depressione

  • Oltre 11 milioni di under 19 europei soffrono di disturbi mentali

    Nell’Unione europea 5,9 milioni di maschi e 5,3 milioni di femmine fino a 19 anni soffrono di disturbi mentali. Lo ha reso noto un comunicato dell’Unicef in occasione della Settimana europea della salute mentale (13-19 maggio). Sono pertanto circa 11,2 milioni – il 13% – i bambini e giovani entro i 19 anni nell’Unione europea che soffrono di un problema di salute mentale, secondo la pubblicazione “Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union 2024”. Tra le persone di età compresa tra i 15 e i 19 anni, circa l’8% soffre di ansia e il 4% di depressione. Il suicidio è la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) tra i giovani fra i 15 e i 19 anni nell’Ue. Nel 2020, circa 931 giovani sono morti per suicidio nell’Ue, equivalenti alla perdita di circa 18 vite a settimana. La prevalenza del suicidio è diminuita nel corso del tempo nell’Ue, con il 20 per cento dei suicidi in meno nel 2020 rispetto al 2011. Circa il 70% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni nell’Ue che muoiono per suicidio sono maschi. In Italia, tra i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno perso la vita intenzionalmente tra il 2011 e il 2020 il 43% erano ragazzi e circa il 36% ragazze.

    Circa la metà (48%) di tutti i problemi di salute mentale a livello globale si manifesta entro i 18 anni, eppure molti casi rimangono non individuati e non trattati. Nell’Unione europea i dati sull’accesso ai servizi per la salute mentale da parte dei bambini sono limitati, ma le evidenze indicano che, nel 2022, per quasi la metà dei giovani adulti (tra i 18 e i 29 anni) i bisogni di assistenza per la salute mentale non erano soddisfatti. I livelli di alta soddisfazione della vita tra i quindicenni sono scesi da circa il 74% nel 2018 al 69% nel 2022 nei 23 Paesi per i quali sono disponibili i dati. Ciò equivale a oltre 220 mila ragazzi di 15 anni in meno in 23 Paesi dell’Ue con un’alta soddisfazione di vita nel 2022 rispetto al 2018.

    L’Unicef accoglie con favore l’attenzione costante e crescente dell’Ue all’agenda sulla salute mentale negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia di Covid-19. Ma attualmente, nei Paesi dell’Ue gli investimenti nei servizi per la salute mentale sono esigui rispetto a quelli per la salute fisica. È necessario porre maggiore enfasi sull’affrontare le cause profonde dei problemi di salute mentale attraverso iniziative di prevenzione e la promozione di una salute mentale e di un benessere positivi. Lo scorso 6 marzo, una delegazione di Unicef Italia e dell’Ufficio regionale Unicef per l’Europa e l’Asia centrale hanno incontrato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, al quale sono state consegnate le oltre 21mila adesioni raccolte per la petizione Unicef “Salute per la mente di bambini e adolescenti” per chiedere azioni a sostegno del benessere psicosociale e della salute mentale di bambine, bambini e adolescenti.

  • Follia e follia

    La politica, i media, come un poi noi tutti, parlano spesso di sanità: attese infinite, carenza di personale, nuove scoperte scientifiche, allungamento delle aspettative di vita, necessità di cure differenziate a seconda del sesso, prevenzione anche attraverso più sani stili di vita. Molte promesse e qualche risultato.

    Intanto cresce, ogni giorno di più, la disperazione delle tante famiglie lasciate senza aiuto e che devono gestire un parente, spesso un figlio, con gravi problemi psichici, famiglie che si confrontano quotidianamente con la violenza e l’impossibilità di trovare soluzioni.

    Leggi inadeguate o mai attuate non danno possibilità di assistenza mentre sappiamo tutti che non basta prescrivere qualche farmaco per guarire o tenere sotto controllo persone che, non per loro colpa, non possono controllarsi.

    Nel 1978 la legge 110, detta anche legge Basaglia, chiuse i manicomi, i terribili ghetti dove molte persone restarono per tutta la vita ma, come purtroppo spesso avviene, non si tenne conto che contestualmente, anzi prima dell’entrata in vigore della legge, avrebbero dovuto essere create strutture, emanate norme che impedissero che questi malati fossero di fatto abbandonati, con le loro famiglie, ad un vero e proprio calvario.

    Oggi si parla, dopo i guasti veri e presunti che il covid ha fatto sulle menti di tanti, specie dei più giovani, di un obolo per lo psicologo, di psicologi nelle scuole, ma non si parla dei gravi danni che l’uso smodato, e scorretto, della Rete, che non ha regole, fa quotidianamente né si affrontano i terribili problemi che le famiglie, spesso composte da genitori anziani, devono affrontare con un malato psichico in casa.

    La malattia non può essere azzerata, guarita, eliminata dalla legge ed una legge quando non è in grado di valutare a monte le conseguenze che comporta la sua applicazione è anch’essa una legge malata ed è malato di incomprensione ed indifferenza tutto quel mondo politico, di ogni colore, che dal 1978 ad oggi non ha saputo trovare, dare, al territorio risposte celeri ed adeguate.

    Nel frattempo abbiamo assistito a vere e proprie tragedie annunciate, delitti che avrebbero potuti essere impediti, perché oltre a non esserci servizi e strutture per aiutare i malati psichici e le loro famiglie non c’è neppure prevenzione. Ad ogni tragedia, ad ogni morte, dolore e stupore, sgomento e poi silenzio.

    Ci sono vari tipi di follia, in alcuni casi l’assistenza e la medicina, il controllo e la comprensione, la libertà e la vigilanza possono fare molto per le famiglie e per il malato psichico, in altri casi, come per quello della follia politica che non fa comprendere i reali bisogni di una parte della popolazione, comincio a temere non vi sia alcuna cura.

  • Vivere la vita affrontando ogni giorno quello che ci porta

    Da tempo, purtroppo, sappiamo che vi sono persone, specie giovani, che “affrontano” i loro problemi procurandosi tagli e lesioni volontarie, il fenomeno, negli ultimi anni, è peggiorato colpendo ragazzi sempre più giovani.

    Secondo alcuni dati, di recente pubblicazione, l’autolesionismo è aumentato del 70% interessando ragazzi che hanno una media di età dai 13 ai 14 anni.

    La crescita, non solo per il covid, del disagio dei più giovani, la depressione, l’incapacità di accettarsi e di sentirsi accettati, la violenza sempre più frequente, che molti devono subire, la competizione eccessiva, che emargina tanti, ed i messaggi negativi della rete sono solo alcuni dei motivi per i quali troppi adolescenti si sentono insicuri, frustrati, non capiti, senza un posto nel mondo.

    Il primario di neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù di Roma avverte che i tre quarti delle malattie mentali iniziano prima dei 18 anni.

    L’autolesionismo è l’evidente sintomo di una grave sofferenza interiore che i genitori e gli insegnanti dovrebbero poter capire da tanti sintomi, dagli sbalzi d’umore all’eccessiva aggressività o indifferenza a quanto avviene intorno, ai disturbi dell’alimentazione.

    Diventa difficile combattere l’angoscia, che per altro ha attraversato anche le vite dei nonni e dei genitori degli adolescenti di oggi, quando diventa sempre più forte lo spirito di imitazione dei comportamenti di altri componenti del gruppo o di quanto si vede su Tik Tok o su altri sistemi di diffusione di massa che propagano notizie e comportamenti negativi.

    Spesso i tagli sono messaggi che si mandano alla stessa famiglia, anche se i tagli sono in punti nascosti, un grido d’aiuto che non ha suono e visibilità perché chi lo lancia vuole stare solo, è convinto di non essere capito, e contemporaneamente vorrebbe essere salvato.

    Troppe volte anche i genitori sono fragili come i loro figli, non danno loro la sicurezza che si cerca quando si è adolescenti, la scuola è distratta e i social sono diventati prevalenti con le loro orride suggestioni che portano anche a sfidare la morte in folli gare.

    Sapere educare i giovani alla vita per renderli autonomi e consapevoli significa far loro conoscere che l’ansia, la paura, i momenti d’angoscia o d’inadeguatezza fanno parte della vita di ciascuno, e che non bisogna avere paura del buio né rifugiarsi in esso.

    L’autostima è fondamentale, chi si rispetta rispetta gli altri, bisogna imparare a conoscere i propri pregi ed i propri difetti, non sentirsi inermi di fronte al giudizio degli altri, non sentirsi inadeguati o in eterna competizione.

    Ogni essere umano è un piccolo miracolo in se, una piccola grande meraviglia, cerchiamo di dare ai ragazzi, ai bambini il senso della vita che è proprio vivere affrontando ogni giorno quello che ci porta sapendo che non si è mai veramente soli ma che nessuno può sostituirsi a noi per affrontare le prove che ci toccano.

  • Un italiano su tre rischia il trauma da pandemia

    La pandemia da Covid-19 sta mettendo a rischio, sempre di più, anche il benessere mentale delle persone facendo sentire i suoi pesanti effetti a livello psicologico. Insonnia, depressione ma pure disturbi psichici più gravi sono le manifestazioni di quello che gli psichiatri definiscono il nuovo e dilagante ‘trauma da pandemia’, che può lasciare segni fino a 30 mesi e mette a rischio 1 italiano su 3, con le donne che sono le più esposte. È questo il quadro che emerge da una revisione sistematica della Società Italiana di Psichiatria (SIP) degli studi pubblicati sul tema Covid e salute mentale, a un anno dall’inizio della pandemia a livello mondiale.

    Questa situazione, avvertono gli esperti, lascia i suoi segni profondi sulla psiche, rischiando di compromettere anche a lungo termine benessere e salute mentale non solo dei pazienti guariti dal virus, degli operatori sanitari e delle famiglie delle vittime, ma di tutte le persone che anche solo indirettamente stanno subendo i colpi di un anno di Coronavirus. Il rischio più diffuso è vivere l’esperienza pandemica in modo traumatico, manifestando il cosiddetto disturbo post-traumatico da stress (PTSD), con sintomi cronici o persistenti che vanno da insonnia a incubi ed ansia: fino a un individuo su tre potrebbe soffrirne. Nella popolazione generale sono le donne la categoria più a rischio, probabilmente perché il lockdown ha pesato più che mai su di loro, sia come madri sia come lavoratrici.

    “Il disturbo da stress post-traumatico è un disturbo psichiatrico che può svilupparsi in seguito all’esposizione ad eventi traumatici così eccessivi da determinare uno sconvolgimento psichico – spiegano Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti della Sip -. Gli effetti sulle persone sono a lungo termine e talvolta cronici”. In particolare, l’analisi mostra che a infierire sull’equilibrio psichico sono state soprattutto le condizioni di isolamento, la perdita di libertà, le preoccupazioni per l’impatto del virus sulla gravidanza. Mentre il più grande fattore protettivo sembra essere una condizione di benessere spirituale. La maggior parte degli studi presi in esame indica che i sopravvissuti al contagio hanno una maggiore probabilità di disturbi a lungo termine, seguiti dalle famiglie delle vittime e dagli operatori sanitari. Il 96% dei sopravvissuti al virus sperimenta infatti i sintomi della Sindrome Post Traumatica da Stress, fino anche ad arrivare in casi estremi al rischio di suicidio. A rischiare di più sono coloro che hanno vissuto l’incubo della ventilazione meccanica: fino a uno su due di questi pazienti è a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici come la PTSD con allucinazioni, ricordi di panico e ansia che potrebbero persistere anche fino a cinque anni di distanza. La situazione è risultata particolarmente gravosa anche tra gli operatori sanitari. Grazie a una metanalisi su un totale di 69.499 lavoratori, è emersa un’incidenza del PTSD dal 7,4% al 37,4% con sintomi da uno a tre anni di distanza. Particolarmente esposti allo stress sono anche coloro che rivestono un ruolo di cura (caregivers), in particolare delle persone anziane.

    “Il malessere psichico dilagante legato alla pandemia, le incertezze socioeconomiche e anche la consapevolezza di dover convivere a lungo con il virus – sottolinea Zanalda – vanno prese in carico subito, con tutti i mezzi a nostra disposizione, compresa la telemedicina, pena il rischio di trovarci a breve di fronte a un boom di nuove diagnosi di disturbo post-traumatico, che a sua volta può compromettere anche la salute fisica delle persone”. Dunque, se ansia, insonnia, frustrazione e irascibilità si protraggono per più di tre settimane “è necessario rivolgersi allo specialista. La telemedicina, in particolare, permette oggi di fornire un’alternativa efficace di supporto psicoterapico – conclude di Giannatonio – con la possibilità di intervenire tempestivamente ed adeguatamente, permettendo di elaborare l’esperienza traumatica da Covid-19”.

  • Social e tv possono spingere gli adolescenti alla depressione

    Un uso troppo prolungato della televisione o di social media, come Facebook e Instagram, espone gli adolescenti a un aumentato rischio di depressione. È quanto emerge da una ricerca, realizzata da un gruppo guidato da Elroy Boers del Department of Psychiatry dell’University of Montreal, pubblicata su JAMA Pediatrics. In base ai risultati della ricerca, che ha coinvolto oltre 3.800 adolescenti, anche un prolungato utilizzo del computer espone allo stesso rischio, tranne quando i ragazzi lo usano per acquisire una crescente abilità informatica: in questi casi il rischio di depressione tende a diminuire, compensato da un miglioramento dell’autostima. Anche l’utilizzo prolungato di videogiochi sembra essere esente dal rischio di indurre depressione. Infatti oltre il 70% degli adolescenti gioca in compagnia di un amico presente fisicamente oppure online, svolgendo quindi un’azione socializzante che riduce il rischio di isolamento e depressione.

    Sono state avanzate diverse ipotesi sul perché trascorrere molto tempo sui social media o davanti alla televisione esponga al rischio di depressione adolescenziale. Un’ipotesi è che queste attività rubino tempo ad altre potenzialmente più «sane» e socializzanti, come l’attività fisica. Poi c’è anche il sospetto che gli adolescenti che trascorrono troppo tempo davanti agli schermi siano esposti a contenuti per loro difficili da interpretare criticamente, così che rischiano di cadere preda di comparazioni impossibili. Sia i social media sia la televisione presentano infatti modelli di vita idealizzati, che non corrispondono alla realtà, irraggiungibili e quindi fonte di frustrazione. Basti pensare che sui social tutti sembrano divertirsi tutti i giorni dell’anno, in una vita irreale che appare perennemente in vacanza. Infine c’è la teoria delle cosiddette «spirali di rinforzo»: un fenomeno in base al quale i ragazzi tendono a selezionare contenuti che confermano quelle che già sono le loro idee. In tal modo, una visione negativa della vita può rapidamente rafforzarsi, aprendo la strada alla vera depressione.

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