donne

  • La giornata europea per la parità retributiva

    Il 3 novembre si è celebrata la giornata europea per la parità retributiva. Una ricorrenza, se così la si vuol chiamare, che cerca di attirare l’attenzione su un problema da tempo discusso ma che pare non accenni a vedere vie risolutive o, quantomeno, a proporre un miglioramento delle condizioni dell’ormai noto gap. Non si parla solo di Italia, contrariamente a quello che, troppo spesso, si cerca di far credere, ma di Europa dove le lavoratrici guadagnano in media circa il 16% in meno  dei loro colleghi uomini. Alla vigilia della ‘celebrazione’ il primo Vice Presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e le Commissarie Marianne Thyssen e Věra Jourová avevano affermato: “L’uguaglianza tra donne e uomini è uno dei principi basilari dell’Unione Europea. E’ ora di porre fine alle discriminazioni, di carattere retributivo, ancora esistenti tra queste due categorie. Tale disparità di trattamento riguarda anche le retribuzioni pensionistiche. Anche se non s’intravede una risposta immediata a tale questione, numerosi sono stati i progetti, pensati e proposti dalla Commissione per affrontare questa spinosa problematica. Non si deve rinviare in alcun modo il lavoro congiunto di Parlamento e Consiglio, affinché si possano adottare provvedimenti legislativi a livello europeo su tale questione. In particolare, insistiamo affinché venga garantito il diritto sia per i genitori che lavorano sia anche per chi presta assistenza ai familiari svolgendo, in parallelo, un’attività lavorativa, di usufruire di un congedo per aiutare la propria famiglia. Dopo la pubblicazione dei dati dell’euro barometro sulla necessità di un maggior equilibrio tra attività professionale e vita familiare, è oltremodo doveroso tradurre in un concreto risultato legislativo i piani decisi all’interno della Commissione”.

    Sono tante le situazioni, nel mondo lavorativo in cui è evidente una disuguaglianza nel trattamento retributivo tra lavoratori e lavoratrici: in particolare, le donne svolgono più lavori a tempo parziale, sono costrette a lavorare in settori in cui i salari sono più bassi, e spesso, hanno sulle loro spalle la responsabilità della gestione familiare.

    L’azione della Commissione si colloca all’interno del pilastro dei diritti sociali dell’Unione Europea e si traduce in molteplici iniziative, fra cui la proposta di una direttiva, volta proprio a salvaguardare il giusto bilanciamento tra attività professionale e vita familiare, assicurando sia a uomini sia a donne la possibilità di un congedo dal lavoro al fine di essere di aiuto per le proprie famiglie. La proposta di direttiva potrebbe essere adottata entro la fine dell’anno.

  • Giovanna Ferrante racconta Clara Maffei, una dell donne che hanno fatto grande Milano

    Si svolgerà martedì 9 ottobre alle ore 18.00 presso la Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi la conferenza di Giovanna Ferrante dedicata a Clara Maffei, patriota e intellettuale milanese che ha dato origine a uno straordinario salotto letterario, artistico e politico divenuto in breve tempo punto di riferimento per la vita ottocentesca milanese e rientra perciò tra Le donne che hanno fatto grande Milano. All’evento parteciperanno Arianna Censi, vicesindaco di Milano e Daniela Mainini, presidente del Centro Studi Grande Milano.

  • Ancora troppe lacune sul ruolo di donne e bambini nello stato islamico

    “Donne e minori sono pronti a svolgere un ruolo significativo nel portare avanti l’ideologia e l’eredità dell’IS dopo la caduta fisica del suo califfato verso la fine del 2017”. E’ quanto emerge dal rapporto del dipartimento di studi di guerra del King’s College di Londra del 23 luglio, secondo il quale  il numero di donne e minori che ritornano in Europa dallo Stato islamico in Iraq e in Siria è molto più alto di quanto si pensasse. Sembra infatti che un quarto dei circa 41.490 cittadini di tutto il mondo che hanno aderito allo Stato islamico tra aprile 2013 e giugno 2018 siano donne e minori e, sempre  secondo il rapporto,  per minori bisogna intendere neonati (0-4 anni), bambini (5-14 anni) e adolescenti (15-17 anni). L’Europa occidentale, rispetto a tutte le altre regioni del mondo, ha visto la seconda percentuale più alta di rimpatriati femminili e di minorenni fino al 55%, mentre l’Europa dell’Est ha registrato il 18%. La maggior parte dei rimpatriati dello stato islamico dell’Europa occidentale è finita nel Regno Unito, seguito da Francia e Germania. Delle 1.765 persone che sono note per essere tornate nell’Europa occidentale, circa il 47%, è costituito da minori e un altro 8% da donne. Le cifre però sono sottostimate perché mancano dati ufficiali dei governi. Si parla infatti anche di ‘affiliati’, non solo di ‘rimpatriati’, intendendo così tutte quelle persone che in un modo o nell’altro hanno avuto viaggiato, volontariamente o perché costretti, nelle aree occupate dallo stato islamico. Si ritiene che tali affiliati siano circa 5.904 nell’Europa occidentale, di cui circa il 25% minorenni e il 17% donne. Di questi, la maggior parte arriva dalla Francia (1.910), seguita dalla Germania al (960) e dal Regno Unito, 850. Se alcuni sono tornati, di altri non si sa nulla di certo, mentre altri ancora sono morti.  Il Regno Unito stima, per esempio, che circa il 20% dei suoi cittadini sia stato ucciso, mentre oltre il 50% è tornato. Per la Francia, si stima che il numero di minori nell’IS superi o addirittura sia il doppio di quello delle donne, con un massimo di 700 minori (compresi i bambini nati nei teatri di guerra) che dovrebbero rientrare dalla zona di conflitto. Il rapporto afferma inoltre che i paesi con la più alta percentuale di minori sono Kazakistan (65-78 per cento), Paesi Bassi (58%), Francia (24-37%); Cina (35%) e Finlandia (34%). E stima che circa 730 bambini sono nati nel califfato da cittadini stranieri di cui 566 nati solo da europei occidentali. In alcuni casi, come il Belgio, il numero di bambini nati sotto l’IS (105) è più del doppio di quello dei bambini e adolescenti (45), sottolineando così la necessità per gli Stati di prepararsi a un numero ancora maggiore di minori rimpatriati e in particolare di neonati. Se la situazione europea fornisce una serie di dati parziali, tante invece sono le lacune circa i paesi del nord Africa, così come delle zone direttamente coinvolte nel conflitto, rendendo difficile perciò avere un quadro generale della situazione.

  • Spain to introduce “only yes is yes” sexual consent law

    Spain’s deputy prime minister, Carmen Calvo, announced on Tuesday that the government will present an “only yes means yes” bill; the new law will make ack of explicit consent a case of sexual assault.

    Calvo is reacting to public indignation after a court allowed five men who gang-raped an 18-year old girl to walk with sexual abuse charges.

    The so-called “La Manada” case took place during the 2016 Bulls festival in Pamplona; the men got five years’ probation and a €10,000 fine each, rather than a 22-year sentence. The five men had filmed the whole incident and argued that the woman did not try to defend herself. During the trial, the girl said she submitted out of fear.

    The judge ruled that the perpetrators did not rape the victim but acted from a “situation of superiority” to intimidate her. Under Spanish law, that is not rape. Thousands of people took to the streets chanting “It’s not abuse, it’s rape.”

    Spanish media suggest that the new law will seek to emulate Sweden, the United Kingdom, Belgium, Iceland and Germany, where any sexual act that does not entail explicit consent is considered rape.

  • Gli eurodeputati sollecitano nuove norme contro mobbing e molestie

    Per combattere mobbing e molestie sessuali sul luogo di lavoro, gli eurodeputati della commissione diritti delle donne e uguaglianza di genere propongono nuove misure per aiutare le vittime a denunciare i casi e per assicurare sanzioni contro i responsabili. Gli eurodeputati deplorano il fatto che leggi e definizioni dei reati varino di molto da Stato a Stato in Europa, e chiedono alla Commissione Ue di proporre una direttiva contro tutte le forme di violenza sulle donne, che comprenda anche una definizione comune e aggiornata dei reati e standard legali per trattare tali crimini.

    “Le vittime non devono aver paura di denunciare i casi di violenza sul luogo di lavoro”, sottolineano gli eurodeputati che chiedono agli Stati Ue di incoraggiare politiche sui posti di lavoro basate sulla prevenzione, procedure confidenziali per gestire le denunce, e dure sanzioni dissuasive per i responsabili. “Il movimento #MeToo ha mostrato al mondo quanto grande e diffuso fosse il fenomeno di mobbing e molestie sessuali, anche nei luoghi pubblici e di lavoro”, ha detto Pina Picierno (S&D), relatrice della proposta, spiegando come bisogna partire da una “chiara definizione legale di molestia, concentrandosi sulle strategie per l’istruzione e affrontando il drammatico fenomeno delle molestie online».

  • Stockholm City council votes to ban sexist and racist advertising on billboards

    Stockholm City council voted on Monday in favour of removing sexist and racist ads from the city’s advertising billboards, Sverige Radio reports.

    The City council will process complaints on advertising that has already been posted; the complaints will then be processed, companies notified, at which point they will have 24-hours to take down their adds before the Council intervenes.

    Stockholm’s 700 billboards are managed by the transport commission; the commission will include a “sexism and racism” clause on contracts with advertising agencies and the system will no longer rely on self-regulation.

    By 2016, the Swedish Advertising Ombudsman reported between 250 and 1,000 complaints a year concerning gender discrimination. In approximately half the cases reported in 2015 (54%), the ombudsman upheld the complaints. In Sweden, gender bias in advertising is seen as discrimination against women rather than “indecency.”

    The ombudsman doesn’t have any sanctioning power but advertisers more often than not comply with instructions to pull out specific adds.

     

  • For Women In Science, il premio al talento nella ricerca declinato al femminile

    400 candidature arrivate da tutta Italia per sei borse di studio e proseguire così, nel proprio Paese, il percorso di ricerca scientifica. Anche quest’anno, nella splendida cornice della Sala di Rappresentanza dell’Università Statale di Milano, si è tenuto il Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”, giunto alla sedicesima edizione in Italia, ventesima da quando è stato istituito, che premia sei ricercatrici under 35 selezionate dalla giuria, presieduta dalla scienziata Lucia Votano, sulla base dell’eccellenza riconosciuta ai loro progetti di ricerca. Le vincitrici di questa edizione sono: Gabriella Giancane, Margherita Mauri, Giulia Pasqual, Maria Principe, Gloria Ravegnini, Daniela Rosso, tutte appassionate di scienza sin da bambine e caparbie per aver portato avanti i loro sogni che salvano vite e contribuiscono al benessere di tutti.

    Dal 1998 l’Oréal e UNESCO con ‘For Women in Scienze’ hanno conferito un riconoscimento a 3.100 scienziate (82 in Italia), 3.022 sono state le giovani donne di talento che hanno ottenuto una borsa di studio per realizzare progetti di ricerca promettenti, oltre 50 sono state le istituzioni scientifiche di alto livello coinvolte in tutto il mondo, 102 le laureate premiate per avere raggiunto l’eccellenza nelle scienze, incluse tre scienziate che hanno vinto il Premio Nobel, 53 i programmi di borse di studio a livello nazionale e regionale in 117 Paesi, oltre 400 le scienziate coinvolte nel processo di selezione nell’ambito di programmi a livello nazionale e regionale. Un progetto vincente che dimostra quanto la scienza abbia bisogno delle donne  e quanto le donne siano in grado di dare un apporto concreto alla scienza.

    I numeri farebbero pensare ad un grande passo in avanti rispetto al ruolo che le donne hanno nel campo della ricerca e delle tecnologia ma, come spesso è stato sottolineato anche nelle altre edizioni del premio, è ancora troppo evidente il gap che esiste tra i risultati e i successi ottenuti, al termine del corso di studi e specializzazione, dagli uomini rispetto a quelli delle donne, sebbene, statistiche alla mano, le giovani laureate superino il numero dei colleghi maschi e i voti ottenuti durante il percorso accademico raggiungano medie molto alte. Se si potesse fotografare la statistica si vedrebbero due linee che per un po’ corrono parallele e poi, di colpo, una si arresta e l’altra prosegue verso ambitissime mete. Naturalmente il discorso, questa volta, non è tipicamente italiano, ma europeo e mondiale perché persiste ancora una certa cultura secondo la quale esistono ‘cose che le donne possono o non possono fare’. E spesso, purtroppo, la società fa sì che certi pregiudizi si trasformino in realtà concreta che porta molte ragazze ad accarezzare il sogno di una carriera scientifica per ripiegare, poi, verso mestieri tranquilli e più tradizionali, che concilino lavoro e famiglia.

    Certo, le cose stanno cambiando e sono lontani, per fortuna, i tempi di Marie Curie e Rita Levi Montalcini in cui, a livello nazionale, le donne che studiavano medicina o fisica erano tante quante le dita di una mano. La consapevolezza verso gli studi scientifici sta crescendo ma è il mondo della ricerca che forse predilige adoperare ancora il singolare maschile (parlare al plurale, come in tutti i campi del lavoro, è faticoso!). Il numero delle donne che intraprendono una carriera scientifica è aumentato, dal 1998, del 12% sebbene solo l’11% delle donne scienziate raggiunga ruoli apicali nell’ambito universitario, meno del 30% dei ricercatori è donna e soltanto tre premi Nobel per la scienza sono stati assegnati alle donne. L’Italia, poi, è un paese che ha la più bassa istruzione rispetto agli altri paesi europei e mondiali. A questo infelice primato deve aggiungersi anche un altro dato che sottolinea come il Vecchio Continente non punti molto sulla ricerca: su 220 milioni spesi, infatti, l’Europa si attesta al 20% di spesa, USA e Canada al 30%, il resto è speso dai Paesi asiatici. Una dimostrazione di come non sia un caso se molte innovazioni e sperimentazioni arrivino dai paesi orientali. Alla luce di questi numeri è comprensibile come l’iniziativa di L’Oréal e UNESCO sia preziosissima perché dimostra come, se si vuole davvero cominciare ad abbattere il ‘soffitto di vetro’, ossia il pregiudizio attorno al binomio donna-scienza, si debba valorizzare con convinzione e costanza l’impegno di tante giovani donne. Una goccia nel mare, si direbbe, che sta producendo, però, risultati significativi visto che il numero record di 400 candidature arrivate da tutta Italia sottolinea quanto il riconoscimento sia ambito, apprezzato e soprattutto concreto. Un impegno che, visti i frutti che sta portando, non potrà che continuare, come ha dichiarato il Presidente e AD di L’Orèal Italia, Francois-Xavier Fenart che, introducendo i lavori, ha affermato: “Da molti anni lavoriamo senza tregua affinché le donne nella scienza siano riconosciute, e non smetteremo. Noi vogliamo una società in cui le disparità di genere vengano superate e dimenticate. E’ semplicemente nell’interesse di tutti volere che questo accada poiché in gioco c’è qualcosa che va ben oltre la mera questione della parità di genere: il futuro di tutti noi”.

    Anche Milano e la Lombardia si stanno muovendo, come istituzioni, affinché tutti possano usufruire del bello della scienza e non è un caso che il Comune abbia istituito il progetto ‘Steam in the City’ per promuovere la diffusione delle discipline tecnico-scientifiche e delle nuove tecnologie digitali come base formativa necessaria ad assicurare un futuro professionale alle nuove generazioni, mente la Regione abbia puntato sul Nobel per la Ricerca, con l’assegnazione di un milione di euro al miglior progetto di ricerca scientifica che verrà consegnato  durante la manifestazione che si svolgerà il prossimo 8 novembre.

    L’Europa sta puntando sempre più alla valorizzazione di scienza e tecnica tanto che il Progetto ‘Horizon 202’0 sarà riproposto insieme al progetto Erasmus, perché rivelatosi importante ogni oltre aspettativa. Come ha sottolineato l’eurodeputata Patrizia Toia adesso si chiamerà ‘Horizon Europe’ e lo stanziamento sarà di 100 miliardi di euro. “Se scienza è tecnica sono centrali per il futuro, quello della donna è un tema molto sentito in Europa perché esistono troppi stereotipi, quali quelli sulla mobilità professionale delle donne, che le fanno sentire ancora delle eccezioni”.

    In occasione del 20° anniversario del programma L’Oréal – Unesco For Women in Science è stata lanciata una nuova iniziativa, ‘Male Champions for Women in Science’, che coinvolgerà leader uomini attraverso una carta degli impegni volta a favorirne la collaborazione con le loro colleghe per cambiare il sistema e sfruttare il potenziale delle donne, a beneficio di tutti.

  • Crimini contro le donne: se ne parla in un convegno a Roma

    Si svolgerà mercoledì 16 maggio alle ore 15.00 in Sala Italia della Società Umanitaria (sede di Roma) l’incontro organizzato in collaborazione con l’Associazione Donne Giuriste per presentare il nuovo libro “Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche” di Fabio Roia, Presidente sezione Penale del Tribunale di Milano. Quasi ogni giorno si legge e si sente parlare in televisione di femminicidio ma queste sono tragedie assolutamente evitabili. Le convenzioni e le leggi ci sono. Le politiche pensate per creare un diverso approccio culturale nei confronti del rispetto del genere femminile anche. Si tratta allora di lavorare sulla cultura, di applicare gli istituti, di fare i processi in maniera intelligente, di lavorare con un approccio multidisciplinare sul caso, di formare tutti gli operatori che vengono a contatto con una donna vittima di violenza.

  • Parità di genere: la Commissione europea presenta la Dichiarazione comune in occasione della Giornata Internazionale della donna 2018

    “La parità tra donne e uomini è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea sancito nei nostri trattati. La nostra Unione è pioniere nell’affrontare la discriminazione basata sul genere e possiamo essere orgogliosi dei progressi compiuti: l’Europa è uno dei luoghi più sicuri ed equi per le donne nel mondo”. Questo l’incipit della Dichiarazione comune in occasione della Giornata internazionale della donna 2018 sottoscritta da 14 commissari europei tra i quali il vicepresidente Frans Timmermans e Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione.  Il percorso verso la parità però, come sottolineato nella Dichiarazione, non è stato ancora raggiunto e sebbene tanti passi in avanti siano stati fatti nel corso degli anni molto deve ancora essere realizzato per poter raggiungere l’obiettivo. Si sa infatti che in tante parti del mondo molte bambine non hanno ancora accesso all’istruzione, che – rimanendo nei continenti più sviluppati – a parità di ruolo il salario delle donne è più basso rispetto a quello degli uomini, che ci sono ancora dei posti apicali preclusi al sesso femminile e sebbene il numero delle laureate sia più alto rispetto a quello dei laureati il percorso per raggiungere una realizzazione professionale è ancora tortuoso per le prime, soprattutto nei settori tecnico-scientifico dove pure le donne hanno dato ampia dimostrazione di avere competenze e conoscenze per nulla secondarie a quelle degli uomini. Per una vera parità tutto dovrebbe partire da una adeguata educazione al riguardo sin dalle scuole, educazione che aiuterebbe ad evitare anche certi atti di violenza ai quali le cronache ci stanno tristemente abituando. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità una donna su tre nella sua vita ha subito una forma di violenza fisica o sessuale, in Italia, dove il fenomeno è diffuso ma ancora sommerso, dati ISTAT del 2015 (contenuti nel Report diffuso in questi giorni da WeWorld Onlus), dicono che 6 milioni e 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, le donne che hanno subito stupri sono 652 mila e nel 62,7% dei casi lo stupro è stato commesso dal partner o dall’ex. Nonostante la percentuale di donne che denunciano sia aumentata  rispetto alla precedente rilevazione Istat (2006), passando dal 6,7% all’11,8%, il dato non è confortante: 11,8% vuol dire che sono ancora troppo poche le donne che hanno il coraggio di denunciare. E non va meglio sul fronte lavorativo dove, sempre secondo lo stesso Rapporto, sono 1 milione 173mila le donne (7,5%) che sono state vittima di abusi per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni nella carriera.

    Un aspetto, quest’ultimo, che indigna e che in una società civile e progredita dovrebbe essere superato o insistente o che, quantomeno, dovrebbe indurre tutte le donne a rivendicare in ogni luogo deputato alla comunicazione il diritto di accesso alla carriera e alla relativa crescita professionale solo ed esclusivamente per meriti conquistati sul campo e a pari condizioni di quelle degli uomini. L’Unione europea ha presentato nuove norme per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza che lavorano e un piano d’azione per contrastare il divario retributivo di genere. A febbraio 2018 il numero delle donne che occupavano ruoli dirigenziali nella Commissione europea ha raggiunto il 36% rispetto all’11% al momento dell’insediamento della stessa, nel novembre 2014. Il presidente Juncker si è impegnato a raggiungere il 40% entro il 31 ottobre 2019, al termine del mandato.

    Quest’anno le Giornate europee dello sviluppo si concentreranno sul ruolo fondamentale delle donne e delle ragazze nello sviluppo sostenibile e sulla loro equa partecipazione e leadership in tutti gli aspetti della vita. Inoltre, sempre quest’anno, l’UE ha assunto la leadership dell’iniziativa “Call to Action for Protection Against Gender-Based Violence” (Appello ad agire per la protezione contro la violenza di genere), in cui oltre 60 paesi e organizzazioni sono impegnati a garantire che la violenza di genere sia affrontata nelle crisi umanitarie.

    L’Unione europea assiste in tutto il mondo le donne e le ragazze migranti o sfollate che sono vittime di violenza, ad esempio attraverso l’iniziativa Spotlight, o che sono escluse dall’istruzione, dall’accesso equo ai servizi di pianificazione sanitaria e familiare, dal mercato del lavoro e dalla vita politica più in generale. Nel mondo oltre 15 milioni di bambine in età scolare non vanno a scuola: l’UE contribuisce pertanto a migliorare l’accesso all’istruzione in Africa, America latina, Medio Oriente e Sud-Est asiatico. La parità di genere non rappresenta solo il raggiungimento di criteri di giustizia significa aiutare a garantire prosperità, pace, sicurezza, sviluppo in tante parti del mondo. Investire sul futuro di una bambina vuol dire investire sulla società e sul suo progresso.

    L’8 marzo la Commissione proclamerà le dodici finaliste del premio dell’UE per le donne innovatrici, nel suo genere il premio più importante al mondo che dal 2011 omaggia le donne che coniugano eccellenza scientifica e successo imprenditoriale. Il 5 e il 6 giugno, la Commissione organizzerà le Giornate europee dello sviluppo (#shEDDs), che saranno dedicate alle donne e alle ragazze in prima linea nello sviluppo sostenibile.

  • Quest’anno le mimose con un piccolo nastro nero

    Le mimose quest’anno regalatele con un piccolo nastrino nero per ricordare le tante, troppe donne massacrate, ferite, umiliate all’interno della famiglia e nella società.

    Bene gli eleganti abiti neri alle premiazioni del cinema o di altri spettacoli, ai party o alle cerimonie, bene perché, comunque, richiamano l’attenzione su un problema sempre più grave ma stiamo attenti a non essere indotti a pensare che denunciare, combattere le violenze e gli abusi sessuali nel mondo dello spettacolo o del lavoro sia sufficiente. Le violenze più gravi le commettono uomini che hanno rapporti stabili e consolidati con le loro compagne. La rabbia e la frustrazione di maschi deboli, che diventano pericolosi, succubi di una cultura maschilista che ancora predomina anche nell’evoluta società occidentale sono la causa di troppi delitti. La realtà è che leggi inadeguate, o comunque non applicate, lasciano la donna vittima di violenza, sola nel dolore fisico, nel dolore morale e nella disperazione, dovuta non soltanto alla vergogna, di quanto ha subito, ma alla impossibilità, nella maggior parte dei casi, di potersi affrancare per sempre dalla paura. Troppe le donne che non hanno i mezzi per poter mantenere se stesse ed i loro figli perché anche le case e le associazioni per le donne maltrattate non ricevono soldi a sufficienza, perché i presidi sociali e sanitari troppo spesso non riconoscono la gravità della situazione, perché le denunce rimangono lettera morta, perché nelle rare occasioni nelle quali l’uomo violento è stato arrestato quando esce dal carcere non vi è nulla che impedisca effettivamente il ritorno vicino ai luoghi dove abita la sua vittima.

    Se è da denunciare, condannare, chi utilizza il proprio potere fisico, economico, di autorità per costringere una donna ad un rapporto sessuale non voluto quanto ancora di più dovrebbe essere necessario intervenire quando la violenza, o le avance sessuali, non si consumano laddove qualche possibilità di dire no e di opporsi ci potrebbe essere, ma in una strada nella quale la donna è costretta a passare per tornare dal lavoro di sera? E quante difficoltà affrontano le donne sui treni dei pendolari piuttosto che nel doversi misurare con una società che sembra premiare, con un posto di lavoro, solo chi è giovane e bella? Che sembra suggerire che per farsi ‘una posizione’ si possano percorrere scorciatoie legate all’aspetto fisico.

    Al di là di tutti i dati, che ogni anno riconfermano i soprusi subiti dalle donne ed elencano le ferite e le uccise, manca un effettivo impegno per cambiare una cultura maschilista, partendo fin dall’asilo, ma anche per fare comprendere alle donne che se denunciare, ribellarsi è il primo passo il secondo, altrettanto importante, è quello di sapere affermare la propria dignità al di là dell’aspetto estetico. Non sono le trasmissioni tipo ‘L’isola dei Famosi’ o certi talk show gli esempi che potranno fare crescere una società nella quale il rispetto per i diversi sessi sia un dato di fatto e non il comma inapplicato della Costituzione. E nello stesso tempo se continueranno nei social ad essere veicolati giochi, dichiarazioni, video che inneggiano alla violenza dovremo cominciare a pensare magari ad azioni legali contro coloro che per profitto sono fomentatori di quelli che nella realtà diventano atti criminali.

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