Diritti umani

  • China probes Calvin Klein over Xinjiang cotton

    China has announced it is investigating the company that owns US fashion brands Tommy Hilfiger and Calvin Klein for suspected “discriminatory measures” against Xinjiang cotton companies.

    The move marks a new effort by Beijing to fight back against allegations from western officials and human rights activists that cotton and other goods in the region have been produced using forced labour from the Uyghur ethnic group.

    The US banned imports from the area in 2021, citing those concerns.

    China’s Ministry of Commerce accused the firm of “boycotting Xinjiang cotton and other products without any factual basis”.

    PVH, which owns the two brands and has a significant presence in China as well as the US, said it was in contact with Chinese authorities.

    It has 30 days to respond to officials, at which point it could be added to the country’s “unreliable entities” list, raising the prospect of further punishment.

    “As a matter of company policy, PVH maintains strict compliance with all relevant laws and regulations in all countries and regions in which we operate,” the company said. “We are in communication with the Chinese Ministry of Commerce and will respond in accordance with the relevant regulations.”

    On Wednesday, a Chinese Ministry of Commerce official denied that the probe was linked to US plans to ban certain Chinese electric vehicle technology.

    “China has always handled the issue of the unreliable entity list prudently, targeting only a very small number of foreign entities that undermine market rules and violate Chinese laws,” they said.

    “Honest and law-abiding foreign entities have nothing to worry about.”

    Cullen Hendrix, senior fellow at the Peterson Institute of International Economics, said it was not clear exactly what prompted the investigation into PVH now.

    But he said the announcement was likely to hurt the firm’s reputation among Chinese shoppers – and send a wider warning to global firms of the risks of simply bowing to western concerns.

    “China is, to a certain extent, flexing its muscle and reminding, not necessarily western governments, but western firms… that actions have consequences,” he said.

    “This same kind of naming-and-shaming tactic, that human rights organisations in the west have used, can be weaponised here.”

    The investigation of PVH comes as tensions between China and the west have been growing on a range of issues, including electric cars and manufacturing.

    On Monday, the US proposed rules to ban the use of certain technology in Chinese and Russian cars, citing security threats.

    China has previously put US firms on its unreliable entities list, which it created as trade tensions heated up between Beijing and Washington.

    Those firms were major defence contractors, such as Lockheed Martin and Raytheon, over their business in Taiwan.

    Mr Hendrix said the decision to target PVH – a consumer-facing firm with a clearly recognisable US brand – showed the two countries’ disputes were widening beyond areas such as defence and advanced technologies.

    “These things have a way of spilling over,” he said. “It’s affecting a growing number of supply chains across different sectors of the economy.”

    In its annual report, PVH warned investors of revenue and reputational risks stemming from the fight over Xinjiang.

    It noted that the issue had been “subject to significant scrutiny and contention in China, the United States and elsewhere, resulting in criticism against multinational companies, including us”.

    The company was named in a 2020 report by the Australian Strategic Policy Institute that identified dozens of firms that were allegedly benefiting from labour abuses in Xinjiang.

    At the time PVH said it took the reports seriously and would continue to work to address the matter.

    PVH employs more than 29,000 people globally and does more than 65% of its sales outside of the US.

  • Riflessioni riferendosi alla Giornata mondiale dei Diritti Umani

    La violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.

    Immanuel Kant

    “Tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti. Quest’eguaglianza è necessaria per costituire un governo libero. Bisogna che ognuno sia uguale all’altro nel diritto naturale”. Così scriveva Philip Mazzei nel 1774 nel The Virginian Gazette (Il giornale di Virginia; n.d.a.). Egli, come anche il suo amico Thomas Jefferson, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, nonché altri loro amici e colleghi, erano convinti che gli uomini nascono tutti liberi e devono beneficiare di questa loro innata libertà. Una convinzione espressa dalla frase All men are created equal (Tutti gli uomini sono creati uguali; n.d.a.). Due anni dopo, è stato proprio Thomas Jefferson ad inserire questa frase all’inizio del testo della Dichiarazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, proclamata il 4 luglio 1776. Il testo della Dichiarazione comincia con questo paragrafo: “Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione”. Per poi proseguire con un ben noto paragrafo, il cui inserimento è stato attribuito proprio a Thomas Jefferson. In quel secondo paragrafo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, i 55 firmatari della Dichiarazione, rappresentanti dei tredici primi Stati Uniti d’America, confermavano: “Noi sosteniamo che queste verità sono per sé evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini i governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che, ogni qualvolta una forma di governo diventi perniciosa a questi fini è nel diritto del popolo di modificarla o di abolirla”. Si tratta di concetti diretti, semplici, chiari e molto significativi che annoverano tra gli altri diritti innati, inalienabili e fondamentali dell’uomo anche la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Un concetto, quest’ultimo, il quale è stato trattato già da diversi filosofi della Grecia antica. Per loro l’Eudaimonia (la felicità; n.d.a.) era molto importante. Lo stesso concetto, quello della ricerca, il perseguimento della felicità, è stato trattato anche dall’illuminismo europeo, per poi trovare espressione scritta nelle costituzioni di diversi Paesi del mondo.

    Solo tredici anni dopo la proclamazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, in Francia, il marchese de La Fayette, amico di Thomas Jefferson, presentava all’Assemblea nazionale, riunita a Versailles, il testo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Il testo è stato discusso durante la riunione dell’Assemblea (tra il 20 ed il 26 agosto 1789). Un testo quello in cui si trovavano inseriti anche i concetti trattati dai Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, compresa la “ricerca della felicità”. Però nel testo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino trovava espressione anche l’obiettivo delle istituzioni politiche, la ricerca della “felicità di tutti”. Il testo è stato in seguito ratificato dal re Luigi XVI, in seguito alla marcia su Versailles, il 5 ottobre 1789. Così, proprio in quel 5 ottobre 1789, è stata approvata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (in francese La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Ma il testo della Dichiarazione, contenente un preambolo e 17 articoli, trattava molti altri concetti riguardanti i diritti fondamentali dell’essere umano. Nel preambolo della Dichiarazione si sanciva che “I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerato che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne Dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre alla conservazione della Costituzione e alla felicità di tutti”. Nel primo articolo si affermava: “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”. Mentre nel secondo articolo si sanciva che “Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”. La libertà veniva sancita nel quarto articolo della Dichiarazione: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; cosi l’esistenza dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla Legge”. I seguenti articoli della Dichiarazione trattavano il modo in cui doveva funzionare la legge, nonché il modo come si dovevano garantire i diritti dell’uomo e del cittadino. “La società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione”, si affermava nell’articolo 16. Mentre l’ultimo articolo della Dichiarazione sanciva: “La proprietà è un diritto inviolabile e sacro, pertanto nessuno può esserne privato, se non quando la pubblica necessità, legalmente constatata, lo esige evidentemente, e sotto la condizione d’una giusta e previa indennità”.

    Sempre in Francia il 21 marzo del 1804 è stato proclamato “Il Codice civile dei francesi” (Code civil des français; n.d.a.) noto anche come il Codice napoleonico, riferendosi proprio a colui che lo ha voluto, l’imperatore Napoleone Bonaparte. Il Codice civile, prima di essere ufficializzato dal richiedente, è stato discusso dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato. Organismi quelli presieduti, in quel periodo, ovviamente, dallo stesso imperatore. In seguito il Parlamento ha approvato il Codice. Si tratta di un testo concepito ed elaborato da una apposita commissione scelta e nominata da Napoleone Bonaparte. Il Codice civile presentava, in un solo testo, tutto ciò che aveva a che fare con il concetto del diritto, tenendo ben presente quanto era stato sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino nel 1789. Nel periodo in cui Napoleone aveva chiesto alla commissione da lui nominata di redigere il Codice si faceva riferimento al sistema del diritto comune, che si basava ai principi del sistema del diritto romano. Il che, in quel periodo, noto come l’Ancient régime (Regime vecchio, passato; n.d.a,), causava di solito delle difficoltà nella valorizzazione e nel trattamento giuridico dei singoli casi e, di conseguenza, portava anche a delle decisioni non giuste e a delle disuguaglianze. Nonostante sia stato redatto all’inizo del XIX secolo, il Codice napoleonico viene ancora considerato come un Codice a cui fare riferimento. Per gli specialisti della giurisprudenza, il Codice napoleonico viene ancora considerato come il primo codice contemporaneo. Bisogna sottolineare, basandosi su fatti storici, che il Codice napoleonico, è stato valutato anche da alcuni noti scrittori francesi come Stendhal prima e Paul Valery poi il quale scriveva convinto, addirittura, che il Codice napoleonico era “uno dei capolavori della letteratura francese”. Mentre un altro noto scrittore francese, Jules Romains, con spiccato senso di umorismo, suggeriva di leggerlo prima di dormire.

    Basandosi a quei importanti testi di giurisprudenza, dopo più di un secolo dopo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948, ha promulgato un’altro testo importante. Un testo al quale si fa spesso ormai riferimento: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con i suoi trenta articoli. In quel giorno, il 10 dicembre 1948, a Parigi, i rappresentanti istituzionali degli Stati membri delle Nazioni Unite hanno approvato, con la propria firma, un documento che sanciva tutti i diritti dell’essere umano, diritti universalmente riconosciuti in quel periodo. Si trattava di un  documento discusso e redatto dai rappresentanti di molti Paesi del mondo, membri delle Nazioni Unite. Paesi nei quali si usavano diversi sistemi legali. In base alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tutti gli esseri umani avevano gli stessi diritti. Il primo articolo della Dichiarazione sanciva che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. In seguito, il terzo articolo affermava che “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Mentre il sesto articolo stabiliva che “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”, seguito poi dalla garanzia che dava il settimo articolo: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un’eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”. E poi seguono tutti gli altri articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata il 10 dicembre 1948 a Parigi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che sanciscono tutti i diritti dell’uomo che devono essere obbligatoriamente rispettati. Un obbligo che devono rispettare tutti i Paesi delle Nazioni Unite. La Dichiarazione si conclude con l’articolo 30 che sancisce: “Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo, o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati”. E proprio facendo riferimento a quella data, il 10 dicembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 4 dicembre 1950 ha approvato la Risoluzione 423 (V), con la quale proponeva a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di celebrare ogni anno, in quella data, la Giornata mondiale dei Diritti Umani. Una ricorrenza celebrata anche quest’anno, domenica scorsa, 10 dicembre.

    I diritti dell’essere umano vengono sanciti anche dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, nota anche come la Carta di Nizza, ufficialmente presentata il 7 dicembre 2000 a Nizza, in Francia. Una versione elaborata della stessa Carta è stata in seguito adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, sia dal Parlamento europeo che, poi, dal Consiglio e dalla Commissione europea. Ma nonostante tutti quei documenti, fatti accaduti alla mano, in diversi Stati membri delle Nazioni Unite spesso i diritti dell’essere umano vengono violati e calpestati. Ed in alcuni di loro non vengono mai rispettati, anzi! Una significativa testimonianza è stato il conferimento del Premio Nobel per la Pace ad Oslo, domenica scorsa, 10 dicembre, a Narges Mohammadi, una nota attivista iraniana per i diritti dell’uomo, la quale nel gennaio 2022 è stata condannata a otto anni e due mesi di reclusione, due anni di esilio e 74 frustate! Ma non è solo l’Iran dove non si rispettano i diritti dell’essere umano. Ci sono anche diversi altri Paesi e, fermandosi solo in Europa, si potrebbero elencare la Turchia, la Russia e, per quello che potrebbe essere valido, anche l’Albania.

    Chi scrive queste righe, riflettendo sui diritti dell’essere umano, è convinto, basandosi alle continue e secolari esperienze, che se una persona non è consapevole e disponibile a riconoscere prima i propri doveri e poi ad adempierli non può considerare ed, in seguito, neanche rispettare i diritti degli altri. E non può pretendere che vengano rispettino i suoi diritti. Un obbligo anche per coloro che esercitano i poteri istituzionali, non importa dove essi si trovino. Le conseguenze si sentiranno, prima o poi, ovunque. Proprio come affermaava Immanuel Kant, il quale era convinto che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.

  • Qatargate, diritti fondamentali e democrazia europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo

    Il 10 dicembre è stata la giornata internazionale dei diritti fondamentali che si celebra ogni anno per ricordare la Dichiarazione universale proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948.

    Questa giornata internazionale ha paradossalmente coinciso con l’esplodere del cosiddetto Qatargate e cioè con le informazioni diffuse dalla Procura federale belga sull’inchiesta avviata cinque mesi fa per una serie di azioni criminose secondo cui “gli inquirenti della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo”. “Sono stati sequestrati contanti per seicentomila euro oltre a materiale informatico e telefoni cellulari” ha aggiunto la Procura federale belga.

    Nonostante il carattere molto scarno del comunicato, ambienti vicini alla Procura federale belga si sono immediatamente attivati per informare i due maggiori quotidiani belgi francofono e fiammingo sull’identità dei fermati, sul numero e sulle località delle perquisizioni, sui capi d’accusa e sul nome dello Stato del Golfo che avrebbe esercitato il tentativo di influenza: ciò in pieno disprezzo – come avviene purtroppo in molti paesi europei a cominciare dall’Italia nei rapporti di “buona collaborazione” fra la magistratura o le cancellerie e la stampa – delle ragioni che dovrebbero essere alla base degli avvisi di garanzia e della presunzione di innocenza.

    L’azione ultra vires della Procura federale belga ha avuto l’effetto immediato di aprire un processo mediatico nei confronti non solo degli indagati/fermati ma di tutto il Parlamento europeo: “sécoué – scrive Le Monde – par un Qatargate”; “soldi del Qatar al Parlamento europeo” (Il Sole 24 Ore); ancor di più “Eurocorruzione” aggiungendo che “il Qatar ha corrotto la democrazia europea” (La Repubblica).

    A proposito di presunzione di innocenza vale la pena di sottolineare che la Procura si è attivata il 9 dicembre perché fossero diffusi sulla stampa i nomi dei fermati (6) ma che non ha usato la stessa premura e sollecitudine perché fosse diffusa sulla stampa la notizia che uno dei fermati (Luca Visentini) era stato liberato seppure sous conditions.

    Il Movimento europeo condanna senza riserve le azioni dei corrotti – quando esse saranno provate – e ritiene che l’opinione pubblica europea debba essere rapidamente e ampiamente informata sulle dimensioni non solo finanziarie della corruzione ma anche sugli effetti delle azioni dei corrotti nelle decisioni “economiche e politiche” del Parlamento europeo relative alla denuncia delle violazioni del rispetto dei diritti fondamentali nel Qatar e più in generale negli Stati del Golfo.

    Il Movimento europeo prende anche atto con soddisfazione delle sanzioni prese con estrema rapidità dal Parlamento europeo attraverso la propria presidente Roberta Metsola, dal Gruppo S&D e dal Pasok nei confronti della vicepresidente Eva Kaili e si attende che la stessa fermezza e la stessa rapidità siano adottate nei confronto di altri eventuali indagati appartenenti a qualsiasi titolo all’istituzione così come la totale estraneità dell’ETUC alle ipotesi di corruzione su cui indaga la magistratura belga.

    Noi invitiamo a leggere con attenzione la risoluzione “sui diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo FIFA 2022 nel Qatar” approvata dal Parlamento europeo il 24 novembre 2022 a Strasburgo frutto di un compromesso raggiunto fra Renew Europe, PPE, S&D e ECR.

    Nella risoluzione si condannano le morti (quelle che in Italia vengono chiamate ipocritamente “incidenti sul lavoro”) e le violenze di cui sono stati vittime i lavoratori nella preparazione dei campionati del mondo di calcio, le discriminazioni nei confronto di centinaia di migliaia di migranti, la mancanza di trasparenza e di responsabilità della FIFA nelle scelta del Qatar avvenuta nel 2010, la lunga storia di corruzione “rampante e sistemica” della FIFA che ha gravemente danneggiato l’immagine e l’integrità del calcio, l’assenza del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto da parte degli sponsor delle manifestazioni sportive, la mancanza di una riforma profonda delle regole per l’attribuzione delle sedi dei campionati del mondo di calcio e di una informazione trasparente sull’attribuzione del campionato 2022 al Qatar e il mantenimento della pena di morte nel Qatar (dove è in vigore la legge islamica della Sharia, n.d.r.).

    Si deve invece sottolineare che un approccio più flessibile nel giudicare lo stato della protezione dei diritti nel Qatar ed in particolare dei lavoratori migranti (come si riscontra dal Testo della Risoluzione) sembrerebbe derivare soprattutto dal fatto che sia l’ILO che l’ITUC hanno considerato le riforme adottate dal Qatar come un “esempio” per gli altri Stati del Golfo e che quindi varrebbe la pena di indagare sull’influenza del Qatar all’interno di queste due organizzazioni internazionali.

    La magistratura belga e con essa le magistrature degli altri paesi europei possono e debbono agire con pene esemplari contro i corrotti europei e le istituzioni europee possono e debbono accompagnare le pene giudiziarie con sanzioni amministrative congelando e poi cancellando i diritti finanziari maturati da membri delle istituzioni così come la Commissione e il Consiglio dovranno indagare per verificare se ci sono stati tentativi di influenze illegali al proprio interno.

    La vicenda del Qatargate deve permettere tuttavia di lanciare un forte allarme non solo sulla presenza dei corrotti ma anche sull’azione dei corruttori e cioè delle lobbies che agiscono da paesi al di fuori dell’Unione europea sapendo che la regolamentazione e la trasparenza sulle lobbies europee deve essere rafforzata e completata con un accordo interistituzionale ma che non c’è nessuna regola e nessuna misura per impedire l’azione e le ingerenze di lobbies extra-europee. Una pronta reazione del Parlamento all’accaduto con il varo di misure preventive ed efficaci a tutela dell’autenticità e dell’autonomia delle procedure di formazione della volontà collettiva dell’organo a mandato universale dei cittadini europei sarebbe la prima, doverosa, risposta all’ attuale turbamento dell’opinione pubblica continentale, nell’attesa che la Magistratura chiarisca la reale entità dei fatti.

    Il Movimento europeo chiede infine al Parlamento europeo di creare una commissione di inchiesta sul Qatargate a partire dalla lista di denunce e di condanne contenute nella risoluzione del 24 novembre 2022.

    Bruxelles, 11 dicembre 2022

  • L’Onu torna a occuparsi della sorte degli uiguri in Cina

    Dal 28 febbraio all’1 aprile si è svolta la 49esima Sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel corso della quale nove ministri degli Esteri hanno espresso le loro preoccupazioni per le gravi violazioni dei diritti umani commesse dal governo cinese contro gli uiguri. Inoltre, questi governi hanno anche esortato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, a pubblicare rapidamente il suo rapporto sulla situazione nel Turkistan orientale. Queste affermazioni sono state evidenziate anche nella dichiarazione dell’articolo 4 dell’Unione europea il 22 marzo. L’Ue ha inoltre chiesto il rilascio immediato e incondizionato dell’economista uiguro incarcerato e vincitore del Premio Sacharov Ilham Tohti e altri.

    L’8 marzo l’Alto Commissario ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo cinese per una visita nel Turkistan orientale a maggio. In vista di questo annuncio, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha ribadito il suo appello alla Cina affinché consenta all’Alto Commissario una “visita credibile in Cina”, anche nel Turkistan orientale. Il Congresso mondiale degli uiguri (Wuc) si è unito a quasi 200 gruppi per i diritti umani in una lettera aperta in cui esortava l’Alto Commissario a pubblicare rapidamente il rapporto del suo ufficio sulle violazioni dei diritti del governo cinese nei confronti degli uiguri e di altri turchi nel Turkistan orientale. Il 16 marzo, il presidente della Wuc, Dolkun Isa, ha espresso le sue gravi preoccupazioni per il genocidio in corso commesso dal governo cinese contro gli uiguri e altri turchi. Ha anche evidenziato la repressione della Cina nei confronti degli attivisti uiguri all’estero. In un’altra dichiarazione, Zumretay Arkin, responsabile del programma e dell’advocacy della Wuc, ha esortato l’Alto Commissario a pubblicare rapidamente il suo rapporto sulla situazione dei diritti umani nel Turkistan orientale e ha invitato il relatore speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Fionnuala Ní Aoláin, a partecipare all’imminente visita dell’Alto Commissario nel Turkistan orientale.

    Il 30 marzo, una delegazione di rappresentanti uiguri, tra cui il presidente del World Uyghur Congress, Dolkun Isa, ha incontrato Lisa Peterson, assistente segretario ad interim per il Dipartimento di Stato, la neo-nominata ambasciatrice statunitense Beth Van Schaack, e l’ambasciatore generale per la libertà religiosa, Rashad Hussain, per parlare di modi concreti per affrontare il genocidio degli uiguri.

    Durante questo viaggio, il presidente della Wuc ha anche incontrato il presidente della commissione per gli affari esteri della Camera degli Stati Uniti, Gregory Meeks, l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale, Matthew Pottinger, l’ex ambasciatore generale per le questioni femminili globali, Kelley Currie, nonché il membro del Parlamento europeo Reinhard Bütikofer e il membro del Parlamento britannico, Nus Ghani.

    Il 30 marzo, Dolkun ha parlato a un ricevimento per i responsabili politici che guidano la risposta al genocidio degli uiguri, organizzato dalla Uyghur American Association e dall’Uyghur Human Rights Project a Washington. “Con alleati come te, non abbiamo perso la speranza. Come molti sanno, ho perso mia madre in un campo. Mio padre è morto in circostanze misteriose. Mio fratello maggiore è stato condannato a 17 anni di carcere. E mio fratello minore è stato condannato all’ergastolo. Ma questo non mi ha impedito di difendere il mio popolo”, ha detto nel suo discorso di apertura.

    Dal 25 al 27 marzo, il Wuc ha organizzato con successo un programma di formazione per il rafforzamento delle capacità per giovani attivisti a Bursa, in Turchia. La formazione è stata preceduta da una cena di benvenuto, organizzata con la città di Bursa, alla quale hanno partecipato delegati e rappresentanti del Wuc in Turchia, politici turchi, studiosi e media.

    Durante la formazione, 40 giovani attivisti uiguri provenienti dall’Asia centrale, dall’Europa e dalla Turchia hanno partecipato di persona e altri 7 si sono uniti virtualmente per apprendere come condurre un advocacy efficace ed efficace in contesti locali e internazionali. Il workshop ha fornito ai giovani attivisti uiguri le competenze, le risorse e gli strumenti per facilitare il loro coinvolgimento con le diverse parti interessate in modo efficace e sostenibile. Importanti leader di comunità, studiosi e attivisti per i diritti umani hanno tenuto presentazioni per riconoscere, affrontare e mitigare i rischi e le sfide legate alla difesa dei diritti umani, in particolare con stati ostili, come la Cina. Tra i relatori figuravano Luke De Pulford, Rahima Mahmut, Mia Hasenson-Gross, Lucia Parruci, il dottor Erdem Özdemir, il dottor Erkin Ekrem, Perhat Muhammet e Zumretay Arkin.

  • I diritti umani nel cuore dell’Europa – La mostra fotografica sul Premio Sacharov organizzata dall’Ufficio di Milano del Parlamento europeo

    L’Ufficio del Parlamento europeo a Milano ha organizzato un evento ibrido e una mostra fotografica sul Premio Sacharov 2021 per la libertà di pensiero, in onore della vita e dell’eredità che ci ha lasciato Andrei Sacharov. L’evento di lancio ha avuto luogo mercoledì 2 marzo alle ore 12 presso il Milano LUISS Hub. La mostra SACHAROV – I Diritti Umani nel cuore dell’Europa, sotto l’alto patrocinio del Parlamento europeo, sarà visitabile fino al 16 marzo, sempre presso l’hub in Via Massimo D’Azeglio, 3 a Milano.

    L’iniziativa si svolge in collaborazione con Memorial Italia, la sede italiana della nota associazione Memorial creata a Mosca negli anni ’80 con lo scopo di promuovere lo sviluppo della società civile, della coscienza giuridica dei cittadini e di uno stato di diritto democratico al fine di prevenire il ritorno al totalitarismo. L’incontro inaugurale, moderato da Cristina Giuliano, giornalista di Askanews, è stato l’occasione per discutere di diritti umani insieme alle diverse sedi internazionali di Memorial e con Vladimir Milov, consigliere per la politica estera ed economia di Alexei Navalny.

    La mostra esplora la dimensione europea di Sacharov, il cui destino personificò la coscienza illuminata del mondo e trasmise il senso di un impegno politico che sarebbe rimasto attuale fino ad oggi. La prima parte della mostra è dedicata alla figura di Andrej Sacharov, protagonista indiscusso della nostra storia: la sua attività scientifica, il dissenso, la lotta per i diritti umani, l’esilio, il premio Nobel, l’impegno politico per la democratizzazione del sistema sovietico. La seconda parte è dedicata alle personalità che sono state insignite del “Premio Sacharov per la libertà di pensiero”.

    Istituito dal Parlamento europeo nel 1988 è un riconoscimento dedicato ad Andrej Sacharov allo scopo di premiare personalità od organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà di pensiero. Presentando diverse personalità e organizzazioni insignite da questo premio la mostra si rivolge ad un ampio pubblico con lo scopo di far conoscere meglio questo grande protagonista del Novecento, la sua storia e la sua opera e sensibilizzare gli spettatori alla causa dei diritti umani.

    Il Premio Sacharov per l’edizione 2021 è stato assegnato al dissidente politico russo Alexei Navalny. Attivista dell’opposizione russa e prigioniero politico, Navalny ha condotto una campagna contro la corruzione del regime di Putin e ha, attraverso i suoi account social e le campagne politiche, contribuito a denunciare gli abusi interni al sistema riuscendo a mobilitare milioni di persone in Russia in sostegno della sua protesta.

  • Più di 13.000 civili uccisi in Nigeria negli ultimi dieci anni

    Le forze di sicurezza nigeriane hanno ucciso più di 13.000 civili negli ultimi 10 anni, secondo il Centro per la democrazia e lo sviluppo, organizzazione non governativa che si occupa del progresso della democrazia e dei diritti umani in Africa. La ONG afferma che la tortura, la detenzione illegale e le esecuzioni extragiudiziali nell’ultimo decennio sono diventate “comuni” grazie all’impunità. Le autorità nigeriane fino ad ora non hanno commentato quanto è emerso dal rapporto.

    I ricercatori affermano di aver esaminato il percorso democratico della Nigeria negli ultimi due decenni in diversi settori, tra cui i diritti umani, la libertà di stampa e la partecipazione dei cittadini alla governance. Il rapporto critica l’uso della “forza eccessiva” per contrastare i separatisti e le attività “terroristiche”, nonché le manifestazioni pacifiche. Nella ricerca è citata anche la gestione da parte delle autorità delle proteste #EndSARS dello scorso anno contro la brutalità della polizia. Gli eventi, secondo il rapporto, hanno creato un ambiente di paura tra i cittadini nella più grande democrazia africana.

    Si sostiene che le forze di sicurezza devono ricevere una maggiore formazione sui diritti umani e i trasgressori devono essere ritenuti responsabili, ai cittadini deve essere consentito di partecipare pienamente alla governance per un corretto sviluppo della società.

  • In vista delle elezioni in Gambia Amnesty chiede ai candidati impegno per il rispetto dei diritti umani

    Amnesty International ha invitato i candidati alla presidenza del Gambia a impegnarsi per migliorare la situazione dei diritti umani nel Paese e per garantire giustizia alle vittime delle violazioni sotto l’ex presidente Yahya Jammeh, che continua a negare ogni accusa.

    Con un manifesto di sette punti Amnesty esorta a combattere l’impunità, a porre fine alla violenza sessuale e di genere e alla discriminazione contro le donne e ad abolire la pena di morte. La richiesta è anche quella di abrogare alcune leggi, tra cui quella sulla sedizione e la legge sull’informazione e le comunicazioni che autorizza le autorità a intercettare le comunicazioni a fini di sorveglianza senza il permesso del tribunale.

    Secondo Amnesty il regime dell’ex presidente Jammeh ha perpetrato le peggiori violazioni dei diritti umani nel Paese.

    Le elezioni in Gambia si terranno il 4 dicembre.

  • Una Conferenza sullo stato globale dei diritti umani

    Il 16 luglio 2021 dalle ore 10.00 alle ore 17.30 si terrà la prima conferenza sullo stato globale dei diritti umani presso il Monastero di San Nicolò – Venezia-Lido (Italia) per discutere della situazione dei diritti umani nel mondo.

    L’evento è organizzato in formato ibrido dal Parlamento europeo e dal Campus globale dei diritti umani e riunirà parlamentari europei, commissari dell’Ue, vincitori del Premio Nobel per la pace, vincitori del Premio Sacharov, rappresentanti delle organizzazioni internazionali, del mondo accademico e parti interessate.

    Tra i partecipanti ci saranno il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, la Presidente del Campus globale dei diritti umani, Veronica Gomez, i rappresentanti delle autorità regionali e locali, i Commissari europei Didier Reynders e Jutta Urpilainen,  il Segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna, Stefano Sannino, il membro del Congresso americano e Presidente della Commissione parlamentare affari esteri della Camera dei rappresentanti, Gregory Meeks, il rappresentante speciale per i diritti umani, Eamon Gilmore, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, il Segretario generale di Amnesty International, Agnès Callamard e il Premio Nobel per la pace 2018 e vincitore del Premio Sacharov 2014, Denis Mukwege.

    Relatori di alto livello discuteranno in tre gruppi dedicati:

    • come migliorare il rapporto tra imprese e diritti umani nel contesto della nuova legge europea sul dovere di diligenza;
    • come l’evoluzione del panorama giudiziario internazionale può superare al meglio le crescenti sfide in materia di responsabilità;
    • come apportare una politica estera basata sui valori quando si risponde alle questioni dei diritti umani e della democrazia nel mondo.

    Evento collaterale (18.00 – 19.00): Tortura Bianca, poesia underground – una performance di Lorent Saleh – Monastero di San Nicolò, Riviera S. Nicolò, 26, Venezia/ Lido.

    Con l’ausilio di video, immagini, suoni e poesie che ha scritto durante la sua incarcerazione durata più di due anni nella “Tumba”, la prigione dei servizi segreti venezuelani posta a cinque piani sotto terra a Caracas, Lorent Saleh ripercorre l’alienazione di quei momenti terribili trascorsi nella cella bianca, illuminata a giorno 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, in una solitudine allucinante dove chiunque perde la cognizione spazio-temporale. Con questa performance Saleh ci permette di sperimentare la sofferenza dei prigionieri politici di tutto il mondo.

    Fonte: Parlamento europeo

  • Democrazia alla pechinese, Hong Kong rinvia di un anno le elezioni

    Hong Kong rinvia di un anno le elezioni in programma per il 6 settembre. La governatrice pro-Pechino Carrie Lam ha annunciato il rinvio al 5 settembre del 2021, motivandolo con il peggioramento della situazione legata al coronavirus. “L’annuncio che devo fare oggi è la decisione più difficile che ho dovuto prendere negli ultimi sette mesi”, ha detto Lam, definendola una “decisione essenziale” basata “unicamente su ragioni di pubblica sicurezza”. La mossa giunge in un periodo politicamente molto teso, all’indomani dell’esclusione dal voto di 12 candidati pro-democrazia fra cui il giovane attivista Joshua Wong, già leader della Rivoluzione degli ombrelli del 2014 e tra i volti delle proteste del 2019. “La nostra resistenza continuerà e speriamo che il mondo possa stare con noi in questa imminente battaglia in salita”, ha affermato Wong. Che ha anche definito il rinvio “la più grande frode elettorale della storia di Hong Kong”. Per la governatrice di Hong Kong, che ha precisato di avere l’appoggio della Cina, “non ci sono state valutazioni politiche”. Ma l’opposizione è di tutt’altro parere: un gruppo di 22 deputati ha diffuso una dichiarazione in cui accusa il governo di usare la pandemia come scusa per ritardare il voto. E anche Human Rights Watch (Hrw) ha criticato l’amministrazione locale: “È una mossa cinica per contenere un’emergenza politica, non un’emergenza sanitaria”, e questo consente alla governatrice di “negare alla gente di Hong Kong il loro diritto a scegliere il proprio governo”, ha dichiarato la direttrice del gruppo in Cina, Sophie Richardson. A Hong Kong dall’inizio di luglio è stato registrato un boom di contagi da coronavirus: giovedì risultavano 3.100 casi (su 7,5 milioni di abitanti), un numero più che raddoppiato rispetto ai dati del 1° luglio. Ragion per cui il governo ha inasprito le misure di distanziamento sociale, limitando la possibilità di incontri in spazi pubblici a due persone e vietando la possibilità di mangiare nei ristoranti dopo le 18. Ma Human Rights Watch sottolinea che non è stato fatto “nessun tentativo di valutare metodi alternativi di voto o di assicurare il rispetto del diritto di voto di tutti”. Lo slittamento è un duro colpo per l’opposizione: nelle ultime elezioni distrettuali di novembre il blocco pro-democrazia aveva ottenuto una vittoria schiacciante e aveva intenzione di cavalcare questa spinta per ottenere la maggioranza nel Consiglio legislativo di Hong Kong (LegCo). Sperava di capitalizzare alle urne l’attuale malcontento per la gestione della maggioranza pro Pechino, in particolare dopo che a fine giugno è entrata in vigore la controversa legge per la sicurezza nazionale, in base alla quale ai candidati che violano la legge può essere impedito di correre alle elezioni. Il testo è considerato un tentativo di Pechino di ridurre il dissenso nell’ex colonia britannica, dopo mesi di proteste pro-democrazia e contro il governo.

  • US orders closure of Chinese consulate in Houston

    The United States government has ordered China to “cease all operations and events” at its consulate in Houston, Texas, the Chinese foreign ministry said.

    Tensions have escalated between China and the US amid an ongoing trade war, the coronavirus pandemic, and US criticism of China’s human rights abuses in Hong Kong and Xinjiang.

    A US state department spokesperson said the consulate was directed to close “in order to protect American intellectual property and Americans’ private information”. A separate state department statement said that China “has engaged for years in massive illegal spying and influence operations” and that those “activities have increased markedly in scale and scope over the past few years”.

    “China strongly condemns such an outrageous and unjustified move which will sabotage China-US relations. We urge the US to immediately withdraw its erroneous decision, otherwise China will make legitimate and necessary reactions”, the Chinese foreign ministry said in response.

    Meanwhile, US secretary of state Mike Pompeo visited the United Kingdom, where he met prime minister Boris Johnson and urged a coalition that understands the threat of the Chinese Communist Party.

    Amid heightened tensions with China, Britain has in recent weeks banned Huawei from its 5G network, suspended an extradition treaty with Hong Kong and offered refuge for millions of Hong Kongers who feel threatened.

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