diritto

  • Il diritto non è una linea retta

    Le reazioni spesso scomposte relative all’impugnazione della trascrizione della seconda madre per dei bimbi di una famiglia omogenitoriale dimostra ancora una volta come spesso la stessa parola, nello specifico “diritto”, venga interpretata in modi assolutamente diversi.

    All’interno della Costituzione Italiana i tre poteri, legislativo, esecutivo e giurisdizionale, risultano autonomi per assicurare un contrappeso l’uno rispetto agli altri due.
    In particolare l’indipendenza dell’attività della magistratura viene assicurata anche da un organo di autodisciplina interno, il CSM. Come semplice e logica conseguenza rappresenta un controsenso istituzionale accusare il governo di voler colpire le comunità LGBT+, in quanto l’azione della procura di Padova nasce dalla semplice applicazione del quadro normativo in vigore.
    In più, rappresenterebbe sostanzialmente la convinzione della capacità di un governo di influenzare e dirigere la stessa azione di una procura, quindi non più indipendente come stabilito dalla costituzione. (*)

    In secondo luogo, non viene tolto nulla al bimbo, ma, semplicemente applicando la legge vigente, si elimina la figura ancora legalmente non riconosciuta di una seconda madre, come confermato anche dalla recente sentenza della Corte di Cassazione.

    Il mancato riconoscimento della figura della seconda madre probabilmente nasce da una vacatio legis, la quale va imputata a tutti i governi che dal 2016 in poi si sono succeduti alla guida del Paese ed non hanno affrontato il problema normativo.

    In questo contesto, poi, emerge sovrano il protagonismo del sindaco di Padova Giordani, il quale, pur potendo contare su degli ottimi consulenti legali in forza al comune, ha dato ulteriore prova di un delirio di onnipotenza spingendolo oltre il limite delle norme vigenti, come confermato dall’azione della procura padovana.

    Il quadro sconfortante che scaturisce da questa vicenda dimostra sostanzialmente come buona parte delle persone che rappresentano persino delle figure istituzionali e dirigenti di importanti partiti siano sicuri che il diritto sia, ancora oggi, una linea retta.

    (*) l’argomento principale utilizzato per negare la teoria di un accanimento delle procure contro una compagine politica.

  • In attesa di Giustizia: giustizia vista mare

    Trani è una città meravigliosa, affacciata su un mare cristallino, ricca di storia, di cultura, di bellezze architettoniche: tra queste vi è Palazzo Torres, edificio del XVI secolo, dirimpettaio della Cattedrale romanica, adibito agli Uffici Giudiziari ed ospita una delle Procure più fantasiose della Repubblica specializzata in quella giustizia creativa di cui questa rubrica si è interessata alcune settimane fa. Creativa non meno che birichina, per usare un garbato eufemismo.

    Chi scrive ha sperimentato quasi tutte queste caratteristiche nel corso di oltre un lustro destinato prima alle indagini e poi alla celebrazione di un processo la cui impalcatura accusatoria era altrettanto eufemistico definire strampalata: proveniva conforto dalla vista dell’Adriatico dai finestroni dell’Aula dove si celebrano i processi penali e da un collegio difensivo di grande competenza e simpatia.

    Tra noi difensori diventati grandi amici, al piacere di condividere quella trasferta si aggiungeva però la preoccupazione per il destino del giudizio ma non tanto perché si dubitasse dell’esito favorevole quanto per le voci che si rincorrevano sistematicamente circa l’imminente arresto di alcuni magistrati locali e quello che ne sarebbe potuto derivare. Alla fine furono in tre: due P.M. ed il loro Capo, nel frattempo transitato a dirigere la Procura di Taranto (dove, pure, sembra abbia fatto danni) ma il nostro processo, sia pure tra molte difficoltà, era nel frattempo approdato alla scontata assoluzione di tutti gli imputati.

    Come si è anticipato, la fantasia non era mancata nemmeno nel formulare quelle imputazioni, nel solco di una tradizione dei Procuratori tranesi che sembra  privilegiare  l’estro del momento più che un coscienzioso studio del codice penale: dall’indagine sulle agenzie di rating, a quella nei confronti di Deutsche Bank per la vendita di titoli di Stato italiani, per proseguire con l’inchiesta sulle presunte pressioni di Silvio Berlusconi per la chiusura della trasmissione Annozero, passando per le investigazioni a carico di dirigenti dell’American Express per truffa e usura; ciliegina finale sulla torta, un’ultima sul legame tra vaccino e autismo. Cosa c’entrasse Trani in tutto questo non è neppure ben chiaro.

    Procedimenti, uno per l’altro, terminati con un nulla di fatto e tutti a firma del medesimo magistrato: uno score da fare impallidire persino Gigino De Magistris, meglio noto, ai tempi della sua esperienza catanzarese da P.M., come “Gigi Flop” o anche il Pubblico Mistero (senza la n!) in ragione della miserevole sorte delle sue elefantiache indagini.

    A Trani, però, come si è già annotato, sono anche birichini e altri due P.M. (uno è proprio l’eccentrico inquirente le cui gesta sono state poco sopra celebrate) sono stati recentemente condannati in via definitiva a severissime pene – quattro mesi uno e sei mesi l’altro – per avere interrogato alcuni testimoni cercando di ottenere la confessione di avere pagato delle tangenti con la moral suasion all’altezza di una caserma della gendarmeria di Ouagadougu e sollecitazioni a liberarsi la coscienza con frasi del tipo: “dal carcere c’è una visuale sul mare stupenda e, secondo me, col problema che ha le farebbe pure bene…”. A Trani sono vista mare anche le patrie galere.

    Delicatissimo, come direbbe Christian De Sica, se non altro in confronto ai metodi inquisitori dei domenicani.

    I lettori vorranno, a questo punto, sapere che destino attenda ora questi due: in galera non andranno perché la pena è con la condizionale e nel frattempo sono rimasti a svolgere le loro funzioni. D’altronde, c’è scritto in tutti i Tribunali che “La legge è uguale per tutti” …perché avrebbero dovuto essere discriminati rispetto ai colleghi di Milano che, peraltro, sembra si siano in tempi recenti “limitati” a nascondere le prove a discarico degli imputati e non ad estorcere confessioni? E sono rimati al loro posto.

    Riflettendo su usi e costumi “milanesi”, anche all’epoca di Mani Pulite si usavano metodi intransigenti per ottenere confessioni ma, se non altro, erano un po’ meno grossier.

    Ebbene, l’autorevole e rigoroso Organo di autogoverno della magistratura si è pronunciato da qualche giorno ed i due P.M. di Trani sono stati sospesi per un po’ a riflettere sulle loro birichinate e poi, via! A Torino a fare i Giudici Civili, quasi evocando con la nuova funzione una virtù dimenticata e da coltivare: la civiltà. Questa volta, tuttavia, non nella veste di parte processuale che può solo avanzare richieste ma di decisori delle cause loro assegnate in un settore del diritto che non hanno mai praticato e per il quale si può solo sperare che abbiano attitudini migliori sconfessando l’antico adagio: studia, studia, altrimenti finirai a fare il pubblico ministero.

  • In attesa di Giustizia: giustizia creativa

    Nello scorso numero, commentando la sentenza definitiva nel processo c.d. “Trattativa Stato-Mafia” si è parlato di reato inesistente: con quel termine si intendeva alludere ad una imputazione talmente campata in aria che per disperdere tutta l’aria fritta su cui si poggiavano i teoremi accusatori ci sono voluti una dozzina di anni ed un discreto dispendio di energie e risorse economiche.

    E’uno di quei casi in cui si parla di giustizia creativa, senza che a quella creatività debba essere riconosciuto alcun pregio artistico e che si ha quando vengono applicate regole che non ci sono oppure non applicano quelle esistenti. A Milano si è, addirittura, coniato un termine omnicomprensivo delle “licenze poetiche” concesse (non si sa da chi) in sede giudiziaria: rito Ambrosiano, come la Messa.

    Un paio di esempi possono contribuire a comprendere meglio; prendiamo come spunto il furto in abitazione: uno sgradevole evento i cui contorni ognuno conosce e che nel codice penale è descritto come il fatto di “chiunque si impossessa della cosa altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora“. Privata dimora: se la lingua italiana non è un’opinione è un luogo in cui qualcuno svolge attività proprie della sua vita privata, appunto, e nel quale altri non possono accedere senza il suo consenso.

    Ebbene: la Corte di Cassazione, non il Giudice di Pace di Capracotta, ha considerato “privata dimora” anche una farmacia durante l’orario di apertura, il ripostiglio di un esercizio commerciale, l’interno di un bar ed altri fantasiosi luoghi così da imporre l’intervento regolatore delle Sezioni Unite, nel 2017. Quasi spassoso è un altro esempio e riguarda il reato di sostituzione di persona, che è commesso da “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno“. Ebbene, tutto ci si aspetterebbe tranne che questo crimine venga attribuito al “marito fedifrago che si finge divorziato per carpire nuove conquiste“.

    Per la Cassazione, nell’anno del Signore 2016, quella non è una menzogna da balera ma un reato caratterizzato dal dolo di profitto. L’elenco potrebbe continuare a lungo ma fermiamoci qui.

    Per concludere con una nota di colore che richiama sia quello che abbiamo chiamato “rito Ambrosiano” sia profili di cosiddetta giustizia domestica dei magistrati (più o meno creativi): sappiano i lettori di questa rubrica che  il Consiglio Giudiziario di Milano – una istituzione locale, del cui apporto il C.S.M poi si avvale nel valutare i progressi in carriera e la professionalità dei magistrati – ha gratificato con “eccellente” l’operato del Procuratore Aggiunto Fabio De Pasquale: proprio quello che è sotto processo a Brescia, sospettato di avere occultato le prove a favore degli imputati (comunque tutti assolti nonostante gli sforzi nel truccare le carte) del processo denominato “ENI – Nigeria”, un’indagine di presunte ed inesistenti tangenti massacrata dalle fondamenta prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello. L’uomo, tuttavia, sembra essere pronto per assumere incarichi ancor più di rilievo e prestigio.

    A fronte di un simile esempio di eccellenza non servono parole di commento ma viene da domandarsi chi siano – se mai ve ne sono – ed in quale abisso di inettitudine siano relegati quelli scarsi.

  • In attesa di Giustizia: un medley triste

    Chi ricorda i medley, favolosi mix – su dischi rigorosamente in vinile – di musiche da hit parade anni 80?

    Ecco, questa volta ci sarebbero tante di quelle notizie da commentare che la rubrica ne proporrà una sorta di medley che, però, non mette certo allegria e non è neppure esaustivo: solo il peggio del peggio (forse).

    Proprio al termine di una settimana in cui vi sono stati tre giorni di astensione degli avvocati per protestare contro i ritardi delle annunciate – ed indispensabili – riforme ed il Ministro Nordio che sembra avere il freno a mano tirato dalla sua stessa maggioranza, possiamo cominciare accennando ad alcune iniziative di legge che, invece, bollono in pentola nel settore della giustizia.

    Nel pensiero liberale è fondamentale l’idea che la sanzione penale sia la “extrema ratio” di fronte a comportamenti che attentano all’ordine sociale ed alle regole del buon vivere comune: l’esatto contrario, dunque, di quanto si è invece da tempo radicato nella linea di pensiero prevalente quale che sia la forza politica al timone del Paese; ed ecco che alcuni parlamentari oggi in carica propongono di introdurre, per esempio, il reato di istigazione alla anoressia e quello di omicidio colposo nautico mentre prende corpo l’idea di istituire la Procura nazionale anti-stragi, qualunque cosa possa mai significare.

    Invece che documenti parlamentari sembra di sfogliare le pagine di quel leggendario giornale satirico che era Il Male. In un indimenticabile e preveggente fumetto aveva rappresentato un magistrato con l’obiettivo di immaginare nuovi, possibili, reati da contestare ai movimenti politici extraparlamentari, tra i quali, in un crescente delirio punizionista, finiva per proporre l’onnicomprensivo crimine di “torto marcio”. Siamo ormai ad un passo: la satira politica è diventata cronaca della realtà.

    La matrice di questi grotteschi spropositi è sempre la stessa: la cronaca di fatti che colpiscono la pubblica opinione e, dunque, chissà se alla prossima sciagura -per dire- causata da un trattore, non dovremo attenderci la introduzione dell’omicidio colposo agricolo mentre ancora più misterioso è il percorso logico che ha alimentato l’idea del reato di istigazione alla anoressia.

    Andiamo avanti: in quel di Roma, il Tribunale nega il rinvio di un’udienza sostenendo che per una madre-avvocato non costituisca legittimo impedimento dover accompagnare il figlioletto ad una delicata visita medica. Motivazione: “poteva pensarci il padre” …. Nel frattempo, a pochi chilometri di distanza, a Latina, finisce in manette per corruzione un giudice (donna anche questa) che pare distribuisse – non gratuitamente –  ricchi incarichi nell’ambito delle procedure di amministrazione dei beni sequestrati a diversi professionisti della zona, compreso il proprio compagno: perché la famiglia è un’istituzione da sostenere; nel provvedimento di cattura il quadro probatorio è definito “granitico”.

    La medesima Procura, quella di Perugia che è competente per i reati attribuiti ai magistrati laziali, nelle stesse ore ha modificato l’imputazione a Palamara da corruzione ad un reato meno grave che gli consentirà di patteggiare. A pensar male si fa peccato ma non si sbaglia e la sensazione è che si sia preferito “silenziare” Luca Palamara che quando apre bocca fa sfracelli: ed in un dibattimento pubblico non sarebbe proprio il caso dopo essere già passato due volte dal confessionale del Direttore Sallusti. Meglio un rapido e riservato accordo sulla pena che – tra l’altro – gli evita il carcere e lo stress del processo.

    Più a nord, intanto, l’Orsa JJ4 pare avere già imboccato “il miglio verde” ed in questo caso non sembra proprio che il Governatore sia intenzionato a concedere la grazia. A sua difesa si è mosso, tra  gli altri,  l’Ordine Provinciale dei Veterinari che –  riunitosi d’urgenza e richiamando le norme del codice deontologico della categoria – ha invitato tutti i colleghi a non assumere iniziative che possano provocare la morte dell’animale per eutanasia che non è giustificata né dalle sue condizioni di salute, né da pericoli per la popolazione perché già “in custodia”, senza contare che l’orso è specie protetta tutelata con legge dello Stato ed alcune associazioni si sono offerte di provvedere al trasporto in altri spazi, anche al di fuori del territorio nazionale e senza aggravio di spese pubbliche.

    A giorni, comunque, vi sarà udienza al TAR per deciderne il destino e JJ4 sembra avere fiducia nella magistratura. Beata lei.

    Anche questa vicenda è emblematica del fatto che siamo ormai precipitati in un gorgo di cultura autoritaria, dove il diritto penale e l’ossessione retributiva del dolore delle vittime sono diventati terreno di pascolo privilegiato della politica, mentre si ha un bisogno disperato di ben altro: conoscenza e comprensione del pensiero liberale. E l’attesa di Giustizia continua…

  • In attesa di Giustizia: elegant dinners

    La culla del diritto (che sarebbe, poi, l’Italia: si può dire perché il 1°aprile è trascorso da poco) ha esportato oltreoceano uno dei suoi più recenti – rispetto ad immarcescibili istituti del diritto romano, come l’usucapione – prodotti giuridici: la giustizia di scopo ovvero ad orologeria.

    Ecco, ci mancava questo in un Paese che ritiene conseguito un traguardo di civiltà perché ai condannati a morte, invece che friggerli sulla sedia elettrica, viene iniettato un farmaco miscelato con dei sedativi (quando ci sono e quando se ne ricordano) che arresta il cuore mentre si apre il sipario davanti al boia ed un selezionato pubblico di invitati può assistere al supplizio come se fossero al Telegatto.

    Il riferimento è, chiaramente, al processone a carico di Donald Trump, rispetto al quale si è detto molto e molto confusamente, lasciando intendere che riguardi torbide storie di corruzione ma, in realtà non è così.

    Pagare una porno star (o, forse, due) per tacere a proposito di una trascorsa intimità, foss’anche prezzolata, non è un reato, soprattutto se il silenzio non è stato opposto in veste di testimone ad un’Autorità ma rispetto ai tabloid.

    Si dirà che, se di cotanta infedeltà coniugale si fosse subito saputo, la corsa per la Presidenza degli Stati Uniti poteva andare diversamente ed a favore di Hilary Clinton (una, tra l’altro, che ha esperienza in materia): ma se questo è il punto critico, il vero problema è che la prova di un ipotetico e bizzarro crimine di turbativa elettorale, conseguenza di inconfessati peccati contra sextum, risulta diabolica.

    Il tutto a tacer del fatto che non risulta che prima di allora “The Donald” sia stato un esempio di virtù maritali e non solo quelle: siamo, allora, al cospetto di un eccesso di puritanesimo tipico di una cultura rigorosamente calvinista, peraltro non nuovo su quelle sponde dell’Atlantico, verosimilmente valso a “colorire” un po’ l’iniziativa della Procura.

    Infatti neppure l’adulterio, probabilmente, è da considerarsi illecito penale ma non siamo così esperti nel diritto nordamericano (diverso per ogni Stato, più una normativa Federale) per escluderlo completamente se si tiene conto che, solo dopo la sentenza della Corte Suprema Lawrence vs. Texas del 2003 sono stati decriminalizzati una serie di atti sessuali (i lettori comprenderanno il riserbo nel declinarne dettagliatamente le caratteristiche in questa pagina) che ancora costituivano reato in ben quattordici Stati dell’Unione, eredità di norme coloniali britanniche con radici nella religione cristiana più risalente nel tempo.

    Insomma, a guardare bene tra i capi d’imputazione, si scopre che il problema non sono cene eleganti ed, ancor più, dopocena brillanti bensì il fatto di aver registrato come spese legali una trentina di fatture ad un legale per sistemare le Olgettine di laggiù e piuttosto che la mercede corrisposta alle signorine per i loro servigi ed il riserbo mantenuto in proposito.

    E qui ci sarebbe da discutere se una minuziosa fatturazione per prestazioni effettivamente svolte da un consulente, pur atipico, e pagate con soldi propri sia un reato tributario: ma si sa, a quelle latitudini con il fisco non si scherza e la storia di Al Capone lo insegna.

    Da qui a dire che elevare una montagna di incriminazioni per le quali l’accusato rischia – come pare – oltre un secolo e mezzo di carcere appare, sotto qualsiasi profilo, francamente eccessivo.

    Il vero problema che il caso Trump pone è, però, un altro: se sia solida una democrazia che per difendere se stessa dalla minaccia di un candidato ritenuto indegno e pericoloso debba ricorrere alla “giustizia di scopo”.

    Qui ne sappiamo qualcosa e l’esempio non sembra il migliore da seguire…saranno effetti della globalizzazione. Se qualcuno fosse punto da vaghezza di conoscere nel dettaglio l’indictement, il New York Times lo ha pubblicato per intero, battendo sul tempo Chi l’ha visto, Report e Quarto Grado:  basta collegarsi al sito per scaricarlo.

    Tra le imputazioni c’è anche la conspiracy che corrisponde più o meno alla nostra associazione a delinquere e sarebbe interessante capire perché nessuno degli altri presunti cospiratori sia stato chiamato alla sbarra – magari trascinato in catene come Amatore Sciesa – insieme all’ex Presidente cui, invece, è stato evitato l’oltraggio delle manette sebbene formalmente in arresto per una manciata di minuti.

    In conclusione, all’ombra dell’Empire State Building con perfetto tempismo rispetto alla imminente campagna elettorale, non si sono fatti mancare nulla o quasi di una coreografia che dai tempi di Mani Pulite ci è ben nota e di quello che non pare essere un modello di Giustizia da emulare.

  • La Commissione propone norme sul trasferimento dei procedimenti penali tra Stati membri

    La Commissione europea ha adottato una proposta di regolamento sul trasferimento dei procedimenti penali tra Stati membri. L’aumento della criminalità transfrontaliera ha portato a un aumento dei casi in cui diversi Stati membri sono competenti a perseguire lo stesso reato. Azioni penali parallele o multiple possono non solo essere inefficienti e inefficaci, ma anche ledere i diritti delle persone interessate in quanto una persona non può essere perseguita o punita due volte per lo stesso reato.

    La proposta contribuirà pertanto a prevenire la duplicazione dei procedimenti e a evitare casi di impunità quando è rifiutata la consegna nel quadro del mandato d’arresto europeo. Contribuirà inoltre a garantire che il procedimento penale si svolga nello Stato membro più adatto, ad esempio quello in cui si è verificato prevalentemente il reato. Le norme comuni comprenderanno: un elenco di criteri comuni per il trasferimento di un procedimento, nonché i motivi per rifiutare il trasferimento; un termine per la decisione sul trasferimento di un procedimento; norme sulle spese di traduzione e sugli effetti del trasferimento di un procedimento; obblighi relativi ai diritti degli indagati e imputati e delle vittime; norme sull’uso del canale digitale transfrontaliero per la comunicazione tra autorità competenti.

    Al fine di migliorare l’efficienza della procedura di trasferimento, il regolamento proposto introduce una competenza giurisdizionale in casi specifici. Si prevede che esso ridurrà il livello di frammentazione, garantirà una maggiore certezza del diritto e, in ultima analisi, aumenterà il numero di procedimenti penali trasferiti con successo.

    Il regolamento proposto dovrà ora essere discusso e approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio prima di entrare in vigore.

    Poiché la proposta riguarda procedure transfrontaliere, per le quali sono necessarie norme uniformi, la Commissione presenta una proposta di regolamento, strumento direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri e obbligatorio in tutti i suoi elementi. Un regolamento assicura pertanto un’applicazione comune delle norme in tutta l’UE e la loro entrata in vigore contemporaneamente.

  • In attesa di Giustizia: inutili rimedi

    Quella verificatasi a Cutro non è la prima e non sarà, purtroppo, l’ultima tragedia del mare cui dovremo assistere a causa della inarrestabile fuga dai paesi di origine di migranti oppressi da guerra, povertà e stenti di ogni genere e quello dei flussi migratori irregolari è un problema molto serio a prescindere da esiti fatali delle traversate cui non è facile per il Governo – qualsiasi governo – trovare un rimedio.

    Certamente non può esserlo, come è stato recentemente fatto, l’aumento delle sanzioni previste per gli scafisti: anzi, è l’ennesima iniziativa del tutto inutile adottata mettendo mano al codice penale.

    Per meglio illustrare quale sia lo spunto di riflessione che la rubrica offre questa settimana, è innanzitutto necessario comprendere bene chi siano davvero i c.d. “scafisti”, intesi come coloro che timonano un malconcio naviglio carico di poveri sventurati verso la destinazione. La figura finisce con il sovrapporsi, confondendosi, con quella dei trafficanti di esseri umani e la differenza non è banale.

    Nella realtà gli organizzatori di questi indegni e lucrosi traffici si guardano bene, come dovrebbe essere facilmente intuibile, anche solo dal mettere un piede su quei barconi della disperazione  condividendo con i passeggeri  i rischi altissimi della traversata: i veri, unici “scafisti” che meriterebbero di essere individuati e severamente puniti sono proprio costoro che, tutt’al più, scortano le carrette del mare fino ai limiti delle acque territoriali del Paese di partenza per poi fare rapido rientro a casa, sui loro motoscafi, abbandonando quei disperati al loro destino. Ecco: questi sono i veri criminali e non li abbiamo mai visti, né mai li vedremo nella assoluta impossibilità di identificarli chiedendo improbabili forme di cooperazione dalle Autorità Giudiziarie del Paese di provenienza.

    Ebbene, la nostra ennesima crociata contro il male che si annuncia con i tradizionali squilli tromba (“stretta sugli scafisti”, “pene più severe per gli scafisti”, “nuovi reati contro gli scafisti”), serve giusto giusto per poter scrivere titoloni sui giornali facendo mostra con i cittadini che anelano giustizia e sicurezza di una muscolatura che a quei delinquenti non fa nemmeno il solletico.

    E vi è di più: negli ultimi dieci anni sono stati arrestati e processati oltre 2500 “scafisti”. Posto che costoro non sono soliti indossare la divisa immacolata ed il cappellino da capitano, essi vengono, a regola, individuati – con intuibile ampio margine di approssimazione – tramite le dichiarazioni degli stessi migranti e dei superstiti, quando accadono naufragi. Orbene, in gran parte dei casi, coloro che sono stati indicati  (ammesso che fossero davvero imbarcati a timonare) altro non sono che migranti come gli altri, che per le più varie ragioni – ed essendo capaci di guidare un natante – si sono detti disposti ad accettare l’incarico dell’ associazione criminale di condurre il barcone; facile immaginare che questo accada per ottenere uno sconto sul costo del viaggio; oppure sono disperati disposti a rischiare la vita ed il carcere per guadagnare qualcosa.

    Per quelli che finiscono nelle nostre mani, spesso individuati con larghissimi margini di incertezza, è tra l’altro già prevista una pena fino a cinque anni di reclusione ma basta che le persone trasbordate siano più di cinque, cioè la normalità del fenomeno, per far scattare l’ipotesi aggravata, un minimo di cinque ed un massimo di quindici anni. Se poi c’è naufragio si aggiunge (almeno) l’omicidio colposo plurimo. Dunque, una aspettativa punitiva già altissima, senza alcun bisogno di novità normative.

    Nel nostro Paese, però, va così: se accade un fatto grave che, magari, interessa anche possibili responsabilità istituzionali, una sola è la risposta: nuove figure di reato, o inasprimento delle pene. E’ un riflesso populista, patrimonio comune dei governi di qualsivoglia colore politico, che usano il diritto penale non per raggiungere un seppur minimo e concreto risultato in termini di dissuasione dal delinquere, ma per lanciare tramite la narrazione mediatica il messaggio di uno Stato che reagisce con implacabile severità. Quale mai sarà il migrante che si rende disponibile a pilotare il barcone perché altrimenti non avrebbe il denaro sufficiente per imbarcarsi, o il disperato che non sa come altrimenti guadagnare nella vita, che recederà dall’intento venendo a sapere (da chi, poi?), che la pena che sta rischiando non è più di 15, ma di 20 anni?

    In compenso va in onda la consueta liturgia dello “Stato che reagisce con fermezza”, ed in attesa che giustizia sia fatta saremo tutti più tranquilli. O, forse, no.

  • In attesa di Giustizia: il diritto è l’arte di ciò che è buono e giusto

    Tradotta dal latino jus est ars boni et aequi, questa espressione denota  l’aspirazione del diritto verso valori morali ed etici che nel diritto romano venivano sintetizzati anche con la locuzione honeste vivere alterum non laedere, suum cuiqe tribuere che troviamo scolpita in bassorilievo anche sul frontone del Palazzo di Giustizia di Milano: proprio uno dei luoghi meno adatti, ma non il solo del tutto inidoneo. La nostra rubrica, dal canto suo, può considerarsi una sorta di galleria degli orrori che settimanalmente avviliscono le esortazioni che provengono dalla saggezza dei latini, talvolta con più di un esempio. Questa volta sono due.

    Il primo si ricollega al tema delle inchieste nei confronti della Juventus, già condannata ad una pena illegale in quanto non prevista dall’ordinamento sportivo per il tipo di illecito contestato.

    Sul versante della giustizia ordinaria, Ciro Santoriello – che è il P.M. cui è affidata l’indagine “Prisma” relativa alle plusvalenze in cui hanno avuto largo impiego le intercettazioni  –  è diventato  “vittima” proprio della registrazione di un’intervista resa a margine di un convegno del 2019 in cui il magistrato parlava del calcio e delle sue storture bilancistiche. In quella occasione, Santoriello affermò di essere tifosissimo del Napoli aggiungendo che da Pubblico Ministero era contrario ai ladrocini e perciò  antijuventino e di odiare la squadra bianconera. Vabbè…una boutade tra il serio ed il faceto, che appena è riemersa è stata rapidamente strumentalizzata dai trasformisti della informazione decontestualizzandole.

    Ciro Santoriello, però, è un P.M. di grande spessore ed esperienza e quelle frasi avrebbe, forse, dovuto evitarsele a prescindere dal fatto che venivano pronunciate dialogando con un avvocato tifoso interista e dalla indisponibilità di una sfera di cristallo in cui leggere che – anni dopo – avrebbe indagato il top management della Juve per falsità nei bilanci. Oggi, una battuta infelice gli si ritorce contro appannando l’immagine di chi, sebbene parte processuale e non giudice, dovrebbe apparire in qualche misura super partes e la cui professionalità deve risultare immune dal sospetto che possa esservi differenza tra un’indagine puntigliosa e l’accanimento.

    Senza strepito mediatico, però, in questi ultimi giorni è successo di molto ma molto peggio: abbiamo un avvocato di Roma in ospedale dal 31 di gennaio per essere operato  per un cancro in metastasi, non per farsi la blefaroplastica e sembrare più carino, e abbiamo un’udienza a Genova cui l’avvocato avrebbe dovuto partecipare se non fosse stato ancora ricoverato, in convalescenza per quella sciocchezzuola.

    L’avvocato fa spedire ad un Collega amico e fidato il certificato del reparto di chirurgia, affinchè chieda un rinvio per legittimo impedimento, pur senza inviare  una preventiva istanza (comprensibile in quello stato con cui si affronta un cimento simile) ma l‘operazione, la patologia ed il resto, erano sul certificato.

    Il Tribunale rigetta la richiesta e procede a sentire dei testimoni con la partecipazione di un avvocato che  poco o nulla sa della causa e – bontà sua – rinvia per la discussione.

    Secondo questo sensibilissimo giudicante l’avvocato avrebbe dovuto segnalare il problema  due settimane prima, per  fare le contro-citazioni ed evitare ai testi l’incomodo di presentarsi in tribunale: magari venivano dalla parte opposta della città, forse addirittura da Camogli. Tutto  questo anche se dell’operazione si era avuta certezza nemmeno dieci giorni prima.

    Eh! ma erano venuti i testi… e per il tribunale (le minuscole sono tutte volute), un cancro metastatizzato, da solo non basta, nemmeno se documentato. Vergogna, ammesso che sia un turbamento possibile per certi soggetti.

    Di fronte ad esempi  come questi – e la rubrica ne offre più di quanti vorrebbe e meno di quanti potrebbe – si affievolisce la speranza di avere un giudice equanime e distaccato, al di sopra delle parti, sensibile solo alla delicatezza del ministero che gli è affidato e sereno di fronte al tormento del giudizio mentre il popolo italiano, quello nel cui nome viene esercitata la giustizia, assiste abbacinato solo dal fascino mediatico di chi si pone come un pubblico vendicatore.

  • In attesa di Giustizia: (in)giustizia sportiva

    Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me…i giudici sportivi devono essere dei cultori  della Critica della Ragion Pratica per essere riusciti a condannare la Juventus ad una pena che, per l’illecito  che le è stato attribuito non esiste: un po’ quello che successe a Norimberga, allorquando i gerarchi nazisti furono processati per “crimini contro l’umanità”, delitto che, in sé e per sé non era contemplato da nessuna norma giuridica sebbene attenesse alla legge morale; ma, insomma, quella era Norimberga e il Tribunale finì per darne una definizione aggiungendo l’omicidio, lo sterminio di massa, la persecuzione su base razziale, politica o religiosa.

    In sintesi, e per avviare la riflessione, sono stati inflitti alla Juventus quindici punti di penalizzazione senza che sia stato formalizzato uno specifico illecito sportivo connesso al tema delle plusvalenze e la motivazione della sentenza altro non fa che confermare un clima di giustizialismo diffuso che è andato a toccare anche il settore sportivo.

    Il provvedimento dice, senza spiegarsi oltre, che è vero: la norma che si assume violata nel capo di imputazione non c’è ma i documenti arrivati dalla Procura di Torino (relativi ad un processo ancora da celebrarsi ed in cui verificare la fondatezza dell’accusa…) sembrano descrivere – in ogni caso – una realtà fatta  di imbrogli. Ed ecco che l’insulto alla legge morale supplisce alla mancanza di una contestazione scritta.

    Formalismi avvocateschi? Nossignori: ai bianconeri è stato ascritta l’inosservanza dei doveri di lealtà e probità sportiva: definizione un po’ generica se l’addebito viene mosso senza specificare in cosa siano consistiti e…si badi bene: stiamo parlando, e non ve n’è dubbio, di alterazione di scritture contabili.   Secondo il codice sportivo, per  arrivare ad una penalizzazione si sarebbe dovuto sostenere, e possibilmente dimostrare con delle perizie, che quei falsi erano intesi a dissimulare una situazione di insolvenza risalente al 2020 che avrebbe impedito alla Juve di iscriversi al campionato  successivo.

    L’ipotesi è  fantasiosa prima ancora che totalmente inesplorata: comunque sia, in mancanza di imputazione  e  di prove a supporto, la sanzione non avrebbe dovuto essere la penalizzazione in classifica ma una multa, salata ma pur sempre sopportabile dalla famiglia Agnelli.

    Anche in questa sede un ruolo decisivo lo hanno svolto le intercettazioni telefoniche, ovviamente fatte nell’indagine penale e trasferite al giudice sportivo senza che siano state ancora periziate (cioè verificato, come prevede la legge, che ciò che è stato manoscritto dagli agenti addetti all’ascolto corrisponda a ciò che è stato effettivamente detto e registrato). E’, a questo punto, inutile rilevare che il giusto processo per le società sportive è un traguardo ancora lontano da raggiungere e che la motivazione della sentenza di condanna della Juventus assomiglia di più ad una supercazzola che ad un funambolismo giuridico: certamente non a quella che dovrebbe essere la sostanza di un provvedimento reso al termine di un giudizio serio.

    Lo sport è qualcosa che appartiene alla vita di tutti noi e di tutti i giorni: per alcuni è una passione, un hobby, per molti altri è un lavoro da atleta o da dirigente e la pretesa che disponga di un ordinamento giuridico che non emuli il codice penale su base analogica dei tempi dell’URSS e sia affidato a giudici competenti non è fuor di luogo.

    Può darsi che questa rubrica torni in argomento e la questione  potrebbe essere meno stucchevole di un commento all’affaire Cospito: carcere duro o no per  un gentiluomo d’altri tempi ritenuto responsabile di aver piazzato due ordigni, di cui uno ad alto potenziale nell’assalto ad una Scuola Allievi dei Carabinieri?

    In attesa di Giustizia sportiva per ora è tutto, a voi studio centrale.

     

  • Giovani, inclusione, Milano capitale delle professioni

    “Il futuro dell’Avvocatura è anche quello della Giustizia per la irrinunciabile funzione di difesa dei diritti dei cittadini”. E’ quanto si legge nel programma della lista “Diritti al Futuro” che si presenta a Milano alle prossime elezioni per il rinnovo dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati che si svolgeranno, n tutta Italia, il 7, 8 e 9 febbraio. Per conoscere nel dettaglio la loro proposta abbiamo intervistato l’avv. Manuel Sarno, autore della nostra rubrica ‘In attesa di Giustizia’, che è  tra i 16 candidati della lista.

    Avvocato, il vostro programma parte dai giovani, e ve ne sono tanti che ogni anno si avviano alla professione forense, e dalle opportunità da fornire loro. Quali sono e come sarà possibile realizzarle?

    La stessa scelta del nome “Diritti al Futuro” oltre ad alludere all’evoluzione del diritto e della legislazione, di cui un Consiglio dell’Ordine si deve occupare anche in termini contributo al dibattito politico sulle riforme e di offerta formativa per gli avvocati, sottintende la centrale vocazione a sostenere le fasce più giovani della classe forense che affrontano la professione in un periodo di grande crisi e competitività di un settore che annovera circa un terzo degli avvocati complessivamente esercenti in tutta la UE.

    Ai più giovani è dovuto il trasferimento di esperienza, la effettività di una  guida durante la pratica ed, in seguito, offerta l’opportunità di crescere. Diritti al Futuro, nel suo programma, prevede tra le altre cose di dar loro supporto economico  mediante una tendenziale gratuità della formazione continua, la possibilità di ottenere un “prestito d’onore” garantito dall’Ordine per avviare attività in proprio ed anche la eliminazione della tassa annuale di iscrizione per coloro che non raggiungano determinate soglie di reddito.

    Proponete Milano come capitale europea delle professioni. Che vuol dire?

    Il sogno nel cassetto, per il quale vi è un progetto realizzabile anche grazie al ricorso a fondi comunitari, è quello della creazione a Milano di una “Casa dell’Avvocatura e delle Professioni”: un vero e proprio edificio che sia non solo una sede con spazi attrezzati e disponibili temporaneamente per i professionisti in trasferta per motivi di lavoro da altre città d’Italia e di Europa ma  per loro un vero e proprio punto di riferimento, incontro e confronto di respiro europeo volto a dare sempre più centralità e standing internazionale alla Milano dell’EXPO e delle Olimpiadi, così facendo anche opera di crescita culturale e condivisione di esperienze e tradizioni.

    Puntate ad un Ordine inclusivo e sostenibile, parole che ascoltiamo di frequente ormai…

    Noi siamo ciò che siamo stati, i valori di cui siamo portatori dopo anni  di professione devono essere lo spunto per guardare ad un domani in cui non si riconoscano più diversità di qualsiasi natura: all’interno dell’Ordine degli Avvocati per prima cosa e come esempio per la società, assumendo un ruolo guida anche rispetto al tema della sostenibilità intesa da ogni punto di vista. Gli avvocati hanno il dovere di fare cultura, di impegnarsi nel sociale e di farlo ogni giorno: è nel loro DNA, è un modi di difendere anche questo.

    Per cominciare, in maniera emblematica, abbiamo scelto di candidare sedici colleghi equamente divisi: otto donne e otto uomini, con buona pace delle quote rosa perché guardiamo avanti, superando di slancio indicazioni normative di rispetto della rappresentatività, guardiamo al futuro, ad un futuro in cui non sarà più necessario guardare ad un  disposto di legge o parlare di inclusione se non ad un qualcosa che è già stato realizzato.

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