Democrazia

  • Gravose conseguenze di certe complicità internazionali

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Da più di otto mesi ormai continua in Ucraina la guerra, quella che il dittatore russo continua a chiamarla, con un irritante cinismo, “un’operazione militare speciale”. Sono state tantissime le atrocità e le barbarie subite in questi mesi dalla inerme ed innocente popolazione ucraina, anziani, donne e bambini compresi. Sono alcune migliaia i morti tra la popolazione ed il numero purtroppo continuerà a crescere. Una realtà quella vissuta e sofferta durante questi mesi in Ucraina le cui conseguenze si faranno sentire anche dopo la fine della guerra. Lo sfollamento massiccio del Paese rappresenta un ulteriore danno subito, con un grande costo umano ed economico per gli anni a venire. Si, perché come ci insegnano gli specialisti, la mancanza delle persone, sia perché sono morte, sia perché si sono allontanate, rappresenta sempre anche un significativo costo economico per il Paese. Ma sono purtroppo immensi anche i danni materiali dovuti ai continui bombardamenti delle forze armate russe. Danni miliardari e per ripristinare tutto serviranno anni. Una guerra quella in Ucraina che, nel frattempo, ha scombussolato tutto il mondo. Una guerra quella che ha causato gravi crisi, le quali coinvolgono e coinvolgeranno, anche nel prossimo futuro, molte popolazioni, oltre a quella ucraina. Crisi alimentari, energetiche, economiche e finanziarie che avranno anche delle drammatiche ripercussioni umanitarie e demografiche. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, in diversi Paesi del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza.

    Ma quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, dopo l’inizio della barbara aggressione russa in Ucraina il 24 febbraio scorso, ha evidenziato anche delle responsabilità. Prima di tutto delle responsabilità dirette, come quella del dittatore russo e dei suoi seguaci. Ma anche responsabilità indirette, dovute a diverse ragioni, di alcuni massimi e/o alti rappresentanti di determinati singoli Paesi e delle istituzioni internazionali. Responsabilità causate e derivanti da determinati interessi economici, energetici e non solo, di singoli Paesi. Ma anche da certe complicità e da rapporti di amicizie personali con il dittatore russo, di alcune massime autorità, attuali e/o del passato di quei Paesi. Responsabilità e complicità sulle quali, purtroppo adesso, dopo l’inizio della guerra, si sta cercando di stendere un velo pietoso. Sono veramente pochi coloro che hanno pubblicamente assunto le proprie responsabilità, indirette e/o derivanti che siano, su tutto quello che da più di otto mesi ormai, sta accadendo in Ucraina.

    Era il 15 agosto dell’anno scorso. Dopo alcune settimane di scontri armati, in diverse parti del territorio, le forze militari occidentali, che da venti anni erano stanziate in Afghanistan, hanno cominciato la loro ritirata. Purtroppo, fatti accaduti alla mano, si è trattato di una vergognosa e caotica ritirata. Il simbolo di quello che stava accadendo dopo il 15 agosto 2021, quando i talebani presero il controllo di Kabul, era proprio l’aeroporto della capitale. Un vero e proprio caos generale che continuava senza interruzione, giorno e notte. Erano i militari stranieri, soprattutto quelli statunitensi, molto più numerosi, che salivano sugli aerei. Ma vi erano anche tanti cittadini afgani, disperati ed impauriti dall’arrivo dei talebani, che cercavano, a tutti i costi, di salire su qualche aereo e lasciare il Paese. Erano in migliaia che scappavano, spesso senza sapere neanche dove sarebbero finiti. Nel frattempo era “sparito” anche il presidente afgano. Una persona che doveva essere l’ultimo a lasciare il Paese, ma che, invece, era scappato con i suoi e sembrerebbe, secondo diverse fonti mediatiche, anche con una ingente somma di denaro. Cosa è accaduto dopo quel 15 agosto dell’anno scorso purtroppo ormai è di dominio pubblico. I talebani all’inizio hanno cercato di presentarsi diversi da quelli del 2001. Pochi giorni dopo aver preso il controllo della capitale, i talebani promettevano che avrebbero costituito “un governo islamico e responsabile”. Promettevano un nuovo governo che avrebbe avuto due “anime”: una religiosa e una politica. Un nuovo governo “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. In più, il 6 settembre 2021, i talebani dichiaravano, tramite il loro portavoce ufficiale, che loro volevano “buoni rapporti con il mondo”. E per dar credito a quella volontà, hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che avevano rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso.

    Sono state tante le analisi fatte dopo il ritiro dall’Afghanistan delle truppe occidentali, soprattutto quella statunitense. Sono stati pubblicati documenti finanziari e valutazioni sui tanti enormi investimenti fatti durante i venti anni in Afghanistan, sia per il mantenimento delle truppe militari, che per la ricostruzione ed il ripristino della normalità nel Paese. Ma anche per la costituzione di tutte le nuove e necessarie istituzioni democratiche che dovevano gestire la vita pubblica. Ebbene, dalle analisi fatte, dai documenti, almeno quelli resi pubblici, e dalle valutazioni finanziarie fatte risulterebbe che ingenti somme, migliaia di miliardi spesi, non hanno potuto avviare nel Paese un vero e proprio processo di democratizzazione. Anzi! La corruzione divorava miliardi sotto gli “occhi vigili” dei rappresentanti internazionali. Dalle analisi fatte e dai documenti resi pubblici risulterebbe che sono stati proprio quei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, che hanno “chiuso gli occhi”, permettendo proprio al presidente di avere il suo mandato dopo delle elezioni manipolate con vari modi. Proprio a quel presidente che, dopo l’entrata dei talebani a Kabul nell’agosto delle anno scorso, è scappato carico di milioni, secondo le cattive lingue, lasciando in fuga, tra i primi, quel Paese che doveva lasciare per ultimo.

    L’autore di queste righe, nel suo piccolo, ha trattato per il nostro lettore il caotico e vergognoso ritiro delle truppe armate occidentali dall’Afghanistan, partendo dal 15 agosto 2021 (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 31 agosto 2021; Apparenze che ingannano, 6 settembre 2021; Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021 ecc…). Ha analizzato anche il comportamento “ambiguo” dei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, sia durante la presenza delle forze armate internazionali in Afghanistan, che in altri Paesi del mondo. Ma egli ha anche evidenziato il comportamento corretto ed in pieno rispetto della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche del 1961, di altri rappresentanti istituzionali statunitensi. Uno di quelli era l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti, nominato nell’estate 2021, in seguito all’omicidio del presidente haitiano. A metà settembre dell’anno scorso, solo un mese dopo il vergognoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan, lui ha presentato le sue dimissioni al Segretario di Stato affermando “…con grande delusione e scuse a chi cerca cambiamenti fondamentali”. Nella sua lettera di dimissioni l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti esprimeva la sua convinzione che gli Stati Uniti d’America sbagliano dando il loro supporto a persone non democraticamente elette. Affermando, convinto, che “…l’orgoglio che ci fa credere che dobbiamo scegliere [noi] il vincitore, di nuovo, è impressionante. Questo ciclo di ingerenze politiche internazionali ad Haiti ha prodotto sempre dei risultati catastrofici” (Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021). Ed i fatti accaduti non solo in Afghanistan ed Haiti, ma anche in altri Paesi del mondo, dimostrerebbero e testimonierebbero che l’attuazione, da parte degli Stati Uniti d’America, della dottrina Truman (presentata il 12 marzo 1947 dall’allora presidente statunitense Harry Truman; n.d.a.), non ha raggiunto i suoi obiettivi, tra i quali anche “l’esportazione della democrazia” in quei Paesi dove sono intervenuti, in vari modi ed in periodi diversi, gli Stati Uniti d’America. L’autore di queste righe, riferendosi alla presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, dopo il vergognoso e caotico ritiro delle truppe occidentali, scriveva tra l’altro per il nostro lettore che “…come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza”. Aggiungendo però che “il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!” (Apparenze che ingannano; 6 settembre 2021). Ed il tempo, da vero galantuomo, nonostante sia passato solo poco più di un anno, ha confermato, purtroppo, il vero volto dei talebani!

    Uno dei Paesi dove i “rappresentanti internazionali”, soprattutto quelli diplomatici statunitensi, hanno volutamente calpestato quanto è stato sancito dalla Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche è anche l’Albania. Il nostro lettore da anni è stato informato, fatti accaduti alla mano, di molti clamorosi casi di consapevole violazione degli articoli di questa Convenzione. Così come è stato informato anche del loro comportamento come se fossero dei “governatori” del Paese. Un ruolo questo realmente da loro esercitato in diversi casi ed in diverse occasioni, con il beneplacito di coloro che hanno governato l’Albania. Soprattutto dell’attuale primo ministro, che dal 2013 ad oggi ha avuto sempre il supporto dei diplomatici statunitensi, ma non solo. Loro hanno sempre applaudito i “successi” inesistenti, i “successi” sulla carta, ma fortemente propagandati dal primo ministro e dai suoi. Così come lui ha sempre avuto anche il “silenzio” degli stessi rappresentanti diplomatici, quando gli scandali si seguivano e tuttora si susseguono l’un l’altro. Scandali che in qualsiasi paese normale e democratico avrebbe subito causato la caduta del governo e anche l’avvio delle indagini per abuso di potere con il denaro pubblico ed altro. Ma i “governatori”, che parlano in inglese, così come altri “rappresentanti internazionali”, quando serve “non vedono, non sentono e non capiscono”, come se proprio non esistesse quello che realmente accade in Albania. E così facendo hanno permesso, nolens volens, anche alla restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, espressione dell’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata non solo albanese e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento, con la loro complicità i rappresentanti diplomatici e quelli delle istituzioni internazionali in Albania, quelle dell’Unione europea comprese, hanno contribuito alla paurosa e molto preoccupante diffusione della corruzione. Come risulta anche dai rapporti delle istituzioni internazionali specializzate. L’ultimo, della scorsa settimana. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento e con la loro complicità, i rappresentanti diplomatici e delle istituzioni internazionali in Albania hanno contribuito anche all’approvazione ed attuazione di una riforma del sistema della giustizia a servizio proprio del primo ministro. Ma la realtà, quella vera, vissuta e sofferta in Albania presenta anche altri preoccupanti aspetti. Uno dei quali è il continuo spopolamento dell’Albania. Da un ultimo rapporto dell’Eurostat pubblicato la scorsa settimana risulterebbe che gli albanesi, negli ultimi mesi, superavano anche gli ucraini come richiedenti asilo. In Ucraina però si sta combattendo una guerra, mentre in Albania si combatte con il regime del primo ministro, supportato anche dalla complicità dei soliti “rappresentanti internazionali”.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri simili argomenti da trattare per il nostro lettore, ma lo spazio non lo permette. Egli però continuerà a trattare di nuovo le gravose conseguenze di certe complicità internazionali. Nel frattempo è convinto, come lo era più di duemila anni fa anche Publilio Siro, che chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

  • Un imbroglione che confessa, poi nega ed in seguito elogia altri

    Non confessiamo mai i nostri difetti se non per vanità.

    François de La Rochefoucauld

    “Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle di pregare per me il Signore Dio nostro”. Così comincia ogni Santa Messa nel rito romano, con la confessione dei propri peccati da parte di tutti i partecipanti. Ma la confessione, quella vera e sentita, non ha niente a che vedere con delle confessioni obbligate, dovute a delle costrizioni e, soprattutto, al raggiungimento di determinati obiettivi di convenienza.

    Era il 9 ottobre scorso. Nell’aula Magna dell’Università di Bergamo si svolgeva un’attività culturale organizzata dall’associazione Cultura Italiae. Quest’anno il tema era “La cultura salverà il mondo”. L’intervento finale, prima della chiusura dell’attività, era riservato al primo ministro albanese. Lui, intervistato per l’occasione dal direttore di un noto canale televisivo italiano di notizie, ha confessato per la prima volta quanto era accaduto durante i primi mesi della pandemia di Covid. Ha svelato una “collaborazione tra amici”. Uno era lui stesso. L’altro era il ministro degli Esteri italiano, presente anche lui nell’aula Magna dell’Università di Bergamo quel giorno. Erano seduti tutti e due insieme, l’uno accanto all’altro. Il primo ministro albanese ha confessato di aver chiesto al ministro italiano degli Esteri di aiutarlo a procurare con urgenza una piccola quantità di vaccini, visto che in Albania mancavano. Vaccini che nel frattempo erano arrivati in Italia. Ma purtroppo l’accordo ufficiale che l’Italia aveva sottoscritto con una nota azienda farmaceutica statunitense non permetteva la cessione dei vaccini ad un Paese terzo. Ragion per cui l’unico modo di procurare quella piccola quantità di vaccini, così importante per il primo ministro albanese, era quello di farli contrabbandare dall’Italia in Albania. Ed era proprio quello che, secondo la confessione del primo ministro albanese, è stato fatto. Anche con l’aiuto dei servizi segreti.

    “Racconto oggi una cosa che nessuno sa”. Così ha cominciato il primo ministro albanese la sua insolita confessione il 9 ottobre scorso. Specificando che lui è “…un albanese – italiano” mentre il ministro italiano degli Esteri è “un napoletano – albanese”. E poi, subito dopo, ha confessato che loro due avevano “fatto insieme un’operazione di contrabbando”. Aggiungendo però anche una domanda retorica: “Che italiano o albanese sei, se resti sempre in linea con la legge?” (Sic!). Sarebbe stato strano se quest’ultima domanda e, allo stesso tempo, affermazione la avesse fatta un qualsiasi funzionario pubblico di un qualsiasi normale Paese democratico e, men che meno, un primo ministro. Perché è obbligatorio, legalmente e moralmente, è un conditio sine qua non, che un qualsiasi funzionario pubblico di un qualsiasi normale Paese democratico “resti sempre in linea con la legge” e non il contrario. Ma non per il primo ministro albanese però. Perché lui, che controlla tutto e tutti in Albania, fatti accaduti, testimoniati e denunciati alla mano, ha fatto sua la famosa frase pronunciata da Luigi XIV; La loi c’est moi (La legge sono io; n.d.a.).

    Poi il primo ministro albanese continua la sua confessione. Racconta che il ministro italiano degli Esteri, colui che stava al suo fianco nell’aula Magna dell’Università di Bergamo il 9 ottobre scorso, aveva chiesto ai suoi collaboratori se c’era qualche possibilità di esaudire la richiesta del primo ministro albanese. Ma la risposta a lui data era stata negativa. Ragion per cui il ministro italiano degli Esteri, riferendosi al “contrabbando” dei vaccini, gli aveva detto che era “veramente grave; non possiamo farlo perché facciamo una cosa gravissima”. Ma nonostante tutto ciò e non si sa esattamente come e perché, loro due poi hanno fatto quella “cosa gravissima tramite un’operazione con i servizi segreti” come ha detto il primo ministro albanese il 9 ottobre scorso. Aggiungendo, con un po’ d’orgoglio, che avevano fatto “una cosa incredibile” loro due, “il ministro degli Esteri dell’Italia e il primo ministro dell’Albania che passavano della merce di contrabbando per salvare delle persone”! Ma era veramente questa la ragione?! Oppure quei vaccini servivano al primo ministro albanese per fare la solita sua messinscena propagandistica? Perché, fatti accaduti durante tutto il periodo della pandemia alla mano, dimostrerebbero proprio questo. Dimostrerebbero che tanti, tantissimi poveri cittadini albanesi sono stati lasciati al loro destino, mentre il primo ministro e/o chi per lui firmavano dei contratti concessionari segreti milionari per cose che poco avevano a che fare con la salute dei semplici cittadini. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questa realtà da chi scrive queste righe (Tempo di coronavirus, di bugie e d’inganni scandalosi, 9 marzo 2020; Come continuano a sopportarlo ancora?, 23 marzo 2020; Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia, 4 maggio 2020; Decisioni ipocrite e pericolose conseguenze, 30 marzo 2020; Deliri e irresponsabilità di un autocrate, 22 febbraio 2021; Obiettivi mascherati di una messinscena mediatica, 6 aprile 2020; Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022 ecc….). E chissà anche cosa c’era dietro la “missione” dei trenta medici ed infermieri albanesi arrivati in Italia a fine marzo 2020? Chissà su cosa si erano accordati allora i due amici che stavano insieme il 9 ottobre scorso? E chissà, forse, se il ministro degli Esteri italiano si sentiva in debito con il primo ministro albanese per quella “missione”, per poi accettare, qualche mese dopo, di fare quella “operazione di contrabbando” dei vaccini. Anche perché si era parlato, scritto e commentato molto in Italia di quella “missione”, come un atto di solidarietà da parte di un piccolo e non ricco Paese come l’Albania. Tutto ciò mentre altri Paesi ricchi e membri dell’Unione europea avevano trascurato le richieste d’aiuto fatte più volte dall’Italia, sia ai singoli Paesi, che nell’ambito delle istituzioni dell’Unione europea. In quel periodo anche il ministro degli Esteri italiano, lo stesso che stava insieme con il primo ministro albanese il 9 ottobre scorso, ha fatto più volte riferimento a quella “missione” dei trenta medici ed infermieri albanesi arrivati in Italia. Lo ha fatto lui, come lo hanno fatto anche molti altri suoi colleghi e rappresentanti delle istituzioni, per far sentire in “colpa” le massime autorità di determinati Paesi e/o delle istituzioni dell’Unione europea. L’autore di queste righe scriveva allora per il nostro lettore: “Domenica scorsa, 29 marzo, è arrivato in Italia un gruppo di 30 medici ed infermieri dall’Albania. Dopo l’arrivo e l’accoglienza ufficiale a Verona, il gruppo è stato trasferito a Brescia, dove era stabilito che gli specialisti albanesi dovevano prestare servizio”. In seguito egli scriveva: “…Quell’evento è stato accompagnato da un impressionante rendiconto mediatico, seguito da un’altisonante eco, sia televisivo che della carta stampata”. Evidenziando però che al pubblico italiano il primo ministro albanese “…è stato presentato come un “modello interessante di positività”, mentre in patria la sua irresponsabilità istituzionale e/o personale, nonché il modo abusivo di gestire il potere e la cosa pubblica risultano essere ormai un’opinione sempre più consolidata e diffusa”. Per poi sottolineare che “…Così facendo, i “registi” e gli attenti “curatori” della buffonata hanno semplicemente ingannato il pubblico italiano, presentandogli il primo ministro albanese come un “santo”, un dirigente “premuroso”, sia per i suoi cittadini che per quegli italiani, in questo grave momento di grande bisogno dovuto alla pandemia. Nascondendo così il suo vero volto e il vero carattere, quello del dittatore imbroglione” (Obiettivi mascherati di una messinscena mediatica, 6 aprile 2020).

    Il primo ministro albanese, alla fine della sua confessione fatta nell’aula Magna dell’Università di Bergamo il 9 ottobre scorso, ha raccontato che la nota azienda farmaceutica statunitense lo aveva contattato e gli avevano chiesto chi aveva fornito quelle dosi all’Albania. La sua risposta era stata “Un Paese amico”. Ma siccome gli avvocati della nota azienda farmaceutica insistevano, allora il primo ministro albanese raccontò di aver risposto: “Sapete, noi abbiamo imparato dai napoletani che mai, mai, mai devi mollare il tuo amico davanti alla polizia”. Aggiungendo: “E così io non ho mollato quel’amico”. E quel’amico era il ministro italiano degli Esteri, seduto accanto a lui in prima fila il 9 ottobre scorso nell’aula Magna dell’Università di Bergamo. E proprio a lui si è rivolto alla fine del suo discorso il primo ministro albanese dicendoli: “Adesso lo possiamo dire. Adesso avrai i giornali che diranno che sei addirittura un contrabbandiere. Adesso sei un uomo libero, Luigi”. Sì, il ministro degli Esteri italiano non avendo ottenuto un seggio parlamentare dopo le elezioni del 25 settembre scorso era diventato “un uomo libero”. Quell’“uomo libero” però non ha detto niente, non ha fatto nessun commento, non ha negato e non ha aggiunto niente, nonostante le domande dei giornalisti, dopo la confessione del primo ministro albanese nell’aula Magna dell’Università di Bergamo. Chissà perché?!

    Dopo la sua confessione, la reazione mediatica e pubblica è stata immediata e, nella maggior parte, anche molto critica. Sia in Italia che in Albania. Ragion per cui il primo ministro albanese ha cambiato subito versione della sua precedente confessione. Lui, da noto imbroglione, ma anche vigliacco com’è, prima che passasse un giorno dalla sua confessione, ha dovuto smentire quello che aveva detto il 9 ottobre scorso sul contrabbando dei vaccini, insieme con il ministro italiano degli Esteri e con il supporto, anche, dei servizi segreti. Il 10 ottobre scorso lui ha dichiarato: “Sono sbalordito per il fatto che la mia confessione per una simbolica quantità di vaccini che ci è stata regalata dall’Italia nel momento più buio della pandemia possa dare addirittura l’ispirazione a prendere sul serio la parola ‘contrabbando’, da me usata per descrivere scherzosamente una collaborazione fraterna che ha salvato vite umane”. E poi ha ribadito che si sentiva obbligato a “…sottolineare che quello che la stampa ha riportato del mio intervento di ieri a Bergamo sull’invio di vaccini dall’Italia è chiaramente il racconto di un paradosso che in nessun caso non si può interpretare traendo fuori contesto una parola usata scherzosamente”. Aggiungendo anche: “Non intendevo certo dire sul serio che insieme al ministro Di Maio o ad altre istituzioni italiane abbiamo fatto contrabbando, ci mancherebbe altro!  Tanto più che queste dosi sono state donate dal governo italiano all’Albania e utilizzate in un momento di grave emergenza”. Un imbroglione innato, un bugiardo, ma anche un noto vigliacco come il primo ministro albanese non poteva fare altrimenti!

    Il 15 ottobre scorso il primo ministro albanese era a Berlino per partecipare al congresso dei partiti socialisti europei. Durante il suo intervento quell’imbroglione ha criticato i Paesi europei, perciò anche l’Italia, che durante il periodo della pandemia non avevano aiutato l’Albania! Ma, guarda caso, aveva nel frattempo “dimenticato” quanto aveva detto sia il 9 ottobre scorso durante la sua confessione, che il 10 ottobre smentendo proprio quello che aveva confessato un giorno prima sull’aiuto italiano con i vaccini. Durante il suo intervento a Berlino lui ha elogiato la Turchia ed il suo “carissimo amico”, il presidente turco, che è stato vicino all’Albania nel periodo duro della pandemia. Il primo ministro albanese ha detto che durante quel periodo “abbiamo corso dappertutto per trovare i vaccini” per poi trovarli proprio in quei Paesi che l’Unione europea spesso considera come Paesi “…da dove viene il pericolo: la Cina, la Russia e la Turchia”!

    Chi scrive queste righe lascia trarre al nostro lettore le dovute conclusioni sul comportamento di un imbroglione qual è il primo ministro albanese. Colui che, chissà perché, prima confessa, poi nega ed in seguito elogia altri, compreso il suo “carissimo amico”, il nuovo sultano della Turchia. Colui che, parafrasando François de La Rochefoucauld, “confessa” di tutto e se confessa i suoi difetti lo fa semplicemente per vanità.

  • Alla battaglia ideale per l’Ucraina uniamo quella per gli iraniani oppressi

    Le migliaia di giovani che si ribellano alla violenta dittatura iraniana, affiancati da tante donne ed anche uomini adulti che finalmente non tollerano più i troppi divieti che sopprimono ogni libertà, ci ricordano, ancora una volta, quanto sia importante preservare la nostra democrazia e le conquiste di civiltà che abbiamo raggiunto.

    I Cittadini iraniani che sacrificano la loro vita in questi giorni di dura, violenta repressione sono un esempio che deve indurci a cercare tutti di alimentare la speranza con messaggi ed azioni di condivisione e sostegno.

    Uniamo alla battaglia ideale a favore dell’Ucraina anche quella per la libertà degli iraniani oppressi da una violenza barbara.

  • Preoccupanti attacchi informatici e ingerenze abusive

    Chi occupa cariche pubbliche ama il potere ed è incline ad abusarne.

    George Washington

    Un giorno dopo le elezioni politiche del 25 settembre in Italia i risultati ufficiali evidenziano una netta vittoria della coalizione di centrodestra. Riferendosi ai dati pubblicati lunedì sera, nell’ambito della stessa coalizione, il partito Fratelli’d’Italia ha avuto 26.10% dei voti degli italiani. L’altro partito della coalizione, la Lega, ha perso consensi, arrivando a 8.89%. Mentre Forza Italia ha avuto 8.27% dei voti degli italiani. In netto calo il Partito Democratico, con 18.98% dei consensi popolari. In calo, riferendosi ai risultati delle elezioni politiche del 2018, anche il Movimento 5 Stelle che ha avuto, sempre secondo i dati pubblicati la sera di lunedì 26 settembre, il 15.4% dei voti degli elettori. Non è andato oltre il 7.7% il terzo polo costituito da Azione e Italia viva. Bisogna sottolineare che, sempre riferendosi ai dati ufficiali, l’affluenza è stata poco sotto al 64%. Un dato questo che è il peggiore dal dopoguerra in poi. La coalizione di centrodestra ha avuto perciò una netta vittoria sia al Senato che alla Camera dei Deputati. Nei giorni successivi si sapranno i risultati ufficiali definitivi delle elezioni ed, in seguito, gli sviluppi per la costituzione del nuovo governo che, con gli attuali risultati, avrà per la prima volta una donna, la presidente del partito Fratelli d’Italia, come Presidente del Consiglio dei Ministri. La vittoria alle elezioni politiche della coalizione di centrodestra, e soprattutto la vittoria del partito Fratelli d’Italia è stata evidenziata dai più importanti media internazionali, diventando la loro notizia di apertura. Sono arrivati anche i saluti e le congratulazioni per la vincitrice da molti dirigenti dei partiti europei di centrodestra e di destra. Ma non sono mancate neanche dichiarazioni di cautela da parte di altri dirigenti politici ed istituzionali europei, come il ministro degli Esteri spagnolo e il primo ministro francese. Una certa cautela è stata espressa anche dal portavoce del cancelliere tedesco. Questo fino alla sera di lunedì, 26 settembre.

    La scorsa settimana a New York si è tenuta la 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ovviamente si è discusso anche della guerra in Ucraina e delle sue gravi conseguenze a livello mondiale; della crisi alimentare ed energetica. Crisi che si aggiungono e si sovrappongono a quella legata alla pandemia e ad altre verificatesi in diverse parti del mondo. Ai lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite partecipava anche la presidente della Commissione europea. Lei, il 22 settembre scorso, ha preso parte ad un dibattito con i professori e gli studenti della Princeton University a New Jersey. Tra le domande fatte alla presidente della Commissione europea c’era anche una sulle elezioni politiche del 25 settembre in Italia. La risposta data dalla presidente della Commissione europea, considerata come un’ingerenza impropria ed abusiva, ha scatenato subito le reazioni dei massimi rappresentanti politici in Italia. Reazioni che consideravano le risposte della presidente della Commissione come irresponsabili e di parte, soltanto tre giorni prima delle elezioni. “Vedremo il risultato delle elezioni in Italia, ma se le cose andranno in una situazione difficile, come nel caso di Polonia e Ungheria, abbiamo gli strumenti”, ha dichiarato la presidente. Ha fatto riferimento, altresì, alle elezioni in Svezia del 11 settembre scorso, vinte dalla coalizione di centrodestra. Ma anche l’Ungheria e la Polonia sono due altri Paesi governati da partiti di centrodestra. Citando la Polonia e l’Ungheria, lei si riferiva ai contenziosi che la Commissione europea ha con questi due Paesi; sull’indipendenza del sistema della giustizia con il primo e sulla corruzione con il secondo. Secondo la presidente della Commissione europea “…la democrazia ha bisogno di ognuno di noi, è un lavoro costante, non è mai al sicuro”. Ebbene, dopo le elezioni svoltesi il 25 settembre in Italia il risultato è palese: vince ampiamente la coalizione di centrodestra. Ma vince soprattutto un partito conservatore di destra, Fratelli’d’Italia. Chissà come si sente la presidente della Commissione europea e chissà quali saranno “gli strumenti” che lei cercherà di attivare?! Una cosa però si potrebbe e si dovrebbe dire; quelle dichiarazioni riguardo le elezioni in Italia della presidente della Commissione europea davanti ai professori e agli studenti dell’Università di Princeton non si dovevano fare. Perché se non erano intenzionalmente e, perciò, irresponsabilmente fatte da una delle massime autorità dell’Unione europea, di certo sono state delle dichiarazioni inopportune. Perciò comunque condannabili. In seguito, dopo le trasversali reazioni dei massimi rappresentanti politici in Italia a tre giorni dalle elezioni, è valsa veramente poco la “chiarificazione” del portavoce della Commissione europea, secondo il quale la presidente “Non voleva ingerire nelle elezioni”. Nel pomeriggio di lunedì 26 settembre, a elezioni concluse e con quasi tutti i dati ufficializzati, c’è stata un’altra dichiarazione del portavoce della Commissione europea. “La Commissione lavora con i governi eletti dal voto nelle urne negli Stati Ue, lo stesso si applica in questo caso come in tutti gli altri.” ha detto lui. Aggiungendo: “Speriamo di avere una cooperazione costruttiva con le autorità italiane, ora stiamo aspettando che l’Italia formi un governo secondo le procedure della sua Costituzione”.

    Simili dichiarazioni “ambigue” e “di parte”, come quelle fatte il 22 settembre scorso all’Università di Princeton dalla presidente della Commissione Europa, sono ben note neanche in Albania. Anzi, sono state molto più esplicite, dirette ed inopportune e fatte durante questi ultimi anni da alcuni dei massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, soprattutto da quelli della Commissione. Di supporto ed entusiastiche quelle riferite ai “successi” del governo. Ma critiche, se non addirittura minacciose, quelle che si rivolgevano agli avversari del loro beniamino, il primo ministro albanese. Chissà perché?! E così facendo, quegli alti rappresentanti dell’Unione europea, insieme con i soliti “rappresentanti diplomatici” in Albania, da alcuni anni hanno permesso al primo ministro di restaurare e consolidare, ogni giorno che passa, la sua nuova dittatura sui generis, come espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico ai massimi livelli, rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. L’autore di queste righe, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, sempre con la massima oggettività, non smetterà mai di ripetere queste verità e di denunciare simili preoccupanti realtà vissute e sofferte in Albania, ma anche altrove. Egli ha informato il nostro lettore di tanti, tantissimi clamorosi scandali ed abusi di potere che si susseguono e che purtroppo non permettono, spesso, di prestare la necessaria e dovuta attenzione pubblica. Scandali ed abusi milionari che stanno generando una paurosa e preoccupante crisi finanziaria, svuotando irresponsabilmente le case dello Stato. Scandali ed abusi milionari che hanno il diretto beneplacito e supporto istituzionale e personale del primo ministro e dei suoi più stretti collaboratori. Scandali ed abusi milionari che, guarda caso, pur essendo da anni ormai ben documentati e ufficialmente denunciati, sembrerebbe non abbiano “convinto” della loro gravità e pericolosità le “rinnovate” istituzioni del sistema “riformato” della giustizia in Albania. Un sistema quello ideato, programmato e poi approvato in parlamento con i voti della maggioranza governativa e con quelli profumatamente ricompensati di certi altri deputati “dell’opposizione”. Scandali ed abusi milionari che, guarda caso, sono “sfuggiti” anche ai soliti “rappresentanti diplomatici”. Chissà come e perché?!

    Durante la scorsa settimana non sono mancati altri scandali, tramite i quali sono stati scoperti altrettanti abusi milionari di denaro pubblico. Il 19 settembre scorso sono state alcune fonti mediatiche che hanno pubblicato la notizia, secondo la quale il 9 settembre scorso i sistemi informatici della polizia di Stato hanno subito un vasto attacco da parte degli hackers iraniani appartenenti all’organizzazione Homeland Justice (Giustizia per la Patria; n.d.a.). E non era il primo, perché un simile attacco è stato attuato anche nel luglio scorso. Gli obiettivi allora sono stati i sistemi informatici che costituiscono il “vanto” del primo ministro albanese, il servizio online noto come e-Albania. Ragion per cui diversi servizi per i cittadini, partendo dal rilascio dei semplici certificati, delle carte d’identità, dei passaporti ecc. sono stati cancellati, generando non pochi problemi in un Paese dove i problemi non mancano, anzi! Un servizio quello di e-Albania per il quale sono stati stanziati ed investiti dei milioni nel corso di questi ultimi anni. Milioni che non si sa come sono stati spesi e dove sono finiti. Si tratta anche di dati molto sensitivi e che potrebbero mettere in pericolo anche la sicurezza nazionale. Ma essendo l’Albania uno Stato membro della NATO, la gravità aumenta e si propaga. Mentre il primo ministro, con la solita ed innata sfacciataggine cerca di mentire. A danni fatti, il primo ministro e i suoi, come sempre, hanno cercato di minimizzare tutto e di garantire che niente di serio era successo, che tutti i dati sensibili erano protetti e sicuri. “L’aggressione non ha per niente raggiunto il suo obiettivo, nessuna seria fuga oppure cancellazione di dati” (Sic!). Così dichiarava il primo ministro. Ma è stato subito smentito e si è smentito anche da solo con le sue seguenti dichiarazioni. Lui e i suoi si sono però lasciati sfuggire un “piccolo particolare” che riguarda tutti i sistemi informatici, compresi quelli della polizia di Stato, attaccati il 9 settembre scorso. Cercando di convincere e di “tranquillizzare” che niente di serio era successo, hanno affermato che tutti gli investimenti milionari sono stati indirizzati per la costruzione e il funzionamento dei sistemi. Ma si è capito che niente era stato fatto per garantire, prima di tutto, prima di farli funzionare, l’obbligatoria e la sicura protezione dei dati, in tutti i sistemi, dagli attacchi informatici. Lo hanno confermato palesemente anche i sopracitati attacchi attuati dagli iraniani. Nel frattempo a niente sono servite le misere dichiarazioni del primo ministro. Anzi, sono state tutte delle dichiarazioni subito smentite dalla rapida e spesso incontrollata fuga delle informazioni, basate soprattutto sui rapporti delle istituzioni specializzate internazionali. Compreso anche l’ultimo del FBI (Federal Bureau of Investigation; n.d.a.) e della CISA (The Cybersecurity and Infrastructure Security Agency; n.d.a.) pubblicato il 22 settembre scorso e dedicato interamente ai sopracitati attacchi degli iraniani.

    Subito dopo la pubblicazione dello scandalo della facilissima e capillare penetrazione nei sistemi informatici in Albania, il 19 settembre scorso la procura di Tirana ha ordinato a tutti i media e ai giornalisti di non pubblicare nessuna notizia che riguardasse i dati sensibili ormai resi pubblici in rete. Violando così uno dei diritti e dei doveri fondamentali dei media e dei giornalisti: quello di informare il pubblico, rispettando sempre e comunque tutte le regole internazionalmente stabilite dalle convenzioni e dalle decisioni prese della Corte europea per i diritti dell’uomo.

    Non è la prima volta che i sistemi informatici in Albania sono attaccati. L’autore di queste righe ha informato precedentemente il nostro lettore sull’hackeraggio dei sistemi, sulla diffusione e sull’uso abusivo dei dati dei sistemi informatici nazionali (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile, 19 aprile 2021; Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022).

    Chi scrive queste righe è convinto che dietro il sopracitato ordine della procura, nonostante le “giustificazioni giuridiche” espresse e le severe condanne per i media e i giornalisti che non ubbidiscono, vi sia una seria preoccupazione del primo ministro e dei suoi che escano fuori delle “informazioni sensibili”, le quali potrebbero coinvolgerli direttamente nei loro legami con la criminalità organizzata e/o nei numerosi scandali corruttivi. Si cerca perciò di nascondere il clamoroso abuso di potere del primo ministro e dei suoi fedelissimi. Aveva ragione George Washington: chi occupa cariche pubbliche ama il potere ed è incline ad abusarne.

  • Derattizzare la Russia per la libertà della gran parte del popolo russo

    Dopo le dichiarazioni di Putin, con il richiamo alle armi di 300.000 riservisti e la rinnovata minaccia di lanciare ordigni nucleari, mentre continuano i bombardamenti a tappeto, anche mettendo a rischio le centrali nucleari ucraine, torna alla mente l’aneddoto del topo.
    Il famoso topo che, durante la sua adolescenza, Putin raccontò di aver costretto in un angolo e che, per difendersi, gli saltò in faccia.

    Putin pensa di saltare in faccia al mondo civile perché ha capito che, per colpa della sua dissennata e crudele guerra contro l’Ucraina, sta ormai per essere chiuso in un angolo.

    Più che un topo lo zar russo ci ricorda una pantegana, quelle che escono dalle discariche e sono capaci di mangiare tutto quello che trovano, preferibilmente carne come di carne umana Putin sta saziando la sua fame di potere.

    Le pantegane sono pericolose per la salute umana e fanno fermate prima che distruggono quello che incontrano, le pantegane non sono facili da prendere ma messe di fronte ad una seria azione di derattizzazione soccombono.

    Tutti insieme, mentre è nostro dovere continuare con decisione a difendere e ad essere a fianco degli ucraini, diamo una mano anche a derattizzare la Russia per riconsegnare la libertà e la giustizia a tutta quella gran parte del popolo russo costretto a morire per il piacere dello zar.

  • Per Putin la vita umana vale zero

    Un’altra imprevedibile, misteriosa morte nell’entourage di Putin. Dall’inizio del conflitto sono più di 10 i top manager dei quali si conosce la morte prematura ed improvvisa in circostanze più che sospette e probabilmente di altre non si sono avute notizie. D’altra parte il regime di Putin era già noto per aver fatto eliminare, anche nel passato, persone scomode allo zar.

    Certo ormai è chiaro anche ai più distratti che, dopo il massacro ordinato da Putin in Ucraina, per lui il valore della vita umana e zero.

    Vola giù da una barca Ivan Pechorin, top manager di Putin nel Nord Est. La faida dell’Artico: il predecessore era morto di ictus a febbraio a 43 anni – La Stampa, 13 settembre 2022

  • Paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata

    Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti.

    Ettore Petrolini

    Era domenica, il 4 settembre del 2016. In mattinata a Roma, in piazza San Pietro, si erano radunati moltissime persone. Più di centomila, secondo fonti ufficiali. Erano arrivati da tutte le parti, non solo dell’Italia, ma del mondo. Erano tutti lì per partecipare alla canonizzazione di una persona a loro molto cara, rispettata, ma anche venerata. Erano tutti lì per madre Teresa di Calcutta, la fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della carità, ma che tutti chiamavano semplicemente madre Teresa, sentendola come una di famiglia. Era nata a Skopie nel 1910 in una famiglia albanese, ma lei stessa, fiera delle sue origini, dichiarava: “Sono albanese di sangue e indiana di cittadinanza”. Arrivata in India nel 1929 fu subito colpita dalla miseria e dalle pessime condizioni nelle quali si viveva, o meglio si sopravviveva a Calcutta. Ragion per cui madre Teresa si dedicò, con tutta se stessa, all’assistenza dei malati, compresi quelli terminali colpiti dalla lebbra. A lei si unirono molte altre suore e volontarie, Nel 1965, con l’approvazione di Papa Paolo VI, venne riconosciuta la Congregazione delle Missionarie della Carità. Denominazione che rappresentava proprio lo spirito e l’essenza dell’abnegazione, della devozione e della quotidiana attività di Madre Teresa e di tutte le suore e le volontarie della congregazione. Quella domenica del 4 settembre 2016, Papa Francesco, che presiedeva la cerimonia della canonizzazione di Madre Teresa, durante l’omelia disse: “…La sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane ai nostri giorni come testimonianza eloquente della vicinanza di Dio ai più poveri tra i poveri”. Il Pontefice ha anche ribadito durante quell’omelia che la Santa Madre Teresa “…ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini, dinanzi ai crimini della povertà creata da loro stessi!”.

    L’indomani della canonizzazione di Madre Teresa, l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore informandolo che nonostante madre Teresa fosse una persona molto nota e rispettata in tutto il mondo non poteva entrare nel territorio albanese. Tutto dovuto ad un “semplice” ma vero e, perciò, “imbarazzante” motivo; la sua vocazione e la sua opera religiosa contrastavano con la propaganda del regime. Si, perché in Albania la dittatura aveva bandito già dal 1967 tutte le religioni, per poi sancire tutto ciò anche nella Costituzione del 1976. L’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che “…nonostante le sue ripetute richieste alle autorità albanesi e le sollecitazioni, tramite canali diplomatici, di alcune tra le più note autorità mondiali del tempo, a Madre Teresa veniva sempre negato il visto d’ingresso in Albania”. Sembra strano ma era tutto vero! Non solo, ma proprio per quel “semplice ed imbarazzante motivo”, la propaganda comunista vietò categoricamente la diffusione della notizia che a Madre Teresa era stato conferito il Premio Nobel per la Pace nel 1979! E proprio per quel “semplice ed imbarazzante motivo” Madre Teresa non ha potuto dare neanche l’ultimo saluto alle persone a lei più care, che non vedeva da tantissimi anni: la madre e la sorella, morte a Tirana in condizioni estreme, durante gli anni ’70! L’autore di queste righe informava però il nostro lettore che Madre Teresa è riuscita, finalmente, ad entrare in Albania nel 1989 “…mentre la dittatura stava vivendo gli ultimi giorni”. Egli  era ed è fermamente convinto che “…quella “apertura” era semplicemente una disperata mossa politica per cercare un appoggio internazionale tramite un personaggio internazionalmente indiscusso: Madre Teresa.”. Aggiungendo, altrettanto convinto che “…L’ipocrisia del regime arrivò fino al punto di conferire una delle più alte onorificenze nel dicembre 1990, soltanto pochi giorni prima che cominciassero le manifestazioni che portarono al crollo della dittatura”. Specificando che nella motivazione dell’onorificenza era stato scritto “Gli albanesi sono fieri della loro grande e onorata figlia.” (Sic!) (Madre Teresa, la santa albanese; 5 settembre 2016). Una stridente e vigliacca ipocrisia quella delle massime autorità della dittatura comunista. Purtroppo alcuni dei diretti discendenti biologici di quelle autorità della famigerata e crudele dittatura comunista, guarda caso, attualmente sono diventate, altresì, delle massime autorità politiche ed istituzionali in Albania, primo ministro ed alcuni suoi ministri ed alti funzionari compresi. Proprio coloro che, senza scrupolo alcuno, gestiscono ed abusano della cosa pubblica, calpestando consapevolmente tutti i diritti innati e/o acquisiti dei poveri cittadini albanesi, in connivenza con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    In Albania, anche durante questi ultimi giorni, ci sono state altre dimostrazioni e testimonianze dell’ulteriore consolidamento del regime totalitario corrotto e malavitoso. Il 13 agosto l’autore di queste righe scriveva che “Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo in Albania, anche in questi ultimissimi giorni, dati e fatti alla mano, dimostra e testimonia purtroppo che da alcuni anni, dopo il crollo, nel 1991, della spietata dittatura comunista, è stato restaurato e si sta continuamente consolidando un nuovo regime totalitario”. Aggiungendo che si tratta di un regime totalitario il quale si sta consolidando in Albania ed “…è rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, ma che in realtà si presenta e realmente è una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). In seguito nell’articolo egli analizzava per il nostro lettore perché il regime totalitario in Albania è anche corrotto e malavitoso. Perciò pericoloso. Sono delle ragioni più che sufficienti per essere seriamente preoccupati e non solo in Albania, ma anche in altri Paesi circostanti ed oltre, Italia compresa.

    L’Albania, dati e fatti alla mano, comprese le tante e ripetute conclusioni dei rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, non risulta essere un Paese democratico. In più, l’Albania non è un paese economicamente ed industrialmente sviluppato. In Albania, sempre riferendosi ai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, risulta che la criminalità organizzata, in stretta collaborazione con il potere politico, sta controllando sempre più attività e traffici illeciti. Ragion per cui non dovrebbe esistere nessun serio, trasparente ed onesto motivo per il quale un cittadino di un altro Paese, compresi quelli democratici ed evoluti, dovrebbe comprare, investendo milioni, la cittadinanza albanese. Anzi, si potrebbe subito pensare e giustamente dubitare che una tale decisione dovrebbe avere un altro e ben diverso motivo: quello delle attività illecite da parte di tutti coloro che fanno richiesta di diventare cittadini albanesi, comprando quella cittadinanza con degli “investimenti milionari”.

    Ebbene la possibilità di comprare la cittadinanza albanese è ormai ufficialmente sancita e diventata realtà, dopo una decisione presa dal Consiglio dei ministri in Albania il 29 luglio scorso. Secondo quella decisione, entrata immediatamente in vigore e di solo due articoli, si permette di “definire un altro settore che si offre in concessione o nell’ambito del partenariato pubblico privato”. Una forma d’accordo quell’ultima con la quale stanno, da anni, abusando dei milioni della cosa pubblica in Albania. Anzi, dati e fatti accaduti, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulterebbe che il partenariato pubblico privato rappresenti una ben ideata ed attuata possibilità di far uscire centinaia di milioni dalle case dello Stato. Milioni che poi si dividono, in maniera abusiva ed illecita, tra i più alti rappresentanti del potere politico ed istituzionale e gli “investitori” che si offrono di “gestire” quelle centinaia di miliardi. Non solo, ma gli “investitori che si “offrono”, sempre fatti accaduti alla mano, non di rado hanno registrato “l’impresa”, poco tempo prima dell’offerta fatta. In più, la formula applicata in Albania in questi ultimi anni del partenariato pubblico privato, permette agli “investitori” di usufruire del denaro pubblico, senza fare degli investimenti di tasca propria e senza prendere altre responsabilità, rischi compresi, come in tutti i contratti concessionari stipulati ed applicati in tanti altri Paesi, compresi quelli dell’Unione europea. Nel frattempo, le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia “stanno seriamente indagando” sulle denunce pubblicamente fatte ed ufficialmente depositate, senza però, guarda caso, arrivare mai ad una conclusione. In quanto alla sopracitata decisione, di soli due articoli, del 29 luglio scorso del Consiglio dei ministri in Albania, che permette il rilascio di quelli che vengono nominati, non solo in Albania, come i “passaporti d’oro”, si stabilisce che il Consiglio dei ministri ha deciso l’attuazione delle procedure della concessione/partenariato pubblico privato nel settore dei programmi della cittadinanza. Mentre il secondo articolo stabilisce che si incarica il ministero degli Interni ad attuare questa decisione. Tutto qui! Nessun’altra informazione resa pubblica. E nessuna dovuta trasparenza. Bisogna sottolineare che prima dell’entrata in vigore di questa decisione, le procedure per dare la cittadinanza albanese a dei cittadini di altri Paesi rappresentavano un lungo processo, coinvolgendo diverse istituzioni dello Stato. Alla fine tutto veniva ufficializzato da un decreto del Presidente della Repubblica. Mentre dal 29 luglio scorso saranno dei privati, albanesi e/o stranieri, in collaborazione con il ministero degli Interni, che decideranno se dare o meno la cittadinanza albanese a colui/colei che la richiede. C’è però anche un “piccolo” dettaglio. Tutto in cambio di ingenti somme di denaro da “investire” in Albania.

    La decisione del 29 luglio scorso per il rilascio della cittadinanza albanese tramite i cosiddetti “passaporti d’oro”, secondo il primo ministro albanese, fa parte delle agevolazioni nell’ambito del progetto della “cittadinanza per investire”. Un progetto accordato tre anni fa a Londra dal primo ministro albanese durante una riunione di tre giorni e organizzata da una ben nota società che fa l’intermediaria tra i cittadini milionari che vogliono un “passaporto d’oro” e il Paese che vende la cittadinanza. In quell’occasione il primo ministro albanese ha dichiarato convinto: “Credo fortemente che questo è il dovuto modo e che quello è ciò che noi faremmo”.

    Una simile decisione ha suscitato immediatamente la ferma reazione delle istituzioni dell’Unione europea, visto che l’Albania è un Paese candidato all’adesione nell’Unione. Nel maggio scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’Albania. Nel punto 32 di quella risoluzione si sancisce che l’Albania non deve attuare lo schema della “Cittadinanza per investire” perché “…potrebbe rappresentare un serio pericolo per la sicurezza, il riciclaggio del denaro sporco, la corruzione e l’evasione fiscale”. Una reazione altrettanto dura è arrivata anche dalla Commissione europea, il 30 agosto scorso. La Commissione, che chiede all’Albania di rispettare gli acquis communautarie, considera la sopracitata decisione sui “passaporti d’oro” una “violazione delle normative dell’Unione europea”.

    Chi scrive queste righe anche in questo caso avrebbe molte altre cose da analizzare ed informare il nostro lettore sui clamorosi abusi che si stanno facendo in Albania con il denaro dei poveri cittadini. Egli è però convinto che il primo ministro ed i suoi, con le loro decisioni, stanno facendo dell’Albania un paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata. Madre Teresa diceva che “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”. Il primo ministro ne è una testimonianza. Lui, con il suo quotidiano operato, sta confermando anche la convinzione di Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti”. Che Santa Madre Teresa preghi ed aiuti perciò i poveri albanesi che sono veramente tanti! E di non essere più offesi e derubati dal primo ministro e dai suoi, ma anche dai richiedenti i “passaporti d’oro”, che il primo ministro sta aspettando a braccia aperte.

  • Lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione ai leader dei partiti italiani

    Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta dell’Associazione ‘Europa Nazione’ 

    L’Associazione Europa Nazione, che ha lasciato libertà di voto ai propri soci, in quanto ha deciso di non prendere posizione ufficiale per nessun partito che concorre alle elezioni legislative del 25 settembre 2022, esprime il suo disappunto e sconcerto per l’indegno spettacolo offerto in merito alle modalità e ai criteri attuati per la formazione delle liste dei candidati.

    Ancora una volta, partiti divisi su tutto e incapaci di confronti sereni, hanno confermato il “patto di ferro” dell’intesa tra loro di continuare l’esproprio del diritto costituzionale dei cittadini italiani di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

    E’ dal 2005, con il varo della legge elettorale definita “Porcellum”, fino all’attuale normativa “Rosatellum”, che la politica si fa beffe dei diritti degli elettori e della rappresentanza dei territori e riduce la scelta dei candidati al Parlamento a decisioni discrezionali e arbitrarie di parenti, coniugi e amici personali, spesso inadeguati al ruolo, che vengono incredibilmente paracadutati in territori a loro del tutto estranei.

    Una sagra di nomine che non hanno nulla di politico e di rappresentativo, fondate sul principio dell’appartenenza fiduciaria ai leader, senza alcun legame con il popolo elettore.

    Un meccanismo prepotente e offensivo della sovranità popolare, che per quanto attiene specificatamente al Senato, potrebbe assurgere a vera e propria violazione della costituzione, atteso che per la Camera Alta il principio di rappresentanza è fondato su base Regionale.

    I candidati dovrebbero quindi essere residenti nella Regione e non sconosciuti esterni che poi si dileguano all’indomani delle elezioni.

    Ma come si può ancora impunemente consentire ai partiti di esercitare poteri che violano la Costituzione? Come si possono ancora ritenere libere elezioni, attività di finta espressione del voto, limitato unicamente ad una scelta di simboli di partito e non di persone, senza più alcun legame con gli interessi popolari e territoriali?

    Ma cosa di diverso si può pretendere dagli attuali partiti, ridotti a comitati elettorali, che non hanno mai adottato regole interne che garantissero gestioni e decisioni democratiche?

    Aveva ragione Piero Calamandrei quando alla Assemblea Costituente dichiarò: “una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”.

    Anche per questo la politica ha perso ogni credibilità e competenza e subisce il commissariamento di Premier “tecnici”.

    Per queste ragioni Europa Nazione si rivolge a tutti i leader dei partiti in corsa alle elezioni anticipate e chiede una dichiarazione pubblica di impegno, subito dopo le elezioni, ad approvare una legge elettorale che restituisca i diritti negati ai cittadini e ai territori.

    Solo così i cittadini potranno valutare quali leader saranno disponibili ad uscire dalla congrega degli usurpatori dei diritti costituzionali del popolo elettore italiano, così come potranno giudicare i leader che continueranno ad ignorare la richiesta di ripristino delle garanzie democratiche.

    Non è più tempo di egoismi e prepotenze, ma di scelte per il ritorno all’etica e al rispetto della Carta Costituzionale, nel primario interesse del Paese.

    Viva la democrazia e viva l’Italia.

    Europa Nazione

    I firmatati: Nicola Bono, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Corrado Cammisuli, Enrico Facco, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Gennaro Malgieri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Enzo Molettieri, Pippo Monaco, Mimmo Nania, Adriano Napoli, Oronzo Orlando, Walter Pepe, Maria Rosaria Perdicaro, Rosario Polizzi, Francesco Rubera, Manuela Ruggieri, Noemi Sanna, Rosario Trotta, Roberto Visentin, Vittorio Delogu

  • Un regime totalitario corrotto e malavitoso

    Lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione

    del concetto di giustizia nel mondo occidentale.

    Emil Brunner

    Un regime totalitario, in base a delle realtà storiche, soprattutto del secolo passato, si definisce generalmente come una forma di’organizzazione e funzionamento dello Stato caratterizzata da una totale concentrazione e controllo del potere da parte un partito, un gruppo ristretto di persone o da una sola persona. Un regime totalitario, sempre facendo riferimento alle note realtà storiche, analizzate, studiate e riferite dagli specialisti, si distingue dalle altre forme di organizzazione e di funzionamento dello Stato anche dalla continua messa in atto del controllo di tutto e tutti, negando e annientando i diritti e le libertà innate e quelle acquisite dell’essere umano. Si tratta di una definizione che non cambia, in principio, dalla definizione che gli studiosi danno alla dittatura. In entrambi i casi il potere si concentra e viene esercitato da una sola persona, il dittatore, l’autocrate, o da un ristretto gruppo di persone molto fedeli a lui. La storia, sia quella del secolo passato che di quello attuale, ci insegna però che alcuni regimi totalitari/dittature sono stati inizialmente costituiti in seguito a processi elettorali, che generalmente vengono considerati come processi che caratterizzano lo Stato democratico. Ma, dopo essere stati costituiti, i regimi totalitari/le dittature permettono ed organizzano solo dei “processi elettorali” di facciata, per dare una parvenza di normalità, lì dove la normalità non esiste, anzi! Si tratta perciò proprio di una ben ideata, organizzata ed attuata strategia di camuffamento della vera, vissuta e sofferta realtà che caratterizza i regimi totalitari/le dittature. Una strategia che usa come facciata anche l’esistenza di una Costituzione che consapevolmente però non viene mai rispettata. Oppure viene rispettata soltanto quando “giustifica” le decisioni prese dal regime totalitario/dittatura. La stessa strategia che prevede e usa come camuffamento anche l’esistenza formale dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, senza però permettere la loro separazione e l’indipendenza reciproca. Poteri quelli previsti e funzionanti già nell’antichità, ma anche nel medioevo, adattandosi sempre alle specifiche condizioni storiche e sociali del periodo. La teoria della separazione dei poteri, così come viene applicata attualmente in tutti gli Stati realmente democratici, è stata analizzata, studiata, elaborata e proclamata da Montesquieu nel suo ben noto libro Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.), pubblicato nel 1748. L’autore di questo libro era convinto che “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Montesquieu era convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. L’autore di queste righe, informando il nostro lettore soprattutto della vera, vissuta e sofferta realtà albanese in questi ultimi anni, ha trattato spesso anche il pensiero di Montesquieu sulla separazione dei poteri.

    Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo in Albania, anche in questi ultimissimi giorni, dati e fatti alla mano, dimostra e testimonia purtroppo che da alcuni anni, dopo il crollo, nel 1991, della spietata dittatura comunista, è stato restaurato e si sta continuamente consolidando un nuovo regime totalitario. Un regime che l’autore di queste righe considera come una nuova dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di democrazia, classificata come “fragile” dalle istituzioni internazionali specializzate. Una nuova dittatura che fino a pochi mesi fa “beneficiava” anche di un’opposizione che serviva da “stampella” al primo ministro. Un regime totalitario questo che si sta consolidando in Albania, rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, ma che in realtà si presenta e realmente è una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario? La risposta è semplice. Perché in Albania ormai, dal 2013, il potere è stato sempre più concentrato e viene controllato ogni giorno che passa, da una sola persona, il primo ministro e/o da un gruppo ristretto di persone, che formalmente rappresentano anche un partito politico. Ma che più di un partito, è realmente un raggruppamento di persone unite non da un credo ed una ideologia politica, bensì degli interessi occulti. L’Albania ha, sì, anche una sua Costituzione, ma, fatti accaduti, documentati, pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, per il primo ministro la Costituzione è solo un documento che lui ignora quando gli interessa e fa riferimento solo per demagogia ed a scopi di propaganda. Non solo, ma proprio come diretta conseguenza del modo in cui il primo ministro ed i suoi “consiglieri speciali”, soprattutto quelli incaricati dalla “Società aperta” d’oltreoceano, hanno ideato, programmato ed attuato, da una decina di anni, la riforma del sistema della giustizia, in Albania non ha volutamente funzionato per alcuni anni neanche la Corte Costituzionale. Il nostro lettore è stato informato spesso di questo “dettaglio”, le cui conseguenze sono state e risultano tuttora essere, dati e fatti alla mano, preoccupanti e dannose. Così come il nostro lettore è stato informato continuamente e con la necessaria e dovuta oggettività anche del controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui delle nuove istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. In seguito il nostro lettore avrà modo di conoscere altri fatti che confermano “l’ubbidienza” di quelle istituzioni agli ordini e alla volontà personale del primo ministro. E siccome lui controlla anche la maggioranza necessaria del Parlamento, perciò controlla anche il legislativo, allora il primo ministro controlla tutti e tre i poteri previsti e descritti da Montesquieu. Poteri che purtroppo, invece di essere separati ed indipendenti, in Albania sono controllati ed ubbidiscono ad una sola persona: al primo ministro. Lui personalmente e/o tramite chi per lui, controlla anche la maggior parte dei media, soprattutto quelli a diffusione nazionale, grazie a dei “rapporti clientelistici preferenziali” con i loro proprietari. Un quarto potere, quello dei media, che non esisteva quando visse Montesquieu. Ed in più, come il nostro lettore è stato informato, dal 24 luglio scorso, tutto fa pensare che il primo ministro controlli alla fine anche l’istituzione della Presidenza della Repubblica. Raggiungendo così un ambito obiettivo posto da lui da alcuni anni. Allora se non è questo, restaurato da alcuni anni in Albania, un regime totalitario, una dittatura camuffata, come si potrebbe definire?! La risposta l’ha data Montesquieu già nel 1748, nel suo libro Spirito delle leggi, affermando convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. E si sa, come la storia ci insegna, che la tirannia, il regime totalitario e la dittatura, in pratica, sono la stessa cosa.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario che è anche corrotto? Ci sono innumerevoli dati e fatti accaduti quasi quotidianamente negli ultimi anni, almeno quegli pubblicamente noti ed istituzionalmente denunciati, che confermano la corruzione ben radicata in Albania. Sarebbero bastati anche una minima, ma veramente minima parte di quei dati e fatti per far cadere il governo. Si, ma in un Paese democratico però, non in Albania. Per rispondere alla domanda e confermare la corruzione diffusa in tutti i livelli istituzionali, l’autore di queste righe si riferisce allo scandalo degli inceneritori. Si tratta di uno scandalo, e di alcune persone molto altolocate coinvolte, del quale in nostro lettore è stato informato in questi ultimi mesi e anche tre settimane fa (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Da quale pulpito arrivano quelle minacciose prediche, 16 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022). Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, dati e fatti che ogni giorno diventano sempre più numerosi ed inconfutabili, dati e fatti pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali. Si tratta di uno scandalo che dimostra come si possono ingoiare centinaia di milioni di euro per degli inceneritori inesistenti, non funzionanti, ma che si pagano con i soldi pubblici come se fossero operativi. Si tratta di uno scandalo che, oltre a centinaia di milioni di euro dei soldi degli albanesi, sta inghiottendo anche finanziamenti dell’Unione europea. Ma si tratta però anche di un clamoroso scandalo che, nonostante le denunce depositate presso la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia, una procura speciale, non vi è stata nessuna reazione da parte di questa Struttura speciale. Chissà perché?! In realtà si sa perché. E lo sanno in tanti ormai in Albania. Gli unici che “non sanno, non vedono, non sentono e non capiscono niente” sono i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. Proprio quelli che da anni “applaudono i risultati straordinari” della riforma del sistema di giustizia in Albania, grazie anche allo “straordinario, valoroso e dedicato lavoro” delle nuove istituzioni del sistema. La Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata compresa!

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario corrotto e anche malavitoso? La riposte è semplice. Basta fare riferimento ai rapporti ufficiali, degli ultimi anni, delle istituzioni specializzate internazionali che trattano la criminalità organizzata in Albania. Oppure basta fare riferimento a delle inchieste svolte da alcune procure in Italia, ormai rese pubbliche. Risulterebbe che la particolarità del regime dittatoriale albanese è che si presenta come un’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti. Più chiaro di così!

    Chi scrive queste righe potrebbe riempire molte altre pagine su questo argomento, ma per questa volta si fermerà qui. Però, oltre alle responsabilità dirette del primo ministro e dei suoi “fedelissimi” sulla grave situazione in Albania, una grande responsabilità la hanno anche i soliti “rappresentanti internazionali”. Ma anche alcuni “grandi del mondo” che per delle “ragioni geopolitiche” chiudono un occhio e permettono il consolidamento di un regime totalitario corrotto e malavitoso in Albania. Chi scrive queste righe condivide la convinzione di Emil Brunner che lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione del concetto di giustizia nel mondo occidentale. Egli, riferendosi all’indifferenza di alcuni “grandi del mondo”, perifrasa quanto scriveva A.J. Cronin in un suo noto romanzo. E cioè che le stelle, lontane e fredde stanno a guardare…

  • Tala Safwan: Egyptian TikToker held in Saudi over ‘immoral’ video

    A popular Egyptian social media influencer has been arrested in Saudi Arabia, accused of posting sexually suggestive content.

    Tala Safwan, who has five million followers on TikTok and some 800,000 on YouTube, drew ire online amid claims a recent video had lesbian undertones.

    But Ms Safwan said that had not been her intention.

    Police in the strictly conservative kingdom however said the video could harm public morality.

    With her short dark hair and expressive face, the young vlogger’s frothy, upbeat style is aimed at teenagers.

    Her videos have catchy, tabloid-like headlines as she discusses TV shows and issues sent in by her followers – mostly about relationships and embarrassing situations.

    She sets up pranks and carries out challenges – just like many other successful content creators around the world.

    But one of her recent videos has drawn a very different reaction.

    In the clip, she’s seen chatting to a female Saudi friend, whom she invites over to her house. Her subsequent remarks have been interpreted by some as being sexually suggestive.

    That set off a big campaign against her, with a hashtag trending on Twitter that translates as “Tala offends society”.

    She responded by saying she’d been misunderstood and denying there was any lesbian subtext in her comments – a subject that is still publicly taboo in Saudi Arabia.

    She said that the clip had been taken out of context from the full video she recorded, in order to cause a scandal.

    As the social media pile-on continued, the police in Riyadh announced that they had arrested a local resident “who appeared in a broadcast talking to another woman with sexual content and suggestiveness that could have a negative impact on public morality”.

    The police did not name Tala Safwan, but included a clip of the video with her face and that of her friend blurred.

    It comes just days after the Saudi media regulator demanded that YouTube remove advertisements that it considers offensive to the country’s Muslim values and principles. The regulator threatened to take legal action if nothing was done.

    The announcement followed complaints by Saudi parents that their children were being exposed to inappropriate content in ads broadcast on YouTube.

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