disastri

  • Dalla Commissione 116 milioni di euro alla Germania e l’Italia nella ripresa da catastrofi naturali

    La Commissione propone 116 milioni di euro di assistenza finanziaria a titolo del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE) per aiutare la Germania e l’Italia a far fronte alle conseguenze delle gravi inondazioni di maggio e giugno 2024.

    La proposta di finanziamento fa seguito alle domande di assistenza del FSUE presentate dai paesi interessati, che hanno fornito alla Commissione valutazioni dei danni comprensive di stime. Il sostegno ammonterebbe a 112,07 milioni di euro per la Germania per i danni causati dalle inondazioni in Baviera e Baden-Württemberg alla fine di maggio 2024 e a 3,96 milioni di euro per l’Italia a sostegno degli sforzi di ripresa dopo le inondazioni che hanno colpito la Valle d’Aosta nel giugno 2024.

    Il sostegno del FSUE coprirà una parte dei costi delle operazioni di emergenza e di recupero, comprese la riparazione delle infrastrutture danneggiate e la messa in sicurezza delle infrastrutture di prevenzione, la salvaguardia del patrimonio culturale e le operazioni di pulizia.

    Una volta che la proposta della Commissione sarà approvata dal Parlamento e dal Consiglio, l’aiuto finanziario potrà essere erogato in un’unica rata. Gli interventi di emergenza e di recupero possono essere finanziati retroattivamente dal primo giorno della catastrofe.

  • In Romagna piove sempre sul bagnato

    Il 2 e 3 maggio di quest’anno, 2024, ero a Faenza con l’onorevole Gerard Collins, già ministro irlandese e parlamentare europeo, e sua moglie Ilary, che da tempo voleva vedere la città dove aveva vissuto un suo antenato.

    Faenza si era faticosamente ma con grande determinazione rialzata dalla tragica alluvione del 2-3 maggio 2023, anche se ancora molti negozi rimanevano chiusi e si vedevano ancora le tracce di quello che era stato un autentico incubo. In edicola il settimanale faentino SetteSereQui aveva un titolo a caratteri cubitali ‘Tanti cantieri, pochi rimborsi’.

    In questi giorni, a distanza di quattro mesi, Faenza e la Romagna sono nuovamente sott’acqua, le polemiche imperversano, ma l’acqua, più veloce, ha di nuovo distrutto case, aziende, territorio. Nel maggio 2023 erano state coinvolte le aree di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Ferrara: su un’area complessiva di oltre 800 chilometri quadrati e 7 province, si erano registrate 80 esondazioni, 80mila frane. Trentaseimila persone erano dovute sfollare.

    Ora, senza entrare nelle polemiche, vorremmo però risposte ad una semplice domanda: se qualcosa non ha funzionato, ed ovviamente non ha funzionato, ci sarà una responsabilità di qualcuno o assisteremo al solito scaricabarile reciproco?

    Io so che a Milano, almeno dal 1980, si è discusso molto sul problema e le soluzioni da prendere per il Seveso e il Lambro che ad ogni pioggia forte esondavano e, dal 1980, sono passati 44 anni, si sono susseguite giunte di diverso colore politico ma il risultato non è mutato: Lambro e Seveso ancora esondano e i cittadini subiscono.

    Non vorremmo che fosse la stessa cosa per la Romagna, così come per altre zone bersagliate da esondazioni e frane, non ultime le Marche.

    Ci dovrebbe essere qualcuno in grado di superare gli impasse burocratici e che, conoscendo i territori, possa intervenire con tempestività e decisioni utili.

    Purtroppo non ci sembra che questo qualcuno ci sia stato e ci sia per l’alluvione in Romagna e siamo tristemente consapevoli che la politica sembra non aver capito che ci sono emergenze che non possono essere risolte aspettando degli anni ma che occorrono interventi rapidi e mirati, compresi gli interventi che servono a risarcire, almeno economicamente, tutti coloro che hanno visto distrutte le loro case e ‘annegati’ i loro risparmi e sacrifici.

  • Il minimo Stato

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Quale “sottile” senso di inadeguatezza istituzionale emerge nell’assistere al dibattito politico contemporaneo all’ennesima catastrofe.

    L’Emilia Romagna è stata ancora una volta colpita da un ennesimo disastro ambientale generato da una alluvione e le cause sono già fonte di polemica tra i diversi schieramenti politici.

    Come spesso succede nel nostro Paese, applicando il semplice principio della logica, la responsabilità andrebbe equamente divisa tra gli enti locali e lo Stato centrale. Ad ogni livello istituzionale, nel 2023, invece di collaborare per avviare una procedura d’urgenza (proprio in considerazione dei medesimi avvenimenti dello scorso anno) con l’obiettivo di raggiungere una messa in sicurezza dei fiumi liberandoli dai detriti accomunati da decenni di ideologico abbandono, si sta combattendo dalle reciproche posizioni politiche ed ideologiche una battaglia ancora una volta sulla pelle degli alluvionati.

    Il rimpallo delle responsabilità dimostra il livello culturale e di sensibilità espressi dell’intera classe politica italiana, che vede un ex presidente della Regione accusare da Strasburgo il governo in carica ed il governo che scarica ogni responsabilità sulla gestione regionale dei finanziamenti indirizzati alle problematiche territoriali.

    In questo contesto miserevole sia sotto profilo etico che culturale, tuttavia emerge una figura nuova ed assolutamente di livello “superiore” in rapporto al contesto.

    Seppure si sia ancora all’interno di una crisi i cui effetti sono ad oggi difficili da quantificare, ecco il ministro Musumeci affermare come nella sua visione consideri inevitabile rendere obbligatoria una assicurazione per gli edifici contro gli eventi atmosferici e soprattutto i danni da questi creati.

    In altre parole, lo Stato privatizzerebbe le conseguenze economiche ed ambientali causate anche, ma non solo, dalla propria incompetenza ed inefficienza operativa, in quanto emerge evidente il rapporto tra i ritardi burocratici che caratterizzano ogni messa in sicurezza del territorio in qualsiasi regione italiana e le terribili conseguenze anche in termini di vite umane. E soprattutto si libererebbe dall’onere dei costi generati dalla propria inefficienza e dei danni subiti dalla popolazione in rapporto all’evento straordinario.

    In questo contesto quindi, risulta molto difficile definire il livello istituzionale rappresentato da un ministro la cui attività è unicamente finalizzata a sollevare lo Stato da ogni propria responsabilità, così da rendere ogni iniziativa istituzionale (comunale, regionale e statale) operativa sul territorio assolutamente svincolata da ogni responsabilità, proprio in ragione dell’assicurazione o meglio del suo obbligo.

    In buona sostanza, questo ministro ha trovato il modo vergognoso di liberare tutti gli enti pubblici dalle conseguenze economiche delle proprie scelte di politica infrastrutturale che troppo spesso causano le condizioni per simili catastrofi, ma soprattutto esenta lo Stato dalle conseguenze dei propri ritardi ed omissioni che ancor più determinano il vero abbandono del territorio e che accrescono a livello esponenziale gli effetti degli eventi meteorologici.

    Mai era stato raggiunto un livello istituzionale così mediocre da un rappresentante delle istituzioni che invece di tutelare il territorio cerca di liberare lo Stato da ogni tipo di responsabilità.

    Lo Stato interpretato da simili figure politiche si avvia verso la sua minima caratura istituzionale.

  • Leggi chiare per garantire sicurezza e controlli

    Quanti anni ci vorranno per sapere chi è colpevole per il sistema antincendio che non ha funzionato e per lo scriteriato, criminale uso di materiali a rapida combustione utilizzati per il rivestimento del grattacelo Torre del Moro a Milano? E quanto tempo occorrerà perché le istituzioni verifichino, in tutta Italia, quanti altri stabili, costruiti per altro recentemente, siano a reale rischio incendi? Quando sarà attuata una legge ad hoc per impedire che gli incendi tramutino in pochi minuti un intero palazzo in un fiammifero? Quando i comuni avranno uffici tecnici capaci di valutare i materiali impiegati per l’edilizia?

    Dopo la tragedia del ponte di Genova stiamo ancora aspettando che siano messi a norma tutti i ponti e cavalcavia pericolanti e la maggior parte delle strade statali, provinciali e comunali presentano rischi continui per il grave dissesto del manto stradale. Far ripartire l’edilizia non è consentire nuove urbanizzazioni con un costante, tragico, dannoso ed inutile consumo del suolo ma far finalmente partire un reale monitoraggio della situazione delle vie di comunicazione e degli edifici pubblici e privati, monitoraggio che non può continuare ad essere fine a se stesso ma deve essere contestuale alle necessarie opere per la messa in sicurezza di tutto quanto resta al momento un pericolo per l’incolumità delle persone, basta pensare a quanti edifici scolastici sono ancora a rischio nonostante le promesse fatte ancora dal governo Renzi.

    C’è una carenza legislativa che va di pari passo con la carenza di controlli a tutti i livelli. Non vogliamo ancora più leggi che appesantiscano i già difficili iter burocratici ma vogliamo leggi chiare che garantiscano insieme lavoro e sicurezza e vogliamo che i controlli siano fatti da persone competenti e incorruttibili, i comuni e le regioni dovranno assumersi responsabilità concrete e lo Stato dovrà essere garante della loro efficienza, lo Stato deve essere capace di offrire normative che non consentano, tanto per cambiare, che si possa ancora dire “fatta la legge trovato l’inganno”. Anche per questo una maggiore lotta alla criminalità organizzata, che nell’edilizia, in modo palese o attraverso intermediari, ha trovato terreno di conquista insediandosi nei gangli vitali della società, è una priorità alla quale crediamo che il governo Draghi possa dare risposta, partiti politici e mondo imprenditoriale permettendo.

  • Solo l’empatia ci potrà salvare

    Il 22 febbraio è crollato il cimitero di Camogli, una delle più note località turistiche italiane, e sono precipitate in mare, con un volo di più di 30 metri, 320 bare che riposavano nel cimitero. Siamo ad aprile e della triste vicenda non abbiamo più notizie dopo i primi giorni dal disastro, quando alcune bare e salme erano state recuperate e portate al riparo in una struttura predisposta dalla protezione civile, in attesa che i famigliari potessero riconoscere e ricomporre i resti dei loro cari. Per la maggior parte dei defunti dispersi in mare e sepolti sotto la frana si doveva e si deve ancora cercare e sono al lavoro gli incursori subacquei della Marina militare. In attesa che si faccia luce sulle eventuali responsabilità, sembra che alcuni avessero avvertito della fragilità della struttura a picco sul mare, molto suggestiva ma poco sicura per la probabilità di smottamenti anche per le piogge che negli anni si sono susseguite, pensiamo al dolore di chi ha visto perduti per sempre persone care con l’aggravante che i poveri resti possono essere preda di pesci. Ho pensato a questi morti proprio mentre nei nostri giorni di chiusura siamo portati a ragionare sulla mancanza di socialità che da troppo sta creando disagio in ogni fascia d’età e sulla mancanza di empatia che da molti anni vieta, impedisce, a troppe persone di sentirsi in sintonia, di capire gli altri. L’indifferenza che ha contraddistinto gli ultimi decenni, sia nella società che nel mondo della economia che della politica, ha lasciato che gli ultimi fossero sempre più emarginati, gli anziani più soli, i giovani abbandonati a se stessi, prima senza regole per crescere e poi senza lavoro per vivere. Un’indifferenza e una mancanza di empatia, di attenzione sia agli altri che alla cosa pubblica, che ha fatto prevalere la finanza selvaggia contro l’economia reale, che ha lasciato andare in dissesto il patrimonio pubblico, dalle strade non finite agli ospedali costruiti e poi abbandonati, fino ai piccoli cimiteri che crollano in mare. Riuscirà questa forzata clausura, dovuta ad un virus del quale a tutt’oggi con conosciamo con certezza l’origine e che si continua a diffondere con pericolose capacità di mutazione, a farci riconsiderare il nostro modo di vita? Riusciremo a comprendere che non ci si salva da soli, che l’empatia ci può aiutare, che ascoltando gli altri si diventa più capaci di comprendere noi stessi? Tutto può ripartire meglio, anche cominciando dal cimitero di Camogli, ma c’è la volontà umana e politica?

  • Disastri ambientali, cambiamenti climatici e pochi interventi

    Secondo i dati dell’Osservatorio sul clima di Legambiente in dieci anni, in Italia, ci sono stati quasi mille eventi climatici estremi che hanno colpito anche diverse città tra queste particolarmente Roma, Bari, Agrigento e Milano. Ci sono stati 416 allagamenti dei quali 319 in varie città d’Italia, molti blocchi dell’elettricità, interruzione delle strade e vari danni al patrimonio architettonico. 39 casi climatici estremi sono ascrivibili alla siccità, 257 alle trombe d’aria, 35 alle conseguenze causate dalle piogge violente e 118 da esondazioni di fiumi e torrenti. Questi eventi climatici di particolare gravità oltre a danni economici elevatissimi, sia per gli enti pubblici che per i privati pensiamo solo ai negozi ed alle case allagate o danneggiate, hanno mietuto molte vittime, si parla di più di 250 morti, dei quali 42 solo nel 2019 e più di 50000 sono state le persone evacuate per conseguenza delle frane e delle alluvioni. Colpite particolarmente le città che tutt’ora sono prive di un piano di pianificazione territoriale. Solo a Milano il Seveso ed il Lambro sono esondati 20 volte e vale ricordare che della necessità di affrontare e risolvere il problema esondazioni del Lambro e del Seveso si parlava, in consiglio comunale, già nel lontano 1980! Di pochi giorni fa l’allagamento di Crotone e delle aree circostanti. Questi drammatici eventi, che si ripeteranno presumibilmente sempre più spesso nel futuro in quanto è ormai noto a tutti che la crisi climatica è in corso, non hanno però indotto ad agire né il governo centrale né le Regioni e gli enti locali, infatti esistono, senza tutela e controllo, centinaia di luoghi a rischio in tutto il territorio nazionale. Non si interviene per la bonifica e pulizia dei letti dei torrenti e dei fiumi, non si provvede ad impedire la costruzione di case ed attività in zone a rischio così come non si demoliscono le costruzione che impediscono il decorso delle acque in caso di piena, non si curano i boschi, non si interviene dove il terreno avrebbe bisogno di radici forti per non smottare. Rimangono purtroppo l’incuria e l’indifferenza, anche di fronte a così tanti disastri, di tutti coloro che, nei vari anni e con diversi colori politici, erano e sono preposti ad amministrare, con diverse competenze, la nazione, una regione o un comune.

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