dittatura

  • Un regime che si sforza di ingannare con le apparenze

    La barba non fa il filosofo.

    Plutarco

    Barba non facit philosophum, ossia la barba non fa il filosofo. Ne era convinto Plutarco e lo aveva scritto in uno dei suoi trattati, parte integrante della raccolta intitolata Moralia (Opere morali; n.d.a.). Con quel detto il noto filosofo dell’antichità intendeva evidenziare quello che la saggezza popolare ha riassunto in tanti proverbi che mettono in guardia a non fidarsi alle apparenze. Sì, perché la saggezza umana, basata su secolari esperienze di vita vissuta e sofferta ci insegna ad essere molto attenti alle apparenze. “Sulle apparenze non formar giudizi, perché fallaci son gli esterni indizi”. Così recita uno dei proverbi. E su quel prezioso e sempre valido insegnamento della saggezza umana hanno scritto in molti, tra scrittori e filosofi, compreso anche Carlo Collodi.

    Tra le tante bellissime fiabe scritte da Carlo Collodi c’è anche “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati e senza amor proprio”. Una fiaba che ci racconta di Tommaso, ma che tutti chiamavano Masino. Come ci racconta Collodi “Masino aveva tutti i difetti che può avere un giovinetto della sua età, fra gli undici e i dodici anni”. Si, perché Masino era, tra l’altro, “disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il viso”. Ma era anche “spacciatore di bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario implacabile dei libri e della scuola”. Ragion per cui, come ci afferma Collodi, “…la mamma lo sgridava: il babbo lo rimproverava: il maestro lo puniva, i compagni di scuola lo canzonavano della sua buaggine”. Ma Masino era ormai abituato, non si preoccupava più di tanto e diceva fra se e se: “Quando avranno detto ben bene, si cheteranno!”. E così si rimetteva l’animo in pace. Ma un giorno Masino, come ci racconta Collodi, “si ficcò in testa di essere perseguitato ingiustamente”. E ne era convinto che “La colpa, dunque, non è mia. La colpa è della mamma, la quale non si cheta mai; la colpa è del babbo, che urla sempre… la colpa è del maestro, che ha bisogno di farmi scomparire tutti i giorni dinanzi a’ miei compagni di scuola”. Da quel giorno Masino cominciò a pensare alle tantissime ingiustizie che doveva sopportare. E come lui anche tanti altri ragazzi come lui. Perciò un giorno a Masino venne naturale la domanda: “Se mi facessi il difensore dei ragazzi come me?”. Prima pensò di scrivere un libro, una commedia “per dare una buona lezione ai babbi e alle mamme, e per correggere questi signori maestri, che sono peggio di tutti”. Ma poi, pensando alla commedia che poteva scrivere, gli venne il dubbio: “E se per disgrazia me la fischiano?”. No, doveva scegliere qualcosa di meglio. E allora pensò se “non sarebbe più liscia se scrivessi invece un bel raccontino, da mettersi sui giornali?”. Pensato, fatto. Il racconto lo intitolò “Un Ragazzino Modello, ossia una buona lezione per i genitori e per i maestri di scuola”. Il racconto cominciava così: “Masino era il più buon figliolo di questo mondo. Il suo babbo e la sua mamma lo sgridavano sempre, e lui li lasciava sgridare: il suo maestro, per cavarsi il gusto di punirlo, gli levava la colazione, e lui per prudenza faceva colazione prima di andare a scuola. Ma venne finalmente un giorno in cui i suoi genitori e il suo maestro si accorsero d’avere un gran torto a fargli sempre de’ rimproveri, e allora le cose andarono di bene in meglio”. E da quel giorno, come ci racconta Collodi, le cose andarono sempre meglio per Masino. La mamma non solo non lo sgridava, ma gli dava sempre ragione. Lei addirittura consigliava a Masino, quando lui non voleva andare a scuola, che “Per andare a scuola c’è sempre tempo […]. Non studiar tanto, perché a studiare c’è sempre tempo!”. Anche il babbo gli dava sempre ragione. Non solo ma era anche pronto a raccontare ai carabinieri delle punizioni che il maestro costringeva Masino a subire. Il babbo era pronto ad andare e dire al maestro che “…i maestri possono pretendere che i loro scolari sappiano la lezione… ma obbligarli a studiare, no, no, mille volte no!”. E come ci racconta Collodi “…il babbo andò davvero a trovare il maestro, e gli fece una bella lavata di capo, da ricordarsene per un pezzo”. Dopodiché il maestro capì di aver sbagliato e si pentì. E quando Masino andò poi l’indomani a scuola, Collodi ci assicura che il maestro, tenendo il berretto in mano, disse: “Scusa, sai, Masino, se l’altro giorno ti messi in penitenza. Fu uno sbaglio, perdonami: tutti si può sbagliare in questo mondo. Che cosa avevi fatto, povero figliuolo, da meritarti quel castigo? Non avevi imparato la lezione… Ma è forse questa una mancanza? Che forse gli scolari hanno l’obbligo di saper la lezione?”. E leggendo la fiaba possiamo sapere che finalmente “Agli esami della fin dell’anno, il bravo Masino si fece moltissimo onore, e il suo babbo e la sua mamma gli regalarono venti pasticcini e un panforte di Siena”. Quello aveva scritto Masino. Una volta scritto il Racconto, come ci conferma Carlo Collodi, l’autore della fiaba, Masino offrì il testo a “parecchi giornali, ma nessuno volle accettarlo. I più benigni si contentarono di ridergli in faccia”. Allora Masino, si consolò dicendo: “Peccato che nessuno abbia voluto pubblicarmi questo Racconto! Che bella lezione sarebbe stata per i genitori brontoloni e per i maestri tiranni! …. Ma ormai ci vuole pazienza! E i ragazzi, con la scusa di farli studiare, si troveranno sempre perseguitati!….”. Con queste frasi termina il Racconto di Masino che voleva apparire completamente diverso da quello che in realtà era. E, in più, voleva convincere anche tutti gli altri che era proprio come il Masino del Racconto da lui scritto e non quello che conoscevano e sgridavano sempre la mamma, il babbo ed il maestro. Così finisce questa fiaba. E come da tutte le fiabe, c’è sempre tanto da imparare e da tenere bene in testa. Perché potrebbero essere anche nella vita vissuta tante situazioni simili a quelle descritte nelle fiabe. Compresa “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati …” di Carlo Collodi.

    Quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Albania, potrebbe servire come soggetto non di una fiaba, ma bensì di un dramma, se non, addirittura, di una tragedia. Ma comunque ha qualcosa in comune anche con la sopracitata fiaba di Carlo Collodi. E la cosa in comune riguarda proprio la disperata tentazione di apparire all’opposto di quello che realmente si è. Da tempo lo sta facendo il primo ministro albanese, che cerca di apparire come un personaggio “interessante, originale e fuori dal comune”. Cercando anche, costi quel che costi, di convincere gli altri di una simile apparenza e soprattutto che lui è una persona perbene. Nonostante la realtà quotidiana, quella vissuta e sofferta, testimonia proprio il contrario. Il nostro lettore è stato da anni informato con tutta la dovuta oggettività, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dei continui abusi di potere, dei tantissimi e sovrapposti scandali di corruzione e di malgoverno che coinvolgerebbero direttamente e/o indirettamente proprio lui, il primo ministro albanese.

    Ma quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini che ci sono anche molte altre persone, rappresentanti politici ed istituzionali di altissimo livello, che cercano di apparire proprio per quelli che non sono. Come aveva tentato di fare Masino, nella sopracitata fiaba di Carlo Collodi. Ma, facendo riferimento soltanto a quello che è accaduto dall’inizio di questo mese di marzo in poi in Albania, non ci sono dubbi che ci siano anche altre persone che cercano di ingannare con le apparenze e di generare danni e gravissime conseguenze con le loro prese di posizione e le loro decisioni. E che, nascoste dietro quelle fasulle apparenze, agiscono per quello che realmente sono, recando ulteriori danni. Ma facendo riferimento a quanto è successo dall’inizio di questo mese risulterebbe che ci siano anche dei giudici, che con i veri giudici non hanno niente in comune, i quali, purtroppo, con le loro “decisioni” in palese violazione della Costituzione del Paese e delle leggi in vigore, stanno contribuendo, nolens, volens ad annientare il pluripartitismo ed a consolidare la nuova dittatura in Albania. Basta riferirsi alla decisione presa il 3 marzo scorso da tre giudici della la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana, in base alla quale è stata negata al maggior partito dell’opposizione di registrarsi per partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo. Il nostro lettore è stato informato di quella decisione la scorsa settimana (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023).

    Quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che il nuovo e “riformato” sistema di giustizia ormai è controllato direttamente e personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che significa la violazione del principio della separazione dei poteri, definito da Montesquieu già dal 1748 e che rappresenta un fondamentale criterio per giudicare e valutare se un sistema politico sia democratico, oppure un regime autoritario, una dittatura. Tutto l’operato delle istituzioni del nuovo e “riformato” sistema di giustizia in Albania dimostra e testimonia inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed in seguito attuata sottomissione del sistema alle volontà del primo ministro. Il che significa anche il voluto fallimento dei “buoni propositi” con i quali hanno cercato, alcuni anni fa, di convincere tutti sulla “bontà e validità” della riforma del sistema di giustizia in Albania. E si sa che l’ideatore di questa riforma è stata una Fondazione per la Società aperta che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa di oltreoceano. I rappresentanti di quella Fondazione ne hanno dichiarato con vanto la loro paternità, riferendosi alla riforma del sistema di giustizia in Albania. Ma non hanno mai ammesso il suo fallimento. E così facendo loro hanno cercato di apparire per quelli che non sono e di convincere anche gli altri e farli credere a quella ingannatrice apparenza. Anche di questa allarmante e preoccupante realtà il nostro lettore è stato da anni e spesso informato.

    Quanto è accaduto e sta accadendo, sia prima che in queste ultime settimane in Albania, dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che alcuni miseri individui, ubbidendo alle “direttive” pervenute dagli uffici governativi, fanno di tutto per apparire come i veri rappresentanti politici del maggior partito dell’opposizione. E così facendo diventano sempre più ridicoli ed incredibili. Ma il danno lo stanno recando e come. Chissà perché e per quale profitto?! Si tratta di alcuni individui i quali pretendono di rappresentare il maggior partito dell’opposizione, ma che invece riescono a malapena rappresentare se stessi. Anche perché il loro “capo”, nonostante avesse rassegnato le dimissioni come dirigente del partito il 21 marzo 2022, cioè un anno fa, risulta essere ancora in funzione per il tribunale di Tirana. Chissà perché?! Si sa però che lui, per anni, è stato la “stampella” del primo ministro e come tale sta miseramente servendo anche adesso. Di questi miseri e ridicoli “dirigenti politici” il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito. Così come è stato informato, altresì, del comportamento di certi “rappresentanti internazionali” in servizio in Albania, nonché di alcuni loro superiori, sia oltreoceano che nelle istituzioni dell’Unione europea. E tutti hanno una cosa in comune; sono degli ipocriti, che predicano bene ma razzolano male, cercando di nascondersi dietro delle ingannatrici apparenze. E così facendo hanno, purtroppo, sostenuto un autocrate, un dittatore che collabora con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali.

    Chi scrive queste righe è convinto e lo ripete spesso che quello restaurato in Albania in questi ultimi anni è un regime che, tra l’altro, si sforza di ingannare con le apparenze. Lo ha fatto sempre ma soprattutto lo sta facendo adesso,che si trova in vistose difficoltà dovute ai tantissimi scandali che si susseguono e che si sovrappongono. Chi scrive queste righe ha riletto con piacere la fiaba “L’avvocatino difensore…” di Carlo Collodi. Anche perché è convinto che la barba non fa il filosofo. E che le apparenze non possono ingannare a lungo neanche in Albania.

  • Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato

    I dittatori cavalcano avanti e indietro su tigri da cui non osano scendere.

    E le tigri diventano sempre più affamate.

    Winston Churchill

    Eraclito di Efeso era uno dei primi pensatori e filosofi della Grecia antica. Dai dati storici risulta essere vissuto tra il quinto ed il quarto secolo a.C. Ѐ stato considerato come il Pensatore oscuro da altri suoi contemporanei e dagli studiosi. Ma da diverse testimonianze dell’epoca tramandateci, risulterebbe che anche lui era convinto che il suo pensiero difficilmente potesse essere capito bene dagli altri. Il suo pensiero filosofico era stato raccolto nel libro Perì physeos (Sulla natura; n.d.a.) da lui scritto proprio mentre era in ritiro meditativo nel tempio di Artemide. Ma di quel libro, in seguito, sono rimasti solo dei frammenti, circa 130, dai quali è stato tramandato il suo pensiero filosofico. Un pensiero, quello, che è stato valutato e preso in considerazione da molti altri filosofi, fra i quali anche Aristotele e Socrate. Uno degli argomenti trattati da Eraclito di Efeso, come risulta dai frammenti pervenuti fino ai giorni nostri, è la lotta dei contrari. Per il filosofo si trattava di un rapporto incessante, di un legame ma anche di uno scontro perenne tra opposti. Per lui l’opposizione è una necessità e la realtà delle cose si manifesta attraverso una relazione tra le parti contrarie. Eraclito di Efeso era convinto che ciascun aspetto si oppone all’altro ma si sviluppa anche dall’altro. L’importanza delle opposizioni non vale solo per i fenomeni naturali. La storia, quella grande maestra, ci insegna, altresì, che le opposizioni, partendo da quelle di pensiero, ma anche quelle politiche, garantiscono lo sviluppo delle società umane. La storia ci insegna, però, che le conseguenze della mancanza di opposizione sono state sempre preoccupanti e spesso anche gravi. Quanto è accaduto, dall’antichità e fino ai giorni nostri, in diverse parti del mondo, dove le opposizioni sono state soppresse ne è una drammatica ma significativa testimonianza. La storia ci insegna che i regimi autoritari, le dittature hanno causato sempre sofferenze e privazioni. Ma la storia ci insegna anche che, in base all’universale principio della ‘lotta dei contrari’, nessun regime, nessuna dittatura è stata duratura. E per abbatterle sempre è stato necessario, se non indispensabile, la reazione contraria, la ribellione sociale. Si, perché la storia, quella grande maestra, ci insegna che nessun regime, nessuna dittatura si vince con dei processi democratici, comprese le elezioni. I regimi, le dittature si rovesciano con le sacrosante rivolte dei cittadini e poi si avviano i processi democratici, partendo da elezioni libere e pluripartitiche.

    Riferendosi ai dizionari, una dittatura viene definita come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”, mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848 nella sua opera intitolata Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.). In un regime autoritario e/o in una dittatura una sola persona, il dittatore e/o chi per lui, controlla tutti i poteri e cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario. In questi ultimi decenni, i dittatori cercano di controllare, e spesso ci riescono, anche quello che viene definito il quarto potere, i media. Un potere che non esisteva come tale quando Montesquieu definiva il suo principio. Negli ultimi decenni si stanno evidenziando anche delle forme camuffate di dittature che usano una facciata di pluripartitismo, ma dove in realtà tutto viene controllato e condizionato dal regime. Si cerca di far credere che la Costituzione del Paese venga rispettata, mentre invece tutto è semplicemente e realmente un inganno. Questa forma di camuffamento di solito è nota anche come una frode costituzionale, un golpe bianco, ossia un ipotetico colpo di Stato senza l’uso della forza.

    Ma in questi ultimi decenni si sta affrontando anche un altro tipo di dittatura, nota ormai come la dittatura del relativismo. Una realtà spesso trascurata, ma ciò nonostante ben presente, trattata da vari studiosi. Una realtà trattata anche nell’omelia durante una Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Era il 18 aprile 2005. All’inizio del mese, il 2 aprile, aveva lasciato questo mondo Karol Wojtyla, ossia Papa Giovanni Paolo II. E come da secolare tradizione, i cardinali dovevano eleggere il nuovo papa. Il cardinale Joseph Ratzinger, allora decano del Consiglio cardinalizio Patriarcale, ha presieduto la Messa per eleggere il nuovo Pontefice, che è stato poi eletto il giorno successivo dal Conclave. Ed è stato proprio il cardinale Ratzinger, che prese il nome Benedetto XVI. Ma durante l’omelia della Santa Messa del 18 aprile 2005, egli ha citato anche un passaggio della lettera di San Paolo ai Efesini, dove si scriveva: “Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” (San Paolo; Lettera agli Efesini; 4, 14). Poi ha aggiunto, dicendo: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quanti modi del pensiero […] dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. In seguito l’allora cardinale Ratzinger ha fatto riferimento al relativismo, cioè a quel modo di “lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’ [che] appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”. In seguito, convinto e perentorio egli ha ribadito: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Uno studioso, trattando il tema del relativismo e della facilità con la quale si passa da un concetto ad un altro, nonché la confusione che crea il relativismo, ha scritto che “Un’altro modo di dire della frase ‘dittatura del relativismo’, potrebbe essere la ‘tirannia della tolleranza’”.

    L’autore di queste righe, quando si tratta di dittature e delle conseguenze dell’indifferenza umana nei suoi confronti spesso si ricorda di una poesia molto significative scritta da Martin Niemöller, un noto teologo e pastore protestante tedesco, La poesia intitolata Prima vennero… tratta proprio delle conseguenze dell’indifferenza di fronte a quello che può succedere in una dittatura. Lo stesso pastore Niemöller è stato arrestato nel 1937 in seguito ad un ordine personale di Hitler, arrabbiato per un sermone del pastore. Da allora e fino al maggio 1945 è stato prigioniero in diversi campi di concentramento. Della sopracitata poesia esistono alcune versioni, a seconda dei Paesi dove veniva pubblicata. Ma l’autore, quando gli domandavano qual era la sua versione preferita, non aveva dubbi. Quella versione della poesia Prima vennero… recita così: “Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici,/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. L’autore di questa righe, riferendosi a questa poesia, ha scritto per il nostro lettore: “Sono parole che devono servire da lezione a tutti, in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo. Parole che dovrebbero far riflettere, per poi trarre le dovute conclusioni e agire di conseguenza. Perché, come la storia ci insegna, l’indifferenza e l’apatia, soprattutto in determinati momenti, potrebbero fare veramente male, sia alle singole persone che alle intere società. Perché i regimi totalitari e le dittature, restaurati anche grazie all’indifferenza e all’apatia umana, fanno veramente male e causano inaudite e crudeli sofferenze, sia alle singole persone, che alle intere società” (L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio; 24 giugno 2019).

    Durante questi anni il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche del restauro e del consolidamento in Albania di una nuova e pericolosa dittatura. Una dittatura sui generis che la propaganda governativa da anni cerca di camuffarla usando una facciata di pluripartitismo. Ma fatti accaduti, documentati, pubblicamente ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano inconfutabilmente che si tratta di una vera e propria dittatura. Si tratta in realtà di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato informato, con la necessaria e dovuta oggettività, di tante conseguenze drammaticamente sofferte in questi anni dagli albanesi. Ragion per cui, nonostante in Albania non si combatte come in altri Paesi, in questi ultimi anni, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione ha lasciato il Paese, richiedendo asilo altrove. E circa il 70% di coloro che sono andati via sono giovani. Tutto dovuto alla nuova dittatura in Albania. Una dittatura ed un dittatore che, sempre fatti accaduti alla mano, hanno fatto dell’abuso di potere e della corruzione due dei pilastri sui quali si fonda il nuovo regime. Così come sulla connivenza e la stretta collaborazione con la criminalità organizzata. Si tratta sempre di una dittatura corrotta e che corrompe, simile al suo rappresentante istituzionale, il primo ministro. Il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane di uno scandalo internazionale che vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo sul quale si sta indagando attualmente negli Stati Uniti d’America (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023). Tutto rimane da seguire.

    Ma mentre tutta l’attenzione pubblica e politica era concentrata su questo scandalo, venerdì scorso la dittatura è entrata di nuovo in azione. Ed ha usato una delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana. Tre giudici di quella Corte hanno semplicemente letto una decisione scritta negli uffici governativi. Loro sono stati resi semplicemente dei miseri prestanome. Una decisione che qualsiasi corte in qualsiasi Paese dove funziona il principio della separazione dei poteri di Montesquieu, non poteva mai prendere. Una decisione che neanche uno studente di una facoltà di giurisprudenza non poteva mai e poi mai prendere in considerazione, perché sarebbe stato bocciato subito dal professore. Ma in Albania succede anche questo. In Albania il primo ministro sta cercando di annientare l’opposizione, rafforzando così la sua dittatura, ormai smascherata. Una decisione con la quale il primo ministro ha deciso di privare il maggior partito dell’opposizione dal suo diritto costituzionale di partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo.

    Chi scrive queste righe seguirà e tratterà ampiamente quanto accadrà dopo questo atto allarmante e pericoloso della dittatura in Albania. Perché si tratta veramente di un atto molto pericoloso e che potrebbe avere delle imprevedibili conseguenze. E informerà il nostro lettore come sempre, con la dovuta oggettività. Egli è convinto che in una simile situazione bisogna non dimenticare quanto scriveva Benjamin Franklin. E cioè che ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Chi scrive queste righe, parafrasando Wiston Churchill, pensa che il dittatore albanese sta cavalcando avanti e indietro una tigre da cui non osa scendere. E la tigre diventa sempre più affamata.

  • Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico

    Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato.

    Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico.

    Lucio Anneo Seneca

    L’autocrate è una persona che esercita potere assoluto. Ѐ colui che agisce da padrone onnipotente e che impone con modi duri e anche disumani, la propria volontà. Una definizione che si trova nei dizionari e/o nelle enciclopedie. Etimologicamente la parola autocrate deriva dal greco antico ed è composta da due parole “se stesso” e “dominio/potere”. Perciò si tratta di una persona che ha concentrato su se stesso il potere. La storia ci insegna che ci sono stati tanti autocrati, dall’antichià e fino ai giorni nostri. Nomi noti e meno noti. Ognuno con le sue proprie caratteristiche, con le impronte delle rispettive epoche storiche, ma che tutti, comunque, hanno avuto in comune il multidimensionale potere esercitato. La storia però ci insegna che anche gli autocrati, i dittatori, da esseri umani, hanno dimostrato di essere stati preda delle proprie paure, angosce, attacchi di panico ed altre “debolezze” umane. Una dimostrazione e testimonianza molto significativa ci è stata trasmessa maestosamente da William Shakespeare nella sua ben nota tragedia “Macbeth”. Il personaggio principale della tragedia, un nobile scozzese, Macbeth, dopo aver ucciso il re della Scozia, diventa un tiranno onnipotente. Diventa un re senza scrupoli e convinto di aver fatto la cosa giusta uccidendo il re Duncan. Complice anche sua moglie, lady Macbeth. Ma, con il passare del tempo, diventa preda degli incubi e degli attacchi di panico che lo assalgono. Lui vede ovunque dei nemici, suoi oppositori e non si fida di nessuno. Alla fine, durante una battaglia, invoca l’oracolo delle streghe dal quale viene assicurato che nessun essere umano partorito da donna potrà ucciderlo. Ma il suo avversario sul campo, Macduff, che era nato con un parto cesareo, lo uccide decapitandolo. Finalmente la monarchia in Scozia viene restaurata e uno dei figli di Duncan prende il trono del padre.

    Purtroppo anche negli ultimi decenni gli autocrati, i dittatori, sono stati tanti e in diverse parti del mondo. Basta riferirsi a quelli che hanno costituito e guidato alcune dittature della prima metà del secolo passato in Europa. E anche a coloro che hanno gestito le dittature comuniste dopo la seconda guerra mondiale. Ma anche attualmente gli autocrati, i dittatori, sono non pochi e gestiscono il loro potere assoluto a seconda delle “caratteristiche locali”. Non di rado cercando di camuffarsi anche dietro delle fasulle “apparenze democratiche” dando vita così a delle forme di Stato che si presentano come combinazioni ibride tra i regimi totalitari con degli elementi di Stati democratici, comprese le elezioni e le facciate pluripartitiche. Elezioni che però vengono sempre controllate e condizionate dal potere dell’autocrate, il quale risulta sempre vincitore. Potere che cerca e spesso ci riesce a mettere sotto controllo tutto e tutti, compresi anche i sacrosanti diritti umani, innati e/o acquisiti. Tutto ciò mentre e nonostante gli Stati controllati dagli autocrati possano aver sottoscritto formalmente diverse Convenzioni internazionali che sanciscono proprio la difesa ed il rispetto di quei diritti. Basta riferirsi, purtroppo, a delle ben note realtà e solo in Europa in questi ultimi anni, come quelle in Russia, in Bielorussia, in Turchia o in qualche altro Paese, Balcani compresi. E nel suo piccolo, anche in Albania.

    Il nostro lettore da molti anni ormai, è stato spesso informato della drammatica, pericolosa e molto preoccupante realtà albanese. Tutto dovuto ad una ben ideata, programmata ed altrettanto ben attuata restaurazione di un nuovo regime autocratico, di una nuova dittatura sui generis camuffata da una fasulla facciata di pluripartitismo. Si tratta, in realtà, di un’alleanza pericolosa in azione tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata non solo locale, anzi, e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Soprattutto uno di quei raggruppamenti, da oltreoceano, è da tanti anni molto presente e molto attivo in Albania con dei “progetti” e delle “strategie” locali e regionali che, con dei finanziamenti continui e milionari, appoggia la costituzione di una “società aperta”. Ma che, fatti documentati alla mano, ha come obiettivo strategico ben altro: la costituzione di “porti franchi”, dove poi si possano gestire delle attività che non hanno niente a che vedere con la “società aperta”. Quanto sta accadendo nei Balcani occidentali ne è una eloquente dimostrazione. Così come, quanto sta accadendo in alcuni Paesi africani e in Sri Lanka ne è una inconfutabile testimonianza. Ma anche quanto sta accadendo con i flussi migratori che partono da paesi in guerra, in Nord Africa, in Medio Oriente, nonché da altri Paesi con delle grosse problematiche sociali e con una diffusa povertà molto preoccupante testimonia la falsità e l’ipocrisia della “facciata benefica ed umanitaria” di quel raggruppamento che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Proprio colui, o chi per lui, che da molti anni ormai ha selezionato ed ha appoggiato la “scalata politica” dell’attuale primo ministro albanese. Proprio colui che “finanzia” anche alcune ONG (organizzazioni non governative; n.d.a.) che sono presenti nelle acque del Mediterraneo e che hanno come obiettivo dichiarato quello di soccorrere, aiutare ed assistere i flussi continui dei profughi che scappano dai propri paesi e attraversano il Mare Nostrum in cerca di migliori condizioni di vita. Quanto è purtroppo accaduto nelle primissime ore della mattina di domenica scorsa, 26 febbraio, ad alcune decine di metri dalla costa crotonese, nei pressi della spiaggia della frazione Steccato di Cutro, sul mar Ionio, rappresenta una tragica testimonianza di quella “strategia” abusiva ed occulta che mira ad organizzare, controllare e gestire i flussi migratori che cercano di arrivare in Europa.

    Ebbene, se in Albania, dal 2013, quando ha avuto il suo primo mandato, l’attuale primo ministro, fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati ufficialmente alla mano, è diventato a tutti gli effetti un autocrate qual è, questo è merito anche e soprattutto dell’attivo e sempre presente appoggio del multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Un fatto ben noto ormai in Albania. Un fatto confermato anche dalle cattive lingue che molto difficilmente sbagliano nelle loro affermazioni per tutto ciò che accade lì. E per facilitare il compito dell’autocrate albanese, il suo “protettore” di oltreoceano ha pensato bene anche ad ideare, programmare ed attuare la riforma del sistema della giustizia in Albania. Una “riforma” che invece di garantire una giusta giustizia per i cittadini,  invece di garantire la meritata condanna per chiunque violasse la legge, partendo dalle più alte autorità dello Stato, ha garantito proprio il controllo di tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia personalmente dal primo ministro, il “prescelto”. Il nostro lettore anche di questa realtà è stato continuamente e oggettivamente informato da anni ormai. Così come, da anni, è stato informato anche della pericolosa connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale. Compresa quella italiana, soprattutto la “Ndrangheta”, molto attiva con dei finanziamenti miliardari in diversi settori in Albania. Ma anche per riciclare ingenti somme di denaro sporco in Albania, essendo diventato un Paese dove questa attività risulterebbe abbia l’appoggio del potere politico. Fatto confermato da alcuni anni anche dai rapporti ufficiali di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Così come dai rapporti di un’altra struttura specializzata, la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa grave, preoccupante e pericolosa realtà.

    Attualmente un altro scandalo vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo scoperto negli Stati Uniti d’America. Uno scandalo indagato per mesi e poi reso pubblico il 23 gennaio scorso. Uno scandalo che ha come principale protagonista un ex alto funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.). Uno scandalo che dal 23 gennaio scorso ad oggi sta avendo un vasto e molto dettagliato trattamento dai massimi giornali e media negli Stati Uniti. Uno scandalo che, nonostante i vari tentativi della propaganda governativa e degli “analisti ed opinionisti a pagamento” in Albania di “relativizzare” il caso e, cioè, di minimizzarlo e possibilmente di metterlo nel dimenticatoio, è diventato da più di un mese ormai’ una “patata bollente”. Si tratta di uno scandalo su cui stanno indagando da mesi negli Stati Uniti d’America. Sono due le procure; quella della capitale e quella di New York. E in tutte e due le indagini si fa un diretto e chiaro riferimento al primo ministro albanese, ad un ex agente dei servizi segreti albanesi e ad un “consigliere esterno” del primo ministro che, sempre da quanto è stato reso pubblico, ha goduto di un suo continuo supporto, nonché di un rapporto con lui che va ben oltre quello “istituzionale”. Ma, oltre alle due procure, sono anche due commissioni parlamentari, una del Congresso e l’altra del Senato, costituite in queste settimane che stanno altresì indagando sullo stesso scandalo. Il nostro lettore è stato informato, come sempre, con la dovuta oggettività di questo scandalo, tuttora in corso, in queste ultime settimane (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023).

    L’evoluzione delle indagini sullo scandalo, condotte dalle due procure, quella di Washington D.C. e quella di New York, nonché quelle condotte dalle due commissioni parlamentari, questa volta è fuori dal controllo personale del primo ministro albanese. Controllo che, invece, è ben evidente, documentato, testimoniato e ufficialmente denunciato riferendosi al sistema “riformato” della giustizia in Albania. Ragion per cui lui adesso, preso dal panico, sta facendo di tutto, costi quel che costi, per mantenere e rafforzare il suo pericoloso potere dittatoriale. Perché è l’unica sua speranza, approfittando della sua immunità istituzionale, di non essere condotto ed indagato, anche lui, negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui, adesso più che mai e costi quel che costi, il primo ministro e i suoi strateghi cercheranno di “vincere”, cioè di condizionare e manipolare il risultato delle prossime elezioni amministrative locali, previste per il 14 maggio prossimo. In più il primo ministro ed i suoi strateghi cercheranno di “annebbiare” e possibilmente di annientare tutte le accuse dei dirigenti dell’opposizione, legate allo scandalo in corso. Attualmente gli strateghi del primo ministro stanno cercando di attuare due obiettivi posti contemporaneamente. Il primo dei quali è il fermo rifiuto della costituzione di una commissione d’indagine per il primo ministro sullo scandalo in corso, come prevede e sancisce in modo chiaro ed indiscusso, l’articolo 77 della Costituzione della Repubblica albanese. Il secondo obiettivo è l’espulsione di sempre più deputati dell’opposizione dai lavori parlamentari. Fino al 23 febbraio scorso erano ventitré i deputati dell’opposizione espulsi in palese violazione del Regolamento del Parlamento albanese.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare questo scandalo in corso. E lo farà in seguito. Anche perché ogni giorno che passa si arricchisce di nuovi e scottanti dettagli. E ogni giorno che passa in Albania si tenterà di rafforzare, costi quel che costi, il potere assoluto del primo ministro, di quell’autocrate corrotto e che corrompe, ma che ormai è in preda al panico. Ragion per cui anche lui, come Macbeth, vede nemici dappertutto e non si fida più di nessuno, tranne alcuni pochissimi suoi fedelissimi. Per lui tutto è incerto ormai. Aveva ragione Seneca quando affermava che “Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico”.

  • Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe

    Beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

    Libro della Siracide; Antico Testamento; 14.1

    Così si legge nelle due prime righe del capitolo XIV del Libro del Siracide, nell’antichità noto come la Sapienza di Sirach. Un titolo che si riferisce all’autore, Giosuè di Sira (Yehoshua ben Sira; n.d.a.), vissuto nel secondo secolo avanti Cristo in Gerusalemme. Per poi proseguire, con l’affermazione che “Nessuno è peggiore di chi tormenta se stesso; questa è la ricompensa della sua malizia”. Il Libro del Siracide, è uno dei testi dell’Antico Testamento e parte integrante della Bibbia cattolica. Uno dei temi basilari della Bibbia è anche il rapporto tra quello che si semina e ciò che si raccoglie. Si tratta di un principio significativo che viene trattato spesso e sotto diversi aspetti, ma che comunemente è noto come il principio “Si raccoglie quello che si semina”. Non a caso si fa riferimento ad una delle più antiche attività dell’uomo: la semina. Un’attività quella che ha accompagnato sempre l’essere umano, dopo essere uscito da un periodo durante il quale l’uomo si nutriva per sopravvivere con quello che trovava nella natura. Ma nei diversi testi della Bibbia, sia in quelli dell’Antico Testamento, che del Nuovo Testamento, il principio “Si raccoglie quello che si semina” non si riferisce solo e soltanto a quell’antica attività della semina del terreno per raccogliere poi il prodotto che serviva per nutrirsi. Spesso si riferisce anche a delle azioni fatte dall’essere umano e le derivanti conseguenze, figurativamente considerate come “raccolte”. Nel Libro della Genesi, si racconta delle condanne proclamate da Dio alle sue due prime creature nel mondo: ad Adamo e a sua moglie. Lo stesso nome di Adamo in ebraico significa “uomo” e più in generale, “essere umano”. Dopo che, prima la moglie e poi Adamo, hanno mangiato la mela, il frutto proibito, compiendo così anche il peccato originale, Dio disse ad Adamo “…Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai! L’uomo (Adamo; n.d.a.) chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Genesi; 3 – 17, 20). Ma in altri testi delle Sacre Scritture, il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” passa dall’uso primordiale e basilare, quello della nutrizione, ad altri significati. San Paolo scrive ai Corinzi: “Or questo dico: Chi semina scarsamente mieterà altresí scarsamente; e chi semina generosamente mieterà altresí abbondantemente” (Seconda Lettera ai Corinzi; 9/6). Per poi scrivere ai Galatei: “Non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà. Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Lettera ai Galati 6;7-8). Lo stesso principio e concetto biblico si trova anche in altri testi. Il re Salomone affermava che “Chi semina iniquità raccoglierà guai, e la verga della sua collera sarà annientata” (Proverbi 22: 8). Mentre il profeta Osea constatava: “…Voi avete arato la malvagità, avete mietuto l’iniquità, avete mangiato il frutto della menzogna” (Osea 10:13). Invece in tempi molto recenti, sempre riferendosi al principio biblico “Si raccoglie quello che si semina”, lo scrittore e filosofo italiano Amedeo Rotondi affermava, tra l’altro, che ‘Gli autoritari subiranno dure imposizioni” e che “I persecutori saranno a loro volta perseguitati”.

    Il principio biblico, ma non solo, secondo il quale “Si raccoglie quello che si semina” trova una concreta affermazione in queste ultime settimane anche in Albania. E si tratta del primo ministro del Paese. Di colui che, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta essere un autocrate corrotto e che corrompe. Ci sono tanti scandali in corso, ma anche tanti altri, messi da anni nel dimenticatoio, con la forza del potere, che coinvolgono direttamente il primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato, nel corso degli anni, a tempo debito e a più riprese, di una simile realtà vissuta e sofferta. Le conseguenze di una simile realtà stanno facendo soffrire tanti albanesi, i quali, trovandosi da anni ormai nell’impossibilità di trovare lavoro, privati dalla protezione del sistema “riformato” della giustizia e rimasti senza speranza per il futuro, hanno scelto di scappare all’estero. Generando così una grave situazione, le cui conseguenze, a sua volta, si faranno sentire pericolosamente a medio e lungo termine. Ma altri fatti che stanno accadendo e si stanno rendendo pubblici in queste ultime settimane hanno messo in grosse e vistose difficoltà anche colui che ha causato tanta sofferenza. Proprio il primo ministro albanese. Colui che stia finalmente subendo le conseguenze di quello che ha precedentemente fatto. Il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” non fa eccezione. Il karma, concetto originario della cultura indiana, di fondamentale importanza nelle religioni buddista ed induista, sembra che si stia verificando anche per lui. E non per merito e neanche grazie al sistema “riformato” della giustizia albanese. Perché, fatti da anni accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, quel sistema è sotto il diretto e personale controllo del primo ministro albanese e/o di chi per lui. Tutto è dovuto a due diverse indagini svolte e tuttora in corso negli Stati Uniti d’America. Si tratta di indagini che si stanno effettuando, separatamente, dalla procura di Washington D.C. e da quella di New York da molti mesi. Il nostro lettore è stato informato anche di queste indagini. Il nostro lettore è stato informato tre settimane fa che “…Il 21 gennaio scorso, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, veniva arrestato un uomo di 54 anni, un importante ex funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.), con ventidue anni di carriera presso quell’Ufficio Federale.  […] Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI nella capitale statunitense fino al 2016, per poi dirigere, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York”. In più il nostro lettore veniva informato anche che il primo ministro albanese “…nel settembre scorso, proprio riferendosi all’ex alto funzionario del FBI ormai sotto indagini, dichiarava che “il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Mentre l’ultima volta che è apparso in pubblico cinque giorni fa, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha detto che si era creato un “malinteso”. Si perché lui, il primo ministro, si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023).

    Nel frattempo lo scandalo si sta allargando e tra le persone coinvolte direttamente in rapporti di “collaborazione” con l’ex alto funzionario dell’FBI, risulta esserci anche il primo ministro. Colui che, tra l’altro, sempre secondo le dichiarazioni ufficiali delle autorità giudiziarie statunitense, rese pubblicamente note, avrebbe usato la persona indagata, dietro pagamento e con delle informazioni uscite dal suo ufficio, per attivare delle attività lobbistiche contro l’opposizione politica albanese. Attività lobbistiche che poi avrebbero ricattato colui che dal 2013 e fino al 2022 aveva usurpato la direzione del più grande partito dell’attuale opposizione albanese. E sembrerebbe, sempre fatti accaduti alla mano, che quell’obiettivo fosse stato raggiunto. Dalle stesse indagini risulterebbe che insieme con il primo ministro albanese siano stati direttamente coinvolti, al suo servizio, anche un ex funzionario dei servizi segreti albanesi ed un “consigliere esterno” del primo ministro. Una persona, quest’ultima, che ha goduto da lui di un “trattamento speciale”. Una persona che ha avuto però “utili rapporti di conoscenza” anche con i dirigenti delle organizzazioni malavitose e trafficanti di stupefacenti in Messico. Rappresentanti che il “consigliere esterno” ha accompagnato nell’ufficio del primo ministro due anni fa. Lui, lo stesso “consigliere esterno” del primo ministro, ha avuto da anni anche dei “rapporti di lavoro e di rappresentanza’ con note ditte di imprenditoria in Cina e con “utili” riferimenti anche in Russia. Ultimamente il “consigliere esterno” del primo ministro albanese risulterebbe essere stato anche in “buoni rapporti di collaborazione” con il figlio dell’attuale presidente statunitense. Quanto sopra risulta dalle indagini svolte sia dalla procura della capitale statunitense, che da quella di New York e rese ufficialmente pubbliche. Così come risultano anche dalle indagini giornalistiche e dalle informazioni fondate e professionalmente verificate di giornali ed agenzie mediatiche statunitensi, tra le più note internazionalmente.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe, sempre riferendosi allo stesso scandalo ed al diretto coinvolgimento del primo ministro albanese, continuava ad informare il nostro lettore. Tra l’altro egli scriveva “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti, documentati e che si stanno verificando anche in queste settimane alla mano, è riuscita a corrompere anche alcuni alti funzionari dell’FBI”. E poi in seguito aggiungeva che “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti alla mano, con i miliardi accumulati dalla diffusa e radicata corruzione e dallo smisurato abuso di potere riesce a corrompere anche i media e non solo in Albania”. Ma da quanto sta accadendo dal 23 gennaio scorso, forse anche da prima, bensì da sempre nuovi e importanti “dettagli investigativi” che ogni giorno che passa si stanno rendendo pubblicamente noti al vasto pubblico internazionale, nonché a quello albanese, sembrerebbe che il primo ministro albanese si sia “stranamente ammutolito”. Il nostro lettore la scorsa settimana è stato informato anche di questo. “…E ‘stranamente’ da tre settimane ormai, il primo ministro albanese è ‘scomparso’. Colui che non perdeva occasione per apparire, adesso non si presenta neanche in parlamento, nonostante gli obblighi istituzionali e le richieste ufficiali fatte dall’opposizione per chiarire la sua posizione che lo coinvolge direttamente nello scandalo insieme con il suo ‘amico’, l’ex funzionario dell’FBI, ormai sotto indagini. Chissà perché?!” (Un regime corrotto e che corrompe; 13 febbraio 2023). Ma durante questa ultima settimana i fatti pubblicamente noti e/o quelli riservati ad una ristretta e confidenziale audience sembrerebbe abbiano ulteriormente condizionato lo stato d’animo del primo ministro albanese. Anche la settimana appena passata, egli è stato quasi sempre assente, ignorando i suoi obblighi istituzionali, ma smettendo di fare anche quello che faceva sempre: apparire pubblicamente per puri e semplici motivi di propaganda. Ragion per cui le cattive lingue stanno parlando ormai sempre più di tormentose angosce di un autocrate corrotto e che corrompe. E le cattive lingue in Albania, come ben si sa, difficilmente sbagliano. Angosce e tormenti, quelli del primo ministro, che sono delle dirette conseguenze delle sue malefatte in tutti questi anni in cui ha gestito abusivamente la cosa pubblica in Albania. Di colui che, fatti accaduti alla mano, è stato, almeno istituzionalmente, il promotore ed attuatore della restaurazione e del consolidamento della nuova e pericolosa dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di pluripartitismo. Di una dittatura in base alla quale è la pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e internazionale e certi raggruppamenti occulti, internazionali, ma soprattutto statunitensi. Il 20 febbraio 1991, è stata finalmente abbattuta la statua del dittatore comunista, in pieno centro di Tirana. Allora nessuno avrebbe pensato che 32 anni dopo un’altra dittatura l’avrebbe sostituita. Adesso, proprio lui, il primo ministro albanese sta subendo le inevitabili conseguenze di tutto quello che consapevolmente ha fatto. Adesso lui sta subendo le conseguenze del concetto biblico “Si raccoglie quello che si semina”.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, condivide il pensiero biblico, secondo il quale è beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

  • China Covid: Chinese TV censors shots of maskless World Cup fans

    The phrase “football is nothing without fans” has become so accepted as to be cliché among some commentators. But Chinese state TV has been testing that assumption to its limit throughout the World Cup.

    On Monday, as Ghana beat South Korea in a classic World Cup clash, subtle changes to China’s coverage of the match ensured viewers were not exposed to images of maskless supporters – and to a world moving on from Covid restrictions.

    Those watching on the BBC – and in most places around the world – will have seen their screens filled with the image of a beaming, maskless, Ghana fan celebrating excitedly as the camera zooms in.

    After Mohammed Kudus fired home the winner in the 68th minute, images of dancing and cheering fans – as well as shots of anxious South Korea fans – were beamed around the world.

    But not in China, where those watching on the state broadcaster’s sports channel, CCTV 5, will have experienced these moments differently.

    Instead of being shown the raucous fans, Chinese viewers saw the reactions of South Korea’s coach Paulo Bento and Ghana manager Otto Addo.

    And as the game reached its conclusion, shots of tearful South Korea supporters with their heads in their hands were conspicuously absent on the Chinese output.

    The change is subtle but very deliberate.

    As anti-lockdown protests rock China, state TV executives have been careful to avoid beaming images of a world largely moving on from Covid-19 restrictions into citizens’ homes.

    It is not unusual for broadcasters at major tournaments to be given the option of choosing their own camera angles, and some often set a slight delay to allow the editing and selection of pictures before the public sees them.

    The BBC observed that there was roughly a 52-second delay between its own coverage of the match and CCTV 5’s.

    But in this case, the changes appear to have come after images of maskless fans celebrating in packed stadiums stoked anger in China, where snap lockdowns and restrictions remain commonplace and controversial.

    Social media users in China were quick to notice the change, with many expressing frustration at how differently the rest of the world now seems to be treating Covid.

    An open letter questioning China’s ongoing zero-Covid policies and asking if it was “on the same planet” as Qatar quickly spread on messaging app WeChat last week, before being censored.

    “On one side of the world, there is the carnival that is the World Cup, on the other are rules not to visit public places for five days,” one user of the Weibo social media platform wrote.

    Even the state-backed Global Times newspaper has conceded that some fans are “choosing to watch the games at home with their families” as many Chinese cities remain under restrictions.

    And while wide angle shots showing some maskless fans are impossible to avoid completely, close up images of supporters enjoying the action free from restrictions are unlikely to return for Chinese fans.

  • Iran protests: Security forces intensify deadly crackdown in Kurdish areas

    At least 30 anti-government protesters have been killed by security forces in Kurdish-populated cities in west Iran in the past week, a rights group says.

    Hengaw reported that seven had died since Sunday in Javanroud alone, amid an intense crackdown by Revolutionary Guards armed with heavy weapons.

    On Monday, the funerals of two protesters turned into a mass rally.

    In one video, a protester can be heard saying the Revolutionary Guards are firing machine guns at people’s heads.

    The footage, which has been verified by BBC Persian, also appears to show people covered in blood lying on a street and someone shouting that a girl has been shot in the head. Automatic gunfire can also be heard.

    A mother who was worried about the fate of her young daughter and son protesting in the town posted an emotional appeal to people elsewhere in Iran, saying: “Please help us, they are killing everyone, killing our youth. Why aren’t people in Tehran coming out to the streets? Please help Kurdistan, help our youth.”

    The BBC also obtained on Monday a video showing a convoy of Revolutionary Guards with machine guns mounted on pick-up trucks heading to Mahabad, which has also witnessed intense confrontations recently.

    The city’s member of parliament, Jalal Mahmoudzadeh, said at least 11 people had been killed there in the past week.

    In Piranshahr, another small town, tens of thousands participated in the funeral of Karvan Ghadershokri, a 16-year-old-boy who was killed at a protest. A crowd earlier gathered in front of his parents’ house to prevent security forces from stealing his body.

    Every such funeral has turned into a mass rally against the clerical establishment. In response, security forces have taken away a number of protesters’ bodies and buried them in secret, without the presence of their families and friends.

    The protests that have spread across Iran like wildfire over the past two months started in the Kurdish region.

    They were sparked by the death in custody of Mahsa “Zhina” Amini, a 22-year-old Kurdish woman who fell into a coma after being arrested by morality police in the capital Tehran for allegedly wearing “improper” hijab.

    The Kurdish region has remained an epicentre of the unrest and has been a focus of the deadly crackdown by security forces.

    Iranian authorities have accused armed Kurdish opposition groups based in neighbouring Iraq of instigating “riots” in the region, without providing any evidence. The videos posted on social media have shown unarmed protesters confronting security personnel.

    Hengaw, which is based in Iraq’s Kurdistan Region, said last week that more than 80 protesters had been killed and 4,000 others detained in Kurdish-populated areas alone.

    The Human Rights Activists News Agency (HRANA), which is based outside Iran, has put the nationwide toll at 419 and also reported the deaths of 54 security personnel.

  • Gravose conseguenze di certe complicità internazionali

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Da più di otto mesi ormai continua in Ucraina la guerra, quella che il dittatore russo continua a chiamarla, con un irritante cinismo, “un’operazione militare speciale”. Sono state tantissime le atrocità e le barbarie subite in questi mesi dalla inerme ed innocente popolazione ucraina, anziani, donne e bambini compresi. Sono alcune migliaia i morti tra la popolazione ed il numero purtroppo continuerà a crescere. Una realtà quella vissuta e sofferta durante questi mesi in Ucraina le cui conseguenze si faranno sentire anche dopo la fine della guerra. Lo sfollamento massiccio del Paese rappresenta un ulteriore danno subito, con un grande costo umano ed economico per gli anni a venire. Si, perché come ci insegnano gli specialisti, la mancanza delle persone, sia perché sono morte, sia perché si sono allontanate, rappresenta sempre anche un significativo costo economico per il Paese. Ma sono purtroppo immensi anche i danni materiali dovuti ai continui bombardamenti delle forze armate russe. Danni miliardari e per ripristinare tutto serviranno anni. Una guerra quella in Ucraina che, nel frattempo, ha scombussolato tutto il mondo. Una guerra quella che ha causato gravi crisi, le quali coinvolgono e coinvolgeranno, anche nel prossimo futuro, molte popolazioni, oltre a quella ucraina. Crisi alimentari, energetiche, economiche e finanziarie che avranno anche delle drammatiche ripercussioni umanitarie e demografiche. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, in diversi Paesi del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza.

    Ma quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, dopo l’inizio della barbara aggressione russa in Ucraina il 24 febbraio scorso, ha evidenziato anche delle responsabilità. Prima di tutto delle responsabilità dirette, come quella del dittatore russo e dei suoi seguaci. Ma anche responsabilità indirette, dovute a diverse ragioni, di alcuni massimi e/o alti rappresentanti di determinati singoli Paesi e delle istituzioni internazionali. Responsabilità causate e derivanti da determinati interessi economici, energetici e non solo, di singoli Paesi. Ma anche da certe complicità e da rapporti di amicizie personali con il dittatore russo, di alcune massime autorità, attuali e/o del passato di quei Paesi. Responsabilità e complicità sulle quali, purtroppo adesso, dopo l’inizio della guerra, si sta cercando di stendere un velo pietoso. Sono veramente pochi coloro che hanno pubblicamente assunto le proprie responsabilità, indirette e/o derivanti che siano, su tutto quello che da più di otto mesi ormai, sta accadendo in Ucraina.

    Era il 15 agosto dell’anno scorso. Dopo alcune settimane di scontri armati, in diverse parti del territorio, le forze militari occidentali, che da venti anni erano stanziate in Afghanistan, hanno cominciato la loro ritirata. Purtroppo, fatti accaduti alla mano, si è trattato di una vergognosa e caotica ritirata. Il simbolo di quello che stava accadendo dopo il 15 agosto 2021, quando i talebani presero il controllo di Kabul, era proprio l’aeroporto della capitale. Un vero e proprio caos generale che continuava senza interruzione, giorno e notte. Erano i militari stranieri, soprattutto quelli statunitensi, molto più numerosi, che salivano sugli aerei. Ma vi erano anche tanti cittadini afgani, disperati ed impauriti dall’arrivo dei talebani, che cercavano, a tutti i costi, di salire su qualche aereo e lasciare il Paese. Erano in migliaia che scappavano, spesso senza sapere neanche dove sarebbero finiti. Nel frattempo era “sparito” anche il presidente afgano. Una persona che doveva essere l’ultimo a lasciare il Paese, ma che, invece, era scappato con i suoi e sembrerebbe, secondo diverse fonti mediatiche, anche con una ingente somma di denaro. Cosa è accaduto dopo quel 15 agosto dell’anno scorso purtroppo ormai è di dominio pubblico. I talebani all’inizio hanno cercato di presentarsi diversi da quelli del 2001. Pochi giorni dopo aver preso il controllo della capitale, i talebani promettevano che avrebbero costituito “un governo islamico e responsabile”. Promettevano un nuovo governo che avrebbe avuto due “anime”: una religiosa e una politica. Un nuovo governo “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. In più, il 6 settembre 2021, i talebani dichiaravano, tramite il loro portavoce ufficiale, che loro volevano “buoni rapporti con il mondo”. E per dar credito a quella volontà, hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che avevano rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso.

    Sono state tante le analisi fatte dopo il ritiro dall’Afghanistan delle truppe occidentali, soprattutto quella statunitense. Sono stati pubblicati documenti finanziari e valutazioni sui tanti enormi investimenti fatti durante i venti anni in Afghanistan, sia per il mantenimento delle truppe militari, che per la ricostruzione ed il ripristino della normalità nel Paese. Ma anche per la costituzione di tutte le nuove e necessarie istituzioni democratiche che dovevano gestire la vita pubblica. Ebbene, dalle analisi fatte, dai documenti, almeno quelli resi pubblici, e dalle valutazioni finanziarie fatte risulterebbe che ingenti somme, migliaia di miliardi spesi, non hanno potuto avviare nel Paese un vero e proprio processo di democratizzazione. Anzi! La corruzione divorava miliardi sotto gli “occhi vigili” dei rappresentanti internazionali. Dalle analisi fatte e dai documenti resi pubblici risulterebbe che sono stati proprio quei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, che hanno “chiuso gli occhi”, permettendo proprio al presidente di avere il suo mandato dopo delle elezioni manipolate con vari modi. Proprio a quel presidente che, dopo l’entrata dei talebani a Kabul nell’agosto delle anno scorso, è scappato carico di milioni, secondo le cattive lingue, lasciando in fuga, tra i primi, quel Paese che doveva lasciare per ultimo.

    L’autore di queste righe, nel suo piccolo, ha trattato per il nostro lettore il caotico e vergognoso ritiro delle truppe armate occidentali dall’Afghanistan, partendo dal 15 agosto 2021 (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 31 agosto 2021; Apparenze che ingannano, 6 settembre 2021; Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021 ecc…). Ha analizzato anche il comportamento “ambiguo” dei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, sia durante la presenza delle forze armate internazionali in Afghanistan, che in altri Paesi del mondo. Ma egli ha anche evidenziato il comportamento corretto ed in pieno rispetto della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche del 1961, di altri rappresentanti istituzionali statunitensi. Uno di quelli era l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti, nominato nell’estate 2021, in seguito all’omicidio del presidente haitiano. A metà settembre dell’anno scorso, solo un mese dopo il vergognoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan, lui ha presentato le sue dimissioni al Segretario di Stato affermando “…con grande delusione e scuse a chi cerca cambiamenti fondamentali”. Nella sua lettera di dimissioni l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti esprimeva la sua convinzione che gli Stati Uniti d’America sbagliano dando il loro supporto a persone non democraticamente elette. Affermando, convinto, che “…l’orgoglio che ci fa credere che dobbiamo scegliere [noi] il vincitore, di nuovo, è impressionante. Questo ciclo di ingerenze politiche internazionali ad Haiti ha prodotto sempre dei risultati catastrofici” (Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021). Ed i fatti accaduti non solo in Afghanistan ed Haiti, ma anche in altri Paesi del mondo, dimostrerebbero e testimonierebbero che l’attuazione, da parte degli Stati Uniti d’America, della dottrina Truman (presentata il 12 marzo 1947 dall’allora presidente statunitense Harry Truman; n.d.a.), non ha raggiunto i suoi obiettivi, tra i quali anche “l’esportazione della democrazia” in quei Paesi dove sono intervenuti, in vari modi ed in periodi diversi, gli Stati Uniti d’America. L’autore di queste righe, riferendosi alla presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, dopo il vergognoso e caotico ritiro delle truppe occidentali, scriveva tra l’altro per il nostro lettore che “…come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza”. Aggiungendo però che “il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!” (Apparenze che ingannano; 6 settembre 2021). Ed il tempo, da vero galantuomo, nonostante sia passato solo poco più di un anno, ha confermato, purtroppo, il vero volto dei talebani!

    Uno dei Paesi dove i “rappresentanti internazionali”, soprattutto quelli diplomatici statunitensi, hanno volutamente calpestato quanto è stato sancito dalla Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche è anche l’Albania. Il nostro lettore da anni è stato informato, fatti accaduti alla mano, di molti clamorosi casi di consapevole violazione degli articoli di questa Convenzione. Così come è stato informato anche del loro comportamento come se fossero dei “governatori” del Paese. Un ruolo questo realmente da loro esercitato in diversi casi ed in diverse occasioni, con il beneplacito di coloro che hanno governato l’Albania. Soprattutto dell’attuale primo ministro, che dal 2013 ad oggi ha avuto sempre il supporto dei diplomatici statunitensi, ma non solo. Loro hanno sempre applaudito i “successi” inesistenti, i “successi” sulla carta, ma fortemente propagandati dal primo ministro e dai suoi. Così come lui ha sempre avuto anche il “silenzio” degli stessi rappresentanti diplomatici, quando gli scandali si seguivano e tuttora si susseguono l’un l’altro. Scandali che in qualsiasi paese normale e democratico avrebbe subito causato la caduta del governo e anche l’avvio delle indagini per abuso di potere con il denaro pubblico ed altro. Ma i “governatori”, che parlano in inglese, così come altri “rappresentanti internazionali”, quando serve “non vedono, non sentono e non capiscono”, come se proprio non esistesse quello che realmente accade in Albania. E così facendo hanno permesso, nolens volens, anche alla restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, espressione dell’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata non solo albanese e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento, con la loro complicità i rappresentanti diplomatici e quelli delle istituzioni internazionali in Albania, quelle dell’Unione europea comprese, hanno contribuito alla paurosa e molto preoccupante diffusione della corruzione. Come risulta anche dai rapporti delle istituzioni internazionali specializzate. L’ultimo, della scorsa settimana. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento e con la loro complicità, i rappresentanti diplomatici e delle istituzioni internazionali in Albania hanno contribuito anche all’approvazione ed attuazione di una riforma del sistema della giustizia a servizio proprio del primo ministro. Ma la realtà, quella vera, vissuta e sofferta in Albania presenta anche altri preoccupanti aspetti. Uno dei quali è il continuo spopolamento dell’Albania. Da un ultimo rapporto dell’Eurostat pubblicato la scorsa settimana risulterebbe che gli albanesi, negli ultimi mesi, superavano anche gli ucraini come richiedenti asilo. In Ucraina però si sta combattendo una guerra, mentre in Albania si combatte con il regime del primo ministro, supportato anche dalla complicità dei soliti “rappresentanti internazionali”.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri simili argomenti da trattare per il nostro lettore, ma lo spazio non lo permette. Egli però continuerà a trattare di nuovo le gravose conseguenze di certe complicità internazionali. Nel frattempo è convinto, come lo era più di duemila anni fa anche Publilio Siro, che chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

  • Autocrati che usano gli stessi metodi non a caso si somigliano

    Io credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

    Leonardo Sciascia

    Tutto si è svolto e finito come era stato previsto. I lavori del XX Congresso nazionale del partito comunista cinese, iniziato il 16 ottobre, si sono conclusi una settimana dopo, il 22 ottobre scorso. Alla fine dei lavori circa 2300 delegati del congresso, presenti nella Grande Sala del Popolo, su piazza Tiananmen nel pieno centro di Pechino, hanno votato all’unanimità le modifiche della Costituzione, il documento base del partito. Costituito nel 1921 a Shanghai, città che allora era nota come la Concessione francese di Shanghai, il partito svolse in seguito il suo primo congresso nazionale che durò nove giorni, dal 23 al 31 luglio 1921. Durante quel congresso è stata approvata anche la prima Costituzione del partito comunista cinese. Un anno dopo, nel luglio 1922 e di nuovo a Shanghai si svolse il secondo congresso del partito, durante il quale si approvò anche l’iscrizione del partito all’Internazionale comunista. Basandosi sull’ideologia marxista e leninista, come anche il partito comunista dell’Unione sovietica, gli obiettivi del partito comunista cinese erano quelli tipici dei partiti di simile orientamento ideologico, costituiti in seguito in diversi Paesi del mondo. Tra quegli obiettivi, i più importanti erano il rovesciamento della borghesia e l’eliminazione delle distinzioni di classe. Obiettivi quelli per l’esercito rivoluzionario del proletariato che si doveva formare. In seguito, si doveva istituire la dittatura del proletariato che, a sua volta, doveva attuare la continua lotta di classe; un importante obiettivo permanente per il partito comunista che doveva guidare anche la nazionalizzazione dei mezzi di produzione.

    Durante il XX congresso nazionale del partito comunista cinese i delegati all’unanimità hanno approvato l’emendamento alla Costituzione del partito sul numero dei mandati, che non erano più di due, per il segretario generale. È stato proprio quell’emendamento che ha permesso all’attuale segretario generale di avere il suo tanto ambito terzo mandato. Il che ha ulteriormente rafforzato i suoi poteri che già erano grandi. Lo stesso emendamento stabiliva anche i cosiddetti “due stabili” e le “due salvaguardie”. Un modo tipicamente cinese per definire determinate cose. Il primo tra i “due stabili” sancisce che il segretario generale è il “nucleo” del partito. Il secondo stabilisce che le idee del segretario generale diventano anche i principi guida del partito. Mentre le “due salvaguardie” sanciscono lo status centrale del segretario generale all’interno del partito e l’autorità centralizzata del partito a livello nazionale. Misure quelle volute dal segretario generale, per consolidare ulteriormente il suo potere istituzionale, il ruolo guida del suo pensiero e della sua volontà all’interno del partito comunista cinese che in realtà è un partito – Stato.

    I delegati del XX congresso nazionale del partito comunista cinese hanno approvato all’unanimità anche una risoluzione finale. In quella risoluzione si ribadisce, tra l’altro, la ferma opposizione all’indipendenza di Taiwan. Tutto questo anche dopo la visita della presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America nei primi giorni dell’agosto scorso. Una visita che ha suscitato subito delle reazioni ufficiali e delle “esercitazioni militari” nei pressi dell’isola da parte della Cina. In quella risoluzione si conferma che la Cina farà “un’opposizione risoluta per scoraggiare i separatisti che cercano ‘l’indipendenza di Taiwan'”.

    Alla fine dei lavori del XX congresso nazionale del partito comunista cinese il segretario generale, durante il suo intervento conclusivo, sempre con il tipico modo cinese d’espressione, ha dichiarato: “Non saremo spaventati da pericolose tempeste, perché la gente ci darà sempre fiducia. Cavalcheremo sempre la tempesta con la nostra gente prendendo le loro priorità come nostre e agendo secondo i loro desideri, continueremo il duro lavoro per trasformare la loro aspirazione a una vita migliore in realtà”. Lui ha affermato, altresì, che “Di fronte a nuove sfide e test nel viaggio che ci attende, dobbiamo rimanere in allerta e rimanere sobri e prudenti come uno studente che affronta un esame senza fine. Non dobbiamo fermare i nostri passi nell’esercizio di una piena e rigorosa governance all’interno del partito. Dobbiamo assicurarci che il nostro partito secolare, il più grande del mondo, diventi sempre più vigoroso attraverso l’autoriforma e continui ad essere la solida spina dorsale su cui il popolo cinese può contare in ogni momento”. Il segretario generale del partito poi ha aggiunto: “Proprio come la Cina non può svilupparsi isolata dal mondo, il mondo ha bisogno della Cina per il suo sviluppo […] Attraverso oltre 40 anni di incessanti riforme e aperture, abbiamo creato i due miracoli di una rapida crescita economica e di una stabilità sociale di lungo termine”. Alla fine del suo discorso, fiducioso, dopo aver ottenuto il tanto ambito terzo mandato, il segretario generale del partito comunista cinese ha dichiarato che la Cina “creerà molte più opportunità per il mondo”. I lavori del del XX congresso nazionale del partito comunista cinese si sono conclusi con le note dell’Internazionale, suonata dalla banda militare. Un tipico e molto significativo messaggio di basilare appartenenza ideologica.

    Ma non è solo il segretario generale del partito comunista cinese, un partito – Stato, che ha rafforzato i suoi poteri istituzionali e personali in seguito a degli emendamenti costituzionali. Lo hanno fatto anche altri autocrati. Uno dei quali è il presidente della Turchia. Lo ha fatto con il referendum del 16 aprile 2017. Lui, fondatore nel 2001, del partito della Giustizia e dello Sviluppo (nella lingua turca Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.), dopo essere stato sindaco di Istanbul (1994 – 1998) e primo ministro dal 2003 fino al 2014, è stato eletto presidente della Turchia nell’agosto del 2014. In seguito, dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, il presidente turco ha deciso di rafforzare i propri poteri. Allora lui ha indicato e denunciato il mandante di quel colpo di Stato: Fethullah Gülen, suo amico fino a qualche anno fa.  L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di quel golpe. Egli scriveva tra l’altro che “Il fallito golpe del 15 luglio 2016 rappresenta un momento cruciale della recentissima storia della Turchia in cui è stato coinvolto direttamente e personalmente Erdogan”. Sottolineando che il presidente turco dopo il fallimento del golpe aveva soprattutto “…ideato e avviato un periodo di rappresaglie e di purghe”. Aggiungendo che lui “Vedeva e considerava nemici dappertutto, chiunque poteva essere e/o diventare un pericoloso avversario per lui. Perciò dichiarò guerra a tutto e tutti. Obiettivi e vittime, uccisi o condannati, decine di migliaia, tra alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, docenti universitari e insegnanti, artisti e altri ancora. E se questo non rappresenta un inizio di dittatura, allora cos’è?” (Erdogan come espressione di totalitarismo; 28 marzo 2017). L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore anche della cosiddetta Dottrina Davutoglu. Egli, tra l’altro, scriveva nel gennaio dello scorso anno anche di quella dottrina sottolineando che “…da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia”. Chi scrive queste righe informava il nostro lettore che “…La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwealth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un ‘catalizzatore e motore dell’integrazione regionale’. La Turchia deve non essere ‘un’area di anonimo passaggio’ ma diventare ‘l’artefice principale del cambiamento’. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina”. Ma da alcuni anni l’autore di queste righe ha trattato ed informato il nostro lettore, sempre basandosi sui fatti accaduti e documentati, anche dei rapporti di “amicizia e di fratellanza” tra il presidente turco ed il primo ministro albanese. Un rapporto quello che egli ha sempre considerato, basandosi soltanto sui fatti accaduti, pubblicamente noti e documentati, come occulto e fondato su delle sudditanze pericolose da parte del primo ministro albanese (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021; Amicizie occulte e sudditanze pericolose, 24 gennaio 2022).

    Espressione di quel rapporto di “amicizia e di fratellanza” ma anche di “sudditanza occulta” sono state anche le chiusure nella capitale dell’Albania, il 23 settembre scorso, di un collegio e di un‘asilo per bambini. Tutte e due parte di una fondazione turca finanziata dalla stessa persona accusata dal presidente turco come ideatore e organizzatore del sopracitato golpe del 15 luglio 2016 in Turchia. Quelle due chiusure, considerate del tutto ingiustificate e illecite secondo i dirigenti del collegio e dell’asilo, ma anche da noti professionisti di giurisprudenza e avvocati, sono state attuate solo poco dopo l’inizio di quest’anno scolastico. Non sono servite a niente le giustificazioni date dalla ministra dell’istruzione e da altri rappresentanti governativi. Anzi, hanno soltanto aumentato la diffusa convinzione che quelle chiusure sono state richieste espressamente dal presidente turco al primo ministro albanese e da quest’ultimo eseguite con ubbidienza. Come sempre. E come sempre in cambio di qualche “supporto” da parte del presidente turco, suo “caro amico e fratello”. Che le chiusure, il 23 settembre scorso, del collegio e dell’asilo sono state eseguite in seguito ad una richiesta del presidente turco, o da chi per lui, lo hanno in seguito affermato anche alcune fonti mediatiche in Turchia. Ma quello della chiusura del collegio e dell’asilo non sono stati un caso isolato. Perché due anni fa sono state chiuse tre altre scuole in altrettante città albanesi, sempre parte della rete di scuole ed asili della sopracitata fondazione finanziata dal nemico personale del presidente turco. Durante questi ultimi anni l’opinione pubblica in Albania è stata spesso informata delle ripetute richieste di diversi alti rappresentanti del governo turco, compreso anche lo stesso presidente turco, per delle drastiche misure restrittive nei confronti di tutte le scuole ed altre strutture di quella Fondazione. Ma altre richieste, ormai pubblicamente note, sono state ripetutamente fatte al primo ministro albanese ed altri alti rappresentanti istituzionali, in diverse occasioni, per intervenire e cambiare i vertici della Comunità musulmana albanese, sempre perché considerati come sostenitori del nemico personale del presidente turco.

    Due settimane fa è stata resa nota una notizia molto preoccupante. Un diplomatico turco è stato presentato al ministero degli Affari Esteri in Albania come parte attiva dei dirigenti ed alti funzionari dello stesso ministero. La notizia non è stata mai negata da chi di dovere. Il che ne è la diretta conferma della veridicità della stessa. E guarda caso, nello stesso periodo, all’inizio di questo mese, il primo ministro albanese è andato in Turchia per una visita ufficiale e si è incontrato con il suo caro “amico e fratello”, il presidente turco. Lo hanno reso noto le agenzie di stampa turche. Niente di anormale si potrebbe subito pensare. Ma solo il fatto che quella visita non è stata resa nota né dallo stesso primo ministro albanese, come fa sempre tramite i suoi “cinguettii” quotidiani e neanche dal suo ufficio stampa, crea molti sospetti sulla stessa visita. Chissà di cosa hanno discusso e si sono accordati questa volta i due “amici e fratelli”?!

    Chi scrive queste righe è convinto che non sono solo il segretario generale del partito comunista cinese e il presidente turco che hanno rafforzato i propri poteri istituzionali e personali con degli emendamenti costituzionali. Lo hanno fatto diversi autocrati e dittatori come quello russo ed altri. E, nel suo piccolo, lo ha fatto a più riprese anche il primo ministro albanese. Sono sempre degli autocrati che usano gli stessi metodi. Perciò non a caso si somigliano. Aveva ragione Leonardo Sciascia, il quale credeva che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

  • Per Putin la vita umana vale zero

    Un’altra imprevedibile, misteriosa morte nell’entourage di Putin. Dall’inizio del conflitto sono più di 10 i top manager dei quali si conosce la morte prematura ed improvvisa in circostanze più che sospette e probabilmente di altre non si sono avute notizie. D’altra parte il regime di Putin era già noto per aver fatto eliminare, anche nel passato, persone scomode allo zar.

    Certo ormai è chiaro anche ai più distratti che, dopo il massacro ordinato da Putin in Ucraina, per lui il valore della vita umana e zero.

    Vola giù da una barca Ivan Pechorin, top manager di Putin nel Nord Est. La faida dell’Artico: il predecessore era morto di ictus a febbraio a 43 anni – La Stampa, 13 settembre 2022

  • Un regime totalitario corrotto e malavitoso

    Lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione

    del concetto di giustizia nel mondo occidentale.

    Emil Brunner

    Un regime totalitario, in base a delle realtà storiche, soprattutto del secolo passato, si definisce generalmente come una forma di’organizzazione e funzionamento dello Stato caratterizzata da una totale concentrazione e controllo del potere da parte un partito, un gruppo ristretto di persone o da una sola persona. Un regime totalitario, sempre facendo riferimento alle note realtà storiche, analizzate, studiate e riferite dagli specialisti, si distingue dalle altre forme di organizzazione e di funzionamento dello Stato anche dalla continua messa in atto del controllo di tutto e tutti, negando e annientando i diritti e le libertà innate e quelle acquisite dell’essere umano. Si tratta di una definizione che non cambia, in principio, dalla definizione che gli studiosi danno alla dittatura. In entrambi i casi il potere si concentra e viene esercitato da una sola persona, il dittatore, l’autocrate, o da un ristretto gruppo di persone molto fedeli a lui. La storia, sia quella del secolo passato che di quello attuale, ci insegna però che alcuni regimi totalitari/dittature sono stati inizialmente costituiti in seguito a processi elettorali, che generalmente vengono considerati come processi che caratterizzano lo Stato democratico. Ma, dopo essere stati costituiti, i regimi totalitari/le dittature permettono ed organizzano solo dei “processi elettorali” di facciata, per dare una parvenza di normalità, lì dove la normalità non esiste, anzi! Si tratta perciò proprio di una ben ideata, organizzata ed attuata strategia di camuffamento della vera, vissuta e sofferta realtà che caratterizza i regimi totalitari/le dittature. Una strategia che usa come facciata anche l’esistenza di una Costituzione che consapevolmente però non viene mai rispettata. Oppure viene rispettata soltanto quando “giustifica” le decisioni prese dal regime totalitario/dittatura. La stessa strategia che prevede e usa come camuffamento anche l’esistenza formale dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, senza però permettere la loro separazione e l’indipendenza reciproca. Poteri quelli previsti e funzionanti già nell’antichità, ma anche nel medioevo, adattandosi sempre alle specifiche condizioni storiche e sociali del periodo. La teoria della separazione dei poteri, così come viene applicata attualmente in tutti gli Stati realmente democratici, è stata analizzata, studiata, elaborata e proclamata da Montesquieu nel suo ben noto libro Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.), pubblicato nel 1748. L’autore di questo libro era convinto che “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Montesquieu era convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. L’autore di queste righe, informando il nostro lettore soprattutto della vera, vissuta e sofferta realtà albanese in questi ultimi anni, ha trattato spesso anche il pensiero di Montesquieu sulla separazione dei poteri.

    Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo in Albania, anche in questi ultimissimi giorni, dati e fatti alla mano, dimostra e testimonia purtroppo che da alcuni anni, dopo il crollo, nel 1991, della spietata dittatura comunista, è stato restaurato e si sta continuamente consolidando un nuovo regime totalitario. Un regime che l’autore di queste righe considera come una nuova dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di democrazia, classificata come “fragile” dalle istituzioni internazionali specializzate. Una nuova dittatura che fino a pochi mesi fa “beneficiava” anche di un’opposizione che serviva da “stampella” al primo ministro. Un regime totalitario questo che si sta consolidando in Albania, rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, ma che in realtà si presenta e realmente è una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario? La risposta è semplice. Perché in Albania ormai, dal 2013, il potere è stato sempre più concentrato e viene controllato ogni giorno che passa, da una sola persona, il primo ministro e/o da un gruppo ristretto di persone, che formalmente rappresentano anche un partito politico. Ma che più di un partito, è realmente un raggruppamento di persone unite non da un credo ed una ideologia politica, bensì degli interessi occulti. L’Albania ha, sì, anche una sua Costituzione, ma, fatti accaduti, documentati, pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, per il primo ministro la Costituzione è solo un documento che lui ignora quando gli interessa e fa riferimento solo per demagogia ed a scopi di propaganda. Non solo, ma proprio come diretta conseguenza del modo in cui il primo ministro ed i suoi “consiglieri speciali”, soprattutto quelli incaricati dalla “Società aperta” d’oltreoceano, hanno ideato, programmato ed attuato, da una decina di anni, la riforma del sistema della giustizia, in Albania non ha volutamente funzionato per alcuni anni neanche la Corte Costituzionale. Il nostro lettore è stato informato spesso di questo “dettaglio”, le cui conseguenze sono state e risultano tuttora essere, dati e fatti alla mano, preoccupanti e dannose. Così come il nostro lettore è stato informato continuamente e con la necessaria e dovuta oggettività anche del controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui delle nuove istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. In seguito il nostro lettore avrà modo di conoscere altri fatti che confermano “l’ubbidienza” di quelle istituzioni agli ordini e alla volontà personale del primo ministro. E siccome lui controlla anche la maggioranza necessaria del Parlamento, perciò controlla anche il legislativo, allora il primo ministro controlla tutti e tre i poteri previsti e descritti da Montesquieu. Poteri che purtroppo, invece di essere separati ed indipendenti, in Albania sono controllati ed ubbidiscono ad una sola persona: al primo ministro. Lui personalmente e/o tramite chi per lui, controlla anche la maggior parte dei media, soprattutto quelli a diffusione nazionale, grazie a dei “rapporti clientelistici preferenziali” con i loro proprietari. Un quarto potere, quello dei media, che non esisteva quando visse Montesquieu. Ed in più, come il nostro lettore è stato informato, dal 24 luglio scorso, tutto fa pensare che il primo ministro controlli alla fine anche l’istituzione della Presidenza della Repubblica. Raggiungendo così un ambito obiettivo posto da lui da alcuni anni. Allora se non è questo, restaurato da alcuni anni in Albania, un regime totalitario, una dittatura camuffata, come si potrebbe definire?! La risposta l’ha data Montesquieu già nel 1748, nel suo libro Spirito delle leggi, affermando convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. E si sa, come la storia ci insegna, che la tirannia, il regime totalitario e la dittatura, in pratica, sono la stessa cosa.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario che è anche corrotto? Ci sono innumerevoli dati e fatti accaduti quasi quotidianamente negli ultimi anni, almeno quegli pubblicamente noti ed istituzionalmente denunciati, che confermano la corruzione ben radicata in Albania. Sarebbero bastati anche una minima, ma veramente minima parte di quei dati e fatti per far cadere il governo. Si, ma in un Paese democratico però, non in Albania. Per rispondere alla domanda e confermare la corruzione diffusa in tutti i livelli istituzionali, l’autore di queste righe si riferisce allo scandalo degli inceneritori. Si tratta di uno scandalo, e di alcune persone molto altolocate coinvolte, del quale in nostro lettore è stato informato in questi ultimi mesi e anche tre settimane fa (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Da quale pulpito arrivano quelle minacciose prediche, 16 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022). Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, dati e fatti che ogni giorno diventano sempre più numerosi ed inconfutabili, dati e fatti pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali. Si tratta di uno scandalo che dimostra come si possono ingoiare centinaia di milioni di euro per degli inceneritori inesistenti, non funzionanti, ma che si pagano con i soldi pubblici come se fossero operativi. Si tratta di uno scandalo che, oltre a centinaia di milioni di euro dei soldi degli albanesi, sta inghiottendo anche finanziamenti dell’Unione europea. Ma si tratta però anche di un clamoroso scandalo che, nonostante le denunce depositate presso la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia, una procura speciale, non vi è stata nessuna reazione da parte di questa Struttura speciale. Chissà perché?! In realtà si sa perché. E lo sanno in tanti ormai in Albania. Gli unici che “non sanno, non vedono, non sentono e non capiscono niente” sono i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. Proprio quelli che da anni “applaudono i risultati straordinari” della riforma del sistema di giustizia in Albania, grazie anche allo “straordinario, valoroso e dedicato lavoro” delle nuove istituzioni del sistema. La Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata compresa!

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario corrotto e anche malavitoso? La riposte è semplice. Basta fare riferimento ai rapporti ufficiali, degli ultimi anni, delle istituzioni specializzate internazionali che trattano la criminalità organizzata in Albania. Oppure basta fare riferimento a delle inchieste svolte da alcune procure in Italia, ormai rese pubbliche. Risulterebbe che la particolarità del regime dittatoriale albanese è che si presenta come un’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti. Più chiaro di così!

    Chi scrive queste righe potrebbe riempire molte altre pagine su questo argomento, ma per questa volta si fermerà qui. Però, oltre alle responsabilità dirette del primo ministro e dei suoi “fedelissimi” sulla grave situazione in Albania, una grande responsabilità la hanno anche i soliti “rappresentanti internazionali”. Ma anche alcuni “grandi del mondo” che per delle “ragioni geopolitiche” chiudono un occhio e permettono il consolidamento di un regime totalitario corrotto e malavitoso in Albania. Chi scrive queste righe condivide la convinzione di Emil Brunner che lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione del concetto di giustizia nel mondo occidentale. Egli, riferendosi all’indifferenza di alcuni “grandi del mondo”, perifrasa quanto scriveva A.J. Cronin in un suo noto romanzo. E cioè che le stelle, lontane e fredde stanno a guardare…

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