dittatura

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

  • Anche il sistema della giustizia a servizio del regime

    Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica

    Montesquieu, dal libro ‘Spirito delle leggi’ (1748)

    Durante questi ultimi anni l’autore di queste righe ha fatto spesso riferimento al principio della separazione dei poteri. Un principio che si basa sulla necessità di garantire la sovranità dello Stato e che individua tre poteri, i quali devono essere sempre attivi e ben indipendenti uno dall’altro, proprio per non permettere abusi di potere che danneggerebbero il normale funzionamento di uno Stato democratico. Il principio della separazione dei poteri era già noto dall’antichità, sia in Grecia che, in seguito, anche nella Roma antica. Un principio trattato da Platone, nella sua nota opera “La Repubblica” e da Aristotele, nella sua opera “La Politica”. Un principio che venne adottato anche nella Costituzione della Roma antica. Ma un trattamento dettagliato del principio della separazione dei poteri in uno Stato democratico è stato fatto secoli dopo. Prima da John Locke, nella sua opera “Due trattati sul governo”, pubblicata nel 1690. In seguito Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, dopo un lungo e impegnativo lavoro, durato per ben quattordici anni, pubblicò  nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato “Spirito delle leggi” (De l’esprit des lois; n.d.a.). Un vero e proprio trattato del pensiero politico e giudiziario del Settecento che è attuale anche adesso. Montesquieu evidenziava e definiva i tre poteri che dovevano essere divisi ed indipendenti; il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario. Il principio della separazione dei poteri, tra l’altro, serve per identificare se un’organizzazione statale, in un determinato Paese, è quella democratica, oppure si tratta di una delle diverse forme di un regime dittatoriale. Ovviamente Montesquieu, quando ha scritto la sua opera prendeva in considerazione l’organizzazione statale di quel tempo, tenendo presente soprattutto l’organizzazione statale nel Regno Unito e la sua Costituzione. Perciò affermava che il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece, per quanto riguarda il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre, riferendosi al potere giudiziario, Montesquieu ribadiva che doveva essere rappresentato ed esercitato da “…giudici tratti temporaneamente dal popolo”. Il potere giudiziario dovrebbe, altresì, “…essere sottoposto solo alla legge, di cui deve riprodurre alla lettera i contenuti”. Secondo lui il potere giudiziario, doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.). L’autore di queste righe, analizzando e trattando per il nostro lettore il principio della separazione dei poteri, evidenziava anche la convinzione di Montesquieu, secondo la quale “…Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Sottolineando che Montesquieu ne era altresì convinto che “…una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022).

    Quando sta accadendo in questi ultimi anni in Albania, fatti alla mano, tra l’altro e purtroppo testimonia palesemente ed inconfutabilmente anche la consapevole violazione del principio della separazione dei poteri. Un principio sul quale si basano anche alcuni articoli della Costituzione della Repubblica d’Albania. Quanto sta accadendo anche in questi ultimi giorni testimonia palesemente ed inconfutabilmente che in Albania, ogni giorno che passa, si sta consolidando perciò e sempre di più un pericoloso regime dittatoriale. Pericoloso, non solo perché è un regime oppressivo, come tutti i regimi dittatoriali. Pericoloso non solo perché è camuffato da una parvenza, da una fasulla facciata pluripartitica, ma soprattutto pericoloso proprio perché, fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano che il regime ormai attivamente operativo in Albania rappresenta una ben pericolosa alleanza. Si tratta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E soprattutto uno di questi raggruppamenti di oltreoceano è molto attivo non solo in Albania, ma in molte altre parti del mondo. Un raggruppamento che finanzia ingenti somme di denaro con lo scopo di promuovere la cosiddetta “Società aperta”, per poi controllare quanto più possibile. Uno dei principali obiettivi di quell’organizzazione/raggruppamento occulto presente ed attiva in varie parti del mondo, dove investe centinaia di milioni per “beneficenza”, è anche il controllo delle varie istituzioni dei sistemi della giustizia. Sia negli Stati Uniti d’America, dove ha la sede base quell’organizzazione, sia in molti altri Paesi ovunque nel mondo. Compresa anche l’Albania. E in Albania quel raggruppamento occulto appoggia palesemente da anni l’attuale primo ministro, una persona accuratamente scelta precedentemente e poi promossa e sostenuta. Non a caso la filiale albanese di quell’organizzazione della “Società aperta” ha ideato e poi scritto la riforma del sistema della giustizia. Una riforma approvata, in seguito, con tutti i voti dei deputati del parlamento albanese il 17 luglio 2016. Una riforma che è il “vanto” del primo ministro albanese. Una riforma di cui si vantano pubblicamente anche i suoi veri ideatori, i rappresentanti di quell’organizzazione/raggruppamento occulto che è anche una parte attiva dell’alleanza pericolosa che gestisce, abusa ed approfitta del regime dittatoriale operativo da qualche anno in Albania. Una “riforma” quella del sistema della giustizia, che però fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, da quanto è stata approvata dal parlamento, ha permesso al primo ministro albanese, di controllare personalmente e/o da chi per lui, tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito anche di tutto ciò.

    La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese dimostra in modo inequivocabile anche il voluto ed, in seguito, attuato annientamento di tutto quello che stabilisce il principio della separazione dei poteri, maestosamente presentato da Montesquieu, già dal 1748! La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese rappresenta perciò anche una convincente testimonianza del consolidamento del regime dittatoriale sui generis, istituito ormai da qualche anno in Albania.

    Una diretta testimonianza del ben ideato e altrettanto ben attuato fallimento della “riforma” del sistema della giustizia in Albania è stata resa pubblicamente nota la scorsa settimana dal rapporto ufficiale per il 2023, dell’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Un’organizzazione fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. E per raggiungere un simile obiettivo, dal 2009 l’organizzazione World Justice Project ha attivato anche un apposito strumento, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Ogni anno, grazie a questo strumento, si ottengono dati che riguardano otto distinti aspetti sullo Stato di diritto in 142 Paesi diversi del mondo, che sono soggetti dello studio. I dati si riferiscono a tutti gli otto distinti aspetti dello studio che sono: il potere limitato del governo, l’assenza di corruzione, l’ordine e la sicurezza, i diritti fondamentali, il governo aperto [che garantisce la trasparenza e la qualità dell’informazione], il rafforzamento [dell’applicazione] delle normative, la giustizia civile e la giustizia penale. Questi otto oggetti di studio sono poi suddivisi in ben quarantaquattro indicatori diversi per meglio presentare la reale situazione dello Stato di diritto in ciascuno dei 142 Paesi oggetti di studio annuale.

    Ebbene, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, risulta che l’Albania ha fatto di nuovo un ulteriore regresso. Elencata nella 91a posizione, dal 2015 ad oggi, l’Albania è solo e palesemente regredita in tutti gli indicatori dello studio attuato dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index. Riferendosi soltanto al rapporto per il 2022, l’Albania è regredita di quattro punti, passando dall’87a posizione alla 91a. Mentre riferendosi al 2017 l’Albania è regredita di ben 23 punti, passando dalla 68a posizione alla 91a di quest’anno! Più specificatamente, il rapporto per il 2023 afferma che l’Albania si posiziona al 133o posto, solo nove posti in meno dall’ultimo, per l’indicatore che si riferisce all’indipendenza del sistema giudiziario e alla sua capacità di esercitare un controllo efficace sull’operato del governo! L’Albania si posiziona al 125o posto per quanto riguarda il fatto che le decisioni dei tribunali siano indipendenti dalle interferenze illegittime del governo, degli interessi privati e delle organizzazioni criminali! L’Albania si posiziona al 122o posto riferendosi all’indicatore riguardante l’indipendenza dei funzionari della polizia di Stato, dei procuratori e dei giudici dalle influenze illegittime da parte della criminalità organizzata e, altresì, di non essere influenzati nel loro operato da illeciti pagamenti. In più, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, l’Albania si posiziona al 107o posto riferendosi all’indicatore che riguarda le elezioni libere e le nomine dei funzionari statali e governativi in conformità con la Costituzione e le leggi in vigore. Quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese, completamente diversa da quella che cerca di far credere, ingannando, il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa. Ma quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 sull’Albania, in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta anche un’inconfutabile testimonianza della consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, presentato nel 1748 da Montesquieu nella sua maestosa e sempre attuale opera “Spirito delle leggi”. E visto che il primo ministro controlla sia il potere esecutivo che quello legislativo, con il controllo anche del potere giudiziario, lui controlla tutti e tre i poteri ben definiti da Montesquieu. In più il primo ministro albanese controlla anche la maggior parte dei media, che ormai viene considerato come il quarto potere. Un potere questo che non esisteva nel 1748 quando Montesquieu pubblicò la sua sopracitata opera. Il che testimonia chiaramente e con convinzione che in Albania ormai da qualche anno si sta consolidando un pericoloso regime dittatoriale.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania ormai è consolidata una dittatura, espressione di un’alleanza pericolosa tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che ordina e ottiene sempre, quando ne ha bisogno, anche l’ubbidiente servizio del sistema “riformato” della giustizia. Ormai in Albania il primo ministro, rappresentante del regime, controlla tutto.  Confermando così la convinzione di Montesquieu che una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica.

  • Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione

    La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica.

    Blaise Pascal

    Quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania dimostra la megalomania e la falsità di quell’innato bugiardo, imbroglione e buffone, qual è il primo ministro e delle propaganda governativa. Ma quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania evidenzia chiaramente anche la vera, vissuta e sofferta realtà in cui si trovano i cittadini. Quanto è accaduto la scorsa settimana testimonia, in modo convincente ed esaustivo, quello che da anni si sta cercando con tutti i modi di nascondere da parte dei veri e diretti responsabili di una simile e preoccupante realtà. E cioè la restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime autocratico. Di una dittatura sui generis, che si cerca di camuffarla dietro una fasulla parvenza di pluripartitismo. Una dittatura come espressione di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale e alcuni raggruppamenti occulti. E soprattutto uno in particolare, di oltreoceano, che da anni ha scelto l’Albania per mettere in atto degli occulti e pericolosi obiettivi regionali, ma non solo. E purtroppo, tutto ciò da anni ormai accade anche in presenza di certi “rappresentanti internazionali” i quali, stranamente, non vedono non sentono e non capiscono nulla di tutto quello che, in realtà, è ben evidente. E da anni ormai, le cattive lingue dicono che alcuni di loro ne hanno beneficiato non poco per un simile atteggiamento, nell’ambito e grazie a delle determinate attività lobbistiche. Quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania è stata una ghiotta opportunità per il primo ministro di realizzare la sua ennesima ingannatrice messinscena. Ed anche in questo caso, come sempre, la potente e ben organizzata propaganda governativa ha fatto egregiamente il suo dovere. Ma quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania ha evidenziato purtroppo anche l’ipocrisia, l’irresponsabilità ed il consapevole e dannoso coinvolgimento di alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di singoli Paesi membri.

    Invece, quanto è accaduto alla fine della scorsa settimana in Albania ha messo in evidenza tutte le falsità delle messinscene di alcuni giorni prima. Ha messo in evidenza sia le buffonate del primo ministro, sia, nel migliore dei casi, la mancata conoscenza della realtà locale da parte di alcuni importanti rappresentanti istituzionali internazionali. Si, perché quanto è accaduto sabato scorso in Albania è stata una inconfutabile testimonianza del consolidamento di una pericolosa dittatura in azione. E una simile, grave e molto preoccupante realtà non poteva essere presente senza la messa in atto di una ben ideata e realizzata “strategia” che, come obiettivo, aveva e ha tutt’ora l’ottenimento di una garanzia per la stabilità, a scapito dei principi della democrazia. Una “strategia”, per l’attuazione della quale, da anni hanno insistito e lavorato certi “rappresentanti internazionali”. Una “strategia” quella che permetteva però agli autocrati locali di fare i loro comodi e di diventare sempre più potenti. Come è accaduto anche in altre parti del mondo e con tutte le derivanti e ben note ripercussioni. Una “strategia” le cui dirette conseguenze purtroppo le stanno soffrendo i cittadini albanesi. Ma non solo loro, perché la criminalità organizzata locale con la quale collabora strettamente il primo ministro albanese, ormai sta creando serie preoccupazioni anche in altri Paesi e non solo europei. Una “strategia” quella di garantire ed ottenere la stabilità, applicata precedentemente anche in altri Paesi del nord Africa ed altrove in zona e altresì nel centro e sud America, di cui ormai si conoscono pubblicamente le gravi e preoccupanti conseguenze. Una “strategia” che permette la costituzione di un sistema che viene ormai considerato non più come una democrazia, ma come una “stabilocrazia”, proprio per evidenziare quello che si perde dalla democrazia per permettere la “garanzia” della stabilità. Che, in realtà, quella “stabilità” non viene poi neanche ottenuta, perché non ci si può mai fidare di coloro ai quali è stato consapevolmente permesso di gestire e approfittare dalla “stabilocrazia”. Spesso un simile sistema  viene nominato anche “democratura”, per indicare una dittatura attiva, che opera dietro una facciata di democrazia. L’autore di queste righe ha trattato anche questi argomenti per il  nostro lettore.

    All’inizio della scorsa settimana, lunedì 16 ottobre, nella capitale dell’Albania si è svolto il vertice organizzato dalla Commissione europea e dedicato al Processo di Berlino. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di quest’iniziativa europea, che di una iniziativa concorrente, nota come Open Balkans (Balcani aperti; n.d.a.), promossa e fortemente sostenuta solo dal presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone. Un’iniziativa, guarda caso, fortemente appoggiata anche dalla Russia. Ma boicottata però da tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali. Riferendosi all’iniziativa europea nota come il Processo di Berlino l’autore di queste righe scriveva già nel novembre 2021: “…Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più, visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Per analizzare, trattare ed informare il nostro lettore di tutto quello che si è visto e/o detto il 16 ottobre scorso nella capitale albanese, durante il vertice sul Processo di Berlino, ci sarebbero volute molte pagine. Sia per evidenziare le messinscene puramente propagandistiche realizzate con il diretto coinvolgimento personale dell’anfitrione, il primo ministro albanese, sia per analizzare e trattare quanto è stato detto durante il vertice dagli ospiti, i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Paesi membri. E purtroppo per evidenziare, in determinati casi, anche la loro ipocrisia. Bisogna sottolineare però che il primo ministro albanese, da alcuni mesi, ha usato la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Lui, addirittura, dal luglio scorso, quando è stato annunciato lo svolgimento di questo vertice in Albania, ha pubblicamente “ripudiato ed abbandonato” l’iniziativa Open Balkans, tanto preferita e fortemente sostenuta fino a pochi giorni prima da lui, dal suo amico, il presidente serbo e dal suo omologo macedone. Il primo ministro albanese, da buon bugiardo ed imbroglione qual è, ha cominciato subito, dall’inizio del luglio scorso, a presentarsi come un convinto sostenitore del Processo di Berlino. In più ha abusato del fatto di essere stata scelta l’Albania come Paese ospitante del vertice, presentandolo pubblicamente con tanto vanto come un suo merito e successo personale, come una conferma dei “successi” raggiunti dall’Albania nell’ambito del suo percorso europeo. Ovviamente la sua potente e ben strutturata propaganda governativa che controlla la gran parte dei media, gli ha fatto eco. Si, perché non si poteva perdere una simile opportunità, visto che di veri meriti e successi lui, il primo ministro albanese, fatti accaduti alla mano, non può presentare niente, proprio niente! In realtà non si è saputo mai il perché della scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Forse una simile decisione è dovuta all’ordine alfabetico dei nomi dei Paesi balcanici. Oppure la decisione di svolgere in Albania il vertice del Processo di Berlino è frutto delle attività lobbistiche, dietro pagamenti di ingenti somme di denaro, fatti da determinati raggruppamenti occulti, uno soprattutto da oltreoceano, che, come risulterebbe da documenti resi ormai pubblici, riescono a “convincere” anche le istituzioni dell’Unione europea. Perché altrimenti non si spiegherebbe la scelta dell’Albania, almeno non per le ragioni che sta sbandierando il primo ministro albanese. Si perché non possono essere stati l’abuso di potere, la corruzione ben radicata, partendo dai più alti livelli istituzionali e il preoccupante ed allarmante riciclaggio del denaro sporco, che ha inserito l’Albania nella cosiddetta “zona grigia” dal 2020, i veri motivi che hanno permesso la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice del Processo do Berlino. E neanche i continui e ben evidenziati brogli elettorali, in collaborazione con la criminalità organizzata. Non possono essere stati i traffici illeciti dei vari tipi di droghe, che hanno fatto dell’Albania sia un importante centro di produzione, sia di smistamento, i motivi per cui è stata fatta una simile scelta. Ma l’anfitrione, il primo ministro albanese cerca di far credere quello che a lui conviene ed interessa, ma che non ha niente a che fare con la vera, vissuta e sofferta realtà. E nel frattempo, durante tutto il periodo del vertice, lui ha cercato di attirare l’attenzione degli ospiti con delle messinscene, con delle danze popolari e con dei piatti di pizza che portavano il suo nome! Purtroppo anche alcuni degli ospiti, con le loro dichiarazioni ufficiali, hanno sostenuto i “successi” raggiunti dall’Albania durante il suo percorso europeo. E così facendo hanno agito, nel migliore dei casi, da persone non informate. Perché se no, il loro comportamento sarebbe stato ipocrita e anche irresponsabile. L’autore di queste righe continuerà a trattare ed analizzare per il nostro lettore cosa è accaduto durante il vertice del Processo di Berlino, svolto in Albania il 16 ottobre scorso

    Ma le buffonate del primo ministro albanese, nonché l’ipocrisia di alcuni degli ospiti durante quel vertice sono state smentite subito, dopo qualche giorno. Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto. Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), è anche un deputato. Una decisione che ha palesemente dimostrato fino a che punto il primo ministro albanese controlla personalmente il sistema “riformato” della giustizia.

    E tenendo presente i principi di Montesquieu sulla separazione dei poteri, quanto è accaduto sabato scorso rappresenta anche una inconfutabile testimonianza di una pericolosa dittatura in azione. Il diretto interessato, accusato di corruzione passiva, ha denunciato, documenti alla mano, tutta la falsità della decisione. Adesso si attendono degli inevitabili  e significativi sviluppi politici.

    Chi scrive queste righe seguirà tutti gli attesi sviluppi che riguardano la decisione contro il dirigente dell’opposizione ed informerà il nostro lettore già la prossima settimana, sempre con la dovuta oggettività. Tenendo presente la vera realtà vissuta e sofferta in Albania, egli però ricorda agli albanesi che ribellarsi ai tiranni significa ubbidire a Dio. Ne era convinto Benjamin Franklin. Chi scrive queste righe trova significativa e condivide l’affermazione di Blaise Pascal, secondo cui la giustizia senza la forza è impotente e la forza senza la giustizia è tirannica.

  • Se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Santa Madre Teresa di Calcutta

    Era il 1865 quando Lewis Carroll, un giovane scrittore, matematico e prete inglese, il cui vero nome era Charles Lutwidge Dogson, pubblicò “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” (titolo in originale: Alice’s Adventures in Wonderland). Un libro i cui personaggi sono delle strane creature, esseri umani, animali e carte da gioco a sembianza umana, frutto dell’immaginazione dell’autore. Tutto comincia quando, dopo essersi addormentata, nel sogno Alice segue un coniglio bianco attraverso la sua tana che diventa sempre più buia. Ragion per cui Alice non può vedere una buca profonda e cade. Precipitando giù, si trova davanti ad un giardino, la cui entrata è troppo piccola. Ma alla fine riesce ad entrare dentro. Si trova così nel regno della Regina di Cuori. In seguito e fino alla fine, Alice si troverà in un luogo dove tutto era strano, surreale e fantastico. Lei si trova così nel Paese delle Meraviglie. E lì incontra molti personaggi come la Regina del paese, ma anche il Cappellaio matto, la lepre marzolina, il gatto del Cheshire che appare e scompare subito dopo, il bruco, la lucertola, la duchessa brutta, il ghiro dormiglione e tanti altri. Ma nel Paese delle Meraviglie, la maggior parte degli abitanti erano delle carte da gioco. E non a caso, appena entrata nel Paese delle Meraviglie, Alice incontra tre giardinieri con corpo proprio di carta da gioco. Loro si affrettavano a dipingere di rosso i petali delle rose bianche perché se no la regina avrebbe tagliato le loro teste. E mentre i tre giardinieri spiegano tutto ad Alice, arriva la regina che ordina subito l’attuazione della punizione estrema. Alice però riesce a nascondere i giardinieri, salvandoli. Nel Paese delle Meraviglie tutti devono ubbidire ai sovrani del regno: il Re e la Regina di Cuori. Il Re è anche il Magistrato del Paese, mentre la Regina non permette mai che i sudditi disobbediscano, minacciando di farli giustiziare. Ma non a caso, nel Paese delle Meraviglie tutto può succedere e, perciò, nonostante la determinazione della regina, non si eseguono mai delle esecuzioni. Si, perché il Paese delle Meraviglie è un regno dove tutto è diverso da quello che sembra essere e dove la logica normale degli esseri umani non esiste. È un Paese dove la natura e l’ordine delle cose cambiano continuamente. Ragion per cui, anche Alice comincia ad adattarsi al nuovo mondo in cui si trova, cambiando anche fisicamente. Il suo corpo, o parte del corpo, si ingrandisce o diminuisce a seconda delle circostanze e a seconda di quello che fa e che mangia. Quando lei mangia nella casa del coniglio diventa enorme. E quando il coniglio tira dei sassi ad Alice, i sassi diventano dei saporiti pasticcini e lei, mangiandone uno diventa di nuovo piccolissima. Un’altra volta si trova con il collo lungo, dopo aver toccato le due parti del fungo. Il Paese delle Meraviglie è un luogo dove tutte le leggi del mondo reale non hanno senso e non si verificano. Così come anche il tempo e lo spazio. Alice è stata poi costretta a partecipare come testimone, insieme con il cappellaio matto e la cuoca della duchessa brutta, al processo giudiziario contro il fante di cuori. Nel frattempo però lei era diventata sempre più corpulenta. Ragion per cui non temeva più né il re, che era il magistrato e neanche la regina. E ritrovato il necessario raziocinio, Alice rivolgendosi a loro disse la verità: “non siete altro che un mazzo di carte”. Al che anche il sogno finisce e, risvegliandosi, Alice abbraccia sua sorella e insieme vanno a prendere il tè. Così termina il libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”.

    L’autore di queste righe analizzerà in seguito la realtà vissuta e spesso anche sofferta in un Paese europeo, ma senza nominarlo. Lo chiamerà semplicemente il Paese delle Meraviglie, anche se non è quello descritto maestosamente da Lewis Carroll nel suo libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Lo chiamerà così, con questo nome di fantasia, semplicemente perché chi governa e gestisce la cosa pubblica lì cerca di convincere chiunque che si tratta proprio di un Paese dove tutto sta progredendo e andando a meraviglia. E tutto grazie alla sua dedizione e devozione, nonché alla sua lungimiranza. Ma la vera realtà è ben diversa da quella che si cerca di far credere a tutti, sia ai cittadini del Paese delle Meraviglie, che ai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e delle cancellerie dei singoli Paesi. L’autore di queste righe è convinto però, fatti accaduti e documentati alla mano, che nel Paese delle Meraviglie, si sta progredendo, sì, ma verso il peggio, verso il consolidamento di un regime dittatoriale camuffato. Un regime il quale usa sempre più la sua ben organizzata e potente propaganda governativa per apparire diverso da quello che in realtà è. Un regime che usa anche la maggior parte dei media. Un regime camuffato da una parvenza di “pluripartitismo”, che sceglie e appoggia anche chi deve rappresentare l’opposizione “ufficiale”. E colui che rappresenta istituzionalmente il nuovo regime camuffato, il primo ministro, non perde nessuna occasione di ripetere che lui non è “un dittatore e neanche un autocrate”. Sì, proprio così, testimoniando in questo modo i suoi complessi di colpa che la sua psiche non riesce a nascondere.

    Ma la vera, vissuta e sofferta realtà nel Paese delle Meraviglie, sempre fatti accaduti, documentati e denunciati ufficialmente alla mano, testimonia che lì si stanno continuamente calpestando sempre più i diritti e i principi base della democrazia, permettendo il consolidamento della dittatura.

    Una dittatura viene definita nei vari dizionari di diverse lingue del mondo come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”. Mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento. Egli scriveva per il nostro lettore che “La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848, nella sua opera intitolata Spirito delle leggi …” (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023). Trattando sempre il principio della separazione dei poteri, in un altro articolo per il nostro lettore, l’autore di queste righe scriveva: “La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio, quello della divisione dei poteri, che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu” (Il fallimento voluto ed attuato di una riforma; 26 ottobre 2020). Mentre riferendosi a quanto è stato scritto da Montesquieu nel suo libro De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) riguardo al principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), l’autore di queste righe citava, sempre per il nostro lettore, la convinzione di Montesquieu: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Poi riferendosi all’importanza della separazione del potere legislativo da quello esecutivo e giudiziario, citava di nuovo Montesquieu: “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. E sottolineava la convinzione di Montesquieu: “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). Nel Paese delle Meraviglie però, in palese e consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, una persona sola, il rappresentante istituzionale del regime dittatoriale, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, controlla oltre al potere esecutivo e legislativo, anche quello giudiziario. In più controlla anche quello ormai noto come il quarto potere, i media. Perciò tutto porta a pensare che nel Paese delle Meraviglie la democrazia abbia sempre meno a che fare con la realtà, mentre è in continuo consolidamento un regime dittatoriale camuffato.

    Il Paese delle Meraviglie è un Paese candidato all’adesione all’Unione europea. E come tale ha l’obbligo di rispettare, tra l’altro, anche i tre criteri di Copenaghen. Un obbligo quello per tutti i Paesi che hanno avviato un percorso di adesione. Il criterio politico prevede la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ma le istituzioni, controllate con mano di ferro da una persona sola e/o da chi per lui, non possono però garantire niente che non abbia a che fare con la sua volontà e i suoi interessi. Nel Paese delle Meraviglie non si rispetta neanche il criterio economico, il quale prevede l’esistenza di un’economia di mercato affidabile. Da anni ormai il mercato viene controllato da alcuni oligarchi, “amici” di colui che rappresenta il regime. Nel Paese delle Meraviglie non si può rispettare ed adempiere neanche il terzo criterio, quello dell’acquis comunitario. Lo testimoniano, tra l’altro, anche le continue condizioni poste al Paese delle Meraviglie dal Consiglio europeo che aumentano sempre e che da tre anni ormai sono diventate quindici. Ma i massimi rappresentanti istituzionali del Paese delle Meraviglie non rispettano non solo i criteri di Copenaghen. Da anni fanno lo stesso anche con l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione che ogni Paese che vuole aderire nell’Unione europea è obbligato a rispettare, dal momento che diventa firmatario. E non sono valse a niente le diverse contestazioni fatte soprattutto dal Consiglio europeo.

    La realtà vera, vissuta e sofferta nel Paese delle Meraviglie è veramente preoccupante. E con le “meraviglie” che cerca di far credere e convincere il gestore istituzionale del regime dittatoriale camuffato e la sua propaganda non ha niente a che fare. L’autore di queste righe ha sempre informato il nostro lettore, con la dovuta e richiesta oggettività, di questa preoccupante e pericolosa realtà. Alcuni anni fa egli, usando sempre l’allegoria delle favole e paragonando il nuovo autocrate del Paese delle Meraviglie ad un re, scriveva per il nostro lettore: “Essendo un re capace di tutto e pieno di poteri, aveva anche il dono di fare delle magie. E per magia il re costruì, da un cetriolo, un gigantesco carrozzone. […] Il re trasformò, con la sua bacchetta magica una mandria di pecore in tantissimi cavalli e li attaccò al gigantesco carrozzone. Le pecore le prese dalla Fattoria degli Animali, inventata da George Orwell. Il re le mise tutte in fila, stupide e ubbidienti, e le chiamò ministri e alti funzionari. Il loro compito era semplicemente quello di trainare il carrozzone, al quale il re diede il nome Governo. […] Il siffatto monarca prese le briglie e cercò di portare il carrozzone fino in cima. Ma sempre non ci riusciva. E sempre il carrozzone, invece di salire, scendeva e rischiava di precipitare nei burroni” (La mosca cocchiera; 7 gennaio 2019). E se non si è indovinato ancora di chi e di quale Paese si tratta, allora si potrebbe cercare di chi e dove è stata ospite, insieme con la sua famiglia, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia, tra il 14 ed il 17 agosto scorso. Oppure si potrebbe cercare perché il primo ministro greco ha tolto ogni appoggio del suo governo, anche nelle istituzioni dell’Unione europea, all’autocrate del Paese delle Meraviglie, che da anni sta abusando del potere, prima conferito ed in seguito usurpato.

    Chi scrive queste righe, riferendosi al Paese delle Meraviglie (nome di fantasia) e aperto ad ogni suggerimento, fa una semplice domanda: se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?  Egli condivide la convinzione di Santa Madre Teresa di Calcutta, secondo la quale “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Tutto è vero e nulla è vero

    In Russia tutto è vero e nulla è vero perché quello che appare non è quello che veramente accade e quello che accade non è quasi mai quello che si pensava sarebbe accaduto, quello che era stato annunciato.

    Così il giallo della morte di Prigožin, vera o presunta, continuerà ad alimentare le più fantastiche supposizioni: morto per vendetta di Putin, ucciso perché non rivelasse a Putin le dissidenze e le diaspore interne, eliminato per consentire a Putin di impossessarsi subito delle sue grandi ricchezze, vivo, sull’altro aereo, o addirittura mai partito, per proseguire nell’azione iniziata ed interrotta due mesi fa quando minacciava di marciare su Mosca, vivo ma fingendosi morto per sfuggire alla vendetta di Putin, sparire, cambiare connotati e vita come tanti fuorilegge hanno fatto e fanno. O ancora un’altra complessa attività di contro, contro informazione dello stesso Putin che ormai non sa neppure lui se può credere a se stesso e di chi di può fidare? Ancora una manovra diversiva o un’uccisione voluta dallo zar per dare un esempio al proprio cerchio magico?

    Tante le ipotesi, le congetture, mentre una cosa è assolutamente certa e cioè la menzogna degli organi di stampa del regime russo quando affermano che i corpi di Prigožin e del suo vice sono stati identificati tra i rottami dell’aereo perché, se le foto che abbiamo visto sono reali, dal rogo di quell’aereo non può essere rimasto nessun corpo identificabile con certezza, ed anche facendo il dna sui pochi resti chi di noi avrebbe la sicurezza che quanto comunicato dagli organi ufficiali russi corrisponda alla verità?

    Prigožin, l’uomo dai mille volti e travestimenti finito banalmente sotto il fuoco “amico“, l’uomo dalle cento furbizie vittima di una imprudenza, di un tradimento, della propria eccessiva sicurezza?

    Nessuno sembra stupirsi della sua morte, in tanti la consideravano una morte annunciata dopo il così detto fallito golpe, forse anche lui, come tanti, credeva nei propri super poteri, in una sorta di pericolosa onnipotenza.

    Resta certo che un altro inquinante dubbio si aggiunge agli altri confermando, dopo tante guerre passate e tanti errori recenti che gli occidentali non riescono a capire cosa muove il pensiero dei russi e questo resta un problema, come resta un grave problema l’annuncio di vari aiuti militari all’Ucraina mentre invece continuano gli sciagurati ritardi nella consegna degli armamenti necessari.

  • In Iran tornano le pattuglie per il controllo del decoro

    A meno di un anno dalla morte Mahsa Amini, la giovane uccisa in Iran perché non indossava
    correttamente l’hijab, le pattuglie della polizia morale, istituite dopo la Rivoluzione islamica del 1979, potranno nuovamente sanzionare coloro che non portano il velo correttamente nei luoghi pubblici.

    L’assurdo omicidio aveva portato moltissime persone a manifestare in maniera veemente contro il regime, la maggior parte erano donne che avevano tolto il velo e tagliato i capelli in segno di ribellione. Dopo centinaia di arresti e condanne a morte, l’Iran aveva sospeso le forze della polizia morale poiché gli agenti di sicurezza, durante le proteste, avevano picchiato, torturato, ucciso e fatto sparire delle persone. Nonostante il regime iraniano, le proteste sono andate avanti a lungo. Adesso però gli agenti ripristineranno il controllo capillare sui civili, in particolare sul corretto utilizzo dell’hijab da parte delle donne, avvalendosi anche di
    telecamere in strada.

  • Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato

    I criminali non muoiono per mano della legge. Muoiono per mano di altri uomini.

    George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

    Nella mitologia della Grecia antica Crono era uno dei figli di Urano, il dio che rappresentava il Cielo, e di Gea, la dea che rappresentava la madre Terra. Urano metteva incinta Gea con la pioggia e così sono nate altre divinità della terra, del cielo e dell’acqua. Crono era il più giovane dei sei Titani, partoriti da Gea. Da Urano e Gea erano nati anche i sei Titanidi, tra i quagli Rea, nonché i tre Ciclopi, degli esseri giganteschi con un solo occhio sulla fronte, e i tre Ecatonchiri; questi ultimi avevano cento braccia ed erano dotati di una straordinaria forza fisica. Urano però, nonostante fosse un dio, temeva di essere spodestato dai propri figli, perciò, secondo la mitologia, teneva loro chiusi e sotto il suo controllo. Gea, da premurosa madre, non poteva sopportare che i suoi figli venissero trattati in quel modo da Urano, perciò decise di metter in atto un piano per liberare i propri figli. Procurò una falce e chiese a loro di aggredire Urano. Ma nessuno ebbe il coraggio di farlo, tranne Crono, il sesto dei Titani. La mitologia greca ci tramanda, tra l’altro, anche il simbolismo dello scontro tra le generazioni che ha accompagnato sempre l’umanità. Gea inganna Urano facendogli credere di voler accoppiarsi con lui. Urano, desideroso di far l’amore con la moglie, non ci pensa due volte. Nel frattempo però Crono esce da dove era nascosto, in accordo con la madre, colpisce e recide i genitali del padre con la falce che gli aveva dato Gea. Questo impariamo dalla mitologia, grazie anche al poema Theogonía (in greco significa la genealogia degli dei; n.d.a.), scritto da Esiodo, un poeta dell’antica Grecia, vissuto circa ventotto secoli fa.

    Crono, a sua volta, era sposato con Rea, una dei sei Titanidi. A Crono era stata resa nota però una profezia secondo la quale uno dei suoi figli gli avrebbe tolto il potere e lo avrebbe messo da parte. Ma non gli era stato detto chi sarebbe stato. Così come suo padre Urano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli per non essere spodestato. Perciò Crono, deciso a mantenere per sempre il suo potere, divorava tutti i figli appena nati. Sua moglie, Rea, da madre non poteva permettere che tutti i suoi figli venissero divorati dal padre appena nati. Perciò dopo aver partorito il suo sesto figlio, invece di portare l’appena nato a Crono, diede a lui una pietra avvolta con delle fasce per farla sembrare come un appena nato. Crono non se ne accorse e divorò anche la pietra dura, convito di aver ucciso suo figlio, il quale poteva essere colui che gli avrebbe tolto il potere. Così Rea riuscì a salvare l’ultimo dei suoi figli, che era Zeus. Dalla mitologia della Grecia antica, soprattutto dal poema Theogonía scritto da Esiodo, impariamo che Rea tenne nascosto suo figlio salvato nell’isola di Creta, dove lui veniva accudito e nutrito da una ninfa chiamata Adrastea con il latte di una capra prescelta, Amaltea. Una volta cresciuto e diventato adulto, Zeus andò ed incontrò suo padre, Crono, il quale era convinto di aver divorato tutti i suoi figli. Affrontando il padre, Zeus gli chiese di portare di nuovo in vita tutti i figli. Il poeta Esiodo racconta che Crono, impaurito e costretto dalla determinazione di Zeus, cominciò a rigurgitare tutti gli altri figli che aveva divorato. E guarda caso, per primo, ha fatto uscire dalla sua gola la pietra dura che Rea gli aveva portato avvolta con delle fasce al posto di Zeus. Dopo aver riportato in vita tutti i suoi figli, a Crono sono stati tolti da Zeus tutti i suoi poteri. La divinità di Crono era stata trasferita dai greci anche tra i latini, per i quali era proprio Saturno che veniva identificato come Crono. I romani erano convinti che Crono, scacciato dall’Olimpo, si era trasferito nel Lazio. Lì, conosciuto proprio come Saturno, aveva regnato durante un periodo di pace e di sviluppo. In suo onore si celebravano nel mese di dicembre delle festività note come i Saturnalia. Durante il primo giorni delle festività dedicate a dio Saturno, gli schiavi di Roma godevano di una piena libertà e, addirittura, potevano mangiare nello stesso tavolo dei loro padroni, godendo dei loro servizi. Ma i romani pensavano che un giorno Saturno sarebbe andato via, lasciandoli soli e, così facendo, avrebbe dato inizio a delle conseguenze preoccupanti per tutti. Da Crono, il dio della mitologia greca, noto come Saturno per i romani, è stato ispirato anche il noto pittore spagnolo dell’Ottocento, Francisco Goya. Il suo celeberrimo dipinto intitolato “Saturno divora i suoi figli” presenta proprio Saturno, cioè Crono, che divora uno dei suoi figli appena nato.

    Il simbolismo dei figli divorati dal padre ha accompagnato sempre il genere umano. E non solo sotto forma di quella che viene riconosciuta come la “sindrome di Crono”, e cioè di uno stato in cui il padre “uccide” non necessariamente fisicamente il proprio figlio. Si tratta, ovviamente, di un simbolismo, che si riferisce, metaforicamente, al sacrificio delle persone care per tutelare se stessi. Si tratta spesso di un simbolismo che comprende anche l’abbandono consapevole degli amici e dei collaboratori, per non essere incaricati delle stesse colpe a loro riconosciute. Un simbolismo, quello del “divoramento dei figli”, che, come la storia ci insegna, è legato anche al carattere del singolo individuo e si verifica in tutto il mondo. Le cronache legate alla criminalità organizzata, soprattutto quando si tratta di mettere in salvo i vertici delle organizzazioni criminali, ci testimoniano che, non di rado, si possono “sacrificare” gli altri.

    Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Albania testimonierebbe alcuni fatti importanti e, allo stesso tempo, molto preoccupanti. Risulterebbe, documenti e denunce rese pubbliche alla mano, che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. In più risulterebbe che il primo ministro, per salvare se stesso da scandali milionari che lo vedono direttamente e/o indirettamente coinvolto, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, sta “sacrificando” uno dopo l’altro, molti dei suoi “amici” e “stretti collaboratori”. Risulterebbe altresì e purtroppo, che lui, il primo ministro albanese, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, per riuscire in tutto questo si serve delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che controlla personalmente e/o da chi per lui, con un pugno di ferro. E la stessa persona, il primo ministro, controlla ovviamente il potere esecutivo e quello legislativo, avendo la maggioranza in parlamento. Montersquieu, nella sua ben nota opera voluminosa De l’esprit des lois (Dallo spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tratta ampiamente e argomenta perché la separazione e l’indipendenza dei tre poteri, quello esecutivo, legislativo e giudiziario è un conditio sine qua non per la stessa esistenza di un sistema democratico. Ogni violazione del principio della separazione dei poteri indebolisce e, addirittura annienta la democrazia. Da alcuni anni purtroppo è proprio questo che sta accadendo in Albania. Il nostro lettore è stato informato spesso di una simile e molto pericolosa e preoccupante realtà, sempre con la necessaria oggettività e sempre dati e fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano. Si tratta purtroppo si una realtà legata al continuo consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis, come alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che cerca di coprire tutto con una parvenza, una facciata di pluripartitismo. Ma quanto è accaduto in Italia ed in Germania prima della Seconda guerra mondiale e anche quanto sta accadendo durante questi anni in Russia ed in altri Paesi del mondo testimonia che si tratta semplicemente di facciate che non impediscono ai dittatori di esercitare indisturbati il loro potere.

    Durante il periodo buio della dittatura comunista in Albania (1945 – 1991), una delle più spietate e sanguinose dell’Europa dell’est, il dittatore comunista ha eliminato, ha “divorato” molti dei suoi “compagni”. Lo aveva fatto anche prima, durante la Seconda guerra, subito dopo la costituzione del partito comunista albanese, nel novembre 1941. Ha continuato poi a farlo nei primi anni dopo la guerra. Ma il periodo in cui il “divoramento dei compagni” ha raggiunto i massimi livelli è stato quello dal 1975 al 1982. Il dittatore dichiarava e accusava dei gruppi di “nemici del partito e del popolo” e condannava per primo in pubblico i “nemici”. In seguito si muovevano tutte le apposite strutture della dittatura per “giudicare i nemici”, la maggior parte dei quali venivano in seguito condannati ed uccisi. Il dittatore comunista ha fatto tutto questo perché era ossessionato di perdere il suo potere. Come Crono della mitologia greca che divorava i propri figli. Lo stesso sta facendo adesso il primo ministro albanese che, tra l’altro, è un diretto discendente di una famiglia della nomenklatura comunista. E fatti accaduti alla mano, lui, il primo ministro, sta mettendo in atto i metodi della dittatura, seguendo le orme del suo “padre spirituale”, il dittatore comunista.

    Per tutta la scorsa settimana, l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania è stata attirata dalla richiesta d’arresto di uno dei più stretti collaboratori del primo ministro, Si tratta del suo vice che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, nonché deputato  L’ordine è stato firmato dal dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia il 7 luglio scorso, Ordine che è stato reso noto dal parlamento con tre giorni di ritardo, il 10 luglio scorso. Giorni molto utili per il diretto interessato che, come è stato confermato in seguito dal suo avvocato, non si trovava più in Albania! L’ex vice primo ministro veniva accusato di corruzione in quello che ormai è noto come lo scandalo degli inceneritori. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo scandalo milionario (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022; Un regime totalitario corrotto e malavitoso, 13 agosto 2022; Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022 ecc…). Uno scandalo, quello degli inceneritori, che ha sperperato milioni del denaro pubblico e continua a farlo, nonostante nessuno dei tre inceneritori sia in funzione. Anzi, due di loro figurano solo nei contratti abusivi, illegali e milionari che hanno la firma del primo ministro, perché non esistono fisicamente come tali. Soprattutto quello della capitale.

    L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore quasi un anno fa: “Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, […] risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali” (Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà il nostro lettore di questo scandalo tuttora in corso. Ma in base a quanto è stato reso pubblico, egli è convinto che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. Egli è altresì convinto che il sistema “riformato” della giustizia risulta essere agli ordini del primo ministro. E non vale a niente la richiesta per l’arresto dell’ex-vice primo ministro, un altro “figlio divorato dal padre”, se non viene ancora indagato lui, il primo ministro albanese. Chi scrive queste righe, parafrasando George Bernard Shaw, auspica che possa venire anche per l’Albania il tempo in cui i criminali possano morire per mano della legge e non per mano di altri uomini. E che il primo ministro non possa più “divorare” i suoi più stretti collaboratori, solo per salvare se stesso e mantenere più a lungo il suo smisurato potere.

  • Cronaca di un massacro elettorale preannunciato

    Elezione. Semplice artificio mediante il quale una maggioranza

    dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere.

    Ambrose Bierce

    Gabriel Garzia Márquez è un noto scrittore colombiano che nel 1982 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Un anno prima veniva pubblicato un suo romanzo intitolato “Cronaca di una morte annunciata”. Una storia vera, accaduta una trentina di anni prima nel suo paese natale, quella che lo scrittore ha portato nel suo romanzo. Ovviamente cambiando i nomi dei suoi personaggi. Il romanzo racconta la storia di un giovane ucciso dai due fratelli gemelli di una ragazza con la quale lui aveva avuto una relazione. Durante quella relazione durata poco, la ragazza aveva persa la sua verginità. Tutto accade l’indomani del giorno in cui la ragazza si sposa con un altro uomo. Lo sposo però scopre che la sposa non era più illibata e la ripudia. Tornata a casa lei racconta tutto ai suoi due fratelli i quali decidono subito di vendicarsi. Escono di casa e fanno sapere a tutti quello che volevano fare. Saputa l’intenzione dei due fratelli di uccidere colui che aveva disonorato la sorella, alcuni compaesani hanno pensato che loro non sarebbero stati capaci di compiere un simile atto crudele. Altri speravano che la vittima fosse stata avvisata in tempo da potersi mettere in salvo. Altri ancora credevano che era tutta una storia inventata dai fratelli sotto l’effetto dell’alcol bevuto in abbondanza durante i festeggiamenti di poche ore prima. Ragion per cui nessuno si era mosso a trovare ed avvisare il ragazzo ed impedire la tragedia. Il caso ha voluto che il ragazzo, l’unico nel paese che ancora non sapeva niente, tornando a casa, li trova di fronte, coltelli alla mano. Il ragazzo ha cominciato a correre per mettersi in salvo, dirigendosi verso casa sua che si trovava proprio lì vicino. Il caso però ha voluto che sua madre, vedendo il figlio correre verso la porta e credendo che fosse riuscito, scese giù e chiuse la porta, ignara di aver lasciato il figlio nelle mani dei suoi assassini. I due fratelli raggiunsero ed uccisero il ragazzo, accoltellandolo

    Alla fine del romanzo il lettore apprende che i due fratelli, dopo essere stati condannati per omicidio, vengono lasciati liberi perché era stato riconosciuto il “motivo d’onore”. Mentre la loro sorella, dopo diciassette anni incontra di nuovo il suo ex marito che l’aveva ripudiata la prima notte del loro matrimonio. Lui si presenta alla sua porta portando una valigia piena di lettere da lei scritte nella speranza che venisse perdonata. Lettere che lui non aveva mai aperto. Questa è la storia che lo scrittore racconta nel suo noto romanzo “Cronaca di una morte annunciata”. Il caso ha voluto che proprio un anno prima che il romanzo fosse pubblicato, sua madre comunicò a Gabriel Garzia Márquez la morte della madre del ragazzo ucciso trentanni prima. Era un ragazzo di origini italiane che a quel tempo viveva e studiava a Bogotà, in Colombia. Lo scrittore è stato informato anche che la madre della vittima morì senza mai essersi ripresa dalla tragedia del suo giovane figlio. Sua madre, conoscendo l’intenzione del figlio Gabriel Garzia Márquez di scrivere e raccontare quella storia, lo supplicò di trattare tutto come se la giovane vittima di trentanni prima fosse stato suo figlio, perciò fratello dello scrittore. Un anno dopo, nel 1981 veniva pubblicato il romanzo con, all’inizio, la nota dell’autore: “Una cosa risolta così male nella vita non può risolversi bene in un libro”.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche sulle ultime giornate della campagna elettorale in Albania, prima delle elezioni amministrative del 14 maggio.  “La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini”. Aggiungendo in seguito, riferendosi al primo ministro albanese, che “…Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge.. Inoltre, il nostro lettore veniva informato che “…Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista”. Sottolineando che “…Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo”. In seguito il nostro lettore veniva informato che “…Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi” (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere; 8 maggio 2023).

    Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore e che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro. Anche se fino ad adesso, lunedì 15 maggio, i dati ufficiali sono parziali, essendo stati conclusi i conteggi solo in una parte dei municipi, si capisce che il primo ministro ha raggiunto il suo tanto ambito e vitale obiettivo. Ma sono state tante le violazioni, cominciate molto prima delle elezioni stesse. Il nostro lettore è stato informato del sistema ben organizzato di coloro che vengono chiamati come i patrocinatori. Sono tanti, migliaia e migliaia, reclutati e direttamente coinvolti per avere informazioni riguardanti i cittadini che possono votare, i loro famigliari, i loro bisogni, i loro “punti deboli”, per poi poterli minacciare e costringere a votare per il raggruppamento politico del primo ministro (Si sa di chi è la colpa, 7 novembre 2022; Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022; Sono semplicemente seguaci del modello abusivo dei superiori, 16 gennaio 2023 ecc.). Per raggiungere il suo obiettivo, il primo ministro e i suoi “strateghi” hanno attivato anche un’applicazione informatica chiamata “l’Attivista”. Con quell’applicazione, installata dagli impiegati dell’amministrazione pubblica si possono tenere sotto pressione e controllo tutti. L’applicazione costringe quelli che l’hanno installata a dare il loro sostegno in rete al primo ministro, ai ministri e ad altri dirigenti dell’amministrazione pubblica. L’applicazione elenca tutti gli utenti in base alla loro “attività” in rete, prevedendo anche benefici e castighi a seconda dei casi.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato, comprende anche tutto quello che riguarda la diffusa povertà, dovuta alle “politiche governative” e tanto altro. Una vissuta e sofferta realtà quella che, inevitabilmente, ha portato al massiccio e preoccupante spopolamento dell’Albania. Ma gli “strateghi” del primo ministro, come quelli della dittatura comunista poco prima del crollo del regime nel 1991, sanno che la maggior parte di quelli che lasciano la madre patria non avrebbero votato per loro. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania riguarda anche le “assunzioni elettorali” di questi ultimi mesi, soprattutto nelle istituzioni dell’amministrazione pubblica. Riguarda il mai verificato, spaventoso, pericoloso e preoccupante “crollo” dell’Euro, soprattutto durante questo ultimo mese, prima delle elezioni di domenica scorsa. “Crollo” condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per “scopi elettorali”. Con tutte le ripercussioni gravi per il prossimo futuro. Ma al primo ministro poco importa. A lui importa solo e soltanto vincere a tutti i costi. La cronaca riguarda le violazioni delle leggi in vigore durante la campagna elettorale, sia da parte del primo ministro e dei suoi candidati sindaci, che di tutti i suoi “rappresentanti” politici. La cronaca del massacro elettorale riguarda anche l’evidenziato ritiro delle carte d’identità a molti cittadini, soprattutto parenti degli impiegati dell’amministrazione pubblica, per impedire loro la votazione a favore degli avversari del primo ministro.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato comprende tutte le “bizzarrie” del primo ministro durante la campagna elettorale. Sono delle violazioni legali, per non parlare poi dei codici morali e della buona condotta, l’uso in pubblico durante la campagna elettorale, delle offese personali e delle minacce, rivolgendosi ai suoi avversari, sia i dirigenti dei partiti dell’opposizione, che i loro candidati sindaci. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende tutte le violazioni legali compiute dal primo ministro con le sue “richieste” dirette fatte alle donne di “chiudere a chiave” gli uomini il giorno delle votazioni se non votavano per lui. Comprende anche le minacce di non avere supporto governativo per tutti i municipi che potevano essere gestiti da sindaci dell’opposizione. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende, altresì i tanti e voluti comportamenti da coatto, i balli “popolari” del primo ministro con le donne per spostare l’attenzione pubblica dai veri problemi da lui causati. La cronaca di quello che ormai risulta essere stato un massacro elettorale preannunciato comprende la campagna elettorale “semplice e senza spese” del raggruppamento politico (leggi occulto) del primo ministro. Ma, allo stesso tempo, comprende anche e soprattutto l’intenso e continuo lavoro dietro le quinte per condizionare il risultato delle “votazioni” con la compravendita dei voti, le assunzioni e l’uso dell’amministazione pubblica durante la campagna elettorale, in palese violazione delle leggi.

    La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro. Comprende le decisioni dei tribunali e della Commissione Centrale Elettorale, della Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni e del Collegio Elettorale per sgretolare il maggior partito dell’opposizione. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania comprende anche tanti altri fatti accaduti prima e durante il giorno delle elezioni amministrative. Ma grazie a quel massacro elettorale il primo ministro è riuscito a vincere, fino ad adesso, pomeriggio di lunedì 15 maggio, nella maggior parte dei municipi, capitale compresa. Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà anche la prossima settimana il nostro lettore delle gravi ed inevitabili conseguenze di quel massacro elettorale ideato, programmato ed attuato da mesi in Albania. Nel frattempo egli potrà fare riferimento alle tante violazioni legali che si stanno denunciando, alle testimonianze documentate e a tanto altro, per informare il nostro lettore con la dovuta e richiesta oggettività. Chi scrive queste righe condivide però il pensiero di Ambrose Bierce sulle elezioni che “…sono un semplice artificio mediante il quale una maggioranza dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere”. Come sta accadendo adesso in Albania.

  • Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere

    Ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode, e la tirannia.

    Frederick William Robertson

    Settantotto anni fa, l’8 maggio 1945 alle 23.01, riferita al Central European Time (Ora standard dell’Europa Centrale; n.d.a.) entrava in vigore la resa definitiva della Germania e la fine della seconda guerra mondiale in Europa. L’accordo era stato firmato alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 a Reims, in Francia, dai rappresentanti dei Paesi occidentali dell’alleanza e, per i nazisti sconfitti, dal generale tedesco Alfred Jodl. Poco prima della mezzanotte dell’8 maggio 1945, per espresso volere di Stalin, un altro accordo è stato firmato a Berlino tra l’Unione sovietica e la Germania nazista. A Mosca, nel frattempo, era già il 9 maggio. L’Armata Rossa era rappresentata dal maresciallo Georgij Žukov ed altri ufficiali sovietici, mentre l’Alto Commando delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht; n.d.a.) era rappresentato dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, insieme ad altri alti ufficiali dell’esercito. Con quell’accordo la Germania si arrendeva anche all’Unione sovietica. Perciò anche adesso la fine della seconda guerra mondiale in Europa si celebra ogni 8 maggio per i Paesi dell’alleanza occidentale, invece nell’Unione Sovietica prima ed in Russia adesso, quella ricorrenza si celebra ogni 9 maggio.

    Il 9 maggio però ha un altro valore storico per l’Europa. Era il pomeriggio del 9 maggio 1950. Al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri a Parigi, di fronte ai giornalisti, l’allora ministro Robert Schuman ha reso pubblica quella che da allora è nota come la Dichiarazione Schuman. Riferendosi a quella Dichiarazione, la scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che si trattava di “Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita”. Si trattava di un documento molto importante che presentava la vitale necessità dei Paesi europei di collaborare fra loro, invece di combattere. Le idee e le convinzioni dei Padri Fondatori dell’Europa unita, tra i quali anche Robert Schuman, sono stati adottati interamente dal Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 con il quale si costituì la Comunità europea del Carbone e dell’Accaio. I sei paesi firmatari del Trattato erano la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nello stesso articolo della scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “…Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. […] E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio”. Aggiungendo in seguito che “…I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “…non solo impensabile, ma materialmente impossibile”” (Necessarie riflessioni per evitare il peggio; 1 maggio 2023).

    La dichiarazione Schuman rappresenta un documento molto importante, che metteva le basi anche di quella che il 25 marzo 1957, con il Trattato di Roma, diventò la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea.  Il Trattato di Roma è stato firmato dagli stessi sei Paesi che costituirono la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e stilarono altri atti approvati in seguito. Il 9 maggio è stato adottato come la “Giornata dell’Europa” dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea, durante il vertice di Milano del 1985. È stata scelta proprio quella data in ricordo della Dichiarazione che Robert Schuman rese pubblica il 9 maggio 1950. Quella Dichiarazione cominciava con la frase “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. In seguito si sanciva che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Una previsione che è stata poi verificata durante questi decenni.

    La Dichiarazione Schuman ed il pensiero dei Padri Fondatori, nonché diversi successivi atti ufficiali dell’Unione europea, hanno sancito, tra l’altro, anche i diritti ed i doveri degli Stati membri della stessa Unione. Atti che devono essere rispettati però anche dagli Stati che seguono le procedure dell’adesione nell’Unione europea. L’Albania è uno di quegli Stati. In Albania però e purtroppo, quanto è stato sancito dal pensiero dei Padri Fondatori, dalla Dichiarazione Schuman, nonché dai successivi atti ufficiali dell’Unione europea, non sono stati rispettati, spesso volutamente, durante questi ultimi anni. Ragion per cui il Consiglio europeo ha sempre posto delle necessarie ed invarcabili condizioni sine qua non, prima di prendere le dovute decisioni per continuare con le procedure dell’adesione. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa realtà. E la ragione è solo e soltanto una: i tre governi capeggiati dall’attuale primo ministro, dal 2013 ad oggi, non hanno fatto niente per meritare l’avanzamento nelle procedure dell’adesione all’Unione europea, anzi! Perché non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì si stia consolidando e sia attiva una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata da alcuni “raggruppamenti stampella” scelti e controllati del primo ministro. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il primo ministro sta facendo di tutto per annientare l’opposizione politica. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la criminalità organizzata collabori, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, con il potere politico, sia nel prendere determinate decisioni ufficiali convertite in legge, sia per condividere in privato moltissimi milioni dei soldi pubblici in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì è stato consapevolmente violato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì una persona, il primo ministro, abusando pericolosamente del potere conferito, controlli tutti i poteri: l’esecutivo, il legislative, il giudiziario e quello dei media. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il risultato delle elezioni, sia quelle parlamentari che amministrative, sia condizionato e controllato dal potere politico e dalla criminalità organizzata. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la diffusa corruzione stia divorando sempre più tutto e tutti. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì da anni si riciclano i miliardi provenienti dalla corruzione, non solo in Albania e dai traffici illeciti degli stupefacenti ed altro, gestiti dalla criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale. Per queste e per altre ragioni, non può mai e poi mai un Paese diventare membro dell’Unione europea. Almeno se si tengono presenti il lungimirante pensiero e le convinzioni dei padri Fondatori, espressi nella Dichiarazione Schuman e nei testi ufficiali dei Trattati di Parigi e di Roma che costituirono, rispettivamente, il 18 aprile 1951 la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio ed il 25 marzo 1957 la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea. Ma anche in altri Trattati ed atti successivi.

    La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini. Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge. Ma, come sta realmente accadendo, niente possono fare le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, direttamente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui. Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista. Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. Una simile realtà rappresenta un’ulteriore ma molto significativa dimostrazione e testimonianza della restaurazione di una nuova dittatura sui generis in Albania.

    Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi. E potrebbe accadere quello che fino ad oggi è veramente impensabile ed impossibile. Anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia potrebbero accanirsi contro di lui, come conseguenza di vari complessi maturati nel tempo che gli psicologi conoscono bene. Poi attualmente c’è un processo giudiziario in corso negli Stati Uniti d’America a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle dichiarazioni ufficiali rese pubblicamente note dalle istituzioni giudiziarie coinvolte e riferendosi alle indagini svolte, risulterebbe che il primo ministro albanese sia direttamente coinvolto. Sono tante le indiscrezioni rese pubbliche da credibili fonti mediatiche statunitensi che confermano tutto ciò. Il che significa che lui, il primo ministro albanese deve rimanere al potere, costi quel che costi, per godere dell’immunità diplomatica e per impedire di essere chiamato dai giudici statunitensi, con tutte le conseguenze possibili. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato diverse volte durante questi ultimi mesi.

    Lo stesso giorno, la prossima domenica, il 14 maggio, mentre in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative, in Turchia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il primo ministro albanese ha offerto pubblicamente tutto l’appoggio per il suo “caro amico”, il presidente turco, un ben noto autocrate. Proprio colui che ha ispirato nel suo operato il primo ministro albanese, come lui stesso ha ammesso pubblicamente in diverse occasioni. E mentre il 9 maggio 1945 l’Unione Sovietica firmava a Berlino, come Paese aggredito, l’accordo con la Germania nazista, dal 24 febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina, in seguito alla decisione presa da un altro autocrate, il presidente russo. Quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina ormai è noto. E come in Albania ed in Turchia, anche in Russia gli autocrati che controllano la situazione interna con una mano di ferro stanno facendo di tutto per mantenere il potere. Chissà fino a quando ci riusciranno?

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molto altro da dividere con il nostro lettore, ma si ferma qui. Egli però condivide il pensiero di Frederick William Robertson, secondo il quale ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode e la tirannia. E ricorda anche quanto affermava Georges Clemenceau circa un secolo fa. E cioè che “Una dittatura è un paese in cui non devi passare una notte intera per conoscere il risultato delle elezioni”. Mentre il Albania ci vogliono giorni e spesso settimane. Tempo necessario per “legittimare” la vittoria del primo ministro.

  • La doppia faccia di certi rappresentanti internazionali

    Colui che si permette di dire una bugia una volta,

    trova molto più facile farlo una seconda volta.

    Thomas Jefferson

    L’evangelista Luca ci racconta, tra l’altro, anche dell’amministratore di un uomo ricco che aveva abusato delle ricchezze del padrone. Lui, dopo averlo saputo lo chiamò e gli disse: “Che è questo che sento dire di te?”. E gli chiese di rendere conto di come aveva svolto il suo operato. Allora l’astuto amministratore, preoccupato di perdere tutto, pensò tra sé e sé: “Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. E trovò anche cosa fare dopo aver perso il lavoro. Doveva trovare qualcuno con il quale dividere quanto spettava al padrone. Chiamò uno dei debitori e disse “Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta”. Poi chiamò un’altro e disse “Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta“. L’evangelista ci testimonia in seguito quanto affermava il figlio del Signore. E cioè che “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?”. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessun servo può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”. (Mammona significa il demone tentatore della ricchezza, ossia il diavolo stesso; n.d.a.). In seguito l’evangelista ci racconta quanto disse Gesù ai farisei i quali, si sa, erano molto attaccati al denaro e lo stavano ascoltando. “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Vangelo secondo Luca; 16; 1-15).

    L’autore di queste righe trova molto significativa una frase del noto scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, insignito con il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Si tratta della frase “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”, scritta nel suo ben noto romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il personaggio principale del romanzo, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, era il proprietario benestante di un banco di pegni. In base alle sue tante, tantisssime personali esperienze di vita vissuta, Gengè arrivò alla conclusione che “…l’essere umano, essendo uno, diventa nessuno nella moltitudine sociale, ma per gli altri si disgrega in centomila immagini, esseri differenti l’uno dall’altro.”. In realtà i tanti tormenti di Gengè ebbero inizio un giorno quando, mentre si stava guardando allo specchio, sua moglie gli disse che aveva il naso storto. Una constatazione quella, che da quel momento mise in dubbio e fece vacillare tante altre cose le quali, fino ad allora, rappresentavano per Gengè delle indiscusse convinzioni. Il che mise tutto in subbuglio e lo costrinse a riflettere su tutto e tutti. E si convinse che, siccome lui non si era accorto di un così banale e vistoso difetto fisico come il naso storto, allora potevano essere stati tanti altri difetti caratteriali sfuggiti a lui ma non ad altre persone. Gengè cominciò a cambiare i suoi atteggiamenti quotidiani, fino al punto che nessuno riconosceva più quella persona benestante che si godeva la sua vita beata. Sono state tante le decisioni prese da lui, ma non condivise dagli altri, compresa sua moglie che lo abbandonò, che lo resero pazzo agli occhi di tutti. Alla fine Gengè si ritirò in un ospizio per le persone povere e disagiate da lui stesso costruito. Lui, non usando più neanche il suo nome, diventò come i tanti altri in quell’ospizio, Perciò da uno Gengè diventò nessuno. Ma proprio grazie a quella metamorfosi lui cominciò a sentirsi finalmente libero. Libero da una moltitudine di maschere con le quali aveva avuto a che fare durante la sua vita prima di entrare nell’ospizio. “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Un saggio, eloquente e molto significativo messaggio di vita vissuta e sofferta, maestosamente scritto e trasmesso da Luigi Pirandello. Un messaggio che dovrebbe servire a tutti.

    Nel mondo ci sono state, ci sono e ci saranno sempre persone che si presentano con una doppia faccia, ossia dei bifronti. Come Ianus, meglio conosciuto come Giano, il primo dio italico, comunemente rappresentato con due fronti, due facce di un’unica testa: una davanti e l’altra dietro. Ma Giano viene considerato, più in generale, come la divinità dell’ingresso e dei passaggi. Tanto è vero che circa ventisette secoli fa Numa Popmilio, il secondo re di Roma ed il diretto successore di Romolo, dedicò a Giano il primo mese immediatamente dopo il solstizio d’inverno, raffigurando il mese con il quale si apre il nuovo anno. Ma nonostante il simbolismo di Giano come divinità bifronte, la persona di doppia faccia simboleggia l’ipocrisia, la falsità e l’inganno. Perciò nella nostra immagine collettiva, una persona di doppia faccia rappresenta sempre colui che, per determinati motivi ed interessi, cambia il suo linguaggio ed i suoi atteggiamenti a seconda delle convenienze. Comunemente una persona di doppia faccia è priva di dignità e di lealtà. Una persona di doppia faccia rappresenta la naturale o costretta mancanza di sincerità, rappresenta un essere umano con un’innata o acquisita abilità di manipolazione. Rappresenta un volto sempre coperto e nascosto da una o più maschere. Come quelle maschere, alle quali fa riferimento Luigi Pirandello.

    Purtroppo non sono poche le persone, con degli incarichi istituzionali, spesso molto importanti e di alto livello, che si presentano ed operano con una doppia faccia. E purtroppo non sono poche anche le conseguenze del loro operato. Sia a livello locale che internazionale. Conseguenze, le cui gravità le hanno sofferte e le stanno ancora soffrendo le popolazioni in diverse parti del mondo. Sia nel secolo passato, per non andare oltre, che in questi ultimi decenni. Come è accaduto in Afghanistan dal 2001 in poi. Da quando gli Stati Uniti d’America diedero inizio alla campagna militare nota come Enduring Freedom (Libertà duratura; n.d.a.), che aveva come obiettivo strategico il rovesciamento proprio del regime dei talebani. Una lunga presenza sul territorio di un ingente schieramento militare delle forze internazionali, soprattutto di quelle statunitense, durata venti anni. Una presenza che non solo non ha portato ad una “Libertà duratura”, ma, fatti accaduti e documentati alla mano, ha causato diversi scandali ed ha permesso di “chiudere gli occhi, le orecchie e la mente” di fronte ad una crescente corruzione a tutti i livelli del governo locale, i cui dirigenti avevano l’appoggio dei “rappresentanti internazionali”. Soprattutto di quelli statunitensi. Ma dopo una lunga presenza di quasi venti anni, tutto è finito con il vergognoso ritiro delle truppe internazionali, soprattutto quelle statunitensi, il 15 agosto 2021. Da allora i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, generando di nuovo altre e sempre crudeli sofferenze per la popolazione afghana. Una popolazione che ha sofferto veramente molto anche prima, dal 1979 fino al 1989, quando il Paese era stato invaso dalle truppe dell’allora Unione Sovietica. E poi, durante la presa del potere da parte dei clan locali e dei talebani negli anni ’90 del secolo passato. Ma l’irresponsabilità, l’ipocrisia delle persone con la doppia faccia che esercitano degli importanti incarichi istituzionali è una delle cause anche di quello che sta accadendo dal 14 febbraio 2022 in Ucraina, dopo l’invasione militare ordinata dal dittatore russo. Oppure di quello che sta accadendo in questi giorni in Sudan.

    Purtroppo l’irresponsabilità e l’pocrisia delle persone con la doppia faccia, le quali esercitano degli importanti incarichi istituzionali a livello internazionale, da anni ormai sta generando delle gravi problematiche e delle altrettanto gravi derivanti conseguenze anche in Albania. Il nostro lettore è stato spesso informato, nell’arco di questi anni, su una simile, preoccupante e pericolosa realtà vissuta e sofferta in Albania. Così come è stato informato, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, delle gravi conseguenze degli irresponsabili atteggiamenti di coloro che l’autore di queste righe da anni chiama i “rappresentanti internazionali”. Riferendosi soprattutto ai rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti d’America, compresa l’attuale ambasciatrice statunitense in Albania. Colei che durante tutto il suo operato in Albania ha violato palesemente la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, soprattutto i punti 1 e 2 dell’articolo 41 della Convenzione.

    Ma anche a qualche alto funzionario del Dipartimento di Stato. Riferendosi, altresì, anche a certi alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed alcuni rappresentanti dell’Unione in Albania, soprattutto quelli dell’ultimo decennio, esclusa l’attuale rappresentante. Si tratta di un preoccupante e del tutto non istituzionale operato, quello dei “rappresentanti internazionali” in Albania, ma soprattutto dell’attuale ambasciatrice statunitense, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, in pieno e palese sostegno di un primo ministro che rappresenta il peggio di quello che si poteva immaginare, riferendosi ad uno scenario da evitare, costi quel che costi. Di colui che rappresenta, almeno istituzionalmente la nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni in Albania. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano. Chissà perché?! Il nostro lettore è stato informato in continuazione di una simile, grave, preoccupante e pericolosa realtà non solo per l’Albania. Perché le conseguenze di quello che sta accadendo da alcuni anni in Albania, soprattutto a livello della corruzione diffusa, dell’abuso di potere, del controllo da parte del primo ministro, oltre al potere legislative ed esecutivo, anche di quello giudiziario e mediatico, del riciclaggio del denaro sporco, della collaborazione tra le varie criminalità organizzate internazionali si stanno verificando anche in altri Paesi europei, l’Italia inclusa.

    La scorsa settimana è arrivato in Albania, per una visita ufficiale, il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense. Colui che è l’incaricato anche per i Paesi balcanici, compresa l’Albania. Lui ha avuto degli incontri con il primo ministro ed il presidente della repubblica. Ma ha incontrato anche i rappresentanti di un “raggruppamento di opposizione” che da anni si sono messi al servizio del primo ministro, diventando una utile “stampella” per lui, nella sua irresponsabile e pericolosa corsa verso il potere assoluto. In seguito l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato ha rilasciato una lunga intervista in prima serata ad una televisione nazionale in buoni rapporti con il governo. Ebbene, durante quell’intervista il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense ha fatto delle dichiarazioni contraddittorie. Ha fatto delle affermazioni che, fatti alla mano, contrastavano con quanto era accaduto precedentemente. E nonostante abbia dichiarato che la sua visita “non era assolutamente legata con le elezioni amministrative” quelle del 14 maggio prossimo, tutto, sia gli incontri fatti durante la sua visita, soprattutto con il raggruppamento d’opposizione “stampella” del primo ministro, che quanto ha dichiarato durante la stessa intervista televisiva, dimostrava proprio il contrario di quello che l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato voleva far credere. Chissà se si è trattato di un altro caso di “doppia faccia”?!

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento, compreso il dannoso comportamento ipocrita di certi rappresentanti istituzionali internazionali, inclusi quelli statunitensi, anche nelle prossime settimane. Convinto che, come affermava Thomas Jefferson, colui che si permette di dire una bugia una volta, trova molto più facile farlo una seconda volta. Chi scrive queste righe pensa che oltre il simbolismo di Giano come divinità bifronte, le persona di doppia faccia simboleggiano l’ipocrisia, la falsità, la voluta manipolazione delle verità e l’inganno. Chi scrive queste righe trova molto significativa l’affermazione di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Sono veramente tante le maschere intorno a noi.

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