamiche azionarie di Mediaset rappresenta una forma, come lo stesso equilibrio che si intende mantenere, impropria ma necessaria con l’obiettivo di tutelare l’imperfetto asset democratico italiano.

    (*) La Francia intanto sta procedendo alla messa in sicurezza dei proprio asset energetico https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

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