Democrazia

  • Ad un anno dall’invasione russa Milano ricorda il Premio Sakharov per la libertà di pensiero al popolo ucraino

    Venerdì 24 febbraio l’ufficio del Parlamento europeo a Milano, in collaborazione con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea, il Consolato generale ucraino a Milano, Linkiesta e la sua sezione in lingua ucraina Slava Evropi promuove un’iniziativa per ricordare, a un anno dalla brutale invasione russa, l’assegnazione del premio Sakharov per la libertà di pensiero al coraggioso popolo ucraino.

    Alle ore 18, al Centro Brera (Via Formentini 10) tavola rotonda moderata da Christian Rocca (direttore editoriale Linkiesta) con i saluti istituzionali Maurizio Molinari, capo dell’Ufficio del Parlamento europeo a Milano Massimo Gaudina, capo della Rappresentanza della Commissione europea a Milano Andrii Kartysh, console generale d’Ucraina a Milano, e gli interventi di Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo, Yaryna Grusha Possamai, scrittrice, docente di lingua e letteratura ucraina, curatrice di Slava Evropi Viktoriia Lapa, Lecturer, Università Bocconi, UaMi Artem Zaitsev, testimone e rappresentante di UaMi Olga Tokariuk, giornalista, fellow al Reuters Institute (in collegamento). Momento musicale con Nelly Kolodii, violinista ucraina orchestra dell’Accademia della Scala

    Dalle ore 20 in piazza Duomo partecipare al sit-in giornaliero della Comunità ucraina.

    Il prossimo 24 febbraio ricorrerà il primo anniversario dell’aggressione contro l’Ucraina della Federazione russa. Questa data assume un forte significato simbolico, poiché il popolo ucraino ha dimostrato una capacità incredibile di resistenza e risposta ad un’invasione ingiustificata, violenta e non provocata. Infatti, l’esercito russo e le loro forze armate per procura – come il gruppo di mercenari «Wagner» – hanno ripetutamente commesso esecuzioni sommarie, violenze sessuali, torture o veri e propri massacri, prendendo di mira i civili residenti in alcune città (come e Bucha, Irpin, Izium e Lyman), oppure edifici pubblici (come l’attacco al teatro di Mariupol), provocando migliaia di vittime. Lo scorso dicembre anche il Parlamento europeo ha formalmente riconosciuto gli sforzi eccezionali compiuti dal popolo ucraino, dedicandogli il Premio annuale Andrej Sakharov per la libertà di pensiero. Per ricordare e riflettere sul primo anno di guerra in Ucraina, venerdì 24 febbraio si terrà l’evento «Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero al coraggioso popolo ucraino».

  • Peru protests: New President Boluarte faces genocide inquiry

    Peru’s top prosecutor has launched an inquiry into President Dina Boluarte and key ministers over weeks of clashes that have left dozens of people dead.

    The officials are being investigated on charges of “genocide, qualified homicide and serious injuries”.

    Violence erupted after ex-President Pedro Castillo was arrested in December for trying to dissolve Congress.

    On Monday, 17 people died in clashes between Castillo supporters and security forces in south-eastern Peru.

    Dozens more were injured in the city of Juliaca in what was the worst day of violence so far. Many of the victims had gunshot wounds.

    The authorities accused the protesters of trying to overrun Juliaca’s airport and a local police station. An overnight curfew is now in place in the region.

    On Tuesday, the attorney general’s office announced its decision to investigate Ms Boluarte, as well as Prime Minister Alberto Otárola along with the defence and interior ministers.

    The president and her ministers have not publicly commented on the issue.

    Castillo supporters – many of whom are poor indigenous Peruvians – say President Boluarte must resign, snap elections be held and the former president released.

    Mr Castillo, a left-winger, tweeted from his prison cell, saying those defending Peru from what he called the coup dictatorship would never be forgotten.

    In a separate development on Tuesday, Mr Otárola’s government comfortably won a vote of confidence in Congress.

    The South American nation has been through years of political turmoil, with the latest crisis coming to a head when Mr Castillo announced he was dissolving Congress and introducing a state of emergency in December.

    But Congress proceeded to vote overwhelmingly to impeach him.

    The former president is being investigated on charges of rebellion and conspiracy. He denies all the accusations, insisting that he is still the country’s legitimate president.

  • Iran: le nostre responsabilità

    La situazione iraniana sotto il profilo dei diritti civili sta ormai sprofondando verso un punto di non ritorno ed è l’espressione più evidente di un regime totalitario ormai in metastasi, senza alcun sostegno della propria popolazione.

    Sarebbe tuttavia superficiale e profondamente sbagliato dimenticare le responsabilità attribuibili all’intero mondo “occidentale” il quale ha sempre dimostrato un atteggiamento accondiscendente verso il regime teocratico iraniano, se non altro come espressione di un sentimento antisraeliano.

    L’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva stipulato, nell’ambito della politica estera relativa al Medio Oriente, una alleanza con l’Arabia Saudita, quindi con i musulmani sunniti, anche in contrapposizione al regime teocratico iraniano sciita.

    L’inversione di strategia nella politica estera espressa dalla nuova amministrazione Biden non solo ha determinato la perdita di un alleato come l’Arabia Saudita all’interno dell’Opec, la quale infatti ha appoggiato il taglio della produzione di petrolio di due milioni di barili, ma soprattutto ha riportato l’Iran all’interno dello scenario internazionale con una posizione di forza. Una scelta talmente scellerata e miope che ha determinato degli effetti persino all’interno della guerra tra la Russia e l’Ucraina in quanto il regime iraniano ha dimostrato il proprio sostegno sia economico che armato a Putin.

    Alle responsabilità statunitensi si aggiunge anche la sudditanza culturale dimostrata da tutte le principali istituzioni politiche europee e nazionali le quali hanno dimostrato sempre una grande attenzione per la teocrazia iraniana, anche mortificando spesso i principi democratici italiani.

    In altre parole, la rinnovata forza del sistema teocratico iraniano nasce anche dalla sua ricollocazione all’interno dello scenario politico internazionale come conseguenza della politica statunitense e della accondiscendenza europea, quindi dell’amministrazioni Biden e del cerchiobottismo dell’Unione Europea nei confronti del regime iraniano.

    Una parte della responsabilità di questa deriva assolutamente ingiustificabile del regime iraniano nasce quindi anche dalla nostra debolezza espressa nel mantenimento dei principi democratici sacrificati sull’altare delle convenienze economiche e politiche.

  • Il Dragone ci riprova e l’OMS latita

    Nel 2020 l’anno inizia con il covid, misteriosa malattia che, piaccia o non piaccia, arriva dalla Cina.

    In breve tempo contagi, morti, ospedali pieni e bare che non si riescono a far arrivare al cimitero o all’inceneritore: ricordiamo tutti i giorni della paura e del dolore.

    Continuano ancora oggi gli accertamenti, osteggiati dal governo cinese, per verificare la vera causa che ha scatenato la pandemia, laboratorio, involontario o meno, o catena di trasmissione tra animali con l’approdo all’essere umano?

    Certo è che il governo cinese ha, per troppo tempo, negato l’esistenza del virus che già dal 2019 si era propagato nel Paese del Dragone e che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità non ha agito tempestivamente, resta anche da appurare se questo ritardo sia avvenuto per ignoranza, superficialità, comunque colpevole, o per pressioni di Pechino.

    Quanto è accaduto è ben vivo nella mente di ciascuno per questo non possiamo tollerare che all’inizio del 2023, a distanza di tre anni, anni che in parte non abbiamo vissuto perché chiusi in casa, oppressi dalle terribili notizie, con una modifica radicale delle nostre libertà, le conseguenze ancora si sentono forte specie nei più giovani e nei più anziani che hanno perduto quella socialità necessaria alla crescita o ad una vecchiaia serena, si debbano ascoltare le reprimende di Pechino che ci accusa di discriminazione per avere giustamente deciso controlli sanitari per cittadini provenienti dalla Cina.

    Il presidente Xi Jinping dopo aver tenuta segregata per tre anni gran parte della popolazione cinese, con il suo assurdo progetto zero covid che ha fatto subire un ingente danno economico al paese privo di un vaccino efficace e senza una vaccinazione di massa, ora in pochi giorni ora ha deciso il liberi tutti ed i contagi sono dilagati in modo esponenziale.

    La storia si ripete: ancora una volta non arrivano notizie, il governo cinese rifiuta ogni informazione ma pretende che gli altri paesi accettino le sue decisioni senza prendere alcuna precauzione necessaria per evitare una nuova pandemia, magari con nuove varianti, e rifiuta i vaccini offerti dall’Europa.

    E ancora una vota l’Organizzazione Mondiale della Sanità è in ritardo.

    I dittatori non perdono il vizio di cercare di dettare legge anche fuori dal loro paese e certamente la notizia, di qualche settimana fa, della presenza in Europa ed anche in Italia di stazioni di polizia cinese non ci rassicura sui veri progetti del Dragone.

    Secondo un articolo de Il Sole 24Ore del 9 gennaio 2023 il 90% dei residenti dell’Henan, la provincia più popolosa della Cina, è risultato infettato dal covid. Calcoli alla mano si tratterebbe di 88,5 milioni di persone sui quasi 100 milioni di abitanti della provincia. L’aumento esponenziale dei contagi è concomitante alla nuova strategia sanitaria del Paese in cui l’annullamento della politica zero covid ha visto accrescere contagi e morti.

  • Non solo il velo

    A muovere le proteste in Iran, rese ogni giorno più difficili dalla sanguinosa e crudele repressione del regime, non c’è soltanto la ribellione al velo e l’ira ed il dolore per le tante donne ed uomini, specialmente giovanissimi, che sono stati trucidati in questi mesi ma anche una tragica situazione del Paese dove le caste di chi governa e dei pasdaran, che hanno in mano l’amministrazione, vivono nel privilegio.

    La popolazione, ormai da tempo, è in condizioni di gravi difficoltà economiche oltre che in inaccettabili costrizioni delle libertà individuali.

    La realtà del Paese è una inflazione che arriva a più del 50% con aumenti dei prezzi di frutta, verdura, carne che impediscono alla maggior parte delle famiglie un’alimentazione minimamente corretta.

    Secondo il Fondo Monetario Internazionale quasi un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà estrema mentre non demorde la crisi energetica dovuta alle scelte sbagliate del governo, nonostante l’Iran sia ricco di gas.

    Le proteste dilagano in ogni parte del Paese, giovani e meno giovani si trovano insieme a reclamare libertà e condizioni di vita degne ma ricevano in cambio morte e continua violenza mentre troppa parte del mondo occidentale dimostra la propria impotenza.

    La gran parte della popolazione iraniana dovrà presto decidere tra un salto di qualità delle proteste o il lasciar soccombere la propria gioventù. Il salto di qualità della lotta contro il regime può essere deciso solo dagli iraniani ma, se lo decideranno, dovranno trovare aiuti concreti da parte di coloro che oggi trovano difficoltà anche ad organizzare manifestazioni di solidarietà nei paesi liberi.

  • Adesso basta

    C’è un limite a tutto, anche alla pazienza dei più pazienti e questo limite è stata decisamente superato da una parte “sinistra” dei partiti d’opposizione contestando il ricordo della nascita del Msi fatto da Isabella Rauti, Ignazio La Russa ed altri.

    Solo degli uomini piccoli, i quaquaraquà, possono ancora oggi sostenere che un partito che dalla sua nascita è stato presente nelle istituzioni italiane e poi europee non sia stato un partito democratico.

    Non sono bastati i morti ed i feriti che l’Msi ha purtroppo annoverato tra i suoi iscritti e simpatizzanti né i voti favorevoli all’Europa, mentre il Pci votava contro, non è bastato che sia stato l’unico partito uscito indenne da Mani Pulite e Tangentopoli. A distanza di anni dalla chiusura di un movimento che ha contribuito alla crescita politica dell’Italia, continuano le calunnie e le mistificazioni di troppi che parlano di democrazia mentre nei fatti la calpestano anche con leggi elettorali che espropriano gli elettori dal loro diritto di scelta.

    Il Movimento Sociale Italiano diventa troppe volte il pretesto per attaccare Fratelli d’Italia in un gioco sporco che, fortunatamente, non trova sponda nelle persone, negli elettori, un gioco sporco che si ritorce contro chi lo ha iniziato e continua a giocarlo.

    Le radici profonde non muoiono e danno vita a nuove realtà, le radici del male, del comunismo sovietico hanno dato vita a Putin ed alla sua vigliacca e crudele guerra, le radici del Msi hanno contribuito a dar vita al pensiero di quegli italiani, a partire da Fratelli d’Italia, che sono a fianco dell’Ucraina, con l’Europa e il mondo civile, per far vincere la libertà, l’integrità nazionale, il diritto internazionale, la giustizia.

  • Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale

    Tuttavia si rassomigliano tanto da non lasciare dubbi: o i ciarlatani

    hanno imparato la retorica dagli oratori, o gli oratori dai ciarlatani.

    Erasmo da Rotterdam, da “Elogio della follia”

    Il 6 dicembre scorso a Tirana si è svolto il vertice dell’Unione europea con i Paesi dei Balcani occidentali. Un vertice che, più che per le discussioni e le decisioni prese, sarà ricordato per la sua ben curata facciata, per la “calorosa e cordiale” accoglienza, per le messinscene e per le danze folcloristiche, sapientemente ideate dagli organizzatori. Durante quel vertice, soprattutto durante quelle parti del vertice che sono state trasmesse per il pubblico, il primo ministro albanese non ha perso occasione di esprimere il suo “convinto orientamento europeista”. Tutte le sue dichiarazioni pubbliche fatte il 6 dicembre scorso ne sono una testimonianza. Durante quel vertice, nonostante il tempo molto limitato, programmato per le discussioni, sono state comunque prese anche alcune decisioni. Decisioni che riguardavano le conseguenze generate dall’aggressione russa contro l’Ucraina, il preoccupante problema della migrazione e la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata ecc.. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò la scorsa settimana (Ipocriti che continuano a nascondere gravissime realtà; 14 dicembre 2022).

    È durato però meno di un giorno l’orientamento europeista, fortemente e volutamente espresso dal primo ministro albanese durante il vertice. Sono state subito sfumate anche le sue dichiarazioni e le sue “battute ad effetto” pronunciate durante la conferenza con i giornalisti, insieme con il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione. Perciò è durato meno di un giorno anche il dovuto ed obbligato impegno a rispettare quanto è stato deciso durante il vertice. L’Albania, essendo un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, ha anche degli obblighi ad osservare e rispettare. Obblighi che ne derivano dai criteri di Copenaghen e dall’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Un Accordo quest’ultimo con l’Unione europea, che l’Albania lo ha firmato nel 2006. Ma, fatti accaduti alla mano, non è durata più di un giorno la disponibilità del primo ministro albanese a rispettare tutti questi obblighi. E neanche di rispettare quello che lui stesso aveva dichiarato prima. Il primo ministro albanese, con le sue pubbliche dichiarazioni ha contraddetto quanto aveva affermato e confermato in presenza dei più alti rappresentanti dei Paesi membri dell’Unione europea e delle massime autorità delle istituzioni dell’Unione.

    Il 7 dicembre scorso il primo ministro albanese è andato a Bruxelles, dove ha partecipato ad una sessione speciale, sempre legata ai temi ed agli argomenti che erano parte dell’agenda del vertice di Tirana di un giorno prima. Dalle sue dichiarazioni, fatte dopo la sessione, si è capito che il primo ministro albanese ha “cambiato registro” nei confronti delle istituzioni dell’Unione europea. Ma siccome doveva curare anche la sua immagine di “convinto europeista”, ha usato delle battute a doppio significato. Ha dichiarato che, appena arrivati in Albania, gli alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione e i capi di Stato e di governo dei Paesi membri, hanno avuto il sorriso. “Avete visto ieri (6 dicembre; n.d.a.) i loro visi?”, ha subito chiesto il primo ministro albanese ai giornalisti, durante una conferenza con loro. Ed in seguito, non senza una mascherata ironia ha aggiunto “Erano meglio di quanto si riuniscono in quel noioso Bruxelles, nelle loro depressive capitali”. Aggiungendo anche, sempre con doppio senso, che “…era come se loro uscissero da una caverna, dopo un lungo tempo e godevano il sole”. Chissà cosa intendeva con il “sole” il primo ministro? Da ben noto megalomane e narcisista qual è, chissà se non si identificava lui stesso con il sole?! E continuando con delle frasi a doppio senso, ha fatto riferimento alla promessa di “matrimonio” tra l’Unione europea e i Paesi dei Balcani occidentali, Albania compresa. Rivolgendosi ai “Grandi dell’Europa” ha ricordato loro di non dire “…per tutto il tempo che ‘vogliamo che ci sposiamo ma non vogliamo parlare’, perché è una pazzia”. E per continuare “in bellezza”, allegoricamente parlando, lui, il primo ministro albanese, ha parafrasato una frase attribuita ad un noto politico siciliano degli anni ’70 del secolo passato. Una frase resa nota anche dal film “La mafia uccide solo d’estate”. Il primo ministro albanese ha dichiarato convinto che “L’Unione europea ha bisogno dei Balcani occidentali, come i Balcani occidentali hanno bisogno dell’Unione europea”. Una frase usata diverse volte anche in passato da lui, ma questa volta con una “piccola variazione”. Invece dell’Albania, ha fatto riferimento ai Balcani occidentali. Come per dividere delle responsabilità, che da solo lui non vuole reggerle.

    In seguito, l’8 dicembre scorso, da Bruxelles, il primo ministro albanese è andato ad Istanbul, in Turchia. L’occasione era un invito a partecipare ad un Forum internazionale della piattaforma TRT (acronimo della Radio e Televisione turca; n.d.a.). Una buona occasione anche per incontrare ed elogiare il suo “carissimo amico”, il presidente turco. Ebbene, così è stato. Davanti ai partecipanti, riferendosi alla situazione regionale e quella generata dopo l’aggressione russa contro l’Ucraina, il primo ministro albanese, usando sempre delle frasi a doppio senso, ha ribadito che “…Bisogna avere un alleato strategico come la Turchia. E [bisogna] dirlo a voce alta, in modo che lo possano sentire tutti i nostri amici statunitensi ed europei che nei Balcani occidentali la Turchia non è un terzo potere. […]. Sembra che quando il sistema internazionale abbia fallito, senza dubbio la Turchia ha contribuito molto alla sicurezza”. Poi, riferendosi alla crisi dei migranti del 2016, lui ha dichiarato convinto che “…Senza Erdogan i muri dell’Europa non potevano reggersi in piedi. La Turchia è la chiave della stabilità in Europa”. Si sa però anche come Erdogan ha usato, a più riprese, negli anni seguenti la “crisi dei migranti”. Si sa ormai la pressione che di tempo in tempo il sultano fa all’Unione europea e ad alcuni Stati membri usando la “crisi dei migranti”, dopo aver avuto degli ingenti finanziamenti per far fronte a quella crisi. Si tratta di un tema trattato anche durante il vertice di Tirana, due giorni prima, il 6 dicembre. Ma a Tirana il primo ministro albanese ha usato altre parole ed ha elogiato l’Unione europea. Mentre ad Istanbul ha fatto il contrario, nonostante sia stato attento a non forzare troppo il linguaggio. Ad Istanbul il primo ministro ha fatto di nuovo l’avvocato della Serbia, senza nominarla. Ed anche il comportamento ambiguo della Serbia nei confronti della Russia ed i preoccupanti rapporti speciali tra i due paesi, sono stati discussi durante il vertice di Tirana il 6 dicembre scorso. In quel vertice però “l’atteggiamento ufficiale” del primo ministro albanese è stato diverso. Ad Istanbul, due giorni dopo, lui ha cercato di difendere “l’ambiguità” dei rapporti della Serbia con la Russia, dicendo: “Diversamente dall’altra parte dell’Europa, nei Balcani occidentali, ci sono Paesi dove più del 70% della popolazione pensa che la Russia non è colpevole (della guerra in Ucraina; n.d.a.), ma un [paese] guida al quale si possa affidare la sicurezza del nostro continente”. (Sic!). E nonostante abbia volutamente usato il plurale, si tratta di un solo Paese, della Serbia. A proposito, in questi ultimi giorni alcuni media del Montenegro stanno pubblicando dei documenti, secondo i quali risulterebbe che enormi quantità di grano e di pesticidi, partiti dalla Russia con delle navi da trasporto,  siano transitate dal porto di Durazzo in Albania, tramite le dogane del Montenegro, per arrivare finalmente in Serbia. Se tutto ciò sia vero, allora si tratterebbe di una palese violazione dell’embargo e delle sanzioni poste dall’Unione europea alla Russia e ai suoi prodotti. Ed essendo l’Albania, il Montenegro e la Serbia dei Paesi candidati all’adessione nell’Unione europea, allora si tratterebbe veramente di un altro grave e preoccupante scandalo in corso. L’ennesimo. Rimane tutto da essere seguito con la dovuta ed obbligatoria attenzione istituzionale. Soprattutto dalle istituzioni specializzate dell’Unione europea.

    È durato veramente poco l’orientamento europeista, fortemente e volutamente espresso dal primo ministro albanese durante il vertice tra gli alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione e i capi di Stato e di governo dei Paesi membri con le massime autorità dei sei Paesi balcanici, svoltosi il 6 dicembre scorso a Tirana. Si perché il primo ministro albanese ha scelto domenica scorsa, 18 dicembre, per affermare con determinazione la sua volontà di approvare in parlamento la legge per l’amnistia fiscale e penale. Una proposta quella che dura ormai da anni. Una proposta quella che è stata fortemente contestata sia dagli specialisti, sia dalle istituzioni specializzate dell’Unione europea. Sull’amnistia fiscale e penale ha espresso la sua ferma contrarietà anche la Commissione europea. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo progetto a tempo debito (Una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi, 13 settembre 2022; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022). Ma nonostante tutto ciò, il primo ministro sta di nuovo sfidando tutti, anche i “Grandi dell’Europa”, con i qualli è stato molto cordiale, collaborativo e disponibile durante il sopracitato vertice del 6 dicembre scorso a Tirana. Lui vuol portare questo disegno di legge in parlamento per avere l’approvazione definitiva, costi quel che costi. Le cattive lingue dicono che non è solo lui che vuole approvare questa legge, ma anche i suoi “alleati” della criminalità organizzata locale ed internazionale. Coloro che, da anni ormai, stanno riciclando in Albania ingenti somme di denaro sporco. Una gravissima, pericolosa e molto preoccupante realtà questa, che oltrepassa anche i confini dell’Albania. Ragion per cui c’è anche l’espressa e ferma contrarietà delle istituzioni dell’Unione europea. Una realtà questa che da alcuni anni è stata rapportata da Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Così come anche da un altra struttura specializzata, la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Anche su questo argomento il nostro lettore è stato informato a più riprese. Chissà se questa volta il primo ministro riuscirà a portare a compimento il suo, ma non solo, ambito progetto dell’amnistia fiscale e penale?! E non si capisce perché ha scelto di agire proprio adesso, mentre le istituzioni dell’Unione europea e di diversi singoli Paesi membri si stano preoccupando di un grave scandalo.

    Si, perché dal 9 dicembre scorso è stato reso pubblico quello che ormai è comunemente noto come Qatargate. Si tratta di ingenti somme di denaro provenienti dal Qatar, ma forse anche da altri Paesi. Denaro che ha generato una diffusa corruzione di persone di alto livello istituzionale, soprattutto nelle istituzioni dell’Unioine europea. Ma anche di altre. Uno scandalo tuttora in corso, nell’ambito del quale sono state arrestate alcune persone. Tra le quali anche la vice presidente del parlamento europeo ed un ex eurodeputato italiano. Quest’ultimo è, dal 2019, anche il fondatore di una ONG (organizzazione non governativa; n.d.a.) il cui nome è Fight Impunity (Combattere l’Impunità; n.d.a.). Un nome che è tutto un programma! E chissà perché nel consiglio dei membri onorari dell’organizzazione, cioè dei garanti, hanno fatto parte, fino al 10 dicembre scorso, diverse persone note ed ancora influenti, alcune delle quali anche ex commissari della Commissione europea. Compresa anche una nota sostenitrice ed “amica” del primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire anche lo scandalo Qatargate. Uno scandalo tuttora in corso che, secondo delle fonti credibili, porterà al giudizio molte altre persone coinvolte. Alcuni dei quali potrebbero essere dei funzionari e/o rappresentanti di alto livello istituzionale, sia nelle istituzioni dell’Unione europea, che in alcuni singoli Paesi membri. Si tratta però di ciarlatani e di corrotti che meglio perderli che trovarli, come dice la saggezza popolare. Ed è molto significativo che Erasmo da Rotterdam ha messo insieme “oratori e ciarlatani” che imparano gli uni dagli altri.

  • Qatargate, diritti fondamentali e democrazia europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo

    Il 10 dicembre è stata la giornata internazionale dei diritti fondamentali che si celebra ogni anno per ricordare la Dichiarazione universale proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948.

    Questa giornata internazionale ha paradossalmente coinciso con l’esplodere del cosiddetto Qatargate e cioè con le informazioni diffuse dalla Procura federale belga sull’inchiesta avviata cinque mesi fa per una serie di azioni criminose secondo cui “gli inquirenti della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo”. “Sono stati sequestrati contanti per seicentomila euro oltre a materiale informatico e telefoni cellulari” ha aggiunto la Procura federale belga.

    Nonostante il carattere molto scarno del comunicato, ambienti vicini alla Procura federale belga si sono immediatamente attivati per informare i due maggiori quotidiani belgi francofono e fiammingo sull’identità dei fermati, sul numero e sulle località delle perquisizioni, sui capi d’accusa e sul nome dello Stato del Golfo che avrebbe esercitato il tentativo di influenza: ciò in pieno disprezzo – come avviene purtroppo in molti paesi europei a cominciare dall’Italia nei rapporti di “buona collaborazione” fra la magistratura o le cancellerie e la stampa – delle ragioni che dovrebbero essere alla base degli avvisi di garanzia e della presunzione di innocenza.

    L’azione ultra vires della Procura federale belga ha avuto l’effetto immediato di aprire un processo mediatico nei confronti non solo degli indagati/fermati ma di tutto il Parlamento europeo: “sécoué – scrive Le Monde – par un Qatargate”; “soldi del Qatar al Parlamento europeo” (Il Sole 24 Ore); ancor di più “Eurocorruzione” aggiungendo che “il Qatar ha corrotto la democrazia europea” (La Repubblica).

    A proposito di presunzione di innocenza vale la pena di sottolineare che la Procura si è attivata il 9 dicembre perché fossero diffusi sulla stampa i nomi dei fermati (6) ma che non ha usato la stessa premura e sollecitudine perché fosse diffusa sulla stampa la notizia che uno dei fermati (Luca Visentini) era stato liberato seppure sous conditions.

    Il Movimento europeo condanna senza riserve le azioni dei corrotti – quando esse saranno provate – e ritiene che l’opinione pubblica europea debba essere rapidamente e ampiamente informata sulle dimensioni non solo finanziarie della corruzione ma anche sugli effetti delle azioni dei corrotti nelle decisioni “economiche e politiche” del Parlamento europeo relative alla denuncia delle violazioni del rispetto dei diritti fondamentali nel Qatar e più in generale negli Stati del Golfo.

    Il Movimento europeo prende anche atto con soddisfazione delle sanzioni prese con estrema rapidità dal Parlamento europeo attraverso la propria presidente Roberta Metsola, dal Gruppo S&D e dal Pasok nei confronti della vicepresidente Eva Kaili e si attende che la stessa fermezza e la stessa rapidità siano adottate nei confronto di altri eventuali indagati appartenenti a qualsiasi titolo all’istituzione così come la totale estraneità dell’ETUC alle ipotesi di corruzione su cui indaga la magistratura belga.

    Noi invitiamo a leggere con attenzione la risoluzione “sui diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo FIFA 2022 nel Qatar” approvata dal Parlamento europeo il 24 novembre 2022 a Strasburgo frutto di un compromesso raggiunto fra Renew Europe, PPE, S&D e ECR.

    Nella risoluzione si condannano le morti (quelle che in Italia vengono chiamate ipocritamente “incidenti sul lavoro”) e le violenze di cui sono stati vittime i lavoratori nella preparazione dei campionati del mondo di calcio, le discriminazioni nei confronto di centinaia di migliaia di migranti, la mancanza di trasparenza e di responsabilità della FIFA nelle scelta del Qatar avvenuta nel 2010, la lunga storia di corruzione “rampante e sistemica” della FIFA che ha gravemente danneggiato l’immagine e l’integrità del calcio, l’assenza del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto da parte degli sponsor delle manifestazioni sportive, la mancanza di una riforma profonda delle regole per l’attribuzione delle sedi dei campionati del mondo di calcio e di una informazione trasparente sull’attribuzione del campionato 2022 al Qatar e il mantenimento della pena di morte nel Qatar (dove è in vigore la legge islamica della Sharia, n.d.r.).

    Si deve invece sottolineare che un approccio più flessibile nel giudicare lo stato della protezione dei diritti nel Qatar ed in particolare dei lavoratori migranti (come si riscontra dal Testo della Risoluzione) sembrerebbe derivare soprattutto dal fatto che sia l’ILO che l’ITUC hanno considerato le riforme adottate dal Qatar come un “esempio” per gli altri Stati del Golfo e che quindi varrebbe la pena di indagare sull’influenza del Qatar all’interno di queste due organizzazioni internazionali.

    La magistratura belga e con essa le magistrature degli altri paesi europei possono e debbono agire con pene esemplari contro i corrotti europei e le istituzioni europee possono e debbono accompagnare le pene giudiziarie con sanzioni amministrative congelando e poi cancellando i diritti finanziari maturati da membri delle istituzioni così come la Commissione e il Consiglio dovranno indagare per verificare se ci sono stati tentativi di influenze illegali al proprio interno.

    La vicenda del Qatargate deve permettere tuttavia di lanciare un forte allarme non solo sulla presenza dei corrotti ma anche sull’azione dei corruttori e cioè delle lobbies che agiscono da paesi al di fuori dell’Unione europea sapendo che la regolamentazione e la trasparenza sulle lobbies europee deve essere rafforzata e completata con un accordo interistituzionale ma che non c’è nessuna regola e nessuna misura per impedire l’azione e le ingerenze di lobbies extra-europee. Una pronta reazione del Parlamento all’accaduto con il varo di misure preventive ed efficaci a tutela dell’autenticità e dell’autonomia delle procedure di formazione della volontà collettiva dell’organo a mandato universale dei cittadini europei sarebbe la prima, doverosa, risposta all’ attuale turbamento dell’opinione pubblica continentale, nell’attesa che la Magistratura chiarisca la reale entità dei fatti.

    Il Movimento europeo chiede infine al Parlamento europeo di creare una commissione di inchiesta sul Qatargate a partire dalla lista di denunce e di condanne contenute nella risoluzione del 24 novembre 2022.

    Bruxelles, 11 dicembre 2022

  • Appello al Presidente della Repubblica perchè invii un messaggio alle Camere sulla modifica in senso democratico della legge elettorale

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’Associazione Europa Nazione inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    L’Associazione Europa Nazione ha inviato un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con il quale elenca tutte le ragioni per le quali la vigente legge elettorale costituisce un gravissimo vulnus alla democrazia italiana, essendo pasticciata ed inutilmente complessa, ma soprattutto perché espropria i cittadini del diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e non consente la rappresentanza dei territori.

    L’Associazione, costituita ad aprile del 2022, torna sul tema per la seconda volta, dopo la lettera aperta ai leader dei partiti, diffusa poche settimane prima delle elezioni del 25 settembre, con cui, alla luce delle palesi incostituzionalità della legge Rosatellum, invitava i beneficiari della norma a prendere, prima del voto, l’impegno a modificare radicalmente la legge subito dopo la tornata elettorale, restituendo dopo ben 5 elezioni e 17 anni, la piena sovranità al popolo elettore.

    Nessuno dei leader ha mai pensato minimamente di porre fine al bengodi di una norma, che assicura ai leader un potere da sovrano assoluto, oltre che l’indiscutibile vantaggio di un Parlamento totalmente addomesticato e leader-dipendente e, pertanto, l’associazione ha deciso di rivolgere un appello al Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, individuando analiticamente tutte le ragioni critiche della legge elettorale vigente, che ha trasformato la democrazia della libera manifestazione del voto, in una triste “democratura illiberale”.

    In particolare, con il suo appello, Europa Nazione, dopo avere elencato tutte le carenze della norma ed alla luce dell’assenza di qualsivoglia iniziativa in merito, chiede al Presidente Mattarella, come previsto dalla Costituzione, di valutare l’esigenza e l’urgenza di inviare un messaggio al Parlamento affinché metta mano adesso, in tempi lontani dalle scadenze elettorali, alla radicale riforma della legge elettorale vigente, rivelatasi inadeguata al rispetto della sovranità popolare, così come definita dalla Costituzione, in quanto non prevede né il diritto di scelta degli eletti da parte degli elettori, né la garanzia del fondamentale diritto di rappresentanza dei territori.

    La richiesta di una nuova legge elettorale che rispetti i diritti e le prerogative costituzionali degli italiani, è una delle principali proposte di cambiamento del Manifesto di Europa Nazione, sulla quale, data la fondamentale importanza del tema e la sua indiscutibile popolarità bipartisan, l’Associazione sente il dovere di insistere, a maggior ragione davanti alla esagerata e inedita astensione dal voto, che evidenzia un enorme e crescente distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni democratiche.

    Il testo integrale della lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    Ill.mo Signor Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Palazzo del Quirinale 00187 ROMA – Piazza del Quirinale

    OGGETTO: APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PERCHE’ INVII UN MESSAGGIO ALLE CAMERE SULLA MODIFICA IN SENSO DEMOCRATICO DELLA LEGGE ELETTORALE

    Signor Presidente,

    I sottoscritti soci e simpatizzanti dell’Associazione Europa Nazione, con la presente fanno appello al suo Magistero affinché valuti se è necessario o meno inviare un messaggio alle Camere per la modifica della legge elettorale vigente, che lede Costituzione e Democrazia.

    Europa Nazione, prima delle scorse elezioni, aveva inviato ai leader di tutti i partiti italiani interessati al rinnovo del Parlamento, una lettera aperta chiedendo, dopo le elezioni, di modificare il “Rosatellum”, per restituire agli elettori il diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, nel conseguente rispetto della rappresentanza dei territori.

    Il suo illustrissimo intervento appare indiscutibile alla luce della peggiore campagna elettorale della storia repubblicana e del modo con cui i partiti hanno imposto ai territori candidati nominati dall’alto, spesso sconosciuti e senza collegamento col territorio, cosa che appare ancor più grave se si considera la riduzione del numero dei parlamentari.

    Questa non è Democrazia, e non è un caso che dopo ben cinque elezioni con leggi che hanno espropriato il diritto di scelta dei cittadini, il degrado del rapporto tra elettori, partiti ed istituzioni ha raggiunto il record di astensione del 37%. D’altronde come potrebbe essere diversamente, se il ruolo di elettori si limita ad una croce su un simbolo, a prescindere da qualsiasi rapporto con i candidati?

    Se si aggiunge che negli attuali partiti non ci sono notoriamente garanzie democratiche nella gestione interna, si ha ben chiara la totale e definitiva debacle di ogni forma di partecipazione democratica alla vita del Paese. Sembra un paradosso, ma è un fatto che proprio nel momento in cui è richiesto il massimo di responsabilità dei cittadini per frenare il populismo, si consumi il peggior processo di esproprio dei diritti degli elettori, a favore dei leader di partito che, peraltro, hanno imposto candidature plurime per trasformare quella che dovrebbe essere una elezione dal basso, con una nomina dall’alto.

    Se è vero che la nostra è stata definita da un autorevole studioso una democrazia semi-autoritaria, perché al popolo non resta che prendere o lasciare il pacchetto dei nominati, cioè votarli in blocco, astenersi o annullare la scheda. Se è vero che il “Rosatellum” è congegnato, anche grazie al divieto di voto disgiunto nei collegi uninominali, in modo da “costringere” l’elettore a votare o a non votare l’intero pacchetto formato dal candidato/nominato del sistema uninominale e dai candidati/nominati del sistema plurinominale. Se è vero che col “Rosatellum” il popolo non esercita la sovranità come pensata dal Costituente, perché la legge elettorale non consente all’elettore una scelta, ma solo la ratifica con un “si o un no” di quanto deciso “altrove” dal Partito-sovrano”. Se quanto sopra risponde al vero, le forme e i limiti del “Rosatellum” alla sovranità popolare rispettano l’appartenenza al popolo, o l’hanno trasferita di fatto ai segretari di Partito, mettendone in discussione la titolarità? Esiste un Paese in Europa dove si applica una legge siffatta? Se non esiste, significherà qualcosa? Si può sostenere che col “Rosatellum” la sovranità appartiene al popolo e non a chi ha nominato, dall’alto, deputati e senatori? Si può parlare di sovranità popolare se la scelta a cui sono sottoposti elettrici ed elettori è quella di ratificare la nomina decisa dal proprio partito, oppure quella di annullare la scheda o di astenersi dal voto? Può definirsi democratica una legge che spinge il dissenso ad annullare la scheda o ad astenersi dal voto? Signor Presidente, l’articolo 1 della Costituzione recita che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della Costituzione”. Europa Nazione pensa che non si dicano scempiaggini affermando che le forme e i limiti non devono esser tali da mettere in discussione o, peggio ancora, da espropriarne l’appartenenza al popolo e da intaccarne la sua titolarità. Una qualunque legge elettorale di tipo proporzionale o maggioritaria e/o uninominale o plurinominale, non lede la sovranità di cui all’articolo 1 della Costituzione, se riconosce a chi guida una forza politica il diritto di proporre i candidati e al corpo elettorale il diritto di decidere col voto chi vince e chi perde tra i candidati proposti. La lede e lede in radice il sinallagma tra sovranità popolare e democrazia – se riconosce a chi guida una forza politica, grazie ai trucchi e ai marchingegni del “Rosatellum” (tipo candidature quintuple e varie) il diritto di nominare, e dunque di decidere, chi saranno i deputati e i senatori che andranno a comporre la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, già da prima che sia il popolo a votare. Signor Presidente, Lei ha dimostrato con una legge che porta il suo nome, come gestire nel rispetto della costituzione l’esercizio della sovranità popolare, ed ormai è chiaro che i capi-partito non rinunceranno mai a un potere di nomina che li mette in condizione di fare a meno di quel diritto costituzionale di scelta del corpo elettorale, giudicata da loro quasi “un ingombro”, ma che costituisce l’essenza stessa della democrazia, per il necessario periodico ricambio delle classi dirigenti. La democrazia e la sovranità popolare – come Lei sa meglio e più di EN – non è roba da poco, né una questione da affrontare a tempo debito. Con la legge elettorale “non si mangia”, ma di legge elettorale si alimenta la democrazia.

    Questo è il motivo che spinge EN a manifestarLe la preoccupazione per la gravità dello stato in cui si trova la democrazia italiana. Solo Lei, se lo riterrà opportuno, può richiamare l’attenzione delle Camere con un messaggio sull’opportunità di una nuova legge elettorale, che risponda ai requisiti propri di una democrazia, rispetti la sovranità popolare e soprattutto restituisca il diritto di rappresentanza ai territori.

    Con deferenza

    Seguono firme.

    Nicola Bono, Domenico Nania, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Luca Bellotti, Mario Biral, Corrado Cammisuli, Maria Teresa Conte, Piero Daglia, Vittorio Delogu, Enrico Facco, Edoardo Franza, Enea Franza, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Mario Landolfi, Antonino Lo Presti, Gennaro Malgieri, Maria Teresa Manuela Ruggieri, Simone Margheri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Pippo Monaco, Sabino Morano, Cristiana Muscardini, Adriano Napoli, Orlando Oronzo, Walter Pepe, Perdicaro Maria Rosaria, Rosario Polizzi, Cinzia Renzi, Tommaso Romano, Francesco Rubera, Antonino Sala, Noemi Sanna, Enrico Squillante, Roberto Visentin, Marco Zacchera.  

  • Gravose conseguenze di certe complicità internazionali

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Da più di otto mesi ormai continua in Ucraina la guerra, quella che il dittatore russo continua a chiamarla, con un irritante cinismo, “un’operazione militare speciale”. Sono state tantissime le atrocità e le barbarie subite in questi mesi dalla inerme ed innocente popolazione ucraina, anziani, donne e bambini compresi. Sono alcune migliaia i morti tra la popolazione ed il numero purtroppo continuerà a crescere. Una realtà quella vissuta e sofferta durante questi mesi in Ucraina le cui conseguenze si faranno sentire anche dopo la fine della guerra. Lo sfollamento massiccio del Paese rappresenta un ulteriore danno subito, con un grande costo umano ed economico per gli anni a venire. Si, perché come ci insegnano gli specialisti, la mancanza delle persone, sia perché sono morte, sia perché si sono allontanate, rappresenta sempre anche un significativo costo economico per il Paese. Ma sono purtroppo immensi anche i danni materiali dovuti ai continui bombardamenti delle forze armate russe. Danni miliardari e per ripristinare tutto serviranno anni. Una guerra quella in Ucraina che, nel frattempo, ha scombussolato tutto il mondo. Una guerra quella che ha causato gravi crisi, le quali coinvolgono e coinvolgeranno, anche nel prossimo futuro, molte popolazioni, oltre a quella ucraina. Crisi alimentari, energetiche, economiche e finanziarie che avranno anche delle drammatiche ripercussioni umanitarie e demografiche. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, in diversi Paesi del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza.

    Ma quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, dopo l’inizio della barbara aggressione russa in Ucraina il 24 febbraio scorso, ha evidenziato anche delle responsabilità. Prima di tutto delle responsabilità dirette, come quella del dittatore russo e dei suoi seguaci. Ma anche responsabilità indirette, dovute a diverse ragioni, di alcuni massimi e/o alti rappresentanti di determinati singoli Paesi e delle istituzioni internazionali. Responsabilità causate e derivanti da determinati interessi economici, energetici e non solo, di singoli Paesi. Ma anche da certe complicità e da rapporti di amicizie personali con il dittatore russo, di alcune massime autorità, attuali e/o del passato di quei Paesi. Responsabilità e complicità sulle quali, purtroppo adesso, dopo l’inizio della guerra, si sta cercando di stendere un velo pietoso. Sono veramente pochi coloro che hanno pubblicamente assunto le proprie responsabilità, indirette e/o derivanti che siano, su tutto quello che da più di otto mesi ormai, sta accadendo in Ucraina.

    Era il 15 agosto dell’anno scorso. Dopo alcune settimane di scontri armati, in diverse parti del territorio, le forze militari occidentali, che da venti anni erano stanziate in Afghanistan, hanno cominciato la loro ritirata. Purtroppo, fatti accaduti alla mano, si è trattato di una vergognosa e caotica ritirata. Il simbolo di quello che stava accadendo dopo il 15 agosto 2021, quando i talebani presero il controllo di Kabul, era proprio l’aeroporto della capitale. Un vero e proprio caos generale che continuava senza interruzione, giorno e notte. Erano i militari stranieri, soprattutto quelli statunitensi, molto più numerosi, che salivano sugli aerei. Ma vi erano anche tanti cittadini afgani, disperati ed impauriti dall’arrivo dei talebani, che cercavano, a tutti i costi, di salire su qualche aereo e lasciare il Paese. Erano in migliaia che scappavano, spesso senza sapere neanche dove sarebbero finiti. Nel frattempo era “sparito” anche il presidente afgano. Una persona che doveva essere l’ultimo a lasciare il Paese, ma che, invece, era scappato con i suoi e sembrerebbe, secondo diverse fonti mediatiche, anche con una ingente somma di denaro. Cosa è accaduto dopo quel 15 agosto dell’anno scorso purtroppo ormai è di dominio pubblico. I talebani all’inizio hanno cercato di presentarsi diversi da quelli del 2001. Pochi giorni dopo aver preso il controllo della capitale, i talebani promettevano che avrebbero costituito “un governo islamico e responsabile”. Promettevano un nuovo governo che avrebbe avuto due “anime”: una religiosa e una politica. Un nuovo governo “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. In più, il 6 settembre 2021, i talebani dichiaravano, tramite il loro portavoce ufficiale, che loro volevano “buoni rapporti con il mondo”. E per dar credito a quella volontà, hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che avevano rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso.

    Sono state tante le analisi fatte dopo il ritiro dall’Afghanistan delle truppe occidentali, soprattutto quella statunitense. Sono stati pubblicati documenti finanziari e valutazioni sui tanti enormi investimenti fatti durante i venti anni in Afghanistan, sia per il mantenimento delle truppe militari, che per la ricostruzione ed il ripristino della normalità nel Paese. Ma anche per la costituzione di tutte le nuove e necessarie istituzioni democratiche che dovevano gestire la vita pubblica. Ebbene, dalle analisi fatte, dai documenti, almeno quelli resi pubblici, e dalle valutazioni finanziarie fatte risulterebbe che ingenti somme, migliaia di miliardi spesi, non hanno potuto avviare nel Paese un vero e proprio processo di democratizzazione. Anzi! La corruzione divorava miliardi sotto gli “occhi vigili” dei rappresentanti internazionali. Dalle analisi fatte e dai documenti resi pubblici risulterebbe che sono stati proprio quei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, che hanno “chiuso gli occhi”, permettendo proprio al presidente di avere il suo mandato dopo delle elezioni manipolate con vari modi. Proprio a quel presidente che, dopo l’entrata dei talebani a Kabul nell’agosto delle anno scorso, è scappato carico di milioni, secondo le cattive lingue, lasciando in fuga, tra i primi, quel Paese che doveva lasciare per ultimo.

    L’autore di queste righe, nel suo piccolo, ha trattato per il nostro lettore il caotico e vergognoso ritiro delle truppe armate occidentali dall’Afghanistan, partendo dal 15 agosto 2021 (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 31 agosto 2021; Apparenze che ingannano, 6 settembre 2021; Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021 ecc…). Ha analizzato anche il comportamento “ambiguo” dei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, sia durante la presenza delle forze armate internazionali in Afghanistan, che in altri Paesi del mondo. Ma egli ha anche evidenziato il comportamento corretto ed in pieno rispetto della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche del 1961, di altri rappresentanti istituzionali statunitensi. Uno di quelli era l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti, nominato nell’estate 2021, in seguito all’omicidio del presidente haitiano. A metà settembre dell’anno scorso, solo un mese dopo il vergognoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan, lui ha presentato le sue dimissioni al Segretario di Stato affermando “…con grande delusione e scuse a chi cerca cambiamenti fondamentali”. Nella sua lettera di dimissioni l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti esprimeva la sua convinzione che gli Stati Uniti d’America sbagliano dando il loro supporto a persone non democraticamente elette. Affermando, convinto, che “…l’orgoglio che ci fa credere che dobbiamo scegliere [noi] il vincitore, di nuovo, è impressionante. Questo ciclo di ingerenze politiche internazionali ad Haiti ha prodotto sempre dei risultati catastrofici” (Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021). Ed i fatti accaduti non solo in Afghanistan ed Haiti, ma anche in altri Paesi del mondo, dimostrerebbero e testimonierebbero che l’attuazione, da parte degli Stati Uniti d’America, della dottrina Truman (presentata il 12 marzo 1947 dall’allora presidente statunitense Harry Truman; n.d.a.), non ha raggiunto i suoi obiettivi, tra i quali anche “l’esportazione della democrazia” in quei Paesi dove sono intervenuti, in vari modi ed in periodi diversi, gli Stati Uniti d’America. L’autore di queste righe, riferendosi alla presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, dopo il vergognoso e caotico ritiro delle truppe occidentali, scriveva tra l’altro per il nostro lettore che “…come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza”. Aggiungendo però che “il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!” (Apparenze che ingannano; 6 settembre 2021). Ed il tempo, da vero galantuomo, nonostante sia passato solo poco più di un anno, ha confermato, purtroppo, il vero volto dei talebani!

    Uno dei Paesi dove i “rappresentanti internazionali”, soprattutto quelli diplomatici statunitensi, hanno volutamente calpestato quanto è stato sancito dalla Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche è anche l’Albania. Il nostro lettore da anni è stato informato, fatti accaduti alla mano, di molti clamorosi casi di consapevole violazione degli articoli di questa Convenzione. Così come è stato informato anche del loro comportamento come se fossero dei “governatori” del Paese. Un ruolo questo realmente da loro esercitato in diversi casi ed in diverse occasioni, con il beneplacito di coloro che hanno governato l’Albania. Soprattutto dell’attuale primo ministro, che dal 2013 ad oggi ha avuto sempre il supporto dei diplomatici statunitensi, ma non solo. Loro hanno sempre applaudito i “successi” inesistenti, i “successi” sulla carta, ma fortemente propagandati dal primo ministro e dai suoi. Così come lui ha sempre avuto anche il “silenzio” degli stessi rappresentanti diplomatici, quando gli scandali si seguivano e tuttora si susseguono l’un l’altro. Scandali che in qualsiasi paese normale e democratico avrebbe subito causato la caduta del governo e anche l’avvio delle indagini per abuso di potere con il denaro pubblico ed altro. Ma i “governatori”, che parlano in inglese, così come altri “rappresentanti internazionali”, quando serve “non vedono, non sentono e non capiscono”, come se proprio non esistesse quello che realmente accade in Albania. E così facendo hanno permesso, nolens volens, anche alla restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, espressione dell’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata non solo albanese e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento, con la loro complicità i rappresentanti diplomatici e quelli delle istituzioni internazionali in Albania, quelle dell’Unione europea comprese, hanno contribuito alla paurosa e molto preoccupante diffusione della corruzione. Come risulta anche dai rapporti delle istituzioni internazionali specializzate. L’ultimo, della scorsa settimana. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento e con la loro complicità, i rappresentanti diplomatici e delle istituzioni internazionali in Albania hanno contribuito anche all’approvazione ed attuazione di una riforma del sistema della giustizia a servizio proprio del primo ministro. Ma la realtà, quella vera, vissuta e sofferta in Albania presenta anche altri preoccupanti aspetti. Uno dei quali è il continuo spopolamento dell’Albania. Da un ultimo rapporto dell’Eurostat pubblicato la scorsa settimana risulterebbe che gli albanesi, negli ultimi mesi, superavano anche gli ucraini come richiedenti asilo. In Ucraina però si sta combattendo una guerra, mentre in Albania si combatte con il regime del primo ministro, supportato anche dalla complicità dei soliti “rappresentanti internazionali”.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri simili argomenti da trattare per il nostro lettore, ma lo spazio non lo permette. Egli però continuerà a trattare di nuovo le gravose conseguenze di certe complicità internazionali. Nel frattempo è convinto, come lo era più di duemila anni fa anche Publilio Siro, che chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

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