diritto

  • In attesa di Giustizia: Avvocati

    Sapete da cosa si capisce se in un incidente stradale è stato investito un cane o un avvocato? Solo nel caso della bestiola, ci sono tracce di frenata. Così recita una vecchia freddura che, probabilmente, fa ridere solo la redazione del Fatto Quotidiano.

    Vero è che non tutti sono dei luminari del diritto, vero che faccendieri nella categoria ce ne sono, ed anche taluni mascalzoni patentati, ma quella dell’Avvocato (con la A maiuscola) è ancor più che una professione, è  un ministero cui adempiono in tutto il mondo uomini la cui nobiltà d’animo è fuori discussione.

    In questo tempo angoscioso in cui il cannone è tornato a tuonare nel cuore dell’Europa, proprio gli avvocati – quelli di Kiev – sono stati tra i primi a battersi per la libertà: questa volta quella della loro Patria arruolandosi volontari ed imbracciando un fucile invece che un codice.

    La Giunta dell’Unione delle Camere Penali, in nome dei penalisti italiani ha inteso far sentire la propria voce con un documento nel quale vi è una netta presa di posizione “al fianco delle donne e degli uomini della Repubblica dell’Ucraina, e del loro diritto alla vita, alla libertà, all’autodeterminazione”.

    Prosegue affermando che “chi come noi ha dedicato e dedica la propria vita professionale alla difesa dei diritti della persona, oggi non può che essere dalla parte di chi vede negati, con violenza feroce e cinica, i più elementari diritti umani: alla vita, alla integrità dei propri beni, alla libera autodeterminazione di un popolo…al tempo stesso, vogliamo esprimere la nostra fraterna solidarietà e la nostra incondizionata ammirazione nei confronti delle colleghe e dei colleghi russi in queste settimane impegnati, con ben immaginabile rischio personale, in difesa dei propri concittadini, destinatari di arresti ed incriminazioni iperboliche solo per aver manifestato il proprio dissenso da quella scellerata iniziativa del proprio Governo. Ancora una volta, laddove si invoca libertà, dovrà esserci un avvocato libero; dove si minaccia o si nega la libertà del difensore, si minaccia o si nega la libertà e la dignità di un intero popolo”.

    Vale, forse, la pena – per restare ancor più in argomento – ricordare una citazione tratta da un testo di letteratura russa: durante un processo ad ufficiali zaristi, il pubblico ministero apostrofò l’avvocato chiedendogli polemicamente “dove eravate voi avvocati mentre i contadini morivano uccisi dai soldati dello Zar?” e l’avvocato rispose: “eravamo a difendere quei contadini che voi perseguitavate in nome della legge dello Zar”.

    Ecco, c’è da essere orgogliosi di vestire la Toga di avvocato, di essere i difensori delle garanzie dei cittadini e della libertà. E quando qualcuno, con contorsioni concettuali degne del casuismo gesuitico del XVI secolo,  plaude al largo impiego dei ceppi perché inducono al pentimento, sono proprio gli avvocati a saper contrastare tali argomenti richiamandosi al pensiero di Pascal che li ha implacabilmente folgorati superandone la parvenza logica: ma si tratta, appunto di una parvenza, di illusioni verbali.

    Ma non andate a dirlo a Nicola Morra, che pure presiede la Commissione Parlamentare Antimafia, al Professore Conte (professore di che, poi? Forse di diritto e rovescio, istituzioni di uncinetto) e meno che mai al suo prediletto allievo, Alfonso Bonafede: non provate a spiegar loro che si tratta di trucchi epistemiologici rinvenibili nei trattati di Vasquez de la Cruz, Fernandez, Suarez o Squillanti perché penserebbero  che stiate citando calciatori dell’Uruguay campione del Mondo nel 1950.

    Viva la libertà.

  • Tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia

    Deve assolutamente esistere una possibilità di togliere

    il potere immediato a chi ne fa cattivo uso.

    Bertrand Russell

    Gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina, anche durante lunedì, 7 marzo, dimostrano e testimoniano tutta l’aggressività e la crudeltà delle forze d’invasione russa. Nonché dimostrano tutta l’inaffidabilità del presidente russo e dei suoi più stretti collaboratori, facendo riferimento a quanto lui e/o chi per lui dichiarano pubblicamente. Il conflitto, cominciato nelle primissime ore del 24 febbraio scorso, continua, causando ogni giorno centinaia di vittime innocenti e distruggendo tutto con i bombardamenti. I russi non hanno rispettato neanche quanto avevano accordato il 3 marzo scorso riguardo il cessate di fuoco temporaneo e i corridoi umanitari. Centinaia di migliaia di ucraini continuano, ogni giorno, a lasciare il Paese. Sono soprattutto donne e bambini, mentre gli uomini, ma non solo, rimangono a lottare contro gli invasori russi. La loro resistenza, il loro coraggio e i loro sacrifici estremi rappresentano un’ammirevole testimonianza della responsabilità civica e del loro patriottismo.

    Nel frattempo in Albania domenica scorsa, 6 marzo, si sono svolte le elezioni amministrative parziali in sei comuni. I cittadini dovevano eleggere i nuovi sindaci, dopo che i loro predecessori, tranne uno, sono stati costretti a lasciare il posto, oppure rimossi, per motivi giuridici, di corruzione e altro. E tutti loro rappresentavano il partito del primo ministro attuale. Bisogna sottolineare che il mandato dei sindaci eletti durerà soltanto un anno, fino alle nuove elezioni amministrative previste per il 2023. In più, si è trattato soltanto di elezioni dei sindaci e non dei consiglieri comunali, essendo quelli attuali eletti ormai nelle precedenti elezioni amministrative del 2019. Elezioni che sono state boicottate in un modo del tutto inspiegabile ed ingiustificato, dopo una decisione politica presa dai dirigenti dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Domenica scorsa in lizza c’erano i rappresentanti della maggioranza governativa e quelli delle due fazioni del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Fazioni quelle ufficializzate dal dicembre scorso, dopo il congresso dell’11 dicembre ed, in seguito, dal referendum, svoltosi una settimana dopo, il 18 dicembre, per approvare le decisioni prese dallo stesso congresso convocato dalla maggioranza dei sui delegati, come previsto dallo Statuto del partito. Tutti i delegati del congresso, dal settembre scorso, hanno aderito a quello che da allora è ormai noto come il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese. Un Movimento quello nato per ripristinare tutti i valori e i principi che sono stati riconosciuti ed incorporati nello Statuto dalla costituzione del partito democratico il 12 dicembre 1990, come primo partito di opposizione alla dittatura comunista. I delegati del congresso dell’11 dicembre hanno anche tolto il mandato rappresentativo a colui che, dal 2013, era diventato il capo del partito ma il suo operato, le sue alleanze e i suoi accordi occulti con il primo ministro, i cui contenuti sfuggono ai più, sono risultati fatali, in seguito, non solo per il partito democratico, ma anche per il percorso democratico della stessa Albania. Non solo: rimasto in una evidenziata e verificata minoranza, circondato da alcuni pochi ubbidienti seguaci, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico e i suoi hanno messo in scena un [anti]congresso proprio il 18 dicembre scorso. Ma, sempre fatti accaduti alla mano, quel congresso tutto poteva essere tranne che un raduno di membri ed elettori del partito democratico, diventando così vergognosamente e pubblicamente una misera messinscena ed una bufala per salvare la faccia e la sedia. L’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese, in tutta questa sua impresa ingannatrice ha avuto tutto il necessario appoggio del primo ministro e delle strutture governative. Comprese anche le “comparse” per riempire gli spazi che potevano rimanere vuoti senza la loro presenza.

    Quell’usurpatore ha beneficiato anche del sostegno della propaganda governativa e degli analisti ed opinionisti a pagamento, controllati dal primo ministro e/o da chi per lui. Proprio quelli che, fino a qualche mese fa, avevano fatto dell’usurpatore un bersaglio facile da attaccare e ridicolizzare. Con il supporto del sistema “riformato” della giustizia l’usurpatore della dirigenza del partito democratico è riuscito a rimandare, chissà per quando, una decisione obbligata dalla legge del tribunale di Tirana, con la quale di doveva formalizzare quanto deciso dal sopracitato congresso dell’11 dicembre scorso. Un “prezioso” supporto quello da parte del sistema “riformato” di giustizia, personalmente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui per la sua “stampella”. Il nostro lettore è stato informato di questi sviluppi a più riprese durante i mesi precedenti (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021).

    Ma quello del primo ministro, non era un supporto senza beneficio. Anzi, era ed è proprio il primo ministro ad essere direttamente interessato che l’usurpatore della dirigenza del partito democratico continuasse ad avere ancora in uso il timbro e la sigla del partito. E, cercando di salvare la faccia, la fazione facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito democratico ha presentato il suo candidato in tutti i sei comuni per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso. Ma i consiglieri e gli strateghi elettorali del primo ministro avevano un altro obiettivo: quello di usare la sigla del partito democratico come una diversione, un inganno durante le elezioni per confondere i votanti e facilitare la vittoria dei propri candidati.

    Questa volta il primo ministro e i suoi non si sono “impegnati pubblicamente” durante la campagna come nelle altre precedenti elezioni. Il che, comunque, non significa che lui abbia rinunciato al “vizio” di manipolare, condizionare e controllare il risultato elettorale. Anzi! Anche durante questa campagna elettorale, nonché durante la giornata delle elezioni, sono stati verificati, documentati e denunciati dai media non controllati e dai rappresentanti della Commissione per la ricostituzione del partito democratico diversi casi di uso abusivo del potere amministrativo, dell’uso abusivo di tutti i mezzi a disposizione, in piena violazione delle leggi in vigore. Tra le tante denunce fatte c’è stata una che coinvolgeva direttamente e personalmente uno dei sei candidati della maggioranza governativa. Da una registrazione telefonica, resa pubblicamente nota il 4 marzo scorso, si sentiva chiaramente una richiesta abusiva del candidato sindaco a “scopo elettorale” a suo favore. Ebbene, in qualsiasi altro Paese democratico, dove il sistema della giustizia risulta essere uno dei tre poteri indipendenti, le istituzioni del sistema giudiziario avrebbero avviato subito un’inchiesta sul caso. Ma non in Albania però, dove purtroppo il sistema “riformato” è selettivo e agisce dietro ordini arrivati dai massimi livelli del potere politico ed istituzionale.

    Durante la campagna per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso, purtroppo sono stati verificati anche degli interventi a “gamba tesa” dell’ambasciatrice statunitense in Albania. Interventi in violazione dell’articolo 41 della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche. Lo ha fatto da quando è stata accreditata, appoggiando il primo ministro. Ma negli ultimi mesi, guarda caso, ha appoggiato, sempre abusando del suo stato istituzionale, anche l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Lo ha fatto “generosamente” anche durante l’ultima campagna elettorale. Questi atteggiamenti dell’ambasciatrice statunitense, in palese violazione del suo mandato istituzionale, ormai sono noti anche al nostro lettore. L’autore di queste righe ricorda al nostro lettore però cosa è accaduto in Italia, dopo che l’ambasciatore statunitense aveva chiesto ai cittadini italiani di votare ‘No’ durante il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ormai si sa l’immediata reazione di tutti i partiti politici contro la richiesta dell’ambasciatore. Così come si sa anche la sua giustificazione e le scuse da lui chieste subito dopo.

    I risultati delle elezioni amministrative parziali del 6 marzo sono stati ufficialmente resi ormai noti. I rappresentanti della maggioranza governativa hanno vinto cinque dei sei comuni, dove si votava per eleggere solo il sindaco. Uno dei nuovi sindaci che hanno avuto il mandato è anche colui che, come risultava dalla sopracitata registrazione telefonica, aveva chiesto favori elettorali! Basta solo questo caso per capire quello che la propaganda governativa cerca di nascondere. I risultati ufficiali delle elezioni del 6 marzo hanno sancito anche la significativa vittoria del candidato del Movimento per la ricostituzione del partito democratico nella città simbolo dell’anticomunismo in Albania. Ma quello che bisogna sottolineare e che è altrettanto significativo riguarda il deludente, bensì atteso, risultato elettorale della fazione del partito democratico facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito. La vistosa differenza tra i candidati delle due fazioni testimonia in modo palese e senza ambiguità chi sono i veri rappresentanti del partito democratico, così come toglie ormai ogni “giustificazione” all’usurpatore. Adesso anche il timbro e la sigla del partito devono essere consegnati ai legittimi aventi diritto. L’importanza, quella vera e a lungo termine, di queste elezioni parziali amministrative in sei comuni, riguarda il chiarimento finale e per sempre: chi rappresenta il partito democratico albanese. Si sapeva che il primo ministro, come ha fatto anche in precedenza, avrebbe messo in moto la sua ben collaudata macchina elettorale, con l’appoggio della criminalità organizzata e dei milioni provenienti dalle attività illecite e dal riciclaggio dei denari sporchi, condizionando e controllando il risultato elettorale. Così come è successo anche durante le elezioni del 25 aprile scorso, delle quali il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Ma il risultato delle elezioni del 6 marzo scorso ha palesemente dimostrato che il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese ha avuto un convincente e schiacciante appoggio elettorale, mentre l’usurpatore ha registrato l’ennesima sconfitta, la quinta e senza nessuna ben che minima vittoria, facendo lui così, a livello personale, veramente pena. Nel frattempo però un’altra “perdente illustre” di queste elezioni è anche l’ambasciatrice statunitense, dopo il suo investimento personale, in palese violazione della Convenzione di Vienna, schierandosi così apertamente in appoggio dell’altro “perdente illustre”, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Proprio di colui che purtroppo, in tutti questi anni, ha facilitato il compito del primo ministro albanese e delle sue alleanze occulte, per restaurare una nuova ma sempre pericolosa dittatura.

    Chi scrive queste righe, fatti accaduti, documentati, denunciati, verificati e verificabili alla mano, è convinto che in Albania ormai è stata restaurata una nuova dittatura sui generis come espressione di una pericolosa alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Chi scrive queste righe è altrettanto convinto che ormai lo scontro non è più quello tra le diverse ideologie. Lo scontro, sia a livello locale che più ampio, come nel caso dell’Ucraina, è quello tra le dittature e le democrazie e/o delle “tendenze democratiche” di società che, dopo una travagliata storia, stanno cercando di avviare dei processi democratici. Perciò per i cittadini e coloro che essi rappresentano è proprio il tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia. E come in Russia, anche in Albania i cittadini devono reagire. Perché come era convinto Bertrand Russell, deve assolutamente esistere una possibilità di togliere il potere immediato a chi ne fa cattivo uso. E l’uso cattivo del potere lo sta facendo in Ucraina il presidente russo. Mentre in Albania il primo ministro.

  • In attesa di Giustizia: potere assoluto

    Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède, chi era costui? Non chiedetelo a Fofò Bonafede né al suo mentore – il professore, specializzatosi in DPCM emanati via Facebook, che ha preso il titolo con i punti fragola dell’Esselunga – e forse neppure a spiegar loro che è più noto come Montesquieu, il nome gli direbbe qualcosa, figuriamoci se ne conoscono il pensiero, maturato negli anni del regno del Re Sole. In quel tempo il filosofo e giurista francese si rese conto che chi ha il potere è portato ad abusarne e così teorizzando la separazione dei poteri perché “il potere potesse limitare il potere”.

    Il secolo dei lumi influenzò anche il costituente americano Alexander Hamilton (inutile parlarne con Toninelli che crede sia un pilota di Formula 1) il quale scrisse che il potere giudiziario è il meno pericoloso perché non controlla le forze armate e il bilancio.

    La indispensabile funzione di bilanciamento della separazione dei poteri, nel nostro Paese e ai giorni nostri, peraltro è stata svilita e superata dall’esondazione funzionale dell’ordine giudiziario che ha fatto di quella italiana una società amministrata di fatto da una giustizia penale con l’ambizione alla popolarità.

    Il supporto del più retrivo populismo ha dapprima alimentato il mito dei protagonisti di Mani Pulite, dei loro superstiti e degli emuli togati ma non ha impedito la attuale crisi di autorevolezza della giurisdizione che deve confrontarsi con il dato inconfutabile della irragionevole durata del processo, continui episodi di illegittima diffusione di dati che dovrebbero essere riservati e che risultano lesivi della dignità delle persone e della presunzione di innocenza. A tacere degli scandali a ciclo continuo che, ormai, non riguardano più solo il settore delle nomine ai vertici degli Uffici Giudiziari bensì svelano intese occulte per orientare l’esito dei processi, l’avvio stesso delle indagini, a seconda dell’avversario del momento che si intende colpire. E con ciò, addio al principio costituzionalizzato che predica l’indipendenza dell’ordine giudiziario.

    In buona sostanza, preferendolo al pensiero illuminista, dal 1992, le Procure si sono ispirate a quello di Mao Zedong secondo cui il potere viene dalla canna del fucile. O, meglio, dal tintinnio delle manette, secondo la visione Davighiana del mondo.

    Ed al peggio non c’è limite: le ultime rivelazioni di Luca Palamara lumeggiano l’inquietante esistenza di un dark web in cui allignano faccendieri di ogni provenienza e dei quali una parte della magistratura finisce con il divenire talvolta ispiratrice, altre braccio armato.

    Forse, il procedimento a carico del P.M. milanese Fabio de Pasquale (per il quale è stata anche chiesta una proroga per proseguire gli accertamenti) potrebbe far luce su un episodio paradigmatico: quello legato al processo a carico dei vertici di ENI per una colossale tangente asseritamente volta ad ottenere lo sfruttamento di un giacimento petrolifero nigeriano. Furono tutti assolti, e – a quanto pare – per conseguire il successo non sono state sufficienti indagini “a senso unico” inquinate da testimoni falsi e prove a discarico occultate. Come dire: la madre di tutte le porcate il cui accertamento potrebbe costituire un argine alla opaca e dilagante influenza della magistratura perché va a colpire la Procura milanese, gettandola nel totale discredito grazie anche alla oscura vicenda collegata dell’insabbiamento dei “verbali Amara” sulla esistenza della cosiddetta Loggia Ungheria.  E chi si fida più della magistratura se crolla anche il tempio le cui vestali predicavano la rettitudine? Infatti, il consenso è crollato al 37%.

    L’ordine giudiziario ha acquisito un ruolo diverso da quello prefigurato dalla Costituzione ed è diventato un potere che al compito di dare giustizia ha affiancato quello di predicare le virtù ma un potere determinato ad autalimentarsi e conservarsi grazie allo strapotere dell’accusa, indifferente a qualsiasi separazione dagli altri, manifestando la tendenza a diventare assoluto e le cui virtù – francamente – sanno un po’ di tappo.

  • Il diritto alla salute

    Il diritto alla salute riconosciuto e definito dalla Costituzione (art.32) viene applicato e tutelato per la semplice propria natura giuridica. La sua validità, in altre parole, NON può essere mai sottoposta e tanto meno il suo riconoscimento risultare successivo ad una qualsiasi valutazione di congruità dei comportamenti del paziente a protocolli definiti ed  inseriti precedentemente dalle autorità statali o sanitarie.
    Si scopre ora che il dott. Pregliasco abbia stabilito, attraverso una circolare interna della struttura sanitaria Galeazzi, che i pazienti sprovvisti di “super green pass”, cioè dopo la terza vaccinazione, non possano venire ricoverati e tanto meno operati e quindi sarebbero rinviate a tempi miglioro le loro legittime aspettative di porre fine i propri problemi di salute (*).

    Nessuno nega le problematiche che un paziente, privo della certificazione del ciclo vaccinale, possa potenzialmente portare all’interno di una struttura sanitaria ma il compito della stessa e di TUTTI gli operatori è rappresentato proprio dalla erogazione del servizio sanitario necessario Indipendentemente dal sesso, dal genere, dall’origine etnica, dalla collocazione politica e dallo stile di vita del paziente.

    Contemporaneamente al dott. Pregliasco andrebbe ricordato, ancora una volta, come il compito di un medico, magari con funzioni gestionali e manageriali, sia rappresentato dalla applicazione senza alcuna deroga dell’articolo 34 della Costituzione Italiana indipendentemente dalle proprie legittime opinioni relative allo stile di comportamento del paziente.

    Un medico NON può né deve mai giudicare un paziente ma curarlo al meglio delle proprie capacità professionali all’interno della  struttura nella quale opera.
    Questa pericolosissima deriva etica nella quale un diritto viene sottoposto, per il proprio riconoscimento e  per la propria attuazione, ad una verifica di congruità rispetto ad un protocollo sanitario statale pone il nostro Paese verso un declino democratico e una pericolosa deriva autoritaria senza precedenti.
    Un diritto costituzionalmente riconosciuto non può venire derubricato ad una semplice verifica di conformità.

    (*) Successivamente il dott. Pregliasco ha precisato come questo protocollo venisse applicato alle operazioni considerate non urgenti: una precisazione che conferma la distinzione tra accesso alle strutture sanitarie in rapporto ad una valutazione di conformità ad un determinato protocollo.

  • In attesa di Giustizia: senza speranza

    L’impegno è la competenza della Ministra Cartabia sono fuori discussione, tuttavia un riassetto del “sistema giustizia” risolutivo appare ancora come una chimera e le ragioni sono molteplici.

    Una è la permanente e molesta presenza dei Cinque Stelle tanto nelle Aule Parlamentari che nella compagine di Governo: solo la mediazione ha consentito di varare dei progetti di riforma che, sfortunatamente, soffrono di prese di posizione ideologiche ed autentiche idiozie provenienti  non del tutto espunte da precedenti  iniziative a firma del Guardasigilli Ridens e dei suoi accoliti.

    L’Ufficio del Processo valga come esempio, senza entrare nell’analisi di aspetti tecnici delle innovazioni adatta solo ad operatori del settore. Parliamo di 16.000 addetti, dignitosamente pagati e divisi in due cicli con contratti a termine della durata di due anni e mezzo ciascuno: si tratta di semplici laureati in giurisprudenza che dovranno affiancare i giudici nella redazione dei provvedimenti ed allo studio delle controversie. Già, ma essendo privi di qualsiasi esperienza, quale sarà il livello qualitativo del loro contributo? Aspetto non secondario, nei Tribunali non vi sono spazi fisici dove sistemarli e come supporto operativo – forse e a malapena –  saranno forniti con una biro e un blocco per gli appunti.

    Come si è visto in un articolo precedente, neppure il reclutamento di magistrati ordinari offre motivi di sollievo, anzi: il numero elevatissimo di non ammessi all’orale del concorso per scarsa conoscenza della lingua italiana impedisce la copertura dei posti disponibili (già, di suo, inferiore alle reali necessità) e c’è da temere che tra coloro che si sono guadagnati il diritto di sostenere la prova orale non vi siano esattamente dei luminari del diritto. Forse, solo candidati che si destreggiano nell’uso dell’imperfetto e del passato remoto (per quello dei congiuntivi c’è ancora tolleranza): come dire “beati gli orbi nel regno dei ciechi”.

    Nel frattempo, torna ad impazzare la pandemia con le immaginabili conseguenze: magistrati e cancellieri contagiati, udienze rinviate, notifiche omesse, uffici e sportelli di relazione con il pubblico a mezzo servizio e – perché no? – richieste di differimento da parte di avvocati per “legittimo impedimento” qualora positivi al tampone. Ma è sufficiente la temperatura a 37,5 per impedire loro l’ingresso a Palazzo di Giustizia; magari non se n’erano neppure accorti e la sorpresa avviene al punto di controllo. In questo caso, che fare, come si può documentare all’ultimo momento la impossibilità a comparire?

    Ci si renderà conto della reale situazione dopo il 10 gennaio: già, perché fino ad allora nei Tribunali quasi nessuno lavora, né in presenza né in smart working.

    Un contentino anche all’Associazione Nazionale Magistrati viene dalla proroga per tutto il 2022 della modalità di decisione “a distanza”: vale a dire, camere di consiglio in teleconferenza con magistrati che discutono “a domicilio” delicate questioni mentre i bambini scorrazzano per casa, la moglie li rimprovera mentre cuoce il minestrone e la radio, ad alto volume, è sintonizzata dal primogenito su un canale di musica rap.

    Tra infiniti problemi c’è chi, con creatività degna di miglior destino, riesce ad alleggerire il carico di segreterie ormai allo stremo…come è capitato di recente in un Tribunale della Repubblica Italiana di cui – per immeritato decoro – non verrà fatto il nome.

    In un processo con più imputati accade che uno di essi muoia (forse di vecchiaia, in attesa di giudizio) e il difensore chiede, come è previsto dalla legge, che venga emessa sentenza di non doversi procedere per morte del presunto reo.

    Tutto ciò, a causa dei bizantinismi ancora presenti nel nostro sistema, comporta la separazione della posizione (c.d. “stralcio”) con la formazione di un distinto fascicolo destinato, in sostanza, solo alla dichiarazione di “estinzione” del processo insieme a quella del supposto autore. Faticoso: mancano cancellieri, carta, toner delle fotocopiatrici, anzi sono rotte pure le fotocopiatrici e il call center che da contattare per la manutenzione è in Uzbekistan e gli operatori destreggiano l’italiano come gli aspiranti giudici di cui sopra, manca anche il tempo…e allora ecco che non si procede allo stralcio e sui verbali, accanto a nome, cognome e nominativo dell’avvocato (che deve continuare a partecipare alle udienze…) viene apposta la dicitura: “libero, deceduto, assente”. E non c’è da ridere, siamo senza speranza: anche questa è attesa di Giustizia.

  • In attesa di Giustizia: vieni avanti, cretino!

    Il 1982 non fu solo l’anno dell’indimenticabile “Mundial” di Spagna ma anche quello di uscita di una spassosissima commedia intrepretata da Lino Banfi per la regia di Luciano Salce: “Vieni avanti cretino”.

    La trama parlava dei tentativi di un ex detenuto, appena uscito dal carcere, che tenta senza fortuna di reinserirsi nella società con l’aiuto di un parente impiegato presso un ufficio di collocamento dando origine ad una serie di spassosissime gag.

    Il nostro articolo, invece, tratta un argomento molto meno divertente, anzi, ed è una vera e propria carica di cretini.

    Mentre la Guardasigilli Cartabia, con il contributo delle Commissioni istituite presso il Ministero della Giustizia e pur tra infinte polemiche, tenta di dare respiro al sistema giudiziario con riforme che valgono – tra l’altro – l’erogazione di fondi del PNRR, si è tenuto il concorso per 310 posti di magistrato ordinario.

    Posti destinati in parte a rimpinguare l’organico ed in altra a bilanciare i pensionamenti e, di questi tempi, anche arresti e destituzioni disciplinari dall’ordine giudiziario che stanno falcidiando la pianta organica.

    310, in fondo, non sono nemmeno molti ma, ahinoi, si devono sempre fare i conti con le esauste casse dello Stato che dovrebbero provvedere a pagarne poi gli stipendi e – più o meno – ogni anno quelli sono i posti messi a concorso: all’ultimo hanno partecipato quasi seimila candidati ed i lettori penseranno che sia un numero straordinariamente in eccesso ma non è così.

    Infatti, solo 3.797 hanno completato le tre prove scritte, gli altri hanno abbandonato prima di consegnare l’ultimo elaborato perché evidentemente non si sentivano sicuri del proprio lavoro e in tal modo hanno evitato di “bruciarsi” uno dei tre tentativi che al massimo sono concessi per partecipare a questo concorso.

    Fuori un terzo dei partecipanti, ce ne sarebbero stati comunque a sufficienza e quei quasi quattromila aspiranti  hanno portato a termine le prove, pur consapevoli della difficoltà (legata anche al voto assegnato) perché si sentivano  ragionevolmente certi di avere delle chances di entrare in graduatoria.

    Ebbene, la prova è stata superata solo da 88 di loro e sono tutti soggetti  non solo laureati in giurisprudenza ma già qualificati dall’avere superato altra selezione: il concorso in magistratura è, infatti, “di secondo grado” e come tale prevede un percorso professionale precedente (avvocato, docente universitario, dirigente di ente pubblico…).

    Qualche migliaio di emuli di Davigo – e questo già fa paura – tornerà (per fortuna?), almeno per un po’, ad occuparsi di ciò che facevano prima e – quindi – sono fatti salvi i livelli occupazionali. Bene ma non benissimo perché questa strage di candidati non è frutto di un eccessivo rigore della commissione esaminatrice o di prove di concorso di difficoltà pari alla scienza missilistica necessaria per mandare l’uomo su Marte: i problemi sono stati l’approssimativa conoscenza della lingua italiana, di grammatica e sintassi e certamente non saranno mancati grossolani svarioni in diritto. Insomma, siamo al cospetto di un autentico cimitero culturale.

    Spontanea sorge la domanda: come hanno fatto costoro, non tanto a prendere una prima abilitazione e neppure la laurea ma, ancor prima, a superare l’esame di terza media inferiore? Da domani, tuttavia ve li ritroverete tutti al loro posto: avvocati, ma anche magistrati onorari, dottori di ricerca, funzionari di Polizia.

    E’ il fallimento di una scuola massacrata da riforme idiote e di un’università diventata semplice esamificio.

    Ora siamo di fronte ad una vera e propria carica di cavalleria di cretini per di più patentati perché abilitati a svolgere altre mansioni, altre professioni, tutte delicate e che cercano di conquistare il diritto alla più complessa di tutte tra quelle umanistiche; qualcuno c’è anche il rischio che prima o poi ce la faccia e – a giudicare di ciò che si vede in giro – è già successo, senza indulgere a criticare quell’anima bella di Antonio Di Pietro perché sbagliava (e sbaglia tuttora) i congiuntivi ma, al confronto è meritevole di Presidenza della Accademia della Crusca.

  • In attesa di Giustizia: ricchi premi e cotillons

    Alzi la mano chi se, banalmente, ha una carie si rivolge ad un ortopedico invece che ad un medico specializzato in odontostomatologia e chi si sentirebbe rassicurato di essere operato di menisco da un urologo…tanto per fare un paio di esempi: fortunatamente, in medicina, esistono le specializzazioni e la gran parte dei medici ne ha conseguita almeno una per quanto obbligatorie siano solo quelle per radiologi ed anestesisti rianimatori.

    Se è vero che – seppure entro certi limiti – gli avvocati non salvano vite umane, tuttavia la specializzazione per questa categoria di professionisti è qualcosa che ancora è legato ad una comprovata esperienza più che ad un certificato percorso di approfondimento di studi: gli avvocati, con una variegata serie di obiezioni, hanno sempre opposto resistenza ad una normativa che da qualche anno si tenta di varare ricalcando quella del settore sanitario ed è stata maldigerita anche la frequenza obbligatoria a corsi di aggiornamento con le eccezioni di chi svolga attività di ricerca e/o insegnamento e di coloro che abbiano superato il sessantesimo anno di età ovvero dopo venticinque anni di attività professionale.

    La scelta del legale, diversamente da quella del medico è frutto, quindi, del passaparola ovvero di una notorietà nel comparto di interesse; il che è abbastanza agevole qualora il difensore di cui si ha bisogno sia un penalista: basta seguire la cronaca, infatti, si occupa largamente di grandi inchieste e processi penali in cui i nomi degli avvocati risaltano sempre e sono molto spesso sempre gli stessi.

    Più complicato, viceversa e sempre per fare esempi, è individuare un professionista affidabile in materia di locazioni, per non parlare – senza addentrarsi nella competenza del Tribunale delle Acque – dell’area vastissima e diversificata del diritto amministrativo.

    La qualifica di specialista sarebbe, quindi, un’eccellente strumento per orientarsi ma bisognerà ancora attendere; nel frattempo gli avvocati che, per par condicio con i magistrati non possono andare immuni da critiche in questa rubrica, prediligono altri (opinabili) criteri di qualificazione e promozione personale.

    A parte le ambitissime comparsate in trasmissioni televisive nelle quali non è infrequente assistere a penose dimostrazioni di inconsistenza tecnica (il grande pubblico, però, è difficile che se ne avveda) ed anche a qualche inciampo nell’uso del congiuntivo, la nuova terra di conquista sono i premi assegnati da misteriose entità, testate giornalistiche di settore, magazines che non si troveranno mai in un’edicola ed è difficile trovare, anche dimenticati, su aerei, treni o nei locali di decenza (come si chiamavano una volta) degli autogrill. Abbondano, invece, nelle sale d’aspetto di alcuni studi con il faccione austero del titolare, vestito dell’immancabile gessato, in copertina.

    I riconoscimenti hanno definizioni altisonanti e sono quasi sempre abbinati a paginate di intervista del premiato: Studio Innovativo dell’Anno, Miglior Studio Legale Boutique, Eccellenza Giuridica Regionale, Cicerone d’Oro e chi più ne ha più ne metta, preferibilmente con l’impiego di anglicismi ed il richiamo a rigorosi criteri di selezione da parte di autorevolissimi Comitati Scientifici.

    E per partecipare a cotanti agoni e puntare se non alla vittoria almeno al podio cosa bisogna fare? Generalmente tutto si risolve nell’invio della candidatura e, più che altro, nell’acquisto di biglietti per la partecipazione alla Cena di Gala in occasione della quale verranno rivelati i vincitori selezionati dal Comitato Scientifico…in base al numero di posti prenotati e regolarmente saldati unitamente al prezzo per la pubblicazione di intervista con gigantografia in copertina su una delle prestigiose riviste dell’editore.

    Diffidate, gente, diffidate…e Buon Natale a tutti!

  • In attesa di Giustizia: la Corte Regolatrice

    Con questo appellativo viene anche chiamata la Cassazione, sottintendendone una funzione cruciale: quella di offrire interpretazione certa della legge, possibilmente con una certa uniformità.

    La Corte, per quanto riguarda il settore penale, è suddivisa in sette Sezioni con attribuzione di competenze specifiche: la Prima Sezione, per esempio,  tratta i gli omicidi (ma non solo quelli), la Seconda criminalità organizzata e reati contro il patrimonio, la Terza i reati tributari e le violenze sessuali, la Quinta bancarotte e reati contro l’ordinamento economico…alla Settima vengono destinati solo i ricorsi che, ad un primo esame che viene effettuato dalla Procura Generale appena i ricorsi arrivano, appaiono evidentemente inammissibili; la Settima  tiene udienza senza che neppure partecipino le parti: decide sulla base dei ricorsi e delle richieste scritte di un Sostituto Procuratore Generale (che spesso consistono in semplici crocette apposte su una specie di questionario a risposta multipla).

    Da qualche anno a questa parte in Cassazione accade che si sia ridotto enormemente il numero dei ricorsi che vengono accolti; è vero che la qualità degli avvocati – bisogna ammetterlo – è scaduta tuttavia soprattutto il numero delle dichiarazioni di inammissibilità appare patologico e succedono anche altre strane cose: per esempio che su questioni di diritto identiche la stessa Sezione decida in maniera differente…con buona pace della uniformità di interpretazione e della certezza del diritto. E non è detto che se ne venga a sapere perché la pubblicazione delle sentenze – che passa dall’inoltro ad un ufficio che si chiama Massimario – avviene secondo oscuri criteri, non scritti, seguiti dai singoli Presidenti: come dire, una forma di eugenetica giurisprudenziale.

    Ma le stranezze non finiscono qui: se si vanno ad esaminare – per esempio – i dati del primo semestre del 2020 si scopre che in tre casi su quattro, alla Seconda Sezione penale, i ricorsi degli imputati hanno avuto esito negativo e ne è stato dichiarato inammissibile il 67% e rigettato l’8%; solo un quarto del totale ha trovato accoglimento. Stupisce la percentuale delle inammissibilità (tradotto: il ricorso contiene autentiche bestialità giuridiche, inguardabili ed inascoltabili), che è di gran lunga prevalente sull’esito rigetto o accoglimento e viene da chiedersi come mai quei ricorsi abbiano superato quel filtro iniziale di cui si è detto, dedicato espressamente a “scremare” le impugnazioni che appaiono a prima vista inammissibili.

    Altrettanto, seppur diversamente, interessante è il dato della Quinta Sezione dove quasi un ricorso su due ha esito positivo per il ricorrente: ben un 45% di annullamenti con varie formule.

    Se ne deve dedurre che la Quinta Sezione è quella più garantista insieme alla Sesta che – pure – ha numeri più fisiologici e confortanti? E i numeri, di solito, non mentono.

    Certo si è che, ormai da molti anni, per gli operatori del settore prevedere che un proprio ricorso possa essere destinato alla Seconda (e in molti casi la previsione è agevolata dal fattore “competenza per materia”) è scoraggiante, la notifica dell’avviso di fissazione delle udienza proprio a quella sezione fa passare persino la voglia di guardare l’orario delle Frecce Rosse o degli aerei per raggiungere Roma, allo sventurato cliente non si sa come dare (o confermare) la pessima notizia.

    La domanda è: come mai tra le altre anomalie che caratterizzano il funzionamento della (presunta) Corte Regolatrice spicca la statistica della Seconda? Secondo i malpensanti dipende dalla lunga militanza di Davigo – anche come Presidente – in quella sezione. Sicuramente una malignità ma è anche vero che a pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia.

  • Il divario di genere a livello di istruzione si sta riducendo, ma le donne continuano a essere sottorappresentate nella ricerca e nell’innovazione

    Negli ultimi anni il numero di studentesse, incluse quelle che hanno conseguito una laurea di primo livello, una laurea magistrale o un dottorato, è aumentato costantemente, ma le donne continuano a essere sottorappresentate nella ricerca e nell’innovazione. Queste sono alcune delle principali conclusioni della relazione She Figures 2021 della Commissione europea, che dal 2003 monitora il livello dei progressi verso la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione nell’Unione europea e altrove.

    La pubblicazione di She Figures 2021 evidenzia che, in media, per quanto riguarda la laurea di primo livello e magistrale le studentesse e le laureate sono più numerose dei loro compagni uomini (costituiscono rispettivamente il 54% e il 59%) e che si raggiunge quasi un equilibrio di genere a livello di dottorato (48 %). Persistono tuttavia disparità tra i vari campi di studio: le donne ad esempio rappresentano ancora meno di un quarto dei dottorandi nel settore delle TIC (22%), mentre sono il 60 % o più nella sanità e nei servizi sociali e nell’istruzione (rispettivamente il 60 % e il 67%).

    Inoltre solo circa un terzo dei ricercatori sono donne (33%). Ai livelli più alti del mondo accademico, le donne continuano a essere sottorappresentate e tra i professori ordinari sono solo un quarto (26%). Hanno inoltre meno probabilità di essere impiegate come scienziati e ingegneri (41%) e sono sottorappresentate tra i liberi professionisti nel settore delle scienze, dell’ingegneria e delle TIC (25%).

    She Figures è uno studio triennale che monitora la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione (R&I): pubblicato per la prima volta nel 2003, segue il percorso di ricercatori e ricercatrici, a partire dal periodo in cui studiano e si laureano, esaminandone la partecipazione al mercato del lavoro in qualità di ricercatori e le condizioni di lavoro, l’avanzamento di carriera e il coinvolgimento in posizioni decisionali e i risultati di R&I (compresa la paternità di invenzione). I corrispondenti statistici degli Stati membri e dei paesi associati contribuiscono alla raccolta dei dati.

    Diverse politiche e programmi di finanziamento dell’UE mirano a promuovere la parità di genere nella ricerca e nell’innovazione. Con la sua comunicazione del 2020 su un nuovo Spazio europeo della ricerca la Commissione ha rinnovato il suo impegno a favore della parità di genere e dell’integrazione di questa dimensione nella ricerca attraverso l’ampliamento delle priorità e delle iniziative esistenti.

    Orizzonte Europa ha inoltre rafforzato il sostegno alla parità di genere nella ricerca e nell’innovazione grazie a:

    • un nuovo criterio di ammissibilità ai finanziamenti di Orizzonte Europa, in quanto gli enti pubblici, gli organismi di ricerca e gli istituti di istruzione superiore devono disporre di un piano per la parità di genere;
    • l’integrazione di una dimensione di genere nei contenuti della ricerca e dell’innovazione come requisito di base in tutto il programma;
    • il finanziamento di azioni a sostegno dell’elaborazione di piani per la parità di genere negli Stati membri dell’UE e nei paesi associati e l’attuazione dell’agenda politica per lo Spazio europeo della ricerca;
    • misure e attività volte a promuovere la parità di genere nell’ambito del Consiglio europeo per l’innovazione; e
    • un forte incoraggiamento dell’equilibrio di genere nelle équipe di ricerca.

    La Commissione europea ha anche approvato la dichiarazione di Lubiana sulla parità di genere nella ricerca e nell’innovazione.

    Fonte: Commissione europea

  • In attesa di Giustizia: In der Strafkolonie

    La scorsa settimana, questa rubrica si è occupata di un rarissimo caso (sembra addirittura l’unico in assoluto) di richiesta di danno erariale da parte della Corte dei Conti ad un G.I.P. e un P.M. il primo dei quali aveva ordinato l’arresto di una persona senza che vi fossero i presupposti, il secondo per averne curato la materiale esecuzione senza accorgersi del fatto di non avere, egli stesso, fatto la indispensabile richiesta.

    Risarcita dallo Stato con circa 21.000€ la vittima di questo grossolano strafalcione giudiziario, alla Corte dei Conti si è avviata la procedura per il riconoscimento del danno erariale, in egual misura ed in capo ai due protagonisti negativi, in ragione della loro colpa grave nella vicenda: approfondendo l’argomento dopo il primo articolo, è stato possibile verificare che – peraltro – le già esangui casse della Pubblica Amministrazione sono state solo parzialmente ristorate.

    Al P.M., infatti, non è stato addebitato nulla, essendosi giustificato con la circostanza che il fascicolo era rimasto al Giudice e a lui era stata trasmessa solo l’ordinanza cautelare da eseguire: dunque non si era potuto accorgere che di quella persona non aveva mai richiesto la carcerazione, dimenticandosi del tutto anche della corrispondente indagine che – pure – aveva personalmente svolto.

    Il G.I.P., invece, ha fatto ricorso al giudizio abbreviato previsto anche dal Codice della Giustizia Contabile che consente di pervenire ad una rapida definizione delle controversie garantendo l’incasso per l’Erario di somme certe ma considerevolmente ridotte rispetto all’ammontare effettivo del danno cagionato; non consta neppure l’avvio di un disciplinare al C.S.M. ed i progressi in carriera di entrambi paiono immeritatamente salvi.

    L’approfondimento ha consentito anche di verificare che praticamente mai  vi è una rivalsa dello Stato  per le riparazioni da ingiusta detenzione nei confronti di chi le ha cagionate e che gravano sul bilancio per una media di circa trenta milioni all’anno. Questo perché è necessario che la Corte dei Conti sia attivata da un esposto del cittadino vittima del torto che, di regola, non sa che può farlo ed è, comunque, privo di interesse; in alternativa vi è la segnalazione da parte del Ministero della Giustizia…ma, si sa, cane non mangia cane.

    In sostanza, la Procura Contabile, per quanto sia di sua competenza, non dispone accertamenti per poi chieder conto dei sostanziosi esborsi per indennizzi dovuti a riparazione degli errori giudiziari, accertando se vi sia stata almeno colpa grave nel determinarli, perché nessuno, normalmente, la attiva.

    Come si potrebbe fare, allora, per realizzare in questo settore una forma di spending review,  prevenendo il pregiudizio economico per lo Stato, tenuto conto del sostanziale disinteresse del privato per il ristoro del danno erariale e della difesa corporativa del settore pubblico? La soluzione potrebbe essere di ispirazione letteraria.

    Durante il periodo di tirocinio, bisognerebbe far interpretare ai neo magistrati la parte del condannato nel racconto di Kafka “Nella Colonia Penale”, in cui si narra di prigionieri incarcerati senza neppure sapere di cosa fossero stati accusati e condannati sulla base di una semplice denuncia perché il processo sarebbe stata una inutile perdita di tempo nel quale l’imputato ha la facoltà di mentire, può persino portare testimoni falsi, la difesa avrebbe propinato menzogne…dunque un vero e proprio intralcio alla giustizia.

    In una parola: l’idea di giustizia che ispira il pensiero di Piercamillo Davigo e dei suoi epigoni… almeno finché non tocca a loro, come accade “In der Strafkolonie”, sperimentare, in senso stretto sulla propria pelle la conoscenza postuma delle proprie colpe con la sottoposizione finale ad una mostruosa macchina chiamata “erpice” che incide sulla schiena dello sventurato il nome del delitto per cui è stato condannato e che solo così potrà finalmente conoscere.

Pulsante per tornare all'inizio