diritti

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

  • Asian Games: China censors ‘Tiananmen’ image of athletes hugging

    A photo of two Chinese female athletes that made an inadvertent reference to the Tiananmen Square massacre has been censored on Chinese social media.

    The race numbers for Lin Yuwei and Wu Yanni form “64” – a common allusion to the incident which happened on June 4.

    Discussions of the incident remain taboo in China, with authorities routinely scrubbing any mention of the topic from the internet.

    In 1989, troops shot dead hundreds of pro-democracy protesters in Beijing.

    It remains unclear how many people actually died that day, but human rights groups’ estimates range from several hundred to several thousand killed.

    The athletes had embraced each other after a 100m hurdles race at the Asian Games in which Ms Lin won gold. She was wearing her lane number 6 next to Ms Wu’s lane number 4 in the photo.

    Users had posted their congratulations to Ms Lin on Weibo, one of China’s biggest social media platforms, but posts which included the photo were replaced with grey squares.

    However, the photo does not appear to have been completely scrubbed off the internet, with some Chinese news articles still showing a photo of the two athletes.

    China has won nearly 300 medals so far in the Asian Games, which are currently taking place in the Chinese city of Hangzhou. It is due to go on until 8 October.

    Discussion of the events that took place in Tiananmen Square is highly sensitive in China – with generations of younger Chinese growing up with little to no knowledge about the Tiananmen Square massacre.

    Posts relating to the massacres are regularly removed from the internet, which is tightly controlled by the government.

    Last year, a popular Chinese influencer’s livestream, which took place on the eve of the 33rd anniversary of the massacre, ended abruptly after he showed his audience a vanilla log cake which resembled a tank – a reference to a iconic image of one so-called Tank Man, which shows a civilian with shopping bags standing in front of a queue of tanks, attempting to block them.

  • Pechino prova a zittire gli uiguri all’Onu

    Per prevenire verifiche a parte della comunità internazionale di abusi o violazioni da parte cinese nello Xinjiang verso la minoranza musulmana uiguri, Pechino ha cercato di impedire un forum promosso a margine dell’annuale assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. I diplomatici cinesi hanno inviato una lettera alle missioni internazionali all’Onu che è però stata rispedita al mittente dagli ambasciatori e da gruppi attivisti ai quali veniva rivolto l’invito a disertare il forum. Durante l’incontro Sophie Richardson, direttrice della sezione cinese di Human Rights Watch (Hrw), ha mostrato una copia della lettera pubblicata in esclusiva nei giorni scorsi dal National Review, stigmatizzandone il contenuto: un governo che agisce in questo modo, ha aggiunto, «non ha alcun diritto di far parte del Consiglio Onu per i diritti umani» e conferma che «ha molto da nascondere».

    Anche Beth Van Schaack, attuale ambasciatrice Usa per la giustizia penale globale, ha definito la lettera della rappresentanza di Pechino (menzionata attraverso l’acronimo Prc del partito comunista) all’Onu «un altro esempio della campagna di repressione transnazionale» sugli uiguri. Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, conferma che gli uiguri continuano a vedersi negate le libertà di movimento, di religione o di cultura, mentre aumentano i procedimenti giudiziari a loro carico, compreso il «trasferimento di detenuti dai cosiddetti centri di rieducazione o di formazione professionale a carceri penali più formali». Degli oltre 15mila residenti dello Xinjiang di cui si conoscono le sentenze, più del 95% dei condannati (spesso con accuse vaghe, come separatismo o messa in pericolo della sicurezza dello Stato) hanno ricevuto pene da 5 a 20 anni, e in alcuni casi anche il carcere a vita.

  • La convenzione di Istanbul entra in vigore per l’UE

    La convenzione di Istanbul entrerà in vigore il 1º ottobre per l’UE. La convenzione è un quadro giuridico completo volto a proteggere le donne da ogni forma di violenza, al fine di prevenire, perseguire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica, e di attuare politiche globali e coordinate.

    Essendo l’UE nel suo complesso vincolata dalla convenzione, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie. “La violenza sulle donne è una censura delle società democratiche. Una donna su tre al di sopra dei 15 anni ha subito violenze fisiche o sessuali”, ha dichiarato Vera Jourová, Vicepresidente per i Valori e la trasparenza.”Molte non lo denunciano. Molti aggressori rimangono impuniti. Dobbiamo agire e la Convenzione di Istanbul è la nostra risposta giuridica per rafforzare i diritti delle donne. Continueremo a incoraggiare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per prevenire la violenza sulle donne e per garantire protezione e sostegno efficaci a tutte le vittime”.

  • Giornata internazionale della democrazia: dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante/Vicepresidente Josep Borrell e della Vicepresidente Šuica

    In occasione della Giornata internazionale della democrazia, che si celebra ogni anno il 15 settembre, l’Unione europea ribadisce il suo fermo impegno a sostenere e difendere la democrazia, basata sui diritti umani universali, all’interno e al di là delle sue frontiere.

    La democrazia ha trasformato e migliorato le società di tutto il mondo. L’erosione della democrazia e dei diritti umani è tuttavia una realtà che non risparmia nessuno.

    La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina costituisce anche un attacco alla democrazia e all’ordine basato su regole. L’Unione europea, i suoi Stati membri e le democrazie di tutto il mondo si sono riuniti per sostenere l’Ucraina, riconoscendo che sono in gioco i principi fondamentali delle nostre società.

    Nessuna democrazia è immune alle sfide che ci troviamo ad affrontare oggi. Dobbiamo sempre restare vigili e agire sugli sforzi continui per attaccare lo Stato di diritto, sopprimere le libertà civili, manipolare le elezioni e reprimere la società civile.

    Mano a mano che i regimi autoritari sviluppano e diffondono false narrazioni che si presentano come semplici alternative alle democrazie, non dobbiamo sottovalutare il potenziale nefasto delle attività di manipolazione delle informazioni e di disinformazione.

    L’inclusività è la forza della democrazia. Il rigetto dell’autoritarismo è possibile quando le persone di tutte le generazioni sono in grado di esercitare le loro libertà e i loro diritti per partecipare e impegnarsi nelle rispettive società. Siamo determinati a proteggere le istituzioni democratiche che sono alla base della nostra democrazia. Tale protezione va di pari passo con l’approfondimento del nostro impegno nei confronti dei cittadini per costruire la resilienza democratica.

    Il nostro impegno a favore dell’inclusività è illustrato dalle nostre innovazioni in materia di coinvolgimento dei cittadini all’interno dell’Unione europea attraverso panel di cittadini, sulla scorta del successo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Le innovazioni nel nostro ecosistema democratico ci consentono di condividere reciprocamente gli insegnamenti tratti. Inoltre, il nostro operato globale per consentire alle donne, ai giovani e ai bambini di partecipare agli affari pubblici e al processo decisionale è un investimento per il futuro. Ciò è legato all’importanza di trasmettere i valori fondamentali e di dotare i cittadini delle competenze necessarie per impegnarsi nella democrazia e sostenerla.

    L’Unione europea continuerà a dialogare con i paesi di tutto il mondo per unire le forze con coloro che credono nei principi e nei valori democratici in Africa, Asia-Pacifico, Americhe ed Europa. Dobbiamo continuare ad adoperarci per trovare un terreno e interessi comuni con i nostri partner.

    Più che mai, dobbiamo sostenere attivamente i paesi con aperture democratiche e continuare a dotarci di meccanismi di sostegno agili e flessibili, anche attraverso il sistema multilaterale

    Perché insieme costruiamo la democrazia. Insieme difendiamo la democrazia. Insieme difendiamo l’universalità dei diritti umani.

  • Il Congresso mondiale degli uiguri chiede all’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani di intraprendere azioni concrete per fermare il genocidio

    Il 1° settembre ricorre il primo anniversario dello storico rapporto sugli uiguri stilato dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR). Il rapporto conclude che le atrocità e le violazioni dei diritti umani in corso nel Turkistan orientale, in particolare la “detenzione arbitraria e discriminatoria” degli uiguri e di altri popoli turchi, nel contesto di altre restrizioni “potrebbero equivalere a crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità”.

    Ad oggi il rapporto offre la valutazione più definitiva dei problemi affrontati dagli uiguri e da altri popoli turchi. Nonostante le ampie raccomandazioni al governo cinese, non sono stati riconosciuti miglioramenti per affrontare la situazione, al contrario le misure repressive sono peggiorate.

    “Un anno dopo questo rapporto innovativo, chiediamo una rinnovata azione da parte della comunità internazionale. La Cina ha continuato la sua violenta repressione nei confronti degli uiguri e degli altri popoli musulmani turcofoni e la recente visita di Xi Jinping nel Turkistan orientale dimostra che il PCC non ha intenzione di porre fine alle sue politiche repressive, ma piuttosto raddoppia il piano sistematico per cancellare gli uiguri”, ha affermato Il presidente del Congresso mondiale uiguro, Dolkun Isa.

    Il Congresso mondiale uiguro chiede all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, di dare seguito alle raccomandazioni contenute nel rapporto del suo ufficio, di informare il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla situazione attuale nel Turkistan orientale e di individuare un modo costruttivo per porre rimedio alle persistenti lamentele degli uiguri.

  • Come si può credere ad un ciarlatano?

    Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò.

    Jean de La Fontaine

    “Sempre il mondo fu pien di vendifrottole, che van spacciando le più strane iperboli.” Così comincia la favola Il ciarlatano del noto scrittore francese Jean de La Fontaine. Una favola in cui, con la sua ben nota maestria, l’autore ci racconta come un ciarlatano andava in giro e cercava di convincere tutti che lui era capace di “render dotti i più massicci zotici”. Aggiungendo “O contadino o tanghero ignorante, in breve tempo io ve lo cambio in Dante”. Proprio così! “Signori sì, dicea, datemi un asino, un asino ferrato ed io più classico vel do di quanti sono all’Accademia”. La notizia venne portata anche al re il quale, curioso di quello che gli avevano raccontato, ordinò subito di portargli quella persona. Una volta davanti a lui, il re disse: “Dottore eccellentissimo, ho nelle stalle un asinel d’Arcadia, che voglio addottrinar nella retorica”.  Il re era pronto a pagare per quel servizio, “a patto che in dieci anni su una cattedra ei mettesse la bestia atta a discutere”. Ma se invece non ci riuscisse lui “sarebbe impiccato in luogo pubblico spacciatamente e senza cerimonie con appesa alla schiena la retorica, ch’ei va vendendo come roba onesta, e con orecchie d’asin sulla testa”. Uno dei gentiluomini della corte, sentendo il dialogo tra il re e colui che cercava di far credere agli altri che era una persona dotta e sapiente, un simile di Cicerone, disse ridendo, ma convinto, al ciarlatano: “…in man del giudice ti vedremo a tempo debito”. Aggiungendo che “…dev’esser stupendo lo spettacolo d’un uom sì dotto e di cotanto peso che danza al vento ad una corda appeso”. E diede al ciarlatano anche un consiglio: “Quando sarai nell’oratorio, un tenero discorso in bello stil cerca di stendere coll’arte bella delle tue metafore, classico testo che potrà servire ai falsi Ciceroni in avvenir”. Ma lui, il ciarlatano, il “falso Cicerone”, accettò la proposta del re, pensando fra sé e sé: “Dieci anni? eh, eh!… prima che scada il termine, saremo morti il re, l’asino od io. […] Per quanto non ci manchi il ben di Dio, e si mangi e si beva di gran gusto, su tre, in dieci anni, morir uno è giusto”. La favola finisce così e Jean de La Fontaine ha lasciato in sospeso cosa è accaduto con il ciarlatano. Una cosa è certa però, che quell’asinel d’Arcadia, scelto dal re per essere “addottrinato nella retorica”, è rimasto sempre un asino!

    Si, aveva ragione Jean de La Fontaine, il mondo è sempre pieno di vendifrottole, di imbroglioni, di ciarlatani che “… van spacciando le più strane iperboli”. Individui che non solo non credono a quello che dicono, ma spesso e come se niente fosse, dicono in seguito proprio il contrario di ciò che hanno detto prima. Purtroppo anche il primo ministro albanese, fatti accaduti, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, ne è uno di loro. Si, proprio lui che, come il ciarlatano della sopracitata favola di Jean de La Fontaine, afferma e dichiara cose, essendo però consapevole di mentire, di ingannare e di raccontare frottole. Ma lo fa sempre per qualche “guadagno”, lo fa soprattutto per spostare l’attenzione pubblica e mediatica dalle sue grandi e continue difficoltà in cui si trova. Difficoltà causate dagli innumerevoli scandali milionari che si susseguono e che coinvolgono direttamente e/o indirettamente il primo ministro albanese, sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano. E non di rado, anche ultimamente lui, il primo ministro, nega e/o contraddice, senza nessuna dovuta spiegazione istituzionalmente, quanto aveva dichiarato in precedenza. Oppure sta zitto e si “nasconde” per qualche tempo, a seconda delle tante sue bugie e dei tanti suoi inganni. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa deformazione caratteriale del primo ministro albanese. Anche durante queste ultime settimane.

    E con la stessa facilità, leggerezza, sfacciataggine e irresponsabilità, con la quale il primo ministro mente ed inganna, ma anche nega quanto ha detto in precedenza, lui si vanta delle sue amicizie con determinate persone molto altolocate in altri Paesi e/o nelle istituzioni internazionali, soprattutto dell’Unione europea. Ma quelle del primo ministro albanese sono solo e semplicemente delle “amicizie” di convenienza, congiunturali, ma mai delle vere amicizie. E non poteva essere altrimenti, vista la persona e considerando chi sono gli altri suoi “amici”. E, guarda caso, quasi sempre si tratta di persone note come autocrati, che con la democrazia hanno poco a che fare. Oppure si tratta di alcuni alti rappresentanti, sia governativi/statali di alcuni singoli Stati, che di determinate istituzioni importanti internazionali, compresa la Commissione europea, i quali si permettono di oltrepassare i propri obblighi istituzionali. La saggezza secolare del genere umano, dalla quale bisogna sempre imparare, ci insegna che similes cum similibus congregantur, e cioè che i simili si accompagnano tra di loro.

    Da anni ormai il primo ministro albanese si vanta pubblicamente della sua “amicizia” con il presidente della Turchia. E, fatti accaduti alla mano, si sa, sia nella sua madre patria, sia a livello internazionale, chi è e cosa rappresenta l’attuale presidente turco. Si sanno anche i suoi rapporti con i principi della democrazia. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito durante questi anni degli appoggi che il primo ministro albanese ha avuto dal suo “caro amico”, il presidente della Turchia. Il nostro lettore è stato informato anche della attuazione in questi ultimi anni, da parte del presidente turco, della cosiddetta “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina che prevede e cerca di mettere in atto una politica attiva per garantire l’influenza della Turchia su tutti i territori dell’ex impero ottomano, Albania compresa. Il nostro lettore è stato informato anche delle “condizioni” poste al primo ministro albanese dal suo “caro amico”, il presidente turco, per quanto riguarda i rappresentanti di un’organizzazione guidata da un suo ex stretto collaboratore, il quale ormai è un suo nemico. E tra “amici” ci si intende. Ragion per cui il primo ministro albanese ha ordinato la chiusura di alcune scuole finanziate dall’organizzazione. Ha ordinato anche la consegna, in palese violazione con le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, di cittadini turchi, oppositori del presidente. Alcune di quelle “condizioni” poste dal presidente turco al suo “caro amico” albanese si riferiscono anche alla comunità musulmana in Albania e ai suoi dirigenti.

    La storia ci insegna che i rapporti tra l’Albania e la Serbia, soprattutto dall’inizio del secolo passato ad oggi, sono stati tutt’altro che buoni. Rapporti condizionati anche dalle mire espansionistiche della Serbia sui territori abitati dalla popolazione albanese, soprattutto in Kosovo, ma non solo. Il nostro lettore è stato informato anche di questo. Così come è stato informato dei “rapporti di amicizia” tra il primo ministro albanese ed il presidente della Serbia durante questi ultimi dieci anni. Rapporti tra simili perché, sempre fatti accaduti alla mano, il presidente della Serbia, l’ex ministro della propaganda del regime di Slobodan Miloscevic, è considerato un autocrate, con stretti contatti anche con determinati gruppi della criminalità organizzata. Come, tra l’altro, il suo simile, il suo “amico”, il primo ministro albanese. Rapporti che hanno avuto la loro espressione anche con un’iniziativa regionale nota come Open Balkan (Balcani aperti; n.d.a.). Un’iniziativa che cerca di garantire il controllo della regione dei Balcani occidentali dalla Serbia. Un’iniziativa che ha avuto solo l’appoggio della Serbia, dell’Albania e della Macedonia del Nord, mentre gli altri Paesi balcanici l’hanno rifiutata. Si tratta di un’iniziativa che cerca di annientare l’attuazione di un’iniziativa dell’Unione europea, nota come il Processo di Berlino. Anche di questa iniziativa regionale il nostro lettore è stato spesso e dettagliatamente informato. Ma guarda caso però, il primo ministro albanese, un “convinto e ben determinato sostenitore” dell’iniziativa Open Balkan, all’inizio del luglio scorso, proprio quando si trovava in grosse difficoltà a causa degli scandali in corso, quello degli inceneritori soprattutto e per altre ragioni pubblicamente sconosciute, da buon ciarlatano qual è, ha smentito e ha negato se stesso e quanto aveva dichiarato pubblicamente e con tanto entusiasmo. Per alcuni giorni ha dichiarato il fallimento dell’iniziativa balcanica. Ma i suoi “amici”, soprattutto il presidente serbo, sono rimasti tranquilli, facendo pubblicamente capire che niente era e poteva essere cambiato e che il primo ministro albanese non l’aveva sul serio. E, conoscendolo bene, hanno avuto ragione. In realtà il progetto Open Balkan è stato ideato e reso pubblico tramite un articolo lungo e dettagliato di George Soros, già nel 1999. E si sa che Soros è colui che da anni sta apertamente appoggiando il suo “beniamino”, il primo ministro albanese. Non a caso, in tutte le riunioni riguardanti l’iniziativa Open Balkan, è stato presente il figlio di George Soros. E, guarda caso, nonostante il Soros figlio non avesse nessun “titolo” istituzionale per essere presente in quelle riunioni, era la persona davanti alla quale tutti gli altri stavano “sugli attenti”. Chissà perché?!  Si tratta però di colui che, da alcuni mesi, sta gestendo le attività di suo padre e che non nasconde “l’amicizia” con il suo “caro fratello”, il primo ministro albanese.

    Ma il primo ministro albanese ha avuto degli “ottimi rapporti di amicizia” anche con alcuni degli ormai ex presidenti del Consiglio dei ministri dell’Italia. Prima con Massimo D’Alema e poi con Matteo Renzi. Con il primo avevano organizzato diverse attività comuni, tutte “sostenute” dalla fondazione della quale l’ex presidente del Consiglio era anche presidente. Il primo ministro albanese è stato “fiero” dei rapporti anche con Matteo Renzi. Non a caso ha pubblicamente appoggiato nel 2014 la campagna elettorale del suo “caro amico”. Il primo ministro albanese chiedeva allora agli albanesi con cittadinanza italiana e con diritto al voto di votare per il partito di Renzi. Allora il primo ministro albanese dichiarava: “L’Italia sicuramente cambierà presto e in meglio, grazie all’energia e al coraggio straordinario di Matteo Renzi”! Ebbene, vinte le elezioni e diventato presidente del Consiglio dei ministri, Renzi è arrivato a fine dicembre 2014 in una visita ufficiale in Albania. Una visita che il suo omologo ed “amico” albanese ha usato bene dal punto di vista propagandistico. Il primo ministro albanese, durante la conferenza stampa comune, tra tanto altro, ha fatto anche una proposta a Renzi. Una proposta che aveva qualcosa suggerita dal suo subconscio, una specie di lapsus freudiano. “Vorrei dire al Presidente del Consiglio italiano di investire in Albania perché qui non abbiamo sindacati…”. Cioè lui, il primo ministro, si vantava che in Albania non c’erano i sindacati per difendere i diritti dei lavoratori e perciò si potevano fare “dei buoni affari” (Sic!). Il primo ministro albanese ha molto “beneficiato” spesso degli appoggi dei massimi rappresentanti della sinistra politica italiana. Con uno di loro, un ex ministro degli esteri ed attualmente rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, addirittura avevano “contrabbandato vaccini” durante il periodo della pandemia (Un imbroglione che confessa, poi nega ed in seguito elogia altri; 17 ottobre 2022).

    Il primo ministro albanese si sta vantando adesso anche della “stretta amicizia” con la sua “giovane e grande sorella dell’Albania”, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato della “visita privata” di Meloni e della sua famiglia nella residenza governativa sulle rive ioniche dell’Albania, ospite del primo ministro. L’autore di queste righe si chiedeva: “Chissà però perché la Presidente del Consiglio ha deciso di incontrare il suo “amico” autocrate?!” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 23 agosto 2023). Ed ancora non ha una risposta a quella domanda. Ma la delusione rimane.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese, quel bugiardo ed imbroglione, trovatosi in grandi e continue difficoltà, cercherà di ingannare tutti, “amici illustri” compresi. Farà di tutto per riuscire ad avere degli “appoggi amichevoli” che servono a lui per sopravvivere politicamente e non solo. Chi scrive queste righe si chiede però come si può credere ad un simile e ben noto ciarlatano? Si, aveva ragione Jean de La Fontaine. Il suo consiglio “Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò” è sempre valido.

  • La libertà

    La  libertà rappresenta, ancora oggi, un valore sconosciuto.

    Nella medesima spiaggia del veneziano solo qualche settimana addietro era possibile imbattersi in una famiglia musulmana con la moglie al bagno con il burkini e a solo a poche centinaia di metri trovare delle persone adulte che praticavano il naturismo.

    Queste due forme di approccio sicuramente sono agli antipodi nella interpretazione della vita in riva al mare, ma dimostrano come contemporaneamente possano coesistere due filosofie di costume ed espressione di valori etici e religiosi diversi, in quanto non hanno intenzione di imporre il proprio codice alla parte “avversa”.

    In altre parole, la lezione veneziana esprime la superiorità valoriale del codice occidentale che proprio per la propria forza riesce a contenere nell’alveo democratico le più diverse espressioni di costume umano.

    Viceversa, l’idea di vietare l’accesso ad una spiaggia pubblica ad una donna  per il solo motivo del costume indossato, come intenderebbe imporre la sindaca di Monfalcone, rappresenta l’espressione della peggiore retroguardia culturale.

    Innanzitutto tutto perché ghettizzare una donna che forse esprime la propria situazione con il burkini impedisce alla stessa di venire a contatto con una realtà diversa da quella del proprio ambito familiare e religioso e conseguentemente emanciparsi.

    Ed in secondo luogo una democrazia cresce anche attraverso la consapevolezza della priorità forza che parte dalla uguaglianza tra donna e uomo, quindi non vieta nessuna, perché un divieto rappresenta una forma di debolezza ed  investe nel progresso culturale forte della propria consapevolezza.

    A Monfalcone, la scelta della sindaca esprime solo una triste debolezza culturale ed una povertà umana che nulla hanno in comune con il valore occidentale della libertà.

  • In attesa di Giustizia: Pyongyang, Italia

    Nel nostro ordinamento c’è un sistema che, forse, è sconosciuto persino alla Corea del Nord e al Niger post golpe militare, un sistema che invece – secondo il Ministro Piantedosi – tutto il mondo ci invidia ma delle cui abnormità si sta accorgendo persino la CEDU e che è sino ad ora sopravvissuto con buona pace dei principi di identità culturale, tradizioni giuridiche e garanzie su cui si fonda il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in ambito UE.

    L’argomento del giorno sono le misure di prevenzione patrimoniali che ci regalano il primato mondiale assoluto di soperchieria normativa del quale dovremmo vergognarci: questa volta con buona pace del plaudente questurino che siede sullo scranno più alto del Viminale.

    Vediamo cosa comporta e cosa può regolarmente accadere applicando questa disciplina: può succedere (e succede, eccome) che Tizio, processato ed assolto da ogni accusa, in seguito si veda confiscare tutti i suoi beni, sulla base dell’indecente assioma “innocente, ma pericoloso”.

    Si tratta, in sostanza, di un metodo di persecuzione riservato ai reati più gravi e non solo quelli collegati alla criminalità organizzata di mafia che affonda le sue radici nella cultura della intolleranza e del sospetto e che si può sintetizzare in questi termini: se sei stato indagato qualcosina ci sarà pur stata a tuo carico e se non è possibile punirti perché le prove non ci sono tengo per buono un semplice sospetto e così, se in carcere non ci vai, almeno ti riduco in miseria.

    La svolta che conduce al giudizio di Strasburgo è merito di una famiglia di imprenditori calabresi, i signori Cavallotti, gran lavoratori e persone per bene: arrestati, processati e definitivamente assolti da accuse di contiguità alla ‘ndrangheta, sono stati tuttavia spossessati di tutti i loro beni e le loro aziende affidate alla vorace spoliazione degli amministratori giudiziari: soggetti che, non di rado, non sarebbero in grado di amministrare un piccolo condominio, immaginatevi il destino di imprese commerciali…

    Il ricorso dei fratelli Cavallotti non solo è stato ritenuto ricevibile dalla CEDU – si dice così quando un caso è ritenuto meritevole di attenzione – ma la Corte è andata oltre ed ha rivolto al nostro Governo una serie di quesiti sul tema dei beni confiscati con le misure di prevenzione patrimoniali ai quali dovrà essere data risposta entro il prossimo 13 novembre. Dal tenore dei quesiti traspare un incredulo stralunamento della Corte Europea: “Nel caso di una assoluzione in un processo penale, la confisca dei beni viola la presunzione di innocenza? è proporzionale è necessaria? è forse una sanzione penale surrettizia, violativa dell’art. 7 della Convenzione Europea? ”… e tanti altri, secchi e non equivocabili. Intanto sono passati già sette anni dalla confisca e alcune delle aziende dei Cavallotti sono fallite grazie all’insipente ma ben retribuita gestione degli affidatari.

    Siamo, forse, all’inizio della fine di un sistema legalizzato di abusi il quale, tanto più in presenza di giudizi penali assolutori, supera ogni limite di tollerabilità in uno Stato di diritto. Un sistema che -in una malintesa prospettiva di difesa sociale- rende il sospetto più forte della prova, sanzionando ben più gravemente che con la privazione della libertà personale chi non saprà – o non potrà – concretamente difendersi dalla brutale spoliazione di tutti i suoi beni; già, perché c’è un dettaglio non trascurabile di cui non abbiamo ancora parlato: il sistema delle misure di prevenzione non prevede l’onere della prova in capo al Pubblico Ministero: e, per forza! Se basta il sospetto, di quale prova stiamo parlando? Di quella che incombe sui prevenuti, a volte estremamente complessa se non impossibile come nel caso di beni ereditati rispetto ai quali si deve fornire l’evidenza di originaria lecita provenienza dei denari con cui il trisnonno comperò un immobile poi andato in successione di generazione in generazione. I lettori non ci crederanno ma funziona proprio così e l’esempio appena fatto è uno dei tanti casi reali.

    A proposito di questo sistema, in un passato recente, il Ministro Carlo Nordio ha scritto parole di fuoco, da liberale autentico quale egli è ed in aperto contrasto con le magnificazioni provenienti dagli Interni: bella prova per il Governo, dunque e da seguire con molta cura mentre l’attesa di Giustizia di sposta a Strasburgo.

  • Il Parlamento europeo bando il premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo

    Il Parlamento Europeo ha pubblicato il bando per la presentazione delle proposte per il Premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo.

    Il Premio, assegnato ogni anno intorno al 16 ottobre, giorno dell’omicidio della giornalista, è un riconoscimento annuale per il giornalismo d’eccellenza che promuove e difende i principi e i valori fondamentali dell’Unione europea, quali dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e diritti umani.

    Possono partecipare giornalisti o team di giornalisti di qualsiasi nazionalità, presentando inchieste approfondite pubblicate o trasmesse da mezzi di comunicazione con sede in uno dei 27 Stati membri dell’Unione. Lo scopo è di sostenere e mettere in risalto l’importanza del giornalismo professionistico per la salvaguardia della libertà e dell’uguaglianza.

    Il premio, e i 20.000 euro assegnati al vincitore, dimostrano il sostegno del Parlamento nei confronti del giornalismo investigativo e l’importanza di una stampa libera. Negli ultimi anni, il Parlamento ha segnalato i tentativi, all’interno e all’esterno dell’UE, di minare il pluralismo dei media.

    I giornalisti possono presentare i loro articoli sul sito entro le 23.59 del 31 luglio 2023.

    Per maggiori informazioni: info@daphnejournalismprize.eu

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