diritti

  • Over 30 women abducted by separatists in Cameroon

    Separatists in Cameroon’s restive north-western region have kidnapped over 30 women and injured an unspecified number of others, officials have said.

    The women were abducted in Big Babanki, a village near the border with Nigeria, for allegedly protesting against a curfew and taxes imposed on them by the separatists.

    “Around 30 women were kidnapped by separatists [on Saturday morning] – we have not found them yet,” an army colonel told the AFP news agency.

    Some local media report that the number of those missing was even higher – up to 50 women.

    Officials said some women were “severely tortured” by the heavily armed rebels, who frequently kidnap civilians, mostly for ransom.

    Separatist leader Capo Daniel told the Associated Press that the women were being punished for allowing themselves to be “manipulated” by Cameroon’s government.

    The military says it has deployed troops to free the women.

    Cameroon has been plagued by fighting since English-speaking separatists launched a rebellion in 2017.

    The conflict has claimed more than 6,000 lives and forced more than a million people to flee their homes, according to the Crisis Group.

  • Russia: dall’inizio della guerra il giallo della morte di 14 esponenti di spicco

    Con la morte del viceministro russo Kucherenko sono ormai 14 le morti “misteriose” di importanti personaggi di vertice improvvisamente defunti per incredibili suicidi o per altrettanti incredibili malori.

    Se di questi decessi, visto i ruoli ufficiali che ricoprivano, abbiamo avuto notizia certamente non sappiamo, e forse non sapremo mai, quante altre persone di secondo piano sono sparite o morte.

    La sciagurata guerra di Putin, che ha raso al suolo intere città dell’Ucraina, reso inagibile, anche per la produzione agricola, sterminate porzioni del territorio, portato alla morte civili, bambini, soldati ucraini e, in numero ancora più elevato, soldati russi miete anche vittime, illustri e chissà quante sconosciute, persone che hanno avuto il coraggio di dire no alla sanguinosa invasione.

    Continuiamo a chiederci a cosa effettivamente serva l’ONU quando non solo non è in grado di impedire la più palese violazione dei suoi principi costitutivi ma neppure di espellere, o almeno sospendere, chi questi principi ha violato e continua a violare.

    Qualcuno ha cominciato, dopo essersi posto le domande, a trovare delle risposte?

    Intanto Putin continua ad uccidere, sul campo di battaglia e in ogni dove perché qualunque mezzo gli è congeniale e consentito per tenere il potere e sopprimere ogni voce di dissenso.

  • Zitta!

    Che cosa vuole dire che contestare è un diritto? Quando si travalicano i limiti e si trasforma il proprio dissenso in un atto di pura violenza?

    Non dovrebbe essere difficile capirlo e ciò senza tirare in ballo l’intera cultura costituzionale.

    Basterebbe applicare il principio morale secondo il quale non si deve fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi.

    Proviamo ad immaginare se, invece della ministra Roccella, fosse stata una esponente della parte avversa ad essere svillaneggiata: le contestatrici avrebbero ritenuto accettabile che venisse zittita? Certo che no. Ma, purtroppo, non per difendere una visione democratica, liberale della vita. Giusto per il contrario: per rivendicare la pretesa ad essere le sole autorizzate ad aprire bocca; le uniche le cui idee meritano di essere difese e divulgate.

    Come disse un Presidente della Repubblica, non da tutti amato, mi viene a questo punto da ripetere: “Non ci sto”.

    E’ per questo che rivendico il diritto a contestare la vostra contestazione arrogante e fanatica e, parafrasando uno slogan genitale a voi certamente noto, mi sorge spontaneo affermare che “il cervello è mio e lo gestisco io”. Vi piacciano o meno le mie idee e la pluralità delle voci che vorrei continuare ad ascoltare per informarmi.

  • In attesa di Giustizia: la dolce vita

    Lo stupore non è mai troppo e non ha mai fine: con il passare del tempo ed il succedersi degli eventi che, all’atto pratico, ne svelano le caratteristiche, la Riforma della Giustizia “Cartabia” si propone come una delle più “bizzarre” (diciamo così) tra quelle cui una legislazione sistematicamente sciatta ed approssimativa ci ha abituato da decenni. Queste le ultime due perle.

    Il Ministro brasiliano della Cultura, una distinta signora, si è recata in visita ufficiale alla biennale di architettura di Venezia: volendo visitare la città, apprezzandone da vicino tutte le caratteristiche, ha scelto di muoversi a piedi ed in vaporetto come una turista qualsiasi. E come una turista qualsiasi è stata borseggiata.

    Recatasi in Questura per fare la denuncia si è sentita rispondere che non era possibile poiché è una cittadina straniera non residente in Italia: come tale, non in grado di assicurare la sua presenza all’eventuale processo a carico dei presunti colpevoli se mai verranno individuati. Dunque niente denuncia, niente indagini neppure di facciata tra le centinaia di borseggi che ogni giorno vengono commessi. Evviva! La Patria è salva, l’Unione ha plaudito alla riforma e versato i fondi del PNNR; gioiscono soprattutto i borseggiatori che – da sempre – si garantiscono la maggiore fonte di guadagno proprio nelle città più apprezzate dai turisti stranieri come Venezia, Firenze e Roma mentre tanto tempo viene risparmiato da Questure e Procure tra scartoffie ed indagini evitate e udienze non celebrate.

    Dolce la vita per i taccheggiatori: impunità per tutti, per legge. Fare di peggio era molto difficile.

    Il secondo “capitolo” riguarda la riforma che, nella parte dedicata all’Ordinamento Giudiziario, contrasta con autentico calvinismo il fenomeno delle “porte girevoli”: con ciò intendendosi la transumanza dei magistrati dall’Ordine Giudiziario alla politica e ritorno.

    Il primo a sperimentare il rigore della “Cartabia” è stato, proprio in questi giorni, Cosimo Ferri: uno che negli ultimi diciassette anni ha fatto il magistrato solo per tre passando dalla poltrona al CSM a una di deputato e da qui a quella di sottosegretario alla Giustizia, poi ancora alla Camera (attraversando anche quasi tutto l’arco costituzionale: dal PdL a Forza Italia, da qui al PD e infine a Italia Viva) per poi dimettersi all’improvviso circa un anno fa e candidarsi come sindaco a Carrara (amoreggiando con la Lega). Nel frattempo era assurto agli onori della cronaca per il coinvolgimento nell’affaire Palamara che gli è già costato una (modesta) sanzione disciplinare.

    La carica di primo cittadino è stata mancata ma un seggio come consigliere comunale è sufficiente per rientrare nel nuovo regime perché l’elezione è stata successiva alla entrata in vigore del nuovo Ordinamento Giudiziario: ora il Dott. Ferri si è dimesso anche dal Consiglio Comunale facendo richiesta di rientrare in ruolo ma – come se non lo sapesse – il Consiglio Superiore gli ha opposto il divieto previsto dalla “Cartabia”.

    Perché mai, e ora cosa farà? In questi casi la riforma prevede che il magistrato ex politico venga messo fuori ruolo per il resto della sua vita (!) con assegnazione al Ministero di appartenenza, mantenendo il trattamento economico maturato in base al grado a cui si aggiunge un piccolo contributo di 5.000 euro netti al mese come argent de poche per la nuova e prestigiosa funzione assunta.

    Già, ma quale funzione andrà a ricoprire un magistrato destinato a restare tutta la vita all’interno del Ministero? Non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Capo di Gabinetto del Ministro a Direttore Generale degli Affari Penali (posto che fu di Giovanni Falcone), oppure Capo Dipartimento dell’Ufficio Legislativo…. ma ci sono anche posticini come Vice capo Dipartimento o semplice componente.

    Il posto più ambito (e per un condannato all’ “ergastolo del Ministero” prima o poi può arrivare) è quello di Capo Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria il quale, in quanto Capo anche di una Forza di Polizia (la Penitenziaria, appunto), e pur non sapendo nulla della gestione di una struttura militarizzata, ha un trattamento aggiuntivo equiparato a quello degli altri Comandanti di Forze dell’Ordine: 320.000 euro all’anno che una generosa normativa gli fa conservare una volta cessata la funzione ed incidendo sul trattamento pensionistico finchè morte non li separi ma con garanzia di reversibilità.

    Dolce la vita anche per i magistrati eternamente fuori ruolo.

  • Non ci sono diritti se non si rispettano anche i doveri

    Diritto alla casa, diritto al lavoro, diritto allo studio, diritto alla libertà, diritto alla giustizia, e, non certo per ultimo, diritto alla salute.

    Questi sono diritti principali che non possono e non devono essere alienati ma, ovviamente, ai diritti corrispondono dei doveri, doveri dei singoli cittadini e doveri delle istituzioni.

    Le istituzioni devono creare le condizioni affinché si sviluppino le occasioni di lavoro e per questo devono rendere i percorsi scolastici in grado di preparare culturalmente e tecnicamente le nuove generazioni tendendo conto che la crescita culturale non può ignorare la storia, la geopolitica, la letteratura, l’arte e che la scienza e le nuove tecnologie, in tutti i campi, devono essere assimilate e comprese.

    Attenzione agli studenti, attenzione ai lavoratori, anche con una effettiva giustizia sociale, significa attenzione alle imprese che offrono lavoro e garantiscono benessere e perciò vi è la necessità di una maggiore equità fiscale e della tutela delle peculiarità italiane.

    E’ sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere che, per troppi anni, non è stata più perseguita la costruzione di case popolari o a riscatto, come invece succedeva un tempo: le case costruite per i postelegrafonici rimangono un esempio che non è stato più seguito.

    La mancanza di medici ed infermieri è diventata un’emergenza mentre le attese di mesi per visite ed esami diagnostici urgenti stanno aggravando lo stato di salute della maggior parte dei cittadini, è compito delle istituzioni provvedere prima che il declino diventi irreversibile.

    I cittadini hanno il dovere di difendere la libertà e la democrazia, il benessere di ciascuno dipende anche dagli altri perciò non si può distorcere il concetto di libertà individuale trasformandolo in sopruso né abdicare al proprio ruolo nella società come fa chi rifiuta il lavoro preferendo sussidi e attività sommerse.

    In questi giorni le cronache hanno più volte segnalato le proteste degli studenti universitari fuori sede che lamentano la mancanza di alloggi a prezzi accessibili ma questo problema non può essere scaricato sui privati, le università e le amministrazioni locali devono essere richiamate ai loro compiti. Né possiamo dimenticare che tutti coloro che risiedono in luoghi nei quali non ci sono università devono accettare, come è sempre stato, anche quel pendolarismo che fa parte della vita di tanti lavoratori.

    Il problema è rendere più efficienti i mezzi di trasporto pubblico che continuano ad essere gravemente carenti rispetto alle necessità di chi lavora e di chi studia, problema che spetta risolvere, ancora una volta, a coloro che gestiscono questo comparto.

    Siamo tutti pronti a dire cosa vorremmo, cosa vogliamo di più e di meglio ma pochi sono disponibili ad impegnarsi per ottenerlo perché ormai tutto è dovuto, questa è diventata la società dei soli diritti ma non ci sono diritti se non si rispettano anche i doveri.

  • Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere

    Ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode, e la tirannia.

    Frederick William Robertson

    Settantotto anni fa, l’8 maggio 1945 alle 23.01, riferita al Central European Time (Ora standard dell’Europa Centrale; n.d.a.) entrava in vigore la resa definitiva della Germania e la fine della seconda guerra mondiale in Europa. L’accordo era stato firmato alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 a Reims, in Francia, dai rappresentanti dei Paesi occidentali dell’alleanza e, per i nazisti sconfitti, dal generale tedesco Alfred Jodl. Poco prima della mezzanotte dell’8 maggio 1945, per espresso volere di Stalin, un altro accordo è stato firmato a Berlino tra l’Unione sovietica e la Germania nazista. A Mosca, nel frattempo, era già il 9 maggio. L’Armata Rossa era rappresentata dal maresciallo Georgij Žukov ed altri ufficiali sovietici, mentre l’Alto Commando delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht; n.d.a.) era rappresentato dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, insieme ad altri alti ufficiali dell’esercito. Con quell’accordo la Germania si arrendeva anche all’Unione sovietica. Perciò anche adesso la fine della seconda guerra mondiale in Europa si celebra ogni 8 maggio per i Paesi dell’alleanza occidentale, invece nell’Unione Sovietica prima ed in Russia adesso, quella ricorrenza si celebra ogni 9 maggio.

    Il 9 maggio però ha un altro valore storico per l’Europa. Era il pomeriggio del 9 maggio 1950. Al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri a Parigi, di fronte ai giornalisti, l’allora ministro Robert Schuman ha reso pubblica quella che da allora è nota come la Dichiarazione Schuman. Riferendosi a quella Dichiarazione, la scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che si trattava di “Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita”. Si trattava di un documento molto importante che presentava la vitale necessità dei Paesi europei di collaborare fra loro, invece di combattere. Le idee e le convinzioni dei Padri Fondatori dell’Europa unita, tra i quali anche Robert Schuman, sono stati adottati interamente dal Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 con il quale si costituì la Comunità europea del Carbone e dell’Accaio. I sei paesi firmatari del Trattato erano la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nello stesso articolo della scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “…Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. […] E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio”. Aggiungendo in seguito che “…I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “…non solo impensabile, ma materialmente impossibile”” (Necessarie riflessioni per evitare il peggio; 1 maggio 2023).

    La dichiarazione Schuman rappresenta un documento molto importante, che metteva le basi anche di quella che il 25 marzo 1957, con il Trattato di Roma, diventò la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea.  Il Trattato di Roma è stato firmato dagli stessi sei Paesi che costituirono la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e stilarono altri atti approvati in seguito. Il 9 maggio è stato adottato come la “Giornata dell’Europa” dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea, durante il vertice di Milano del 1985. È stata scelta proprio quella data in ricordo della Dichiarazione che Robert Schuman rese pubblica il 9 maggio 1950. Quella Dichiarazione cominciava con la frase “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. In seguito si sanciva che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Una previsione che è stata poi verificata durante questi decenni.

    La Dichiarazione Schuman ed il pensiero dei Padri Fondatori, nonché diversi successivi atti ufficiali dell’Unione europea, hanno sancito, tra l’altro, anche i diritti ed i doveri degli Stati membri della stessa Unione. Atti che devono essere rispettati però anche dagli Stati che seguono le procedure dell’adesione nell’Unione europea. L’Albania è uno di quegli Stati. In Albania però e purtroppo, quanto è stato sancito dal pensiero dei Padri Fondatori, dalla Dichiarazione Schuman, nonché dai successivi atti ufficiali dell’Unione europea, non sono stati rispettati, spesso volutamente, durante questi ultimi anni. Ragion per cui il Consiglio europeo ha sempre posto delle necessarie ed invarcabili condizioni sine qua non, prima di prendere le dovute decisioni per continuare con le procedure dell’adesione. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa realtà. E la ragione è solo e soltanto una: i tre governi capeggiati dall’attuale primo ministro, dal 2013 ad oggi, non hanno fatto niente per meritare l’avanzamento nelle procedure dell’adesione all’Unione europea, anzi! Perché non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì si stia consolidando e sia attiva una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata da alcuni “raggruppamenti stampella” scelti e controllati del primo ministro. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il primo ministro sta facendo di tutto per annientare l’opposizione politica. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la criminalità organizzata collabori, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, con il potere politico, sia nel prendere determinate decisioni ufficiali convertite in legge, sia per condividere in privato moltissimi milioni dei soldi pubblici in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì è stato consapevolmente violato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì una persona, il primo ministro, abusando pericolosamente del potere conferito, controlli tutti i poteri: l’esecutivo, il legislative, il giudiziario e quello dei media. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il risultato delle elezioni, sia quelle parlamentari che amministrative, sia condizionato e controllato dal potere politico e dalla criminalità organizzata. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la diffusa corruzione stia divorando sempre più tutto e tutti. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì da anni si riciclano i miliardi provenienti dalla corruzione, non solo in Albania e dai traffici illeciti degli stupefacenti ed altro, gestiti dalla criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale. Per queste e per altre ragioni, non può mai e poi mai un Paese diventare membro dell’Unione europea. Almeno se si tengono presenti il lungimirante pensiero e le convinzioni dei padri Fondatori, espressi nella Dichiarazione Schuman e nei testi ufficiali dei Trattati di Parigi e di Roma che costituirono, rispettivamente, il 18 aprile 1951 la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio ed il 25 marzo 1957 la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea. Ma anche in altri Trattati ed atti successivi.

    La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini. Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge. Ma, come sta realmente accadendo, niente possono fare le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, direttamente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui. Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista. Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. Una simile realtà rappresenta un’ulteriore ma molto significativa dimostrazione e testimonianza della restaurazione di una nuova dittatura sui generis in Albania.

    Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi. E potrebbe accadere quello che fino ad oggi è veramente impensabile ed impossibile. Anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia potrebbero accanirsi contro di lui, come conseguenza di vari complessi maturati nel tempo che gli psicologi conoscono bene. Poi attualmente c’è un processo giudiziario in corso negli Stati Uniti d’America a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle dichiarazioni ufficiali rese pubblicamente note dalle istituzioni giudiziarie coinvolte e riferendosi alle indagini svolte, risulterebbe che il primo ministro albanese sia direttamente coinvolto. Sono tante le indiscrezioni rese pubbliche da credibili fonti mediatiche statunitensi che confermano tutto ciò. Il che significa che lui, il primo ministro albanese deve rimanere al potere, costi quel che costi, per godere dell’immunità diplomatica e per impedire di essere chiamato dai giudici statunitensi, con tutte le conseguenze possibili. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato diverse volte durante questi ultimi mesi.

    Lo stesso giorno, la prossima domenica, il 14 maggio, mentre in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative, in Turchia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il primo ministro albanese ha offerto pubblicamente tutto l’appoggio per il suo “caro amico”, il presidente turco, un ben noto autocrate. Proprio colui che ha ispirato nel suo operato il primo ministro albanese, come lui stesso ha ammesso pubblicamente in diverse occasioni. E mentre il 9 maggio 1945 l’Unione Sovietica firmava a Berlino, come Paese aggredito, l’accordo con la Germania nazista, dal 24 febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina, in seguito alla decisione presa da un altro autocrate, il presidente russo. Quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina ormai è noto. E come in Albania ed in Turchia, anche in Russia gli autocrati che controllano la situazione interna con una mano di ferro stanno facendo di tutto per mantenere il potere. Chissà fino a quando ci riusciranno?

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molto altro da dividere con il nostro lettore, ma si ferma qui. Egli però condivide il pensiero di Frederick William Robertson, secondo il quale ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode e la tirannia. E ricorda anche quanto affermava Georges Clemenceau circa un secolo fa. E cioè che “Una dittatura è un paese in cui non devi passare una notte intera per conoscere il risultato delle elezioni”. Mentre il Albania ci vogliono giorni e spesso settimane. Tempo necessario per “legittimare” la vittoria del primo ministro.

  • Giornata mondiale della libertà di stampa: la Commissione agisce per difendere il pluralismo dei media

    “La libertà e il pluralismo dei media sono pilastri essenziali della nostra democrazia europea. Ma durante gli ultimi anni abbiamo assistito a una preoccupante tendenza all’intimidazione e alla violenza nei confronti dei giornalisti, nonché a pressioni politiche e commerciali nei confronti dei media”. A dichiaralo è la commissaria europea Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la trasparenza, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa che si celebra il 3 maggio. E aggiunge: “Abbiamo proposto una normativa per contrastare le azioni legali abusive e un regolamento sulla libertà dei media, nell’intento di preservare l’indipendenza editoriale, anche per i media pubblici. Oggi, come ogni giorno, sosteniamo con forza la libertà dei media e continueremo a lavorare per garantire che nessun giornalista corra pericoli mentre svolge il proprio lavoro”.

    Nel settembre 2022 la Commissione ha proposto la legge europea per la libertà dei media, che prevede, tra l’altro, garanzie contro le ingerenze politiche nelle decisioni editoriali e contro la sorveglianza. La proposta pone l’accento sull’indipendenza e sul finanziamento stabile dei media del servizio pubblico come pure sulla trasparenza della proprietà dei media e sulla distribuzione della pubblicità statale.

    La legge europea per la libertà dei media fa parte di un approccio europeo globale per i media, basato sul piano d’azione per la democrazia europea e sul piano d’azione per i settori dei media e degli audiovisivi (MAAP).

    Lo scorso anno la Commissione ha inoltre adottato una proposta per contrastare le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica (dette anche “SLAPP” o “azioni bavaglio”), fornendo ai giornalisti e ai difensori dei diritti umani strumenti per contrastare i procedimenti giudiziari abusivi. L’iniziativa integra la raccomandazione della Commissione sulla sicurezza dei giornalisti.

    Nel frattempo la Commissione prosegue la fornitura di sostegno finanziario per promuovere la libertà e il pluralismo dei media.

    “Difendere e promuovere la libertà di stampa è una missione universale che non conosce frontiere. L’UE manterrà il suo impegno a dialogare con i governi, i media e la società civile, sia nei consessi internazionali che a livello locale, per prendere iniziative e rafforzare la libertà di stampa in tutto il mondo. Sancita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 75 anni fa, la tutela della libertà di espressione rimane una priorità fondamentale per l’azione dell’UE in materia di diritti umani”, ha detto il 2 maggio l’alto rappresentante/vicepresidente Josep Borrell in una dichiarazione a nome dell’UE..

  • La Commissione promuove l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare nell’UE

    Per salvaguardare il diritto all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare in tutti gli Stati membri, la Commissione europea ha deciso di proseguire le procedure di infrazione nei confronti di Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Austria e Slovenia, inviando loro un parere motivato per non aver notificato misure nazionali che recepiscano pienamente le norme dell’UE che stabiliscono i diritti in materia per i genitori e i prestatori di assistenza.

    La direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare è un fattore di svolta per i genitori lavoratori e i prestatori di assistenza: stabilendo norme minime sui diritti al congedo – congedo di paternità, congedo parentale e congedo per i prestatori di assistenza – rende più facile conciliare famiglia e carriera, e riconosce ai genitori e ai prestatori di assistenza il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili. Le nuove norme aiutano le persone a sviluppare sia la carriera che la vita familiare, favorendo il loro benessere generale. L’obiettivo è migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per tutti e agevolare i genitori e i prestatori di assistenza nella gestione delle loro responsabilità.

    La direttiva prevede i seguenti diritti:

    • congedo di paternità: i padri hanno diritto a un congedo di paternità di almeno dieci giorni lavorativi in occasione della nascita del figlio, con una retribuzione di livello pari almeno alla prestazione di malattia;
    • congedo parentale: ciascun genitore ha diritto ad almeno quattro mesi di congedo parentale, di cui due mesi retribuiti e non trasferibili; i genitori possono chiedere di fruire del congedo secondo modalità flessibili, a tempo pieno, a tempo parziale o in periodi separati;
    • congedo per i prestatori di assistenza: tutti i lavoratori che forniscono assistenza o sostegno personali a un familiare o a una persona che vive nello stesso nucleo familiare hanno diritto a un congedo di almeno cinque giorni lavorativi all’anno;
    • modalità di lavoro flessibili: tutti i lavoratori con figli fino a otto anni di età e tutti i prestatori di assistenza hanno il diritto di chiedere una riduzione dell’orario di lavoro, orari di lavoro flessibili e flessibilità sul luogo di lavoro.

    Gli Stati membri erano tenuti a recepire negli ordinamenti nazionali la direttiva, adottata nel 2019, entro il 2 agosto 2022. Il 21 settembre 2022 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora a 19 Stati membri per mancata comunicazione delle misure di recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali. Dopo aver analizzato le loro risposte, la Commissione ha constatato che la direttiva non era stata ancora pienamente recepita in 11 Stati membri e ha pertanto deciso di compiere un ulteriore passo avanti nei procedimenti di infrazione inviando un parere motivato a Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Austria e Slovenia. Questi Stati membri dispongono ora di due mesi per adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferirli alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

  • L’Onu abbia la capacità di raddrizzare la schiena, di sospendere la Russia dalla Presidenza del Consiglio di Sicurezza e di rivedere il proprio funzionamento

    Mentre ogni giorno si fa più sanguinaria e devastante la guerra che la Russia ha portato in Ucraina non si fermano altri estesi focolai di violenza e la Cina sembra sempre più vicina a scatenare un altro conflitto contro Taipei.

    Rendono ulteriormente preoccupati la fuga di notizie di intelligence, vere o false che siano, perché comunque dimostrano un lavoro di spionaggio e controinformazione che rendono sempre più difficili i rapporti corretti tra gli Stati.

    Né può tranquillizzare che la massima autorità esistente, l’Onu, che dovrebbe impedire la costante violazione, da parte della Russia e non solo, del diritto internazionale abbia oggi proprio la Russia a presiedere di Consiglio di Sicurezza.

    Nei fatti la nazione che ha violato il diritto internazionale invadendo uno stato sovrano, radendo al suolo interi paesi e città, che ha usato bombe sporche, consentito che le sue truppe commettessero delitti di ogni genere contro la popolazione civile, messo a rischio centrali nucleari, che utilizza milizie mercenarie, note da anni per le efferatezze compite in ogni luogo ove sono state dislocate, è oggi la nazione che presiede il più delicato ed importante organismo internazionale che dovrebbe vigilare proprio su quel diritto calpestato da chi lo presiede

    Il Consiglio di Sicurezza ha il compito di vigilare, nel mondo, sulla pace ed sul rispetto del diritto internazionale, in sintesi la realtà è che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è presieduto da uno stato, la Russia, che ha violato ogni diritto internazionale e il cui presidente, Putin, ha un mandato d’arresto dalla Corte penale internazionale.

    C’è un senso comune, una logica in tutto questo?

    Possono i cittadini di qualunque parte del mondo sentirsi oggi rappresentati e difesi da un organismo che non è neppure in grado, se non di espellere, almeno di sanzionare con una sospensione la Russia e qualunque altro Paese membro compia le stesse violazioni?

    Non sanzionare la Russia, almeno togliendole la presidenza, non mettere subito in essere le necessarie modifiche ai regolamenti interni delle nazioni unite avrà come conseguenza che qualunque Stato si sentirà legittimato ad ignorare le regole internazionali e ad agire, con violenza, contro qualunque altro paese.

    Se l’Onu non avrà la capacità di raddrizzare la schiena e di rigenerarsi il futuro del diritto e delle regole comuni è segnato e tornerà a vincere i sopruso, il ricatto, la violenza.

  • Stop del Tribunale di Venezia all’Uomo Vitruviano nei puzzle

    Stop all’utilizzo dell’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo, una delle raffigurazioni umane più famose al mondo, senza permesso di chi la custodisce, nei prodotti e nei giochi venduti in tutto il mondo e via internet, anche da parte di una multinazionale con sede in Germania. Il pronunciamento, primo del genere, è contenuto in un’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Venezia il 17 novembre scorso su ricorso delle Gallerie dell’Accademia, dove l’opera è custodita.

    Oggetto del provvedimento è la tedesca Ravensburger, famosa nel mondo per i suoi puzzle, uno dei quali raffigura appunto l’Uomo Vitruviano, ma che è stato prodotto e venduto senza l’autorizzazione del museo veneziano. I giudici l’hanno condannata a pagare anche una penale a favore del Ministero della Cultura, pari a 1.500 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza.

    Non si tratta del primo provvedimento del genere a tutela delle immagini artistiche italiane: altre ordinanze sono state emesse a Firenze relativamente al David di Michelangelo. Tuttavia è la prima volta che viene condannata una società non italiana, anche relativamente a siti commerciali la cui sede non sia localizzabile in Italia.

    Il ricorso delle Gallerie dell’Accademia, tramite l’avvocato dello Stato Giacomo Galli, riguardava la violazione del Regolamento per la riproduzione dei beni culturali, elaborato secondo il Codice dei Beni Culturali, sull’uso dell’immagine per prodotti di merchandising, per i quali sarebbe stata necessaria la sottoscrizione di una concessione, con un canone annuale e royalties del 10% sul prezzo di ogni prodotto in vendita. Il puzzle era stato commercializzato nel 2014. Per i giudici il danno all’immagine consiste “per il solo fatto di essere stato oggetto di una riproduzione indiscriminata”, ossia senza il permesso e senza valutazione in rapporto al suo valore culturale.

    “E’ una sentenza molto importante – ha commentato Giulio Maneri Elia, direttore delle Gallerie – perché è la prima volta che da un Tribunale viene stabilito che i diritti d’uso di un’opera d’arte sono dovuti anche dall’estero. Come dirigenti e detentori delle immagini, e stando al Codice dei Beni Culturali siamo tenuti a far pagare i diritti, si tratta di un introito per le casse del Museo e dello Stato, e quindi importante».

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