diritto

  • Palese mancanza di giustizia

    Una volta ancora pericolosi aderenti alla organizzazione mafiosa sono stati scarcerati per decorrenza dei termini.

    Il problema giustizia, nel senso più pieno della parola, rimane uno dei più gravi problemi italiani, non abbiamo remore a sostenere che è delittuoso tenere in carcere delle persone per anni senza fare loro il processo per accertare la verità e che è altrettanto delittuoso che da tempo, e sempre più spesso, riottengano la libertà, per decorrenza dei termini, persone che sono state messe in carcere perché sospettate, a buon ragioni, di delitti gravissimi.

    In questa ultima occasione hanno ritrovato la libertà dieci complici di Messina Denaro, il famoso boss trapanese, i fiancheggiatori del quale, dopo il suo arresto, non sono stati ancora tutti identificati.

    Far uscire dal carcere per decorrenza dei termini individui sospettati di gravi misfatti non solo è una palese mancanza di giustizia ma anche il modo per far sentire sempre più insicura la società e sempre più arroganti, impunite le associazioni criminali.

    La politica dovrebbe finalmente è più seriamente interpellarsi sui motivi di questo mal funzionamento del sistema giustizia in Italia e correre, senza ulteriore indugio, ai ripari tenendo anche conto di una ulteriore pericolosa conseguenza e cioè quella di demotivare le Forze dell’Ordine che con tanta dedizione, e spesso sprezzo del pericolo, arrestano pericolosi malviventi che poi, senza processo, sono rimessi in libertà.

  • In attesa di Giustizia: riforme riformate

    C’erano molte aspettative alla nomina di Carlo Nordio come Ministro della Giustizia e, per chi come me lo conosce personalmente bene da decenni, non c’era da stupirsi che abbia fatto precedere il suo ingresso in via Arenula da ottimi intendimenti.

    Innanzitutto depenalizzare: il nostro sistema è tutt’ora ingolfato da centinaia di “reati nani”: dall’impiego di stalloni non autorizzati nelle fiere equine all’uso falsificato del marchio “prosciutto di Parma” che ben potrebbero essere ricondotti ad illecito amministrativo e sanzionati con una multa, senza intasare le Procure ed i Tribunali con adempimenti non evitabili a discapito di efficienza da destinare ad indagini di maggiore rilevanza, riducendo anche i tempi biblici che affliggono i processi. Risultato, dopo un biennio: sono stati introdotti nel codice e nelle leggi speciali almeno una ventina di reati nuovi ed assolutamente inutili, spesso ricorrendo alla decretazione di urgenza e l’ultimo in ordine di tempo è quello a tutela delle aggressioni del personale sanitario. Un intendimento condivisibile, ci mancherebbe, se non fosse che quelle inaccettabili condotte sono già sanzionate da più di una ipotesi di reato: dalla violenza privata alle lesioni personali per non parlare del danneggiamento e financo il sequestro di persona e le pene già previste non sono propriamente bagatellari.

    Si chiamano “norme manifesto”, e sono quelle volte a soddisfare la pancia dell’elettorato (garantendosene il consenso) mostrando efficientismo della politica a fronte di emergenze con il ricorso – ormai abitualmente – al diritto penale che è, e dovrebbe restare, un sistema di controllo sociale sussidiario.

    L’unico reato depenalizzato, viceversa, è stato l’abuso di ufficio contro la cui abrogazione, dopo quaranta giorni dalla entrata in vigore, sono già almeno tre le eccezioni ben motivate di illegittimità costituzionale sollevate da altrettante Procure e sollecitamente trasmesse alla Consulta dai Tribunali.

    Si tratta, in effetti, di una norma evanescente che provoca la cosiddetta burocrazia difensiva e la sindrome da firma da parte degli amministratori pubblici intimoriti all’idea di finire sotto processo per un nonnulla, rimanerci per anni perdendo onorabilità e lavoro salvo poi essere assolti come dimostrano inesorabilmente le statistiche. Forse valeva la pena fare un ulteriore tentativo (sino ad ora sono stati più di uno, tutti infruttuosi, anche negli ultimi anni) per dare concretezza ad una fattispecie sfuggente al canone di tassatività imposto dalla Costituzione.

    L’incertezza del diritto in questo settore è destinata a permanere anche con riguardo a quell’ulteriore “reato avamposto” rispetto alla corruzione che è il traffico di influenze: una ipotesi, basti dire, che quando fu introdotta – nel 2012 – venne definita dal Prof. Tullio Padovani, una delle eminenze grigie del diritto penale, “…come la Corazzata Potiomkin: una boiata pazzesca”. Ebbene, anche al traffico di influenze si è messo mano per meglio definire un’ipotesi di reato fumosa caratterizzata, come l’abuso di ufficio, da un numero elevatissimo di archiviazioni e assoluzioni non prima di aver rovinato la vita agli indagati; il risultato è che anche questa porzione di una riforma entrata in vigore a fine agosto è già stata spedita al vaglio della Corte Costituzionale non appena ripresa l’attività giudiziaria dopo il periodo di pausa feriale. Bastava, invece, licenziare uno dei numerosi disegni di legge languenti da tempo immemorabile alle Camere volti a regolamentare il cosiddetto lobbyng per definire cosa sia lecito fare e cosa no nei rapporti tra “facilitatori” e pubblici funzionari, ma tant’è.

    In conclusione, in queste riforme già prossime ad essere riformate si intravede una politica arruffona e digiuna di diritto, lo zampino di sabotatori interni all’Ufficio Legislativo del Ministero, il mistero di un Guardasigilli che è personalità di valore, come Marta Cartabia che lo ha preceduto: entrambi hanno apposto l’imprimatur e dato il nome ad interventi che, quando non inguardabili, propongono ragionate perplessità.

  • In attesa di Giustizia: morire di burocrazia

    In carcere si muore, non solo dandosi la morte da sé: si muore anche di burocrazia, di udienze che vengono rinviate perché manca una notifica, si muore perché il servizio sanitario è lento in maniera esponenziale a soddisfare le esigenze terapeutiche dei detenuti: lo è per coloro che sono liberi, figuratevi per quella popolazione carceraria che viene sempre più vista come semplice carne da cannone.

    Scrivo solo poche righe questa settimana, il resto del lo lascio ad un avvocato che ha scritto una lettera struggente ad un suo assistito morto in detenzione domiciliare perché l’evidenza di un male inesorabile non è stata sufficiente per sospendere l’esecuzione ed avere trattamenti più adeguati e continui. Ma forse è stato meglio così, ora quell’uomo è finalmente libero.

    Un orologio.

    Me lo hai donato una settimana fa.

    Ho fatto in tempo a salutarti.

    A vedere un uomo di 72 anni divorato da quello che, per pudore, paura o vigliaccheria, non si vuol chiamare un cancro di merda.

    Un orologio ha segnato la tua fine. Oggi.

    48 chili. Quasi non ti avevo riconosciuto.

    Ma Claudio, che ormai la privacy può fottersi, oltre che un essere umano, era un mio assistito.

    Claudio che 10 anni fa, al primo colloquio in carcere, mi disse “ma te sei un regazzino!”

    E forse lo ero pure sette giorni fa. Per quell’uomo che ha trascorso quasi 30 anni senza libertà: la metà della vita.

    Claudio sbattuto tra carcere e casa. Ma non ancora libero. Ora forse sì.

    Claudio, una scuola di diritto.

    Uno sguardo verso quel mondo che questo ragazzino ha imparato anche grazie a lui.

    Claudio, che il carcere lo conosceva.

    Che conosceva anche quel mondo fuori dalle regole.

    Che non riconosceva i “delinquenti de oggi, senza valori. Che ammazzeno in quattro un regazzino. Non avranno vita semplice in carcere”.

    Claudio che a ‘sto regazzino, lo ha sempre rispettato per l’avvocato che sono.

    Che quando esagerava, chiedeva subito scusa.

    Claudio che scorsa settimana si chiedeva come poteva succedere che con 48 chili avesse ancora la detenzione domiciliare.

    Ed io a quei giudici, un paio di giorni prima lo dissi. Per beccarmi un rinvio a ottobre. Con cui ormai farò poco.

    Claudio che voleva morire libero.

    E gli volevo bene a quell’uomo d’altri tempi.

    A quel romano che sembrava uscito da una poesia di Trilussa.

    Che metteva le “e” nei verbi, come i vecchi romani.

    Conserverò quel dono con il ricordo di un uomo, in fondo, buono.  Perché lo era. Che non aveva mai ucciso o fatto male a nessuno.

    Sono triste, ma sereno che almeno ora é libero.

    Da una giustizia a tratti farraginosa. Da un male bastardo.

    Ciao Claudio.

    T’ho voluto bene. Ora posso dirlo.

    Riposa in pace.

    Ivan. Il regazzino. Il tuo Avvocato.

    In queste righe, in queste parole c’è tutta l’empatia di cui sa essere portatore chi non si limita a fare la professione di avvocato ma è Difensore nel profondo: nel profondo di un animo sensibile e tormentato perché la vita lo ha sottoposto a prove durissime come quello di Ivan Vaccari che deve essere un esempio perchè sa mettere in primo piano quell’essere fragile e tragico che è l’uomo, che difende l’uomo e non il reato che gli viene attribuito; Ivan Vaccari che è capace di provare e di trasferire quella pietas che esprime l’insieme dei doveri che si hanno verso gli altri uomini ma troppo spesso è dimenticata per quegli ultimi che sono solo “carne da cannone”.

  • In attesa di Giustizia: a scuola di democrazia

    Sembra che alle Signorie Loro l’unica cosa che piace ascoltare siano le intercettazioni: certamente non le opinioni diverse, tantomeno le critiche.

    E’ capitato di recente che, per protestare contro l’iniziativa di legge del Governo per la separazione delle carriere, la sezione distrettuale dell’Emilia Romagna dell’Associazione Nazionale Magistrati abbia comunicato che non intende più partecipare ad attività formative o dibattiti organizzati dalle Camere Penali che, notoriamente, sostengono la riforma a prescindere che quest’ultima sia l’argomento di discussione: decisione degna del Consiglio di Istituto dell’asilo Mariuccia ma che ancora non mostra il digiuno di elementare grammatica della democrazia di cui è intriso il comunicato stampa della Giunta del Piemonte e della Valle d’Aosta del sindacato delle toghe con cui viene condannato “l’ennesimo attacco portato avanti nei confronti di un singolo magistrato con toni ed espressioni che di certo superano il diritto di critica” esprimendo solidarietà al P.M. di Torino Gianfranco Colace cui Il Foglio aveva dedicato un articolo elencando la sterminata serie di insuccessi delle sue indagini.

    All’origine di questa diatriba c’è l’ultima prodezza del Dott. Colace che merita di essere ricordata: l’imputazione dell’ex Governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, degli ex sindaci Piero Fassino e Chiara Appendino nonché di tutti gli ex assessori con delega all’ambiente tra il 2015 ed il 2019 accusati di inquinamento ambientale colposo per non avere adottato adeguate misure per ridurre il livello di  sostanze nocive, smog e polveri sottili  determinando in tal modo la morte di un migliaio di cittadini torinesi.

    Sono stati tutti assolti un paio di settimane fa in udienza predibattimentale, cioè senza che sia stato neppure necessario arrivare ad un processo: l’incolpazione del resto, oltre che senza precedenti nella storia giudiziaria, appariva a prima vista quantomeno strampalata.

    Con forbita supponenza, il comunicato dell’A.N,M. insegna che certe critiche rivolte al Pubblico Ministero sembrano fondarsi su una errata concezione del suo lavoro che “si vorrebbe gravata da una obbligazione di risultato contrastante con il fisiologico sviluppo del processo penale”; tradotto per i non addetti ai lavori significa che i processi si fanno proprio perché servono a vagliare la fondatezza delle accuse e non è scontato che il P.M. abbia sempre ragione, anzi, ma abbia invece il diritto-dovere di far valutare ad un organo giudicante le sue tesi indipendentemente dall’esito finale dei giudizi.

    Tutto vero e giusto ma c’è un ma ed è il limite che incontrano le imputazioni azzardate che quando diventano una consuetudine non appartengono più alla fisiologia ma ostentano estremi patologici. Il mancato riscontro di accuse fondate su prove argillose evita fortunatamente di produrre clamorosi errori giudiziari ma  non la devastazione dell’esistenza di cittadini che nel frattempo – esposti alla gogna – perdono o rischiano di perdere onorabilità, affetti, posto di lavoro e sopportano anni di stress e costi di assistenza legale mentre sull’altro fronte le risorse dello Stato vengono spese a piene mani per intercettazioni, consulenze ed indagini inutili e di marca illiberale, sottraendo altresì la polizia giudiziaria a compiti istituzionali meno cervellotici.

    A pensar male si fa peccato ma non è detto che si sbagli e dietro questa dura difesa corporativa forse si cela un’altra delle recenti preoccupazioni della casta dei magistrati: l’introduzione del “fascicolo personale” di ciascuno di loro, conservato presso il C.S.M., contenente dati, giudizi ed informazioni utili alla valutazione per i progressi in carriera; ci manca solo che alle blande critiche (quando proprio non se ne può fare a meno) provenienti dai consigli giudiziari facciano supplenza le inchieste giornalistiche!

    L’A.N.M. dovrebbe tornare a scuola di democrazia perchè nel fomentare queste polemiche sembra ignorare che la giustizia è amministrata in nome del popolo, appartiene a cittadini che hanno il diritto di formarsi un’opinione e rendersi conto se vengono rispettate le regole ed i principi di uno Stato di diritto.

  • Supreme Court briefly issues opinion allowing Idaho abortions

    The US Supreme Court appears ready to allow abortions in cases of medical emergencies in Idaho, after briefly publishing – and then deleting – an opinion on its website.

    According to a report on Bloomberg, the court will rule that the state cannot deny emergency abortions to women whose health is in danger, despite a near-total ban.

    In a statement, the court said that its final decision had “not been released” and that a document was “inadvertently and briefly” uploaded to its website.

    The spokesman said that a ruling would be released in due course.

    The inadvertent publication of the opinion comes two years after the leaking of the court’s decision to overturn the national right to abortion access, known as Roe v Wade.

    Since then, a patchwork of abortion laws have been established as more conservative states, such as Idaho, restrict rights to the procedure.

    The document posted online on Idaho suggested that the court would rule that it should not have become involved in the case so quickly, Bloomberg reported.

    The report added that the court would reinstate an order that permitted Idaho hospitals to perform emergency abortions to protect patient’s health.

    If that is the case, the case would continue at a federal appeals court.

    The Biden administration sued Idaho over its near-total abortion ban in 2022, with Department of Health and Human Services Secretary Xavier Becerra saying that “women should not have to be near death to get care”.

    Idaho countered, saying that the federal law – known as Emergency Medical Treatment and Labour Act or Emtala – cannot supersede state law.

    The court’s nine justices appeared divided during earlier arguments on the case.

  • Sanità: coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato

    Il convegno L’impronta di Borsani sulla sanità lombarda, organizzato dall’ Assessore Franco Lucente in Regione Lombardia, ha ricordato la figura di Carlo Borsani e la sua riforma sanitaria che diede ai cittadini lombardi ad avere il diritto di scelta tra strutture sanitarie pubbliche e convenzionate

    Carlo Borsani, dopo una legislatura da consigliere comunale di Milano, divenne consigliere regionale nel 1990 e poi assessore della Sanità della Regione Lombardia dando vita ad una riforma assolutamente innovativa perché si occupava di tutti, Borsani ebbe il coraggio di affermare, nel 1997, che la maggior parte del deficit sanitario era imputabile al governo centrale, specie per quanto riguardava i costi della spesa farmaceutica.

    Il convegno ci dà lo spunto per ricordare che anche oggi gran parte delle risorse che mancano al comparto sanitario sono dovute al mal funzionamento dei controlli ed alla regolamentazione della spesa e che rimangono anche ancora inevasi i problemi legati alla carenza di medici ed alla inadeguatezza del sistema che regolamenta il servizio dei medici di famiglia.

    L’intasamento dei pronto soccorsi e le spropositate lungaggini delle liste di attesa, con le conseguenze dell’aumento dei costi per il cittadino, che deve rivolgersi al privato, o dell’inaccettabile rinuncia alle cure, potrebbero essere evitati con la riorganizzazione effettiva del lavoro dei medici di famiglia, oggi spesso non valorizzati o non sufficientemente formati.

    Il medico di famiglia deve essere il primo referente di ogni cittadino e sappiamo già che nei prossimi anni, di fronte a più di 12.000 medici che andranno in pensione, ne entreranno in servizio solo circa 10.000, lasciando così scoperti migliaia di cittadini e creando ulteriori problemi ai pronto soccorsi e perciò agli ospedali e alle liste di attesa.

    Se dopo il corso universitario gli aspiranti medici di famiglia avessero una scuola di specialità come quelli ospedalieri, se fossero loro insegnato l’uso dell’ecografo e dell’elettrocardiografo molte problematiche potrebbero essere risolte prima nei loro ambulatori e senza il continuo ricorso ad altro specialista.

    Il medico di famiglia non può essere un mero estensore di ricette altrui fatto che lo porta a snaturare la sua professionalità, ma deve essere il primo ed insostituibile presidio sul territorio ritornando anche a quelle visite domiciliari, per anziani o malati più gravi, che negli ultimi tempi troppi hanno smesso di fare, anche per gli impegni delle ore alle quali sono obbligati per la presenza alla guardia medica.

    Le case di comunità, che nei piccoli centri possono effettivamente avere un ruolo, non sono però la soluzione al problema che vede anche l’insoddisfazione dei cittadini per non riuscire ad essere visitati sempre dallo stesso medico perdendo così quel rapporto di fiducia che si ha col proprio medico ma anche la possibilità di questi di poter fare una anamnesi completa perché basata sulla conoscenza anche dei pregressi del malato.

    Per la sanità ci sono molte iniziative da prendere e non è solo una questione di spesa, certo occorrono maggiori stanziamenti ma anche il coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato, di prendere atto che in una società in continua e veloce evoluzione, e mentre una parte di popolazione invecchia ed un’altra parte arriva da paesi lontani, la medicina, nel suo insieme, dipende da un migliore e diverso funzionamento dell’assistenza di base.

  • Elezioni. Europee, il voto per studentesse e studenti fuori sede

    In occasione delle prossime elezioni dei membri del Parlamento europeo dell’8 (dalle 15:00 alle 23:00) e 9 giugno (dalle 7:00 alle 23:00), studentesse e studenti che per motivi di studio si trovano in un comune di una regione diversa da quella del comune di residenza sono ammessi a votare fuori sede.

    Le modalità previste per l’esercizio del voto fuori sede sono due:
    se il Comune di domicilio temporaneo appartiene alla medesima circoscrizione elettorale del comune di residenza (I – Nord Occidentale, che comprende Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria) gli studenti fuori sede potranno votare direttamente nelle sezioni ordinarie del comune di temporaneo domicilio;
    se il Comune di temporaneo domicilio appartiene a una circoscrizione elettorale diversa da quella a cui appartiene il comune di residenza, gli studenti fuori sede voteranno presso il comune capoluogo della regione alla quale appartiene il comune di temporaneo domicilio, recandosi presso sezioni elettorali speciali.
    Nel caso della Lombardia il capoluogo è Milano e i seggi speciali saranno comunicati tramite propri canali ufficiali entro 15 gg dal voto.

    La domanda per esercitare il diritto di voto fuori sede deve essere presentata al proprio comune di residenza entro il 5 maggio 2024, usando il modello predisposto dal Ministero dell’Interno,

    Alla domanda occorre allegare copia di un documento di riconoscimento in corso di validità, copia della tessera elettorale personale, copia della certificazione o di altra documentazione attestante l’iscrizione presso un’istituzione scolastica, universitaria o formativa.

    Studentesse e studenti aventi residenza a Milano, che vogliono votare fuori sede, devono inviare una mail all’indirizzo DSC.fuorisede@comune.milano.it sempre entro il 5 maggio 2024.
    Il Comune di domicilio o il Comune capoluogo di Regione trasmetterà agli elettori e alle elettrici richiedenti l’attestazione di ammissione al voto fuori sede con l’indicazione del numero e della sezione presso cui votare (comprensiva dell’ubicazione spaziale del seggio).

    Il Comune di domicilio o il Comune capoluogo di Regione trasmetterà agli elettori e alle elettrici richiedenti, entro il 4 giugno 2024, l’attestazione di ammissione al voto fuori sede con l’indicazione del numero e della sezione presso cui votare, da esibire al Presidente del seggio insieme alla tessera elettorale e a un documento di identità.

    Tutte le informazioni sono disponibili sul sito del comune di Milano

     

  • In attesa di Giustizia: alterum non laedere

    “Diciamo che le cose che vi dobbiamo chiedere le sappiamo già…vogliamo vedere che risposte ci date: se quello che voi ci dite non converge ve ne andate dritti in galera”, “Tua moglie lo sa cosa hai fatto? Tu, mo’ ti puoi alzare, te ne vai, e poi ci rivediamo tra un mesetto però in una diversa posizione: tu dietro le sbarre”, “Noi le vogliamo bene, ha visto che città stupenda è Trani? E noi vogliamo farla tornare però in galera e dal carcere c’è una vista spettacolare sul mare”.

    Questo intercalare, definito nell’accusa “con modalità intimidatorie, minacciose, irridenti ed irrispettose”, è quello con cui due schietti gentiluomini, i Pubblici Ministeri di Trani, Michele Ruggero ed Alessandro Pesce, interrogavano i testimoni, in particolare tre dirigenti di azienda approfittando del fatto che quali persone informate sui fatti non erano assistite da un avvocato come gli indagati: il tutto nell’ambito di un’indagine relativa a presunti appalti truccati e questi fatti risalgono al 2015. Ci sono voluti nove anni tra giudizio penale per violenza privata (condannati) e disciplinare per arrivare ad una sanzione definitiva sebbene le intimidazioni, di cui abbiamo dato un saggio molto riassuntivo, fossero addirittura scolpite nei verbali di interrogatorio.

    Parliamone: sei mesi di reclusione per il primo, quattro per il secondo e con la condizionale per entrambi; la sentenza disciplinare, invece, ha previsto due anni di sospensione per Ruggero e nove mesi per Pesce…nel frattempo sono solo stati trasferiti a Bari ed hanno continuato a svolgere le loro funzioni incassando ogni mese e senza ritardo il meritato stipendio. Al termine della sospensione, che sta per iniziare, saranno ulteriormente trasferiti uno a Torino e l’altro a Milano a fare, però, i giudici civili e riprenderanno a macinare promozioni con il semplice passare degli anni e con esse aumenti salariali.

    “Alterum non laedere”  è uno dei principi fondanti del diritto romano che sembra essere stato dimenticato proprio dai rappresentanti della legge e se è vero che l’Ordine Giudiziario non è costituito interamente da campioni come questi (o altri di cui questa rubrica ha narrato le gesta) e neppure da simpatici burloni come il Marchese di Popogna, la cui nobile figura è stata tratteggiata nel numero della settimana scorsa, un minimo comune denominatore caratterizza queste decine di casi che hanno provocato danni, a volte irreparabili, ai cittadini e di immagine al sistema giustizia: la lunghezza dei giudizi, con la quale vengono accompagnati verso sanzioni miti rispetto alle malefatte o ad una confortevole pensione quando il giudizio disciplinare non si conclude per “raggiunto limite di età” facendo salve liquidazioni da centinaia di migliaia di euro (ultimo stipendio, intorno ai 9000 abbondanti al mese, moltiplicato per almeno quarant’anni di servizio) e trattamento di quiescenza misurato sempre sull’ultima retribuzione.

    Allo sventurato Giudice Andrea Paladino, un galantuomo che ha subito una via crucis giudiziaria prima di essere assolto da accuse infamanti di corruzione (anche di lui e della sua vicenda umana si trovano tracce su questo settimanale), viceversa è stata avviata un’azione disciplinare che sta per concludersi ed è stata chiesta la radiazione. Radiato per non aver commesso il fatto: cosa ci sarà dietro questo scempio richiesto dal Procuratore Generale della Cassazione? Forse la non appartenenza ad una corrente della magistratura oppure ad una minoritaria? O, semplicemente, la condanna viene chiesta per non aver compreso il fatto? Mistero.

    A volte, invece, tutto fila via velocissimo come nel caso di Luca Palamara, destituito prima ancora che si concludesse l’indagine penale e dopo avergli mutilato la lista dei testimoni a difesa nel disciplinare mentre nel processo a Perugia una modifica delle imputazioni dell’ultimo momento ha consentito di patteggiare: cioè a dire, un altro giudizio evitando di ascoltare testimoni e – soprattutto – senza dare la parola a lui che nel frattempo aveva mandato clamorosi segnali di allerta pubblicando con Alessandro Sallusti due libri andati a ruba, trecentomila copie vendute solo del primo, nei quali scoperchiava il vaso di Pandora della magistratura…ma non del tutto, un po’ per volta fino ad essere zittito almeno nelle sedi in cui doveva rispondere da incolpato.

    Perché al clamore iniziale suscitato dall’affaire Palamara è seguita la consegna del silenzio? Una lettura postuma degli atti rivela una genesi quantomeno oscura di queste investigazioni e dei suoi sviluppi; e di chi era quella manina che ha guidato lo spegnimento del captatore informatico inserito proprio nel cellulare di Palamara e proprio in occasione di alcune conversazioni molto critiche? Un captatore informatico (o trojan che dir si voglia) inoculato nel telefono di Palamara in assenza dei presupposti di legge, così come era impalpabile l’accusa originaria di corruzione rivoltagli sulla cui debolissima struttura sono state inizialmente richieste le intercettazioni tradizionali. Sarà interessante ritornare su questi argomenti.

    Sembra di essere al cospetto di un generale regolamento di conti ed a pensar male si fa peccato (a volte nemmeno quello) ma non si sbaglia: l’unica certezza è che l’amministrazione della giustizia in questo sventurato Paese è un’area non sorvegliata della democrazia.

  • L’essere umano cammina sicuro verso la propria autodistruzione

    Singolare che la Russia, alle Nazioni Unite, definisca l’attacco anglo americano alle basi dei ribelli Houthi, che attaccano ormai da giorni le navi in transito nel Mar Rosso causando ingenti danni economici alla comunità internazionale, un attacco contro lo Yemen stato sovrano, visto che è proprio la Russia che, ormai da quasi due anni, ha attaccato uno stato sovrano, l’Ucraina, intensificando, ogni giorno di più, bombardamenti contro strutture civili.

    Singolare che proprio l’organizzazione che dovrebbe difendere il diritto internazionale non sia stata in grado di offrire risposte concrete sanzionando la Russia e tuttora non abbia adeguatamente denunciato Hamas per la strage del 7 ottobre in territorio israeliano, Hamas che ancora detiene ostaggi i quali non hanno avuto neppure un minimo di assistenza sanitaria.

    Singolare forse non è la parola più giusta perché ormai siamo, da troppo tempo, abituati a vedere distorta la realtà mentre ci sono proposte come verità menzogne palesi.

    Se un grande paese come gli Stati Uniti può tollerare le affermazioni di Trump, se il diritto internazionale è calpestato e stravolto, se il nostro quotidiano è scandito da persone che si definiscono in grado di influenzare, condizionare le nostre scelte, se l’intelligenza artificiale ha soppiantato l’intelligenza umana, se la Storia è rivista o negata in base ad interessi attuali e di parte, se una gran parte della popolazione mondiale nega la propria identità con la droga, i tatuaggi esasperati, la modifica del proprio corpo, se la violenza fisica e verbale soppianta ogni ragionamento e confronto, se il numero delle persone povere, perseguitate, aumenta ed aumentano i carnefici e gli sfruttatori, se noi continuiamo a dirlo senza riuscire a trovare la forza di fare qualcosa, se…forse l’inquinamento non ha colpito solo il clima ma anche il nostro cervello.

    Così l’essere umano, il più intelligente tra le creature dell’universo, cammina sicuro verso la propria autodistruzione.

  • PNRR ed il “nonsense” delle riforme

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Una riforma viene indicata come un “qualsiasi provvedimento che sostenga o realizzi il rinnovamento più o meno profondo di una condizione o situazione esistente per adeguarle a nuove e diverse esigenze”.

    In questa breve definizione emerge evidente come la funzione di una riforma dovrebbe essere quella di rispondere a “nuove e diverse esigenze” le quali ovviamente dovrebbero, per una semplice consecutio logica, nascere dalla comprensione di un sentiment dei cittadini amministrati.

    Gli stessi tentativi di riforma verso una maggiore autonomia delle regioni partono da un logico presupposto, individuabile nella possibilità di rendere possibile, proprio attraverso la riforma, offrire un miglior servizio ai cittadini in virtù di una maggiore autonomia amministrativa.

    Viceversa, una delle condizioni fondamentali introdotta come clausola finalizzata all’ottenimento delle diverse tranche del PNRR era rappresentata dal l’imposizione ed introduzioni di nuove “riforme” da applicare in diversi campi di interesse istituzionale ed amministrativo.

    Il governo Draghi infatti, ha varato la cosiddetta riforma della Giustizia Cartabia la quale di fatto ha tolto la procedibilità d’ufficio per i reati fino a 5 anni la cui istruzione può avvenire solo con presentazione di querela di parte. In questo modo si è annullato un principio fondamentale il cui obiettivo fondamentale era quello di tutelare le vittime di reati cosiddetti minori.

    Contemporaneamente lo stesso governo Draghi ha accettato la sospensione del mercato tutelato dell’energia il quale esercita una importante funzione fornendo una minima tutela a famiglie e piccole imprese, specialmente in un periodo di forte fluttuazione dei costi energetici dopo l’impennata post pandemica.

    Emerge evidente come nello storytelling istituzionale legato alla disponibilità dei fondi PNR il termine “riforme” sia stato impropriamente utilizzato, in quanto, come dice la stessa definizione, non sono state pensate ed introdotte per rispondere alle diverse e nuove esigenze dei cittadini.

    Piuttosto, invece, di riforme siamo di fronte a delle vere e proprie clausole vessatorie, le quali evidenziano  la volontà europea di ridurre progressivamente il potere e la forza del nostro paese anche attraverso una continua azione di impoverimento complessivo.

    Solo così è possibile spiegare l’alleanza tra Unione Europea e governi italiani, facendo ricadere i nuovi costi strutturali sulla cittadinanza alla quale vengono tolti progressivamente tutele sia in campo giuridico che energetico.

Pulsante per tornare all'inizio