Democrazia

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • Cronaca di un massacro elettorale preannunciato

    Elezione. Semplice artificio mediante il quale una maggioranza

    dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere.

    Ambrose Bierce

    Gabriel Garzia Márquez è un noto scrittore colombiano che nel 1982 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Un anno prima veniva pubblicato un suo romanzo intitolato “Cronaca di una morte annunciata”. Una storia vera, accaduta una trentina di anni prima nel suo paese natale, quella che lo scrittore ha portato nel suo romanzo. Ovviamente cambiando i nomi dei suoi personaggi. Il romanzo racconta la storia di un giovane ucciso dai due fratelli gemelli di una ragazza con la quale lui aveva avuto una relazione. Durante quella relazione durata poco, la ragazza aveva persa la sua verginità. Tutto accade l’indomani del giorno in cui la ragazza si sposa con un altro uomo. Lo sposo però scopre che la sposa non era più illibata e la ripudia. Tornata a casa lei racconta tutto ai suoi due fratelli i quali decidono subito di vendicarsi. Escono di casa e fanno sapere a tutti quello che volevano fare. Saputa l’intenzione dei due fratelli di uccidere colui che aveva disonorato la sorella, alcuni compaesani hanno pensato che loro non sarebbero stati capaci di compiere un simile atto crudele. Altri speravano che la vittima fosse stata avvisata in tempo da potersi mettere in salvo. Altri ancora credevano che era tutta una storia inventata dai fratelli sotto l’effetto dell’alcol bevuto in abbondanza durante i festeggiamenti di poche ore prima. Ragion per cui nessuno si era mosso a trovare ed avvisare il ragazzo ed impedire la tragedia. Il caso ha voluto che il ragazzo, l’unico nel paese che ancora non sapeva niente, tornando a casa, li trova di fronte, coltelli alla mano. Il ragazzo ha cominciato a correre per mettersi in salvo, dirigendosi verso casa sua che si trovava proprio lì vicino. Il caso però ha voluto che sua madre, vedendo il figlio correre verso la porta e credendo che fosse riuscito, scese giù e chiuse la porta, ignara di aver lasciato il figlio nelle mani dei suoi assassini. I due fratelli raggiunsero ed uccisero il ragazzo, accoltellandolo

    Alla fine del romanzo il lettore apprende che i due fratelli, dopo essere stati condannati per omicidio, vengono lasciati liberi perché era stato riconosciuto il “motivo d’onore”. Mentre la loro sorella, dopo diciassette anni incontra di nuovo il suo ex marito che l’aveva ripudiata la prima notte del loro matrimonio. Lui si presenta alla sua porta portando una valigia piena di lettere da lei scritte nella speranza che venisse perdonata. Lettere che lui non aveva mai aperto. Questa è la storia che lo scrittore racconta nel suo noto romanzo “Cronaca di una morte annunciata”. Il caso ha voluto che proprio un anno prima che il romanzo fosse pubblicato, sua madre comunicò a Gabriel Garzia Márquez la morte della madre del ragazzo ucciso trentanni prima. Era un ragazzo di origini italiane che a quel tempo viveva e studiava a Bogotà, in Colombia. Lo scrittore è stato informato anche che la madre della vittima morì senza mai essersi ripresa dalla tragedia del suo giovane figlio. Sua madre, conoscendo l’intenzione del figlio Gabriel Garzia Márquez di scrivere e raccontare quella storia, lo supplicò di trattare tutto come se la giovane vittima di trentanni prima fosse stato suo figlio, perciò fratello dello scrittore. Un anno dopo, nel 1981 veniva pubblicato il romanzo con, all’inizio, la nota dell’autore: “Una cosa risolta così male nella vita non può risolversi bene in un libro”.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche sulle ultime giornate della campagna elettorale in Albania, prima delle elezioni amministrative del 14 maggio.  “La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini”. Aggiungendo in seguito, riferendosi al primo ministro albanese, che “…Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge.. Inoltre, il nostro lettore veniva informato che “…Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista”. Sottolineando che “…Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo”. In seguito il nostro lettore veniva informato che “…Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi” (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere; 8 maggio 2023).

    Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore e che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro. Anche se fino ad adesso, lunedì 15 maggio, i dati ufficiali sono parziali, essendo stati conclusi i conteggi solo in una parte dei municipi, si capisce che il primo ministro ha raggiunto il suo tanto ambito e vitale obiettivo. Ma sono state tante le violazioni, cominciate molto prima delle elezioni stesse. Il nostro lettore è stato informato del sistema ben organizzato di coloro che vengono chiamati come i patrocinatori. Sono tanti, migliaia e migliaia, reclutati e direttamente coinvolti per avere informazioni riguardanti i cittadini che possono votare, i loro famigliari, i loro bisogni, i loro “punti deboli”, per poi poterli minacciare e costringere a votare per il raggruppamento politico del primo ministro (Si sa di chi è la colpa, 7 novembre 2022; Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022; Sono semplicemente seguaci del modello abusivo dei superiori, 16 gennaio 2023 ecc.). Per raggiungere il suo obiettivo, il primo ministro e i suoi “strateghi” hanno attivato anche un’applicazione informatica chiamata “l’Attivista”. Con quell’applicazione, installata dagli impiegati dell’amministrazione pubblica si possono tenere sotto pressione e controllo tutti. L’applicazione costringe quelli che l’hanno installata a dare il loro sostegno in rete al primo ministro, ai ministri e ad altri dirigenti dell’amministrazione pubblica. L’applicazione elenca tutti gli utenti in base alla loro “attività” in rete, prevedendo anche benefici e castighi a seconda dei casi.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato, comprende anche tutto quello che riguarda la diffusa povertà, dovuta alle “politiche governative” e tanto altro. Una vissuta e sofferta realtà quella che, inevitabilmente, ha portato al massiccio e preoccupante spopolamento dell’Albania. Ma gli “strateghi” del primo ministro, come quelli della dittatura comunista poco prima del crollo del regime nel 1991, sanno che la maggior parte di quelli che lasciano la madre patria non avrebbero votato per loro. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania riguarda anche le “assunzioni elettorali” di questi ultimi mesi, soprattutto nelle istituzioni dell’amministrazione pubblica. Riguarda il mai verificato, spaventoso, pericoloso e preoccupante “crollo” dell’Euro, soprattutto durante questo ultimo mese, prima delle elezioni di domenica scorsa. “Crollo” condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per “scopi elettorali”. Con tutte le ripercussioni gravi per il prossimo futuro. Ma al primo ministro poco importa. A lui importa solo e soltanto vincere a tutti i costi. La cronaca riguarda le violazioni delle leggi in vigore durante la campagna elettorale, sia da parte del primo ministro e dei suoi candidati sindaci, che di tutti i suoi “rappresentanti” politici. La cronaca del massacro elettorale riguarda anche l’evidenziato ritiro delle carte d’identità a molti cittadini, soprattutto parenti degli impiegati dell’amministrazione pubblica, per impedire loro la votazione a favore degli avversari del primo ministro.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato comprende tutte le “bizzarrie” del primo ministro durante la campagna elettorale. Sono delle violazioni legali, per non parlare poi dei codici morali e della buona condotta, l’uso in pubblico durante la campagna elettorale, delle offese personali e delle minacce, rivolgendosi ai suoi avversari, sia i dirigenti dei partiti dell’opposizione, che i loro candidati sindaci. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende tutte le violazioni legali compiute dal primo ministro con le sue “richieste” dirette fatte alle donne di “chiudere a chiave” gli uomini il giorno delle votazioni se non votavano per lui. Comprende anche le minacce di non avere supporto governativo per tutti i municipi che potevano essere gestiti da sindaci dell’opposizione. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende, altresì i tanti e voluti comportamenti da coatto, i balli “popolari” del primo ministro con le donne per spostare l’attenzione pubblica dai veri problemi da lui causati. La cronaca di quello che ormai risulta essere stato un massacro elettorale preannunciato comprende la campagna elettorale “semplice e senza spese” del raggruppamento politico (leggi occulto) del primo ministro. Ma, allo stesso tempo, comprende anche e soprattutto l’intenso e continuo lavoro dietro le quinte per condizionare il risultato delle “votazioni” con la compravendita dei voti, le assunzioni e l’uso dell’amministazione pubblica durante la campagna elettorale, in palese violazione delle leggi.

    La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro. Comprende le decisioni dei tribunali e della Commissione Centrale Elettorale, della Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni e del Collegio Elettorale per sgretolare il maggior partito dell’opposizione. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania comprende anche tanti altri fatti accaduti prima e durante il giorno delle elezioni amministrative. Ma grazie a quel massacro elettorale il primo ministro è riuscito a vincere, fino ad adesso, pomeriggio di lunedì 15 maggio, nella maggior parte dei municipi, capitale compresa. Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà anche la prossima settimana il nostro lettore delle gravi ed inevitabili conseguenze di quel massacro elettorale ideato, programmato ed attuato da mesi in Albania. Nel frattempo egli potrà fare riferimento alle tante violazioni legali che si stanno denunciando, alle testimonianze documentate e a tanto altro, per informare il nostro lettore con la dovuta e richiesta oggettività. Chi scrive queste righe condivide però il pensiero di Ambrose Bierce sulle elezioni che “…sono un semplice artificio mediante il quale una maggioranza dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere”. Come sta accadendo adesso in Albania.

  • Maggio 1933/2023

    Non condivido le sue legittime opinioni e molto probabilmente siamo anche molto lontani politicamente, ma la censura subita dal Prof. Rovelli rappresenta il primo passo di una storia già vissuta ed ampiamente subita nel secolo precedente, cominciata con il rogo dei libri operato dalla propaganda nazista nel maggio 1933.

    A distanza di novant’anni si possono anche cambiare le divise ma la metodologia di ogni ideologia massimalista rimane la medesima. Paradossale, poi, che il vile responsabile di questo vergognoso attacco alla libertà di opinione sia un rappresentante della “sinistra prodiana Illuminata” ed ex parlamentare. Ad ulteriore conferma di come tanto a destra quando a sinistra l’arma della censura rappresenti uno strumento consono al raggiungimento degli obiettivi ideologici.

    Dal 10 maggio 1933, con il rogo dei libri non corrispondenti all’ideologia nazista, al 13 maggio 2023 novant’anni si dimostrano passati inutilmente.

    Siamo tornati al punto di partenza, con profonda amarezza.

  • Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere

    Ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode, e la tirannia.

    Frederick William Robertson

    Settantotto anni fa, l’8 maggio 1945 alle 23.01, riferita al Central European Time (Ora standard dell’Europa Centrale; n.d.a.) entrava in vigore la resa definitiva della Germania e la fine della seconda guerra mondiale in Europa. L’accordo era stato firmato alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 a Reims, in Francia, dai rappresentanti dei Paesi occidentali dell’alleanza e, per i nazisti sconfitti, dal generale tedesco Alfred Jodl. Poco prima della mezzanotte dell’8 maggio 1945, per espresso volere di Stalin, un altro accordo è stato firmato a Berlino tra l’Unione sovietica e la Germania nazista. A Mosca, nel frattempo, era già il 9 maggio. L’Armata Rossa era rappresentata dal maresciallo Georgij Žukov ed altri ufficiali sovietici, mentre l’Alto Commando delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht; n.d.a.) era rappresentato dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, insieme ad altri alti ufficiali dell’esercito. Con quell’accordo la Germania si arrendeva anche all’Unione sovietica. Perciò anche adesso la fine della seconda guerra mondiale in Europa si celebra ogni 8 maggio per i Paesi dell’alleanza occidentale, invece nell’Unione Sovietica prima ed in Russia adesso, quella ricorrenza si celebra ogni 9 maggio.

    Il 9 maggio però ha un altro valore storico per l’Europa. Era il pomeriggio del 9 maggio 1950. Al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri a Parigi, di fronte ai giornalisti, l’allora ministro Robert Schuman ha reso pubblica quella che da allora è nota come la Dichiarazione Schuman. Riferendosi a quella Dichiarazione, la scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che si trattava di “Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita”. Si trattava di un documento molto importante che presentava la vitale necessità dei Paesi europei di collaborare fra loro, invece di combattere. Le idee e le convinzioni dei Padri Fondatori dell’Europa unita, tra i quali anche Robert Schuman, sono stati adottati interamente dal Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 con il quale si costituì la Comunità europea del Carbone e dell’Accaio. I sei paesi firmatari del Trattato erano la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nello stesso articolo della scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “…Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. […] E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio”. Aggiungendo in seguito che “…I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “…non solo impensabile, ma materialmente impossibile”” (Necessarie riflessioni per evitare il peggio; 1 maggio 2023).

    La dichiarazione Schuman rappresenta un documento molto importante, che metteva le basi anche di quella che il 25 marzo 1957, con il Trattato di Roma, diventò la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea.  Il Trattato di Roma è stato firmato dagli stessi sei Paesi che costituirono la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e stilarono altri atti approvati in seguito. Il 9 maggio è stato adottato come la “Giornata dell’Europa” dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea, durante il vertice di Milano del 1985. È stata scelta proprio quella data in ricordo della Dichiarazione che Robert Schuman rese pubblica il 9 maggio 1950. Quella Dichiarazione cominciava con la frase “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. In seguito si sanciva che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Una previsione che è stata poi verificata durante questi decenni.

    La Dichiarazione Schuman ed il pensiero dei Padri Fondatori, nonché diversi successivi atti ufficiali dell’Unione europea, hanno sancito, tra l’altro, anche i diritti ed i doveri degli Stati membri della stessa Unione. Atti che devono essere rispettati però anche dagli Stati che seguono le procedure dell’adesione nell’Unione europea. L’Albania è uno di quegli Stati. In Albania però e purtroppo, quanto è stato sancito dal pensiero dei Padri Fondatori, dalla Dichiarazione Schuman, nonché dai successivi atti ufficiali dell’Unione europea, non sono stati rispettati, spesso volutamente, durante questi ultimi anni. Ragion per cui il Consiglio europeo ha sempre posto delle necessarie ed invarcabili condizioni sine qua non, prima di prendere le dovute decisioni per continuare con le procedure dell’adesione. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa realtà. E la ragione è solo e soltanto una: i tre governi capeggiati dall’attuale primo ministro, dal 2013 ad oggi, non hanno fatto niente per meritare l’avanzamento nelle procedure dell’adesione all’Unione europea, anzi! Perché non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì si stia consolidando e sia attiva una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata da alcuni “raggruppamenti stampella” scelti e controllati del primo ministro. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il primo ministro sta facendo di tutto per annientare l’opposizione politica. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la criminalità organizzata collabori, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, con il potere politico, sia nel prendere determinate decisioni ufficiali convertite in legge, sia per condividere in privato moltissimi milioni dei soldi pubblici in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì è stato consapevolmente violato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì una persona, il primo ministro, abusando pericolosamente del potere conferito, controlli tutti i poteri: l’esecutivo, il legislative, il giudiziario e quello dei media. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il risultato delle elezioni, sia quelle parlamentari che amministrative, sia condizionato e controllato dal potere politico e dalla criminalità organizzata. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la diffusa corruzione stia divorando sempre più tutto e tutti. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì da anni si riciclano i miliardi provenienti dalla corruzione, non solo in Albania e dai traffici illeciti degli stupefacenti ed altro, gestiti dalla criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale. Per queste e per altre ragioni, non può mai e poi mai un Paese diventare membro dell’Unione europea. Almeno se si tengono presenti il lungimirante pensiero e le convinzioni dei padri Fondatori, espressi nella Dichiarazione Schuman e nei testi ufficiali dei Trattati di Parigi e di Roma che costituirono, rispettivamente, il 18 aprile 1951 la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio ed il 25 marzo 1957 la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea. Ma anche in altri Trattati ed atti successivi.

    La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini. Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge. Ma, come sta realmente accadendo, niente possono fare le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, direttamente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui. Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista. Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. Una simile realtà rappresenta un’ulteriore ma molto significativa dimostrazione e testimonianza della restaurazione di una nuova dittatura sui generis in Albania.

    Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi. E potrebbe accadere quello che fino ad oggi è veramente impensabile ed impossibile. Anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia potrebbero accanirsi contro di lui, come conseguenza di vari complessi maturati nel tempo che gli psicologi conoscono bene. Poi attualmente c’è un processo giudiziario in corso negli Stati Uniti d’America a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle dichiarazioni ufficiali rese pubblicamente note dalle istituzioni giudiziarie coinvolte e riferendosi alle indagini svolte, risulterebbe che il primo ministro albanese sia direttamente coinvolto. Sono tante le indiscrezioni rese pubbliche da credibili fonti mediatiche statunitensi che confermano tutto ciò. Il che significa che lui, il primo ministro albanese deve rimanere al potere, costi quel che costi, per godere dell’immunità diplomatica e per impedire di essere chiamato dai giudici statunitensi, con tutte le conseguenze possibili. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato diverse volte durante questi ultimi mesi.

    Lo stesso giorno, la prossima domenica, il 14 maggio, mentre in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative, in Turchia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il primo ministro albanese ha offerto pubblicamente tutto l’appoggio per il suo “caro amico”, il presidente turco, un ben noto autocrate. Proprio colui che ha ispirato nel suo operato il primo ministro albanese, come lui stesso ha ammesso pubblicamente in diverse occasioni. E mentre il 9 maggio 1945 l’Unione Sovietica firmava a Berlino, come Paese aggredito, l’accordo con la Germania nazista, dal 24 febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina, in seguito alla decisione presa da un altro autocrate, il presidente russo. Quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina ormai è noto. E come in Albania ed in Turchia, anche in Russia gli autocrati che controllano la situazione interna con una mano di ferro stanno facendo di tutto per mantenere il potere. Chissà fino a quando ci riusciranno?

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molto altro da dividere con il nostro lettore, ma si ferma qui. Egli però condivide il pensiero di Frederick William Robertson, secondo il quale ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode e la tirannia. E ricorda anche quanto affermava Georges Clemenceau circa un secolo fa. E cioè che “Una dittatura è un paese in cui non devi passare una notte intera per conoscere il risultato delle elezioni”. Mentre il Albania ci vogliono giorni e spesso settimane. Tempo necessario per “legittimare” la vittoria del primo ministro.

  • La doppia faccia di certi rappresentanti internazionali

    Colui che si permette di dire una bugia una volta,

    trova molto più facile farlo una seconda volta.

    Thomas Jefferson

    L’evangelista Luca ci racconta, tra l’altro, anche dell’amministratore di un uomo ricco che aveva abusato delle ricchezze del padrone. Lui, dopo averlo saputo lo chiamò e gli disse: “Che è questo che sento dire di te?”. E gli chiese di rendere conto di come aveva svolto il suo operato. Allora l’astuto amministratore, preoccupato di perdere tutto, pensò tra sé e sé: “Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. E trovò anche cosa fare dopo aver perso il lavoro. Doveva trovare qualcuno con il quale dividere quanto spettava al padrone. Chiamò uno dei debitori e disse “Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta”. Poi chiamò un’altro e disse “Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta“. L’evangelista ci testimonia in seguito quanto affermava il figlio del Signore. E cioè che “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?”. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessun servo può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”. (Mammona significa il demone tentatore della ricchezza, ossia il diavolo stesso; n.d.a.). In seguito l’evangelista ci racconta quanto disse Gesù ai farisei i quali, si sa, erano molto attaccati al denaro e lo stavano ascoltando. “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Vangelo secondo Luca; 16; 1-15).

    L’autore di queste righe trova molto significativa una frase del noto scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, insignito con il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Si tratta della frase “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”, scritta nel suo ben noto romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il personaggio principale del romanzo, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, era il proprietario benestante di un banco di pegni. In base alle sue tante, tantisssime personali esperienze di vita vissuta, Gengè arrivò alla conclusione che “…l’essere umano, essendo uno, diventa nessuno nella moltitudine sociale, ma per gli altri si disgrega in centomila immagini, esseri differenti l’uno dall’altro.”. In realtà i tanti tormenti di Gengè ebbero inizio un giorno quando, mentre si stava guardando allo specchio, sua moglie gli disse che aveva il naso storto. Una constatazione quella, che da quel momento mise in dubbio e fece vacillare tante altre cose le quali, fino ad allora, rappresentavano per Gengè delle indiscusse convinzioni. Il che mise tutto in subbuglio e lo costrinse a riflettere su tutto e tutti. E si convinse che, siccome lui non si era accorto di un così banale e vistoso difetto fisico come il naso storto, allora potevano essere stati tanti altri difetti caratteriali sfuggiti a lui ma non ad altre persone. Gengè cominciò a cambiare i suoi atteggiamenti quotidiani, fino al punto che nessuno riconosceva più quella persona benestante che si godeva la sua vita beata. Sono state tante le decisioni prese da lui, ma non condivise dagli altri, compresa sua moglie che lo abbandonò, che lo resero pazzo agli occhi di tutti. Alla fine Gengè si ritirò in un ospizio per le persone povere e disagiate da lui stesso costruito. Lui, non usando più neanche il suo nome, diventò come i tanti altri in quell’ospizio, Perciò da uno Gengè diventò nessuno. Ma proprio grazie a quella metamorfosi lui cominciò a sentirsi finalmente libero. Libero da una moltitudine di maschere con le quali aveva avuto a che fare durante la sua vita prima di entrare nell’ospizio. “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Un saggio, eloquente e molto significativo messaggio di vita vissuta e sofferta, maestosamente scritto e trasmesso da Luigi Pirandello. Un messaggio che dovrebbe servire a tutti.

    Nel mondo ci sono state, ci sono e ci saranno sempre persone che si presentano con una doppia faccia, ossia dei bifronti. Come Ianus, meglio conosciuto come Giano, il primo dio italico, comunemente rappresentato con due fronti, due facce di un’unica testa: una davanti e l’altra dietro. Ma Giano viene considerato, più in generale, come la divinità dell’ingresso e dei passaggi. Tanto è vero che circa ventisette secoli fa Numa Popmilio, il secondo re di Roma ed il diretto successore di Romolo, dedicò a Giano il primo mese immediatamente dopo il solstizio d’inverno, raffigurando il mese con il quale si apre il nuovo anno. Ma nonostante il simbolismo di Giano come divinità bifronte, la persona di doppia faccia simboleggia l’ipocrisia, la falsità e l’inganno. Perciò nella nostra immagine collettiva, una persona di doppia faccia rappresenta sempre colui che, per determinati motivi ed interessi, cambia il suo linguaggio ed i suoi atteggiamenti a seconda delle convenienze. Comunemente una persona di doppia faccia è priva di dignità e di lealtà. Una persona di doppia faccia rappresenta la naturale o costretta mancanza di sincerità, rappresenta un essere umano con un’innata o acquisita abilità di manipolazione. Rappresenta un volto sempre coperto e nascosto da una o più maschere. Come quelle maschere, alle quali fa riferimento Luigi Pirandello.

    Purtroppo non sono poche le persone, con degli incarichi istituzionali, spesso molto importanti e di alto livello, che si presentano ed operano con una doppia faccia. E purtroppo non sono poche anche le conseguenze del loro operato. Sia a livello locale che internazionale. Conseguenze, le cui gravità le hanno sofferte e le stanno ancora soffrendo le popolazioni in diverse parti del mondo. Sia nel secolo passato, per non andare oltre, che in questi ultimi decenni. Come è accaduto in Afghanistan dal 2001 in poi. Da quando gli Stati Uniti d’America diedero inizio alla campagna militare nota come Enduring Freedom (Libertà duratura; n.d.a.), che aveva come obiettivo strategico il rovesciamento proprio del regime dei talebani. Una lunga presenza sul territorio di un ingente schieramento militare delle forze internazionali, soprattutto di quelle statunitense, durata venti anni. Una presenza che non solo non ha portato ad una “Libertà duratura”, ma, fatti accaduti e documentati alla mano, ha causato diversi scandali ed ha permesso di “chiudere gli occhi, le orecchie e la mente” di fronte ad una crescente corruzione a tutti i livelli del governo locale, i cui dirigenti avevano l’appoggio dei “rappresentanti internazionali”. Soprattutto di quelli statunitensi. Ma dopo una lunga presenza di quasi venti anni, tutto è finito con il vergognoso ritiro delle truppe internazionali, soprattutto quelle statunitensi, il 15 agosto 2021. Da allora i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, generando di nuovo altre e sempre crudeli sofferenze per la popolazione afghana. Una popolazione che ha sofferto veramente molto anche prima, dal 1979 fino al 1989, quando il Paese era stato invaso dalle truppe dell’allora Unione Sovietica. E poi, durante la presa del potere da parte dei clan locali e dei talebani negli anni ’90 del secolo passato. Ma l’irresponsabilità, l’ipocrisia delle persone con la doppia faccia che esercitano degli importanti incarichi istituzionali è una delle cause anche di quello che sta accadendo dal 14 febbraio 2022 in Ucraina, dopo l’invasione militare ordinata dal dittatore russo. Oppure di quello che sta accadendo in questi giorni in Sudan.

    Purtroppo l’irresponsabilità e l’pocrisia delle persone con la doppia faccia, le quali esercitano degli importanti incarichi istituzionali a livello internazionale, da anni ormai sta generando delle gravi problematiche e delle altrettanto gravi derivanti conseguenze anche in Albania. Il nostro lettore è stato spesso informato, nell’arco di questi anni, su una simile, preoccupante e pericolosa realtà vissuta e sofferta in Albania. Così come è stato informato, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, delle gravi conseguenze degli irresponsabili atteggiamenti di coloro che l’autore di queste righe da anni chiama i “rappresentanti internazionali”. Riferendosi soprattutto ai rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti d’America, compresa l’attuale ambasciatrice statunitense in Albania. Colei che durante tutto il suo operato in Albania ha violato palesemente la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, soprattutto i punti 1 e 2 dell’articolo 41 della Convenzione.

    Ma anche a qualche alto funzionario del Dipartimento di Stato. Riferendosi, altresì, anche a certi alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed alcuni rappresentanti dell’Unione in Albania, soprattutto quelli dell’ultimo decennio, esclusa l’attuale rappresentante. Si tratta di un preoccupante e del tutto non istituzionale operato, quello dei “rappresentanti internazionali” in Albania, ma soprattutto dell’attuale ambasciatrice statunitense, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, in pieno e palese sostegno di un primo ministro che rappresenta il peggio di quello che si poteva immaginare, riferendosi ad uno scenario da evitare, costi quel che costi. Di colui che rappresenta, almeno istituzionalmente la nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni in Albania. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano. Chissà perché?! Il nostro lettore è stato informato in continuazione di una simile, grave, preoccupante e pericolosa realtà non solo per l’Albania. Perché le conseguenze di quello che sta accadendo da alcuni anni in Albania, soprattutto a livello della corruzione diffusa, dell’abuso di potere, del controllo da parte del primo ministro, oltre al potere legislative ed esecutivo, anche di quello giudiziario e mediatico, del riciclaggio del denaro sporco, della collaborazione tra le varie criminalità organizzate internazionali si stanno verificando anche in altri Paesi europei, l’Italia inclusa.

    La scorsa settimana è arrivato in Albania, per una visita ufficiale, il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense. Colui che è l’incaricato anche per i Paesi balcanici, compresa l’Albania. Lui ha avuto degli incontri con il primo ministro ed il presidente della repubblica. Ma ha incontrato anche i rappresentanti di un “raggruppamento di opposizione” che da anni si sono messi al servizio del primo ministro, diventando una utile “stampella” per lui, nella sua irresponsabile e pericolosa corsa verso il potere assoluto. In seguito l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato ha rilasciato una lunga intervista in prima serata ad una televisione nazionale in buoni rapporti con il governo. Ebbene, durante quell’intervista il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense ha fatto delle dichiarazioni contraddittorie. Ha fatto delle affermazioni che, fatti alla mano, contrastavano con quanto era accaduto precedentemente. E nonostante abbia dichiarato che la sua visita “non era assolutamente legata con le elezioni amministrative” quelle del 14 maggio prossimo, tutto, sia gli incontri fatti durante la sua visita, soprattutto con il raggruppamento d’opposizione “stampella” del primo ministro, che quanto ha dichiarato durante la stessa intervista televisiva, dimostrava proprio il contrario di quello che l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato voleva far credere. Chissà se si è trattato di un altro caso di “doppia faccia”?!

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento, compreso il dannoso comportamento ipocrita di certi rappresentanti istituzionali internazionali, inclusi quelli statunitensi, anche nelle prossime settimane. Convinto che, come affermava Thomas Jefferson, colui che si permette di dire una bugia una volta, trova molto più facile farlo una seconda volta. Chi scrive queste righe pensa che oltre il simbolismo di Giano come divinità bifronte, le persona di doppia faccia simboleggiano l’ipocrisia, la falsità, la voluta manipolazione delle verità e l’inganno. Chi scrive queste righe trova molto significativa l’affermazione di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Sono veramente tante le maschere intorno a noi.

  • Tanto per la cronaca

    La sottosegretaria Frassinetti è stata contesta, da pochi irriducibili nostalgici dell’odio a tutti i costi, mentre deponeva una corona in ricordo di Sergio Ramelli vilmente assassinato da estremisti di sinistra nel 1975, un’epoca che ha gravemente insanguinato non solo le strade di Milano.

    Paola Frassinetti, che era accompagnata dal fratello di Fausto Tinelli, ucciso dall’estremismo di destra, ha voluto, nel ricordo di due giovani vite stroncate, riaffermare come sia sempre necessario dire no all’odio ed alla violenza.

    La contestazione al suo gesto dimostra non solo che sono ancora vivi i reduci della stagione dell’odio ma anche che certi linguaggi ed atteggiamenti di esponenti, anche autorevoli, della sinistra rischiano di nuocere gravemente al civile confronto ed al futuro di una corretta vita democratica.

    Piaccia non piaccia alla giunta del Sindaco Sala i cittadini, non solo di Milano, sono stanchi delle tante quotidiane violenze che devono subire in una città che da un lato è polo attrattivo economico e turistico e dall’altro è sempre più invivibile per i furti sui mezzi pubblici e nelle strade, per i lavori in corso che non finiscono mai, per la sporcizia ed il dissesto dei marciapiedi.

    Se ne faccia una ragione la consigliera del Pd Monica Romano: la pagina Instagram Milano bella da Dio, e qualunque altra pacifica iniziativa per smascherare ladri, truffatori ed anche eventualmente amministratori poco responsabili del loro ruolo, è utile e condivisa da molti.

  • Un regime che si sforza di ingannare con le apparenze

    La barba non fa il filosofo.

    Plutarco

    Barba non facit philosophum, ossia la barba non fa il filosofo. Ne era convinto Plutarco e lo aveva scritto in uno dei suoi trattati, parte integrante della raccolta intitolata Moralia (Opere morali; n.d.a.). Con quel detto il noto filosofo dell’antichità intendeva evidenziare quello che la saggezza popolare ha riassunto in tanti proverbi che mettono in guardia a non fidarsi alle apparenze. Sì, perché la saggezza umana, basata su secolari esperienze di vita vissuta e sofferta ci insegna ad essere molto attenti alle apparenze. “Sulle apparenze non formar giudizi, perché fallaci son gli esterni indizi”. Così recita uno dei proverbi. E su quel prezioso e sempre valido insegnamento della saggezza umana hanno scritto in molti, tra scrittori e filosofi, compreso anche Carlo Collodi.

    Tra le tante bellissime fiabe scritte da Carlo Collodi c’è anche “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati e senza amor proprio”. Una fiaba che ci racconta di Tommaso, ma che tutti chiamavano Masino. Come ci racconta Collodi “Masino aveva tutti i difetti che può avere un giovinetto della sua età, fra gli undici e i dodici anni”. Si, perché Masino era, tra l’altro, “disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il viso”. Ma era anche “spacciatore di bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario implacabile dei libri e della scuola”. Ragion per cui, come ci afferma Collodi, “…la mamma lo sgridava: il babbo lo rimproverava: il maestro lo puniva, i compagni di scuola lo canzonavano della sua buaggine”. Ma Masino era ormai abituato, non si preoccupava più di tanto e diceva fra se e se: “Quando avranno detto ben bene, si cheteranno!”. E così si rimetteva l’animo in pace. Ma un giorno Masino, come ci racconta Collodi, “si ficcò in testa di essere perseguitato ingiustamente”. E ne era convinto che “La colpa, dunque, non è mia. La colpa è della mamma, la quale non si cheta mai; la colpa è del babbo, che urla sempre… la colpa è del maestro, che ha bisogno di farmi scomparire tutti i giorni dinanzi a’ miei compagni di scuola”. Da quel giorno Masino cominciò a pensare alle tantissime ingiustizie che doveva sopportare. E come lui anche tanti altri ragazzi come lui. Perciò un giorno a Masino venne naturale la domanda: “Se mi facessi il difensore dei ragazzi come me?”. Prima pensò di scrivere un libro, una commedia “per dare una buona lezione ai babbi e alle mamme, e per correggere questi signori maestri, che sono peggio di tutti”. Ma poi, pensando alla commedia che poteva scrivere, gli venne il dubbio: “E se per disgrazia me la fischiano?”. No, doveva scegliere qualcosa di meglio. E allora pensò se “non sarebbe più liscia se scrivessi invece un bel raccontino, da mettersi sui giornali?”. Pensato, fatto. Il racconto lo intitolò “Un Ragazzino Modello, ossia una buona lezione per i genitori e per i maestri di scuola”. Il racconto cominciava così: “Masino era il più buon figliolo di questo mondo. Il suo babbo e la sua mamma lo sgridavano sempre, e lui li lasciava sgridare: il suo maestro, per cavarsi il gusto di punirlo, gli levava la colazione, e lui per prudenza faceva colazione prima di andare a scuola. Ma venne finalmente un giorno in cui i suoi genitori e il suo maestro si accorsero d’avere un gran torto a fargli sempre de’ rimproveri, e allora le cose andarono di bene in meglio”. E da quel giorno, come ci racconta Collodi, le cose andarono sempre meglio per Masino. La mamma non solo non lo sgridava, ma gli dava sempre ragione. Lei addirittura consigliava a Masino, quando lui non voleva andare a scuola, che “Per andare a scuola c’è sempre tempo […]. Non studiar tanto, perché a studiare c’è sempre tempo!”. Anche il babbo gli dava sempre ragione. Non solo ma era anche pronto a raccontare ai carabinieri delle punizioni che il maestro costringeva Masino a subire. Il babbo era pronto ad andare e dire al maestro che “…i maestri possono pretendere che i loro scolari sappiano la lezione… ma obbligarli a studiare, no, no, mille volte no!”. E come ci racconta Collodi “…il babbo andò davvero a trovare il maestro, e gli fece una bella lavata di capo, da ricordarsene per un pezzo”. Dopodiché il maestro capì di aver sbagliato e si pentì. E quando Masino andò poi l’indomani a scuola, Collodi ci assicura che il maestro, tenendo il berretto in mano, disse: “Scusa, sai, Masino, se l’altro giorno ti messi in penitenza. Fu uno sbaglio, perdonami: tutti si può sbagliare in questo mondo. Che cosa avevi fatto, povero figliuolo, da meritarti quel castigo? Non avevi imparato la lezione… Ma è forse questa una mancanza? Che forse gli scolari hanno l’obbligo di saper la lezione?”. E leggendo la fiaba possiamo sapere che finalmente “Agli esami della fin dell’anno, il bravo Masino si fece moltissimo onore, e il suo babbo e la sua mamma gli regalarono venti pasticcini e un panforte di Siena”. Quello aveva scritto Masino. Una volta scritto il Racconto, come ci conferma Carlo Collodi, l’autore della fiaba, Masino offrì il testo a “parecchi giornali, ma nessuno volle accettarlo. I più benigni si contentarono di ridergli in faccia”. Allora Masino, si consolò dicendo: “Peccato che nessuno abbia voluto pubblicarmi questo Racconto! Che bella lezione sarebbe stata per i genitori brontoloni e per i maestri tiranni! …. Ma ormai ci vuole pazienza! E i ragazzi, con la scusa di farli studiare, si troveranno sempre perseguitati!….”. Con queste frasi termina il Racconto di Masino che voleva apparire completamente diverso da quello che in realtà era. E, in più, voleva convincere anche tutti gli altri che era proprio come il Masino del Racconto da lui scritto e non quello che conoscevano e sgridavano sempre la mamma, il babbo ed il maestro. Così finisce questa fiaba. E come da tutte le fiabe, c’è sempre tanto da imparare e da tenere bene in testa. Perché potrebbero essere anche nella vita vissuta tante situazioni simili a quelle descritte nelle fiabe. Compresa “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati …” di Carlo Collodi.

    Quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Albania, potrebbe servire come soggetto non di una fiaba, ma bensì di un dramma, se non, addirittura, di una tragedia. Ma comunque ha qualcosa in comune anche con la sopracitata fiaba di Carlo Collodi. E la cosa in comune riguarda proprio la disperata tentazione di apparire all’opposto di quello che realmente si è. Da tempo lo sta facendo il primo ministro albanese, che cerca di apparire come un personaggio “interessante, originale e fuori dal comune”. Cercando anche, costi quel che costi, di convincere gli altri di una simile apparenza e soprattutto che lui è una persona perbene. Nonostante la realtà quotidiana, quella vissuta e sofferta, testimonia proprio il contrario. Il nostro lettore è stato da anni informato con tutta la dovuta oggettività, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dei continui abusi di potere, dei tantissimi e sovrapposti scandali di corruzione e di malgoverno che coinvolgerebbero direttamente e/o indirettamente proprio lui, il primo ministro albanese.

    Ma quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini che ci sono anche molte altre persone, rappresentanti politici ed istituzionali di altissimo livello, che cercano di apparire proprio per quelli che non sono. Come aveva tentato di fare Masino, nella sopracitata fiaba di Carlo Collodi. Ma, facendo riferimento soltanto a quello che è accaduto dall’inizio di questo mese di marzo in poi in Albania, non ci sono dubbi che ci siano anche altre persone che cercano di ingannare con le apparenze e di generare danni e gravissime conseguenze con le loro prese di posizione e le loro decisioni. E che, nascoste dietro quelle fasulle apparenze, agiscono per quello che realmente sono, recando ulteriori danni. Ma facendo riferimento a quanto è successo dall’inizio di questo mese risulterebbe che ci siano anche dei giudici, che con i veri giudici non hanno niente in comune, i quali, purtroppo, con le loro “decisioni” in palese violazione della Costituzione del Paese e delle leggi in vigore, stanno contribuendo, nolens, volens ad annientare il pluripartitismo ed a consolidare la nuova dittatura in Albania. Basta riferirsi alla decisione presa il 3 marzo scorso da tre giudici della la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana, in base alla quale è stata negata al maggior partito dell’opposizione di registrarsi per partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo. Il nostro lettore è stato informato di quella decisione la scorsa settimana (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023).

    Quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che il nuovo e “riformato” sistema di giustizia ormai è controllato direttamente e personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che significa la violazione del principio della separazione dei poteri, definito da Montesquieu già dal 1748 e che rappresenta un fondamentale criterio per giudicare e valutare se un sistema politico sia democratico, oppure un regime autoritario, una dittatura. Tutto l’operato delle istituzioni del nuovo e “riformato” sistema di giustizia in Albania dimostra e testimonia inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed in seguito attuata sottomissione del sistema alle volontà del primo ministro. Il che significa anche il voluto fallimento dei “buoni propositi” con i quali hanno cercato, alcuni anni fa, di convincere tutti sulla “bontà e validità” della riforma del sistema di giustizia in Albania. E si sa che l’ideatore di questa riforma è stata una Fondazione per la Società aperta che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa di oltreoceano. I rappresentanti di quella Fondazione ne hanno dichiarato con vanto la loro paternità, riferendosi alla riforma del sistema di giustizia in Albania. Ma non hanno mai ammesso il suo fallimento. E così facendo loro hanno cercato di apparire per quelli che non sono e di convincere anche gli altri e farli credere a quella ingannatrice apparenza. Anche di questa allarmante e preoccupante realtà il nostro lettore è stato da anni e spesso informato.

    Quanto è accaduto e sta accadendo, sia prima che in queste ultime settimane in Albania, dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che alcuni miseri individui, ubbidendo alle “direttive” pervenute dagli uffici governativi, fanno di tutto per apparire come i veri rappresentanti politici del maggior partito dell’opposizione. E così facendo diventano sempre più ridicoli ed incredibili. Ma il danno lo stanno recando e come. Chissà perché e per quale profitto?! Si tratta di alcuni individui i quali pretendono di rappresentare il maggior partito dell’opposizione, ma che invece riescono a malapena rappresentare se stessi. Anche perché il loro “capo”, nonostante avesse rassegnato le dimissioni come dirigente del partito il 21 marzo 2022, cioè un anno fa, risulta essere ancora in funzione per il tribunale di Tirana. Chissà perché?! Si sa però che lui, per anni, è stato la “stampella” del primo ministro e come tale sta miseramente servendo anche adesso. Di questi miseri e ridicoli “dirigenti politici” il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito. Così come è stato informato, altresì, del comportamento di certi “rappresentanti internazionali” in servizio in Albania, nonché di alcuni loro superiori, sia oltreoceano che nelle istituzioni dell’Unione europea. E tutti hanno una cosa in comune; sono degli ipocriti, che predicano bene ma razzolano male, cercando di nascondersi dietro delle ingannatrici apparenze. E così facendo hanno, purtroppo, sostenuto un autocrate, un dittatore che collabora con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali.

    Chi scrive queste righe è convinto e lo ripete spesso che quello restaurato in Albania in questi ultimi anni è un regime che, tra l’altro, si sforza di ingannare con le apparenze. Lo ha fatto sempre ma soprattutto lo sta facendo adesso,che si trova in vistose difficoltà dovute ai tantissimi scandali che si susseguono e che si sovrappongono. Chi scrive queste righe ha riletto con piacere la fiaba “L’avvocatino difensore…” di Carlo Collodi. Anche perché è convinto che la barba non fa il filosofo. E che le apparenze non possono ingannare a lungo neanche in Albania.

  • Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato

    I dittatori cavalcano avanti e indietro su tigri da cui non osano scendere.

    E le tigri diventano sempre più affamate.

    Winston Churchill

    Eraclito di Efeso era uno dei primi pensatori e filosofi della Grecia antica. Dai dati storici risulta essere vissuto tra il quinto ed il quarto secolo a.C. Ѐ stato considerato come il Pensatore oscuro da altri suoi contemporanei e dagli studiosi. Ma da diverse testimonianze dell’epoca tramandateci, risulterebbe che anche lui era convinto che il suo pensiero difficilmente potesse essere capito bene dagli altri. Il suo pensiero filosofico era stato raccolto nel libro Perì physeos (Sulla natura; n.d.a.) da lui scritto proprio mentre era in ritiro meditativo nel tempio di Artemide. Ma di quel libro, in seguito, sono rimasti solo dei frammenti, circa 130, dai quali è stato tramandato il suo pensiero filosofico. Un pensiero, quello, che è stato valutato e preso in considerazione da molti altri filosofi, fra i quali anche Aristotele e Socrate. Uno degli argomenti trattati da Eraclito di Efeso, come risulta dai frammenti pervenuti fino ai giorni nostri, è la lotta dei contrari. Per il filosofo si trattava di un rapporto incessante, di un legame ma anche di uno scontro perenne tra opposti. Per lui l’opposizione è una necessità e la realtà delle cose si manifesta attraverso una relazione tra le parti contrarie. Eraclito di Efeso era convinto che ciascun aspetto si oppone all’altro ma si sviluppa anche dall’altro. L’importanza delle opposizioni non vale solo per i fenomeni naturali. La storia, quella grande maestra, ci insegna, altresì, che le opposizioni, partendo da quelle di pensiero, ma anche quelle politiche, garantiscono lo sviluppo delle società umane. La storia ci insegna, però, che le conseguenze della mancanza di opposizione sono state sempre preoccupanti e spesso anche gravi. Quanto è accaduto, dall’antichità e fino ai giorni nostri, in diverse parti del mondo, dove le opposizioni sono state soppresse ne è una drammatica ma significativa testimonianza. La storia ci insegna che i regimi autoritari, le dittature hanno causato sempre sofferenze e privazioni. Ma la storia ci insegna anche che, in base all’universale principio della ‘lotta dei contrari’, nessun regime, nessuna dittatura è stata duratura. E per abbatterle sempre è stato necessario, se non indispensabile, la reazione contraria, la ribellione sociale. Si, perché la storia, quella grande maestra, ci insegna che nessun regime, nessuna dittatura si vince con dei processi democratici, comprese le elezioni. I regimi, le dittature si rovesciano con le sacrosante rivolte dei cittadini e poi si avviano i processi democratici, partendo da elezioni libere e pluripartitiche.

    Riferendosi ai dizionari, una dittatura viene definita come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”, mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848 nella sua opera intitolata Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.). In un regime autoritario e/o in una dittatura una sola persona, il dittatore e/o chi per lui, controlla tutti i poteri e cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario. In questi ultimi decenni, i dittatori cercano di controllare, e spesso ci riescono, anche quello che viene definito il quarto potere, i media. Un potere che non esisteva come tale quando Montesquieu definiva il suo principio. Negli ultimi decenni si stanno evidenziando anche delle forme camuffate di dittature che usano una facciata di pluripartitismo, ma dove in realtà tutto viene controllato e condizionato dal regime. Si cerca di far credere che la Costituzione del Paese venga rispettata, mentre invece tutto è semplicemente e realmente un inganno. Questa forma di camuffamento di solito è nota anche come una frode costituzionale, un golpe bianco, ossia un ipotetico colpo di Stato senza l’uso della forza.

    Ma in questi ultimi decenni si sta affrontando anche un altro tipo di dittatura, nota ormai come la dittatura del relativismo. Una realtà spesso trascurata, ma ciò nonostante ben presente, trattata da vari studiosi. Una realtà trattata anche nell’omelia durante una Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Era il 18 aprile 2005. All’inizio del mese, il 2 aprile, aveva lasciato questo mondo Karol Wojtyla, ossia Papa Giovanni Paolo II. E come da secolare tradizione, i cardinali dovevano eleggere il nuovo papa. Il cardinale Joseph Ratzinger, allora decano del Consiglio cardinalizio Patriarcale, ha presieduto la Messa per eleggere il nuovo Pontefice, che è stato poi eletto il giorno successivo dal Conclave. Ed è stato proprio il cardinale Ratzinger, che prese il nome Benedetto XVI. Ma durante l’omelia della Santa Messa del 18 aprile 2005, egli ha citato anche un passaggio della lettera di San Paolo ai Efesini, dove si scriveva: “Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” (San Paolo; Lettera agli Efesini; 4, 14). Poi ha aggiunto, dicendo: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quanti modi del pensiero […] dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. In seguito l’allora cardinale Ratzinger ha fatto riferimento al relativismo, cioè a quel modo di “lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’ [che] appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”. In seguito, convinto e perentorio egli ha ribadito: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Uno studioso, trattando il tema del relativismo e della facilità con la quale si passa da un concetto ad un altro, nonché la confusione che crea il relativismo, ha scritto che “Un’altro modo di dire della frase ‘dittatura del relativismo’, potrebbe essere la ‘tirannia della tolleranza’”.

    L’autore di queste righe, quando si tratta di dittature e delle conseguenze dell’indifferenza umana nei suoi confronti spesso si ricorda di una poesia molto significative scritta da Martin Niemöller, un noto teologo e pastore protestante tedesco, La poesia intitolata Prima vennero… tratta proprio delle conseguenze dell’indifferenza di fronte a quello che può succedere in una dittatura. Lo stesso pastore Niemöller è stato arrestato nel 1937 in seguito ad un ordine personale di Hitler, arrabbiato per un sermone del pastore. Da allora e fino al maggio 1945 è stato prigioniero in diversi campi di concentramento. Della sopracitata poesia esistono alcune versioni, a seconda dei Paesi dove veniva pubblicata. Ma l’autore, quando gli domandavano qual era la sua versione preferita, non aveva dubbi. Quella versione della poesia Prima vennero… recita così: “Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici,/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. L’autore di questa righe, riferendosi a questa poesia, ha scritto per il nostro lettore: “Sono parole che devono servire da lezione a tutti, in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo. Parole che dovrebbero far riflettere, per poi trarre le dovute conclusioni e agire di conseguenza. Perché, come la storia ci insegna, l’indifferenza e l’apatia, soprattutto in determinati momenti, potrebbero fare veramente male, sia alle singole persone che alle intere società. Perché i regimi totalitari e le dittature, restaurati anche grazie all’indifferenza e all’apatia umana, fanno veramente male e causano inaudite e crudeli sofferenze, sia alle singole persone, che alle intere società” (L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio; 24 giugno 2019).

    Durante questi anni il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche del restauro e del consolidamento in Albania di una nuova e pericolosa dittatura. Una dittatura sui generis che la propaganda governativa da anni cerca di camuffarla usando una facciata di pluripartitismo. Ma fatti accaduti, documentati, pubblicamente ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano inconfutabilmente che si tratta di una vera e propria dittatura. Si tratta in realtà di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato informato, con la necessaria e dovuta oggettività, di tante conseguenze drammaticamente sofferte in questi anni dagli albanesi. Ragion per cui, nonostante in Albania non si combatte come in altri Paesi, in questi ultimi anni, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione ha lasciato il Paese, richiedendo asilo altrove. E circa il 70% di coloro che sono andati via sono giovani. Tutto dovuto alla nuova dittatura in Albania. Una dittatura ed un dittatore che, sempre fatti accaduti alla mano, hanno fatto dell’abuso di potere e della corruzione due dei pilastri sui quali si fonda il nuovo regime. Così come sulla connivenza e la stretta collaborazione con la criminalità organizzata. Si tratta sempre di una dittatura corrotta e che corrompe, simile al suo rappresentante istituzionale, il primo ministro. Il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane di uno scandalo internazionale che vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo sul quale si sta indagando attualmente negli Stati Uniti d’America (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023). Tutto rimane da seguire.

    Ma mentre tutta l’attenzione pubblica e politica era concentrata su questo scandalo, venerdì scorso la dittatura è entrata di nuovo in azione. Ed ha usato una delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana. Tre giudici di quella Corte hanno semplicemente letto una decisione scritta negli uffici governativi. Loro sono stati resi semplicemente dei miseri prestanome. Una decisione che qualsiasi corte in qualsiasi Paese dove funziona il principio della separazione dei poteri di Montesquieu, non poteva mai prendere. Una decisione che neanche uno studente di una facoltà di giurisprudenza non poteva mai e poi mai prendere in considerazione, perché sarebbe stato bocciato subito dal professore. Ma in Albania succede anche questo. In Albania il primo ministro sta cercando di annientare l’opposizione, rafforzando così la sua dittatura, ormai smascherata. Una decisione con la quale il primo ministro ha deciso di privare il maggior partito dell’opposizione dal suo diritto costituzionale di partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo.

    Chi scrive queste righe seguirà e tratterà ampiamente quanto accadrà dopo questo atto allarmante e pericoloso della dittatura in Albania. Perché si tratta veramente di un atto molto pericoloso e che potrebbe avere delle imprevedibili conseguenze. E informerà il nostro lettore come sempre, con la dovuta oggettività. Egli è convinto che in una simile situazione bisogna non dimenticare quanto scriveva Benjamin Franklin. E cioè che ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Chi scrive queste righe, parafrasando Wiston Churchill, pensa che il dittatore albanese sta cavalcando avanti e indietro una tigre da cui non osa scendere. E la tigre diventa sempre più affamata.

  • Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico

    Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato.

    Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico.

    Lucio Anneo Seneca

    L’autocrate è una persona che esercita potere assoluto. Ѐ colui che agisce da padrone onnipotente e che impone con modi duri e anche disumani, la propria volontà. Una definizione che si trova nei dizionari e/o nelle enciclopedie. Etimologicamente la parola autocrate deriva dal greco antico ed è composta da due parole “se stesso” e “dominio/potere”. Perciò si tratta di una persona che ha concentrato su se stesso il potere. La storia ci insegna che ci sono stati tanti autocrati, dall’antichià e fino ai giorni nostri. Nomi noti e meno noti. Ognuno con le sue proprie caratteristiche, con le impronte delle rispettive epoche storiche, ma che tutti, comunque, hanno avuto in comune il multidimensionale potere esercitato. La storia però ci insegna che anche gli autocrati, i dittatori, da esseri umani, hanno dimostrato di essere stati preda delle proprie paure, angosce, attacchi di panico ed altre “debolezze” umane. Una dimostrazione e testimonianza molto significativa ci è stata trasmessa maestosamente da William Shakespeare nella sua ben nota tragedia “Macbeth”. Il personaggio principale della tragedia, un nobile scozzese, Macbeth, dopo aver ucciso il re della Scozia, diventa un tiranno onnipotente. Diventa un re senza scrupoli e convinto di aver fatto la cosa giusta uccidendo il re Duncan. Complice anche sua moglie, lady Macbeth. Ma, con il passare del tempo, diventa preda degli incubi e degli attacchi di panico che lo assalgono. Lui vede ovunque dei nemici, suoi oppositori e non si fida di nessuno. Alla fine, durante una battaglia, invoca l’oracolo delle streghe dal quale viene assicurato che nessun essere umano partorito da donna potrà ucciderlo. Ma il suo avversario sul campo, Macduff, che era nato con un parto cesareo, lo uccide decapitandolo. Finalmente la monarchia in Scozia viene restaurata e uno dei figli di Duncan prende il trono del padre.

    Purtroppo anche negli ultimi decenni gli autocrati, i dittatori, sono stati tanti e in diverse parti del mondo. Basta riferirsi a quelli che hanno costituito e guidato alcune dittature della prima metà del secolo passato in Europa. E anche a coloro che hanno gestito le dittature comuniste dopo la seconda guerra mondiale. Ma anche attualmente gli autocrati, i dittatori, sono non pochi e gestiscono il loro potere assoluto a seconda delle “caratteristiche locali”. Non di rado cercando di camuffarsi anche dietro delle fasulle “apparenze democratiche” dando vita così a delle forme di Stato che si presentano come combinazioni ibride tra i regimi totalitari con degli elementi di Stati democratici, comprese le elezioni e le facciate pluripartitiche. Elezioni che però vengono sempre controllate e condizionate dal potere dell’autocrate, il quale risulta sempre vincitore. Potere che cerca e spesso ci riesce a mettere sotto controllo tutto e tutti, compresi anche i sacrosanti diritti umani, innati e/o acquisiti. Tutto ciò mentre e nonostante gli Stati controllati dagli autocrati possano aver sottoscritto formalmente diverse Convenzioni internazionali che sanciscono proprio la difesa ed il rispetto di quei diritti. Basta riferirsi, purtroppo, a delle ben note realtà e solo in Europa in questi ultimi anni, come quelle in Russia, in Bielorussia, in Turchia o in qualche altro Paese, Balcani compresi. E nel suo piccolo, anche in Albania.

    Il nostro lettore da molti anni ormai, è stato spesso informato della drammatica, pericolosa e molto preoccupante realtà albanese. Tutto dovuto ad una ben ideata, programmata ed altrettanto ben attuata restaurazione di un nuovo regime autocratico, di una nuova dittatura sui generis camuffata da una fasulla facciata di pluripartitismo. Si tratta, in realtà, di un’alleanza pericolosa in azione tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata non solo locale, anzi, e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Soprattutto uno di quei raggruppamenti, da oltreoceano, è da tanti anni molto presente e molto attivo in Albania con dei “progetti” e delle “strategie” locali e regionali che, con dei finanziamenti continui e milionari, appoggia la costituzione di una “società aperta”. Ma che, fatti documentati alla mano, ha come obiettivo strategico ben altro: la costituzione di “porti franchi”, dove poi si possano gestire delle attività che non hanno niente a che vedere con la “società aperta”. Quanto sta accadendo nei Balcani occidentali ne è una eloquente dimostrazione. Così come, quanto sta accadendo in alcuni Paesi africani e in Sri Lanka ne è una inconfutabile testimonianza. Ma anche quanto sta accadendo con i flussi migratori che partono da paesi in guerra, in Nord Africa, in Medio Oriente, nonché da altri Paesi con delle grosse problematiche sociali e con una diffusa povertà molto preoccupante testimonia la falsità e l’ipocrisia della “facciata benefica ed umanitaria” di quel raggruppamento che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Proprio colui, o chi per lui, che da molti anni ormai ha selezionato ed ha appoggiato la “scalata politica” dell’attuale primo ministro albanese. Proprio colui che “finanzia” anche alcune ONG (organizzazioni non governative; n.d.a.) che sono presenti nelle acque del Mediterraneo e che hanno come obiettivo dichiarato quello di soccorrere, aiutare ed assistere i flussi continui dei profughi che scappano dai propri paesi e attraversano il Mare Nostrum in cerca di migliori condizioni di vita. Quanto è purtroppo accaduto nelle primissime ore della mattina di domenica scorsa, 26 febbraio, ad alcune decine di metri dalla costa crotonese, nei pressi della spiaggia della frazione Steccato di Cutro, sul mar Ionio, rappresenta una tragica testimonianza di quella “strategia” abusiva ed occulta che mira ad organizzare, controllare e gestire i flussi migratori che cercano di arrivare in Europa.

    Ebbene, se in Albania, dal 2013, quando ha avuto il suo primo mandato, l’attuale primo ministro, fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati ufficialmente alla mano, è diventato a tutti gli effetti un autocrate qual è, questo è merito anche e soprattutto dell’attivo e sempre presente appoggio del multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Un fatto ben noto ormai in Albania. Un fatto confermato anche dalle cattive lingue che molto difficilmente sbagliano nelle loro affermazioni per tutto ciò che accade lì. E per facilitare il compito dell’autocrate albanese, il suo “protettore” di oltreoceano ha pensato bene anche ad ideare, programmare ed attuare la riforma del sistema della giustizia in Albania. Una “riforma” che invece di garantire una giusta giustizia per i cittadini,  invece di garantire la meritata condanna per chiunque violasse la legge, partendo dalle più alte autorità dello Stato, ha garantito proprio il controllo di tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia personalmente dal primo ministro, il “prescelto”. Il nostro lettore anche di questa realtà è stato continuamente e oggettivamente informato da anni ormai. Così come, da anni, è stato informato anche della pericolosa connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale. Compresa quella italiana, soprattutto la “Ndrangheta”, molto attiva con dei finanziamenti miliardari in diversi settori in Albania. Ma anche per riciclare ingenti somme di denaro sporco in Albania, essendo diventato un Paese dove questa attività risulterebbe abbia l’appoggio del potere politico. Fatto confermato da alcuni anni anche dai rapporti ufficiali di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Così come dai rapporti di un’altra struttura specializzata, la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa grave, preoccupante e pericolosa realtà.

    Attualmente un altro scandalo vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo scoperto negli Stati Uniti d’America. Uno scandalo indagato per mesi e poi reso pubblico il 23 gennaio scorso. Uno scandalo che ha come principale protagonista un ex alto funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.). Uno scandalo che dal 23 gennaio scorso ad oggi sta avendo un vasto e molto dettagliato trattamento dai massimi giornali e media negli Stati Uniti. Uno scandalo che, nonostante i vari tentativi della propaganda governativa e degli “analisti ed opinionisti a pagamento” in Albania di “relativizzare” il caso e, cioè, di minimizzarlo e possibilmente di metterlo nel dimenticatoio, è diventato da più di un mese ormai’ una “patata bollente”. Si tratta di uno scandalo su cui stanno indagando da mesi negli Stati Uniti d’America. Sono due le procure; quella della capitale e quella di New York. E in tutte e due le indagini si fa un diretto e chiaro riferimento al primo ministro albanese, ad un ex agente dei servizi segreti albanesi e ad un “consigliere esterno” del primo ministro che, sempre da quanto è stato reso pubblico, ha goduto di un suo continuo supporto, nonché di un rapporto con lui che va ben oltre quello “istituzionale”. Ma, oltre alle due procure, sono anche due commissioni parlamentari, una del Congresso e l’altra del Senato, costituite in queste settimane che stanno altresì indagando sullo stesso scandalo. Il nostro lettore è stato informato, come sempre, con la dovuta oggettività di questo scandalo, tuttora in corso, in queste ultime settimane (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023).

    L’evoluzione delle indagini sullo scandalo, condotte dalle due procure, quella di Washington D.C. e quella di New York, nonché quelle condotte dalle due commissioni parlamentari, questa volta è fuori dal controllo personale del primo ministro albanese. Controllo che, invece, è ben evidente, documentato, testimoniato e ufficialmente denunciato riferendosi al sistema “riformato” della giustizia in Albania. Ragion per cui lui adesso, preso dal panico, sta facendo di tutto, costi quel che costi, per mantenere e rafforzare il suo pericoloso potere dittatoriale. Perché è l’unica sua speranza, approfittando della sua immunità istituzionale, di non essere condotto ed indagato, anche lui, negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui, adesso più che mai e costi quel che costi, il primo ministro e i suoi strateghi cercheranno di “vincere”, cioè di condizionare e manipolare il risultato delle prossime elezioni amministrative locali, previste per il 14 maggio prossimo. In più il primo ministro ed i suoi strateghi cercheranno di “annebbiare” e possibilmente di annientare tutte le accuse dei dirigenti dell’opposizione, legate allo scandalo in corso. Attualmente gli strateghi del primo ministro stanno cercando di attuare due obiettivi posti contemporaneamente. Il primo dei quali è il fermo rifiuto della costituzione di una commissione d’indagine per il primo ministro sullo scandalo in corso, come prevede e sancisce in modo chiaro ed indiscusso, l’articolo 77 della Costituzione della Repubblica albanese. Il secondo obiettivo è l’espulsione di sempre più deputati dell’opposizione dai lavori parlamentari. Fino al 23 febbraio scorso erano ventitré i deputati dell’opposizione espulsi in palese violazione del Regolamento del Parlamento albanese.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare questo scandalo in corso. E lo farà in seguito. Anche perché ogni giorno che passa si arricchisce di nuovi e scottanti dettagli. E ogni giorno che passa in Albania si tenterà di rafforzare, costi quel che costi, il potere assoluto del primo ministro, di quell’autocrate corrotto e che corrompe, ma che ormai è in preda al panico. Ragion per cui anche lui, come Macbeth, vede nemici dappertutto e non si fida più di nessuno, tranne alcuni pochissimi suoi fedelissimi. Per lui tutto è incerto ormai. Aveva ragione Seneca quando affermava che “Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico”.

  • Thousands flee to Ethiopia amid Somaliland violence

    The UN says tens of thousands of civilians have fled the self-declared republic of Somaliland and crossed the border into neighbouring Ethiopia following fighting between regional government forces and local militias.

    The number of people who have left Somaliland’s Las Anod district and arrived in Ethiopia’s Doole area in the past month could be as high as 80,000, the UN’s refugee agency, the UNHRC, has said.

    Most of those arriving are women, pregnant and lactating mothers as well as children – including some who are separated from their families – according to the agency.

    Last week the UN said that an average of 1,000 people were crossing into Ethiopia each day fleeing the violence.

    This has increased humanitarian needs in the hosting areas which themselves are among the worst hit by a severe drought affecting East Africa following five consecutive failed rainy seasons.

    Additionally, more than 180,000 people are believed to have been internally displaced and settled in 66 camps within Somaliland.

    Somaliland declared its independence from Somalia in the early 1990s but has not been internationally recognised.

    It had been a relatively stable region in the volatile Horn of Africa.

    Tensions have however been fermenting in recent months after elections were delayed. Scores were killed earlier this month when fighting broke out in Las Anod.

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