digitale

  • European Parliament adopts Copyright Directive for the digital age

    An intense day at the European Parliament wrapped up on September 12 after the MEPs entered a lengthy voting session to decide on a Copyright Directive that would modernise intellectual property rights and bring them in line with the digital revolution by encouraging platforms like YouTube, owned by Google, to better reward content creators.

    The new regulations, however, remain controversial as opponents fear that the plans could destroy user-generated content. The bill’s supporters, however, claim the reforms are necessary to fairly compensate artists.

    Article 13 puts the onus on web giants to take measures to ensure that agreements with rights holders for the use of their work are working. This would require all internet platforms to filter content put online by users, which some say would be an excessive restriction on free speech.

    The new copyright law also requires online platforms to pay news organisations for the use of their content in what is being dubbed a “link tax”. Web giants will also now have to take measures to ensure that agreements with rights holders for the use of their work are working.

    In the case of the latter, critics charge that would require all internet platforms to filter content put online by users, which many believe would be an excessive restriction on free speech.

    The bill’s sponsor, Alex Voss of the European People’s Party, said the directive would not lead to any form of online censorship but instead strikes a balance between individual creators and larger online platforms that take advantage of their accounts.

    The proposal was approved with 438 votes in favour and 226 against, with 39 abstentions. This vote took place after the adoption of several amendments that were more favourable to major Web companies and advocates of digital freedom.

    The European Commission welcomed the adoption of the Parliament’s negotiating position, with the Vice-President for the Digital Single Market Andrus Ansip and the Commissioner for Digital Economy and Society Mariya Gabriel saying that discussions can now start on a legislative proposal that would boost the standing of the Digital Single Market strategy.

    Our aim for this reform is to bring tangible benefits for EU citizens, researchers, educators, writers, artists, press, and cultural heritage institutions and to open up the potential for more creativity and content by clarifying the rules and making them fit for the digital world,” Ansip and Gabriel said in a joint statements. “At the same time, we aim to safeguard free speech and ensure that online platforms – including 7,000 European online platforms – can develop new and innovative offers and business models.”

    The two Commissioners reiterated that the EU executive stands ready to start working with the European Parliament and the Council of the EU  for the swift adoption of the directive, “ideally by the end of 2018”.

     

  • Trend estivi 2018: lo shopping in spiaggia si fa con lo smartwatch

    La smaterializzazione del processo di pagamento fa dire addio ai contanti, ma la nuova frontiera della tecnologia, con la smaterializzazione della carta, fa dire addio anche ai pagamenti con il pos soprattutto in spiaggia. Grazie, infatti, agli orologi digitali si può tranquillamente lasciare a casa o in albergo la carta di credito.
    Così se tra piscina e ombrellone, viene la voglia di un gelato o di un aperitivo, basta dare un’occhiata al polso e digitare sul proprio orologio il codice per procedere al pagamento. Più liberi dunque, ma anche più leggeri per godersi le vacanze e anche le consumazioni sulla spiaggia, rimanendo in costume senza preoccuparsi di prendere borsa e portafoglio sotto l’ombrellone o in cabina.
    Per pagare basta avvicinare l’orologio al lettore tenendo il dito sul sensore oppure effettuare il riconoscimento del volto a seconda della tipologia di orologio che si indossa.
    Dall’abbonamento settimanale ombrellone-lettino a un semplice caffè preso in giornata, come per ogni acquisto fatto in modalità contactless, con l’orologio si possono effettuare transazioni di qualsiasi importo. Con un gesto semplice si può usufruire di un pagamento veloce e sicuro.
    Dopo la moneta elettronica, quindi, arriva il pagamento con gli orologi, grazie al chip NFC, che permette la comunicazione tra dispositivi che vengono avvicinati a una distanza massima di 4 cm. La trasmissione dei dati avviene in maniera criptata e la distanza così ridotta rende ancora più sicura la comunicazione, scongiurando il rischio di intercettazioni. Grazie all’NFC basta avvicinare il proprio orologio al POS fornito di tecnologia contactless, autorizzare il pagamento ed il ‘gioco’ è fatto.
    I vantaggi ottenuti dall’utilizzo di queste nuove tecnologie sono molti più di quanti si possa immaginare. I pagamenti tramite dispositivi smart permettono, infatti, come i pagamenti con carta di credito, di non portare con sé grosse somme di contante con il vantaggio che, in caso di furto o di smarrimento, nulla può essere prelevato (occorrono codici o impronte digitali). Inoltre, il commerciante non riceve nessuna informazione sulla carta registrata per il pagamento via orologio, ma solamente il codice della transazione.

  • Le imprese italiane ancora poco digitali

    Nonostante i passi in avanti degli ultimi anni, il rapporto tra le imprese e il mondo del digitale rimane tortuoso e con diverse difficoltà. Molto spesso l’approccio delle imprese risulta essere quasi disinteressato, come se tutto quello che riguarda la parte digitale dell’impresa fosse un di più.

    Secondo i dati di quest’anno del rapporto sulla competitività dei settori produttivi realizzato dall’Istat, il 63% delle imprese italiane realizza infatti nell’ambito Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) investimenti irrilevanti. L’analisi, arrivata alla sesta edizione, pone il focus sulle strutture e le performance del sistema produttivo italiano. Questi numeri fotografano aziende poco produttive e scarsamente efficienti, mediamente di dimensioni ridotte, inserite in settori produttivi strettamente tradizionali. Il rapporto descrive un sistema chiaramente in transizione, con segnali di ripresa dal lato degli investimenti grazie anche al piano Industria 4.0. Elementi positivi che si contrappongono però a lacune ancora troppo evidenti.

    Anche se la risalita rispetto al biennio precedente è costante, il rapporto evidenzia infatti un ritmo di accumulazione del capitale modesto rispetto ai maggiori paesi europei, con ritardi soprattutto negli investimenti in beni immateriali. Il risultato è che la quota in investimenti fissi lordi in rapporto al Pil è più bassa della media dell’Unione (gap di 3,1 punti) e il divario tende ad allargarsi. Questi ritardi riguardano soprattutto l’area digitale, dove l’Italia paga un divario ancora troppo rilevante ad esempio nella velocità di connessione ad internet.

    Due terzi delle imprese italiane con oltre i dieci addetti ritengono poco rilevante l’Ict nella propria attività. Nella definizione Istat, queste imprese risultano “indifferenti”, a cui si contrappongono le aziende digitali “compiute” (elevato capitale fisico e umano, alta digitalizzazione e produttività) pari ad appena il 3% del totale, 5400 in tutto. Nel mezzo vi sono aziende “sensibili” al tema (18mila), impegnate ad investire in capitale umano, inserite più spesso nelle filiere di bevande, elettronica, informatica, audiovisivi. Modificare queste medie è importante non solo in termini di produttività ed efficienza ma anche in funzione della creazione di nuova occupazione: l’analisi Istat evidenzia infatti come nel biennio 2016-2017 le imprese più propense a digitalizzare abbiano creato in media più posti di lavoro ricomponendo inoltre l’assetto a vantaggio delle figure più qualificate. In media un’impresa su due qui ha aumentato le posizioni lavorative almeno del 3,5%, un valore cinque volte superiore rispetto alla categoria delle aziende “indifferenti”.

    I segnali di transizione positiva sono comunque evidenti, a cominciare dalla propensione ad investire: il 67% delle imprese dichiara infatti di averlo fatto nel corso del 2017. Nuovi percorsi di crescita che hanno anche contribuito a spingere verso l’alto la propensione innovativa calcolata dall’Istat, salita di quattro punti rispetto alla precedente rilevazione. Resta tuttavia rilevante il gap dimensionale, perché se è vero che ad aver investito sono quasi sette aziende su dieci, la percentuale crolla al 42% per le Pmi. Visto che l’Italia ha nel suo DNA le piccole-medio imprese, questa è una barriera da superare a livello globale.

    Questo ciclo di investimenti proseguirà comunque anche nel 2018, con quasi la metà del campione che prevede di spendere in nuovi software, il 31,9% in tecnologie di comunicazione, il 27% in connessioni ad alta velocità. Nelle simulazioni Istat, l’impatto delle misure di incentivazione dovrebbe produrre a livello globale per il Paese un aumento dello 0,1% degli investimenti totali sia nell’anno in corso che nel 2019. Le premesse per procedere nella direzione della crescita paiono dunque esserci, basta iniziare a cambiare mentalità.

     

  • Tutti alla fermata del tram dell’Innovazione per conoscere i segreti del digitale

    In occasione della Milano Digital Week (15-18 marzo), l’Associazione Women&Tech, fondata da Gianna Martinengo, ha organizzato, in partnership con ATM, un workshop itinerante. Al posto della classica sala riunioni, uno scenografico Tram Carrelli 1928 che, il 17 e 18 marzo, dal capolinea di Piazza Fontana, percorrerà le vie del centro, con tour che dureranno 45 minuti e saranno attivi dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 17.30, per un totale di 8 corse al giorno e 40 partecipanti per tour. Il Tram del Digitale è un “luogo in mobilità” nel quale i cittadini, gratuitamente, possono ascoltare le esperienze e le testimonianze dei protagonisti della trasformazione digitale. Non solo scenari futuribili, ma proposte concrete e soluzioni che raccontano come la tecnologia possa aiutare la vita quotidiana delle persone.
    Diversi i temi trattati dai professionisti che si daranno il cambio alla guida virtuale del tram: si andrà dalla smart mobility alla cybersecurity, dall’Internet delle Cose alla User Experience, dall’Intelligenza Artificiale alla robotica, all’Impresa 4.0. Particolare attenzione verrà posta alla ricaduta che il digitale ha sui rapporti interpersonali nelle aziende, nelle famiglie e nella società.
    A disposizione dei cittadini che vorranno salire su questo speciale mezzo ci saranno tablet forniti da Microsoft, che consentiranno di seguire gli interventi con il supporto di materiali digitali.

    Numerosi i protagonisti del mondo accademico e delle imprese che animeranno i workshop durante i tour del Tram dell’Innovazione. Il giro inaugurale si terrà sabato 17 marzo alle ore 10 e sarà aperto dagli interventi di Roberta Cocco, Assessore alla Trasformazione digitale e Servizi civici del Comune di Milano, Marco Granelli, Assessore alla Mobilità e Ambiente del Comune di Milano, Luca Bianchi, Presidente di ATM, Gianna Martinengo, imprenditrice, ideatrice del progetto; seguiranno le testimonianze di Arianna Fontana, Presidente Confartigianato-sezione di Milano, Elisa Liberale, responsabile Affari Legali di Microsoft, Anna Beduschi, Marketing Officer Italy di Talkwalker, Olga Iarussi, Ceo di Triumph, Gruppo Sella.

    La partecipazione agli appuntamenti del Tram dell’Innovazione è gratuita, previa registrazione online al seguente link https://www.eventbrite.it/e/registrazione-il-tram-dellinnovazione-44136124336?aff=erelpanelorg.

  • La Ue punta a sostituire i satelliti ai burocrati nella gestione della politica agricola comune

    La Commissione europea scommette sui satelliti per rendere più sostenibile l’agricoltura europea e tagliare la burocrazia della politica agricola comune. Le agenzie di pagamento nazionali già oggi usano alcuni dati del sistema di satelliti europei Copernico, ma l’Ue vuole accelerare. Il progetto pilota dell’Esa Sen4Cap, che vede l’Italia tra i paesi sperimentatori, vuole sfruttare il flusso di dati che arriva dai satelliti Copernico per realizzare un sistema automatico che sostituisca i controlli sul campo e riduca la burocrazie delle ‘domande Pac’ per gli agricoltori.

    I dati forniscono inoltre chance per aumentare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura. La Commissione europea stima che un’agricoltura digitalizzata, basata sull’integrazione di dati satellitari e sul terreno, possa portare guadagni in efficienza del 40% nella sola gestione dei concimi. «Siamo ancora in una fase iniziale di integrazione dei flussi di dati in applicazioni» utilizzabili dagli agricoltori, afferma il Cema, l’organizzazione di settore delle macchine agricole europee, perché molte aziende «ancora non vedono nel digitale un’opportunità per migliorare le loro pratiche agricole». «Tra qualche anno tutti gli agricoltori europei avranno uno smartphone – ha detto il dirigente della Commissione Tassos Haniotis – molti di questi dispositivi saranno fatti negli Usa o in Cina, ma i dati saranno europei e questo ci dà vantaggio tecnologico. Se non lo sfruttiamo ora lo perderemo per sempre».

  • In Italia start-up innovative, ma poco digitali

    Molto spesso gli investitori italiani pensano che in Italia non ci siano progetti giovani validi, che la qualità delle startup sia modesta. Questa affermazione puntualmente viene contestata, poiché spesso le idee imprenditoriali sono buone e i prodotti o i servizi di massima qualità. Quello che manca a queste imprese è la digitalizzazione, visto che una startup innovativa oggi non può prescindere da una presenza sul web.

    Nel 2016 il primo Report Startup Seo realizzato da Instilla, una startup tech italiana che si occupa di marketing digitale, aveva messo in luce che tra le startup innovative iscritte nel registro imprese ben 6 startup su 10 non avevano il sito web o ne avevano uno non funzionante.

    La seconda edizione del report “Startup Seo 2017 – La digitalizzazione delle startup in Italia”, evidenzia un miglioramento della situazione, ma c’è ancora molta strada da fare, considerando anche il fatto che i parametri presi in esame rappresentano davvero le condizioni di base per una qualsiasi impresa moderna.

    L’analisi ha preso in esame due categorie di imprese: la prima è composta dalle imprese iscritte al Registro delle Startup innovative (aggiornato a luglio 2017) che hanno dichiarato di avere un sito web; la seconda è composto dalle imprese supportate da ‘facilitatori’, ovvero un acceleratore, incubatore o investitore. Delle 7.568 imprese iscritte nel registro delle start up innovative a luglio del 2017 solo 3.760 (il 49,7%) ha una vetrina in rete che funziona.

    L’obiettivo è quello di stabilire il grado di digitalizzazione di queste imprese, considerando determinati parametri, alcuni in grado di misurare il livello base del sito (in particolare l’usabilità e la velocità da mobile) e il livello base di ottimizzazione Seo, la Search Engine Optimization, vale a dire quell’insieme di qualità e attenzioni dei contenuti di un sito che permettono di scalare i ranking nelle ricerche su Google. Solo 100 tra le start up esaminate hanno un sito che rispetta i parametri base per ottimizzare la ricerca, denotando un notevole ritardo rispetto ad altri Paesi Europei.

    “L’innovazione non passa solo attraverso il prodotto, deve essere supportata da un approccio al business che comprende anche il digitale”, spiega Alessio Pisa, Ceo di Instilla. “Paghiamo lo scotto di un ritardo culturale del Paese anche se avere un sito internet significa moltiplicare le opportunità di crescita e nonostante alcune regioni stiano cercando di colmare il gap con il resto dell’Europa”, prosegue Pisa.

    La classifica stilata da Instilla mette al primo posto, per innovazione digitale delle start up, il Molise (il 30,8% delle nuove imprese innovative di questa regione ha un sito), seguito dall’area del Trentino (18,7%) e dall’Emilia Romagna, terza con una quota del 17,1%. Agli ultimi posti, invece l’Abruzzo (8,5%), la Calabria (7,3%) e la Valle d’Aosta, dove la digitalizzazione è quasi del tutto assente.

    Le cose però stanno migliorando in tutte le regioni come dimostra il confronto con la precedente classifica del 2016. Grandi passi li ha fatti per esempio il Friuli Venezia Giulia, passato da un modesto 2,9% al 14,5% attuale, percentuale superiore a quella della Lombardia, dove solo il 13,9% delle start up ha un sito. Ancora molto indietro anche il Lazio, regione che resta inchiodata a una percentuale del 9,2%.

    Più incoraggiante la situazione sul fronte della fruibilità su dispositivi mobile: quasi il 90% dei siti web funzionanti è anche ottimizzato per la visualizzazione su uno smartphone; anche se quelli con una sufficiente velocità di caricamento sono poco più del 30%.

    Le startup del settore servizi e del settore primario hanno un indice di digitalizzazione superiore alla media nazionale del 12,4%. Il dato più preoccupante è che l’ultimo settore per digitalizzazione è quello del turismo, industria che dovrebbe essere tra le più floride in Italia, con solo l’8,6% delle startup che superano il livello base del sito.

Pulsante per tornare all'inizio