diritti

  • La libertà

    La  libertà rappresenta, ancora oggi, un valore sconosciuto.

    Nella medesima spiaggia del veneziano solo qualche settimana addietro era possibile imbattersi in una famiglia musulmana con la moglie al bagno con il burkini e a solo a poche centinaia di metri trovare delle persone adulte che praticavano il naturismo.

    Queste due forme di approccio sicuramente sono agli antipodi nella interpretazione della vita in riva al mare, ma dimostrano come contemporaneamente possano coesistere due filosofie di costume ed espressione di valori etici e religiosi diversi, in quanto non hanno intenzione di imporre il proprio codice alla parte “avversa”.

    In altre parole, la lezione veneziana esprime la superiorità valoriale del codice occidentale che proprio per la propria forza riesce a contenere nell’alveo democratico le più diverse espressioni di costume umano.

    Viceversa, l’idea di vietare l’accesso ad una spiaggia pubblica ad una donna  per il solo motivo del costume indossato, come intenderebbe imporre la sindaca di Monfalcone, rappresenta l’espressione della peggiore retroguardia culturale.

    Innanzitutto tutto perché ghettizzare una donna che forse esprime la propria situazione con il burkini impedisce alla stessa di venire a contatto con una realtà diversa da quella del proprio ambito familiare e religioso e conseguentemente emanciparsi.

    Ed in secondo luogo una democrazia cresce anche attraverso la consapevolezza della priorità forza che parte dalla uguaglianza tra donna e uomo, quindi non vieta nessuna, perché un divieto rappresenta una forma di debolezza ed  investe nel progresso culturale forte della propria consapevolezza.

    A Monfalcone, la scelta della sindaca esprime solo una triste debolezza culturale ed una povertà umana che nulla hanno in comune con il valore occidentale della libertà.

  • In attesa di Giustizia: Pyongyang, Italia

    Nel nostro ordinamento c’è un sistema che, forse, è sconosciuto persino alla Corea del Nord e al Niger post golpe militare, un sistema che invece – secondo il Ministro Piantedosi – tutto il mondo ci invidia ma delle cui abnormità si sta accorgendo persino la CEDU e che è sino ad ora sopravvissuto con buona pace dei principi di identità culturale, tradizioni giuridiche e garanzie su cui si fonda il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in ambito UE.

    L’argomento del giorno sono le misure di prevenzione patrimoniali che ci regalano il primato mondiale assoluto di soperchieria normativa del quale dovremmo vergognarci: questa volta con buona pace del plaudente questurino che siede sullo scranno più alto del Viminale.

    Vediamo cosa comporta e cosa può regolarmente accadere applicando questa disciplina: può succedere (e succede, eccome) che Tizio, processato ed assolto da ogni accusa, in seguito si veda confiscare tutti i suoi beni, sulla base dell’indecente assioma “innocente, ma pericoloso”.

    Si tratta, in sostanza, di un metodo di persecuzione riservato ai reati più gravi e non solo quelli collegati alla criminalità organizzata di mafia che affonda le sue radici nella cultura della intolleranza e del sospetto e che si può sintetizzare in questi termini: se sei stato indagato qualcosina ci sarà pur stata a tuo carico e se non è possibile punirti perché le prove non ci sono tengo per buono un semplice sospetto e così, se in carcere non ci vai, almeno ti riduco in miseria.

    La svolta che conduce al giudizio di Strasburgo è merito di una famiglia di imprenditori calabresi, i signori Cavallotti, gran lavoratori e persone per bene: arrestati, processati e definitivamente assolti da accuse di contiguità alla ‘ndrangheta, sono stati tuttavia spossessati di tutti i loro beni e le loro aziende affidate alla vorace spoliazione degli amministratori giudiziari: soggetti che, non di rado, non sarebbero in grado di amministrare un piccolo condominio, immaginatevi il destino di imprese commerciali…

    Il ricorso dei fratelli Cavallotti non solo è stato ritenuto ricevibile dalla CEDU – si dice così quando un caso è ritenuto meritevole di attenzione – ma la Corte è andata oltre ed ha rivolto al nostro Governo una serie di quesiti sul tema dei beni confiscati con le misure di prevenzione patrimoniali ai quali dovrà essere data risposta entro il prossimo 13 novembre. Dal tenore dei quesiti traspare un incredulo stralunamento della Corte Europea: “Nel caso di una assoluzione in un processo penale, la confisca dei beni viola la presunzione di innocenza? è proporzionale è necessaria? è forse una sanzione penale surrettizia, violativa dell’art. 7 della Convenzione Europea? ”… e tanti altri, secchi e non equivocabili. Intanto sono passati già sette anni dalla confisca e alcune delle aziende dei Cavallotti sono fallite grazie all’insipente ma ben retribuita gestione degli affidatari.

    Siamo, forse, all’inizio della fine di un sistema legalizzato di abusi il quale, tanto più in presenza di giudizi penali assolutori, supera ogni limite di tollerabilità in uno Stato di diritto. Un sistema che -in una malintesa prospettiva di difesa sociale- rende il sospetto più forte della prova, sanzionando ben più gravemente che con la privazione della libertà personale chi non saprà – o non potrà – concretamente difendersi dalla brutale spoliazione di tutti i suoi beni; già, perché c’è un dettaglio non trascurabile di cui non abbiamo ancora parlato: il sistema delle misure di prevenzione non prevede l’onere della prova in capo al Pubblico Ministero: e, per forza! Se basta il sospetto, di quale prova stiamo parlando? Di quella che incombe sui prevenuti, a volte estremamente complessa se non impossibile come nel caso di beni ereditati rispetto ai quali si deve fornire l’evidenza di originaria lecita provenienza dei denari con cui il trisnonno comperò un immobile poi andato in successione di generazione in generazione. I lettori non ci crederanno ma funziona proprio così e l’esempio appena fatto è uno dei tanti casi reali.

    A proposito di questo sistema, in un passato recente, il Ministro Carlo Nordio ha scritto parole di fuoco, da liberale autentico quale egli è ed in aperto contrasto con le magnificazioni provenienti dagli Interni: bella prova per il Governo, dunque e da seguire con molta cura mentre l’attesa di Giustizia di sposta a Strasburgo.

  • Il Parlamento europeo bando il premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo

    Il Parlamento Europeo ha pubblicato il bando per la presentazione delle proposte per il Premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo.

    Il Premio, assegnato ogni anno intorno al 16 ottobre, giorno dell’omicidio della giornalista, è un riconoscimento annuale per il giornalismo d’eccellenza che promuove e difende i principi e i valori fondamentali dell’Unione europea, quali dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e diritti umani.

    Possono partecipare giornalisti o team di giornalisti di qualsiasi nazionalità, presentando inchieste approfondite pubblicate o trasmesse da mezzi di comunicazione con sede in uno dei 27 Stati membri dell’Unione. Lo scopo è di sostenere e mettere in risalto l’importanza del giornalismo professionistico per la salvaguardia della libertà e dell’uguaglianza.

    Il premio, e i 20.000 euro assegnati al vincitore, dimostrano il sostegno del Parlamento nei confronti del giornalismo investigativo e l’importanza di una stampa libera. Negli ultimi anni, il Parlamento ha segnalato i tentativi, all’interno e all’esterno dell’UE, di minare il pluralismo dei media.

    I giornalisti possono presentare i loro articoli sul sito entro le 23.59 del 31 luglio 2023.

    Per maggiori informazioni: info@daphnejournalismprize.eu

  • Eurojusitalia: la prima banca dati in Italia che collega il contenzioso della Corte di Giustizia con il contenzioso nazionale

    La banca dati Eurojusitalia nasce da un’idea di molti anni fa, quando fu pubblicata, nel 2007, la prima edizione della «Giurisprudenza di diritto comunitario. Casi Scelti» (Giuffrè editore, poi, leggibile in www.eurojus.it). Fu privilegiata la raccolta di casi rilevanti di diritto dell’Unione europea, pubblicando varie edizioni dell’opera (la quinta è del 2020) per poi “mettere in cantiere”, in continuità con la precedente iniziativa, la banca dati.

    Lo scopo di Eurojusitalia è di dare uno strumento utile ed immediato per l’accesso alla giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale dell’Unione europea che origina da “ricorsi italiani” e da rinvii pregiudiziali sollevati da giudici italiani dal 2020 in poi. L’attenzione è, dunque, per i casi italiani (contenziosi e pregiudiziali) documentando, per i rinvii pregiudiziali, origine e seguito, e quindi ordinanza di rinvio e pronuncia del giudice nazionale che ne è seguita (il c.d. suivi nazionale).

    Eurojusitalia è pertanto in grado di fornire un quadro d’insieme delle questioni italiane sottoposte alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea. Consente altresì di verificare come i giudici nazionali hanno dato o stanno dando seguito alle decisioni della Corte. Un dato, questo, che non sempre è facile da reperire e, dunque, da conoscere e che può essere utile non solo per chi studia il diritto UE e la sua applicazione in Italia, ma anche per il giudice e l’avvocato che devono affrontare casi analoghi e vogliono, quindi, conoscere il precedente, e anche per chi voglia comunque documentarsi, come si è detto, sui casi italiani.

    La home page del sito è stata progettata per consentire una ricerca informatizzata semplice e agevole, al fine di evitare (se possibile) che chi necessita di un’informazione sia “scoraggiato” dalla difficoltà della ricerca. La pagina principale dispone di una varietà di filtri di ricerca con l’individuazione, per esempio, dell’organo giudicante, degli estremi della causa, della ricerca per materia, della ricerca per parole chiave, della data di pronuncia. In questo modo l’utente è indirizzato verso una più corretta consultazione e al tempo stesso è garantito il collegamento al sito della Corte di giustizia, www.curia.europa.eu, mediante un apposito link di rimando, usufruibile ogniqualvolta l’utente desideri esaminare altra documentazione (i filtri di ricerca sono “cumulabili” e “modificabili” in ogni momento).

    Un’altra peculiarità di Eurojusitalia è quella di offrire un costante aggiornamento, compresa la giurisprudenza del Tribunale unificato dei brevetti, operativo dal 1 giugno 2023, che è legittimato a proporre rinvii pregiudiziali.

    La realizzazione del progetto, fortemente voluto dal Prof. Bruno Nascimbene, professore emerito di diritto dell’Unione europea nell’Università di Milano “Statale”, già ordinario di diritto internazionale nell’Università di Genova, è avvenuta grazie alla collaborazione degli avvocati delle “cause italiane” e si è avvalsa del lavoro di Cristina Ranno, Ginevra Greco, Sara Morlotti, che continueranno a mantenerla aggiornata. Gli aspetti tecnici del portale sono invece gestiti da Pyx-is IT Consulting.

    La banca dati, totalmente open access, è disponibile collegandosi al sito www.eurojusitalia.eu.

  • Ragion di Stato e interesse collettivo

    In questi giorni abbiamo gioito per la liberazione di Zaki ed apprezzato il delicato lavoro del governo italiano che ha aiutato ad arrivare a questa soluzione.

    Sono purtroppo poi seguite una serie di elucubrazioni e di fantasiose ipotesi alle quali rispondiamo molto in sintesi: l’Egitto ha bisogno dell’Italia, l’Italia ha bisogno dell’Egitto, inoltre il presidente al Sisi, piaccia o non piaccia, con tutti i difetti che ci sono in un sistema ancora lontano dall’essere una democrazia compiuta, è un importante, decisivo baluardo contro le corti islamiche ed i Fratelli musulmani che tanto dolore e sangue stanno ancora spargendo in Africa e non solo.

    Se una nota stonata c’è stata, a nostro parere, è l’aver offerto il volo di Stato per il rientro di Zaki, volo che infatti Zaki ha rifiutato. E’ stato un inutile di più, che ha portato a critiche e perplessità verso chi, con questa iniziativa, non aveva capito anche i risvolti diplomatici e di opportunità politica che sarebbero seguiti per tutti i protagonisti  di questa brutta vicenda, Zaki per primo.

    Purtroppo il mondo è pieno di ingiustizie e di governanti che non rispettano oppositori, giornalisti, donne libere e diritti inalienabili, portato a casa Zaki riprendiamo ad occuparci dei tanti che, non solo nelle carceri, sono privati della libertà e del diritto di parola e di critica sapendo che comunque la ragion di Stato prevale quando è in gioco l’interesse collettivo, basti pensare alla Turchia, al grano ucraino e a chi potrebbe provare a mediare per la fine del conflitto.

  • L’ambasciata cinese a Roma rigetta le accuse di genocidio degli Uiguri

    “L’ambasciata cinese in Italia prende atto che oggi alcuni media italiani hanno approfittato di alcune vicende cinesi per speculare di nuovo sulle questioni relative allo Xinjiang. I reportage pertinenti si discostano seriamente dai fatti e le cosiddette ‘prove’ si basano su una grande quantità di informazioni false. Su questo manifestiamo la nostra ferma obiezione”. Lo si legge in una nota della rappresentanza diplomatica di Pechino a Roma dopo che fonti di stampa hanno messo in relazione il forfait dell’ambasciatore cinese Jia Guide ad una cena di gala il 22 maggio, in occasione dell’inaugurazione in Arsenale dell’atteso padiglione della Cina alla Biennale Architettura in corso a Venezia con la presenza alla stessa Biennale di un’installazione olandese in cui si denuncia la situazione nei campi di rieducazione nello Xinjiang.

    “Innanzitutto – afferma l’ambasciata cinese nella nota – non esiste il cosiddetto ‘genocidio’ nella Regione Autonoma dello Xinjiang Uygur. Negli ultimi 40 anni, la popolazione uigura dello Xinjiang è aumentata da 5,55 milioni a 12,8 milioni, l’aspettativa di vita media è incrementata da 30 a 72 anni. Dal 2014 al 2022, il Pil della regione è aumentato da 919,59 miliardi di yuan a 1,77 mila miliardi di yuan. Secondo lo standard attuale, 3,089 milioni di poveri sono stati tutti sottratti alla povertà e il problema locale della povertà assoluta è stato risolto. In quale parte del mondo esiste un simile ‘genocidio’?”.

    “In secondo luogo – prosegue la nota dell’ambasciata cinese riferendosi all’opera olandese – le cosiddette ‘immagini satellitari’ e le ‘testimonianze’ contenute nel reportage si sono già rivelate molte volte informazioni false. Il rapporto relativo allo Xinjiang preparato dall’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) utilizza immagini satellitari per localizzare e ‘studiare’ lo Xinjiang. I luoghi contrassegnati come ‘campi di rieducazione’ sono in realtà strutture pubbliche e civili come edifici per uffici del governo locale, case di cura e scuole. Quei fatti sono completamente aperti e verificati e non è necessario utilizzare ‘immagini satellitari’ per ‘provare’; inoltre il Chinese Human Rights Defenders, un’organizzazione non governativa sostenuta dal governo degli Stati Uniti, tramite interviste con solo 8 uiguri e stime approssimative è giunta all’assurda conclusione che ‘su 20 milioni di persone nello Xinjiang, il 10% è detenuto nei campi di rieducazione’. Come può avere credibilità un’indagine così fittizia?”.

    “Negli ultimi anni – conclude la nota dell’ambasciata cinese a Roma – più di 2.000 esperti, studiosi, giornalisti, diplomatici, figure religiose e altre persone provenienti da più di 100 Paesi hanno visitato lo Xinjiang, hanno testimoniato di persona i risultati dello sviluppo economico e progresso sociale dello Xinjiang e hanno espresso molte voci obiettive ed eque. Esortiamo i giornalisti competenti a rispettare l’etica professionale più basilare, a comprendere e riconoscere obiettivamente la verità e a non agire come megafono di bugie relative alla Cina”.

  • Dichiarazione della Commissione europea e dell’Alto rappresentante in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile

    In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, la Commissione europea e l’Alto rappresentante Josep Borrell hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

    “L’Unione europea si impegna da tempo per eliminare il lavoro minorile e tutelare i diritti dei minori. Questo fenomeno rimane diffuso in tutto il mondo, insieme al lavoro forzato e ad altre forme di sfruttamento dei minori. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, il fenomeno del lavoro minorile interessa ancora 160 milioni di bambini, metà dei quali sfruttati in lavori pericolosi. In linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con l’Appello all’azione di Durban, e come previsto dal Piano d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2020-2024, l’Unione europea si impegna a eliminare il lavoro forzato, la schiavitù moderna, la tratta di esseri umani e tutte le forme di lavoro minorile entro il 2025.

    La Strategia globale dell’Unione europea sui diritti dei minori (2020-2024) pone l’eliminazione del lavoro minorile al centro della propria dimensione mondiale. Con il primo Piano d’azione per i giovani nell’ambito dell’azione esterna sono state proposte misure concrete di follow-up.

    L’UE aspira a diventare membro dell’Alliance 8.7 e si impegna, insieme ai partner, ad accelerare gli sforzi necessari per tutelare i diritti di tutti i minori e permettere loro di godere dell’infanzia senza subire alcuna forma di sfruttamento o abuso”.

  • In attesa di Giustizia: avanti arditi!

    L’omicidio di Giulia Tramontano è stato raccontato sui media in ogni minimo particolare: gli inquirenti sono apparsi a reti unificate nelle trasmissioni di prima serata, dopo aver convocato una conferenza stampa.

    Spopolano la confessione dell’indagato, l’interrogatorio, le modalità dell’azione omicidiaria, i frames dei video catturati dalle telecamere di sorveglianza, i primi dettagli emersi dall’autopsia e c’è una corsa frenetica alle interviste: la madre di Impagnatiello, i genitori dei suoi amici, prima ancora dei parenti della vittima, con domande che, per la banalità, superano persino quelle fatte in passato ai terremotati davanti al crollo della propria abitazione.

    Tutto ciò, come sempre capita, ha prodotto una deflagrazione di odio totale invocando feroce e sommaria giustizia per l’autore di questo atroce delitto; dai bar ai social, si invoca la pena di morte: deve bruciare all’inferno prima ancora di affrontare il processo e si critica aspramente il gip di Milano che ha avuto il torto di applicare la legge escludendo (per ora) l’aggravante della premeditazione. Offese e minacce si sprecano nei confronti di chi oserà difendere un “personaggio simile” anziché vergognarsene.

    Pazienza finchè il dibattito rimane nel perimetro di Tik Tok o Instagram miscelato tra la preoccupazione per la presunta crisi coniugale del Ferragnez ed il sollievo per l’affidamento condiviso dei Rolex tra il Pupone e Hilary Blasi, ma quando interviene un magistrato, già componente del C.S.M., e straparla, qualche riflessione si impone.

    Il riferimento è a Sebastiano Ardita, ex sodale di Piercamillo Davigo, al quale – se fosse possibile – dovrebbe essere revocata la laurea in giurisprudenza e con essa la funzione giurisdizionale con un’alternativa sulle ragioni: crassa ignoranza o malafede. E di magistrati ignoranti o in malafede non ne sentiamo proprio il bisogno.

    Costui, intervenendo a proposito del destino di Impagnatiello ha vaticinato che, tra attenuanti generiche per la confessione, benefici penitenziari e possibile riconciliazione con i parenti della vittima, tra una decina d’anni al massimo tornerà libero in tal modo alimentando l’ira e l’indignazione di un’opinione pubblica già esasperata ed orfana di Madame La Guillotine. Disinformazione tanto ardita quanto becera.

    Cerchiamo di fare chiarezza: a prescindere che la confessione, in questo caso, è apparsa più che altro strumentale a minimizzare (scioccamente) la propria responsabilità e come tutt’altro che meritevole di favorevole considerazione, per ottenere le attenuanti generiche, con la legislazione attuale, ci vuole ben altro che un’ammissione scontata ancorchè genuina e l’omicida della giovane donna, già con l’aggravante che gli viene contestata ha come previsione di pena l’ergastolo senza bisogno che vi si aggiunga la premeditazione. Con l’ergastolo dopo dieci anni non si esce: tutt’al più si può avere la semilibertà dopo venti…e non è affatto scontato né automatico e coloro che potrebbero indignarsi anche per questo guardino a sistemi penali come quello spagnolo o il norvegese (giusto per citarne un paio) che il “fine pena mai” neppure lo prevedono.

    Viene allora da chiedersi il perchè di questa uscita fuorviante, anzi dannosa in quanto disorienta l’opinione pubblica cui compete – per disposto costituzionale – il controllo sull’operato della magistratura: la risposta, francamente, è da rinvenirsi di più nella malafede che non nell’ignoranza ma non è motivo di conforto come non lo sarebbe nessun’altra spiegazione; ed il fine ultimo quale sarà?

    Viene però da chiedersi come mai, già che c’era, questo ardito censore, non ha inserito nella sua lectio magistralis di diritto penale e penitenziario anche dei riferimenti a cosa rischiano i suoi incliti colleghi recentemente arrestati (una a Latina e l’altro a Bologna ma proveniente da Lecce) che vendevano la funzione giudiziaria al miglior offerente, o meglio facevano commercio di remunerativi incarichi destinati a commercialisti ed avvocati amici con i quali si spartivano poi la cagnotte. Poverelli! In fondo non hanno ucciso nessuno e poi tenevano famiglia: se per uno spietato assassino dieci anni sono il rischio massimo, per un po’ di mercimonio sulle curatele fallimentari e l’amministrazione di aziende sequestrate quale potrà mai essere la pena?

    Ora c’è solo da attendersi che i populisti e i forcaioli in servizio permanente effettivo affiancati da cialtroneschi pseudo giuristi ne seguano l’esempio strumentalizzando un atroce fatto di cronaca: avanti arditi, sentiamo chi la spara più grossa.

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • Over 30 women abducted by separatists in Cameroon

    Separatists in Cameroon’s restive north-western region have kidnapped over 30 women and injured an unspecified number of others, officials have said.

    The women were abducted in Big Babanki, a village near the border with Nigeria, for allegedly protesting against a curfew and taxes imposed on them by the separatists.

    “Around 30 women were kidnapped by separatists [on Saturday morning] – we have not found them yet,” an army colonel told the AFP news agency.

    Some local media report that the number of those missing was even higher – up to 50 women.

    Officials said some women were “severely tortured” by the heavily armed rebels, who frequently kidnap civilians, mostly for ransom.

    Separatist leader Capo Daniel told the Associated Press that the women were being punished for allowing themselves to be “manipulated” by Cameroon’s government.

    The military says it has deployed troops to free the women.

    Cameroon has been plagued by fighting since English-speaking separatists launched a rebellion in 2017.

    The conflict has claimed more than 6,000 lives and forced more than a million people to flee their homes, according to the Crisis Group.

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