donne

  • Mutilazioni genitali femminili: un crimine del quale bisogna continuare a parlare

    Il 6 febbraio è la Giornata Mondiale contro le menomazioni genitali femminili.

    L’Unione Europea, con tutte le sue istituzioni, ribadisce il massimo impegno nella lotta per sradicare questa abominevole pratica che continua a mietere vittime anche in quei paesi che l’hanno da tempo ufficialmente vietata.

    Le mutilazioni genitali, spesso causa di morte, infliggono alle donne una menomazione permanente e gravemente invalidante sia dal punto di vista fisico che psicologico.

    Nel mondo circa 200 milioni di donne hanno subito questo rito barbaro che nulla ha a che vedere con la religione, seicentomila sono le donne che vivono in Europa e che sono state infibulate o che comunque hanno subito menomazioni genitali.

    Nonostante sia, ovviamente, vietata da sempre nei paesi dell’Unione tutti gli anni ci sono ancora troppi casi di menomazioni effettuate clandestinamente, inoltre molte bambine sono riportate dalla famiglia nei paesi d’origine per subirla.

    Occorre una forte campagna di sensibilizzazione che coinvolga non solo le donne, le madri, ma i padri, gli uomini, i ragazzi fin dalla scuola primaria, soltanto con la cultura, l’educazione, la conoscenza del danno che si procura, il rispetto dei più elementari diritti umani potranno sradicare questa pratica violenta.

    L’Unione Europea da marzo farà partire, attraverso un potenziamento dei sistema di informazione Schengen, più stretti controlli alle frontiere per identificare donne e bambine potenzialmente a rischio per poter intervenire in tempo.

    Difendere le bambine è una priorità sulla quale il Patto Sociale è più volte intervenuto, non bisogna pensare che, avendone già parlato alcuni politici, giornalisti, persone di cultura, il problema possa essere accantonato, le donne continuano a soffrire, spesso a morire.

    L’impegno di tutti deve essere quello di continuare a parlarne ma anche di agire meglio ed in modo più incisivo sia con i singoli che con le autorità sanitarie, politiche, religiose e culturali dei paesi a più alto rischio.

  • Il 23 febbraio la decisione sugli anni di carcere per Weinstein

    Harvey Weinstein dovrà ancora aspettare settimane per conoscere la sua sentenza. La giudice Lisa Lench della Superior Court di Los Angeles ha rinviato al 23 febbraio la decisione sull’ammontare della pena che l’ex ‘re di Hollywood’ dovrà scontare dietro le sbarre per aver aggredito e stuprato una ex modella nel febbraio 2013, ai margini del festival Los Angeles Italia.

    La Lench ha rinviato la sentenza per dar tempo ai legali di Weinstein di presentare una mozione per la revisione del processo. La procura a sua volta deve ancora decidere se tornare alla carica con le accuse di due delle quattro donne al centro della vertenza su cui la giuria non è riuscita a trovare un accordo: una di queste è la produttrice Jennifer Siebel, moglie del governatore della California Gavin Newson.

    Weinstein, 70 anni, è stato portato in aula in sedia a rotelle, addosso la tuta della prigione, e non l’abito giacca e cravatta che aveva ottenuto di indossare durante il processo. L’ex produttore di ‘Shakespeare in Love’ era stato riconosciuto colpevole il 19 dicembre nel secondo processo dell’era #MeToo che lo riguarda: demiurgo, per averli prodotti o distribuiti, di film che hanno vinto 81 premi Oscar, l’ex capo della Miramax rischia un massimo di altri 18 anni, oltre i 23 a cui era stato condannato per vicende analoghe a New York nel 2020.

    La pena decisa a Los Angeles è ritenuta cruciale, perché assicurerebbe che il 70enne ex re di Hollywood resti in carcere nel caso di un ribaltamento in appello della sentenza del processo di New York. Quattro donne avevano stavolta accusato Weinstein di molestie e stupri: la giuria lo aveva riconosciuto colpevole solo per quelle di una ex modella europea che aveva testimoniato anonimamente come ‘Jane Doe 1’. L’ex produttore era stato assolto dalle accuse di un’altra donna, mentre i giurati non erano riusciti a trovare accordo sulle accuse delle altre due, né sulle circostanze aggravanti che avrebbero alzato a un massimo di 24 il numero di anni della sentenza losangelina.

  • Non solo il velo

    A muovere le proteste in Iran, rese ogni giorno più difficili dalla sanguinosa e crudele repressione del regime, non c’è soltanto la ribellione al velo e l’ira ed il dolore per le tante donne ed uomini, specialmente giovanissimi, che sono stati trucidati in questi mesi ma anche una tragica situazione del Paese dove le caste di chi governa e dei pasdaran, che hanno in mano l’amministrazione, vivono nel privilegio.

    La popolazione, ormai da tempo, è in condizioni di gravi difficoltà economiche oltre che in inaccettabili costrizioni delle libertà individuali.

    La realtà del Paese è una inflazione che arriva a più del 50% con aumenti dei prezzi di frutta, verdura, carne che impediscono alla maggior parte delle famiglie un’alimentazione minimamente corretta.

    Secondo il Fondo Monetario Internazionale quasi un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà estrema mentre non demorde la crisi energetica dovuta alle scelte sbagliate del governo, nonostante l’Iran sia ricco di gas.

    Le proteste dilagano in ogni parte del Paese, giovani e meno giovani si trovano insieme a reclamare libertà e condizioni di vita degne ma ricevano in cambio morte e continua violenza mentre troppa parte del mondo occidentale dimostra la propria impotenza.

    La gran parte della popolazione iraniana dovrà presto decidere tra un salto di qualità delle proteste o il lasciar soccombere la propria gioventù. Il salto di qualità della lotta contro il regime può essere deciso solo dagli iraniani ma, se lo decideranno, dovranno trovare aiuti concreti da parte di coloro che oggi trovano difficoltà anche ad organizzare manifestazioni di solidarietà nei paesi liberi.

  • Afghanistan: Taliban ban women from universities amid condemnation

    The Taliban have banned women from universities in Afghanistan, sparking international condemnation and despair among young people in the country.

    The higher education minister announced the regression on Tuesday, saying it would take immediate effect.

    The ban further restricts women’s education – girls have already been excluded from secondary schools since the Taliban returned last year.

    Some women staged protests in the capital Kabul on Wednesday.

    “Today we come out on the streets of Kabul to raise our voices against the closure of the girls’ universities,” protesters from the Afghanistan Women’s Unity and Solidarity group said.

    The small demonstrations were quickly shut down by Taliban officials.

    Female students have told the BBC of their anguish. “They destroyed the only bridge that could connect me with my future,” one Kabul University student said.

    “How can I react? I believed that I could study and change my future or bring the light to my life but they destroyed it.”

    Another student told the BBC she was a woman who had “lost everything”.

    She had been studying Sharia Islamic law and argued the Taliban’s order contradicted “the rights that Islam and Allah have given us”.

    “They have to go to other Islamic countries and see that their actions are not Islamic,” she told the BBC.

    The United Nations and several countries have condemned the order, which takes Afghanistan back to the Taliban’s first period of rule when girls could not receive formal education.

    The UN’s Special Rapporteur to Afghanistan said it was “a new low further violating the right to equal education and deepens the erasure of women from Afghan society.”

    The US said such a move would “come with consequences for the Taliban”.

    “The Taliban cannot expect to be a legitimate member of the international community until they respect the rights of all in Afghanistan,” said Secretary of State Antony Blinken in a statement.

    “No country can thrive when half of its population is held back.”

    Western countries have demanded all year that the Taliban improve female education if they wish to be formally recognised as Afghanistan’s government.

    However in neighbouring Pakistan, the foreign minister said while he was “disappointed” by the Taliban’s decision, he still advocated engagement.

    “I still think the easiest path to our goal – despite having a lot of setbacks when it comes to women’s education and other things – is through Kabul and through the interim government,” said Bilawal Bhutto Zardari.

    The Taliban had promised a softer rule after seizing power last year following the US’ withdrawal from the country. However the hardline Islamists have continued to roll back women’s rights and freedoms in the country.

    The Taliban’s leader Hibatullah Akhundzada and his inner circle have been against modern education – particularly for girls and women.

    There has been opposition to this stance from more moderate officials, and analysts say this issue has been a point of factional division all year.

    Yet on Tuesday, the education ministry said its scholars had evaluated the university curriculum and environment, and attendance for girls would be suspended “until a suitable environment” was provided.

    It added that it would soon provide such a setting and “citizens should not be worried”.

    However in March, the Taliban had promised to re-open some high schools for girls but then cancelled the move on the day they were due to return.

    The crackdown also follows a wave of new restrictions on women in recent months. In November, women were banned from parks, gyms and public baths in the capital.

    A university lecturer and Afghan activist in the US said the Taliban had completed their isolation of women by suspending university for them.

    “This was the last thing the Taliban could do. Afghanistan is not a country for women but instead a cage for women,” Humaira Qaderi told the BBC.

    The Taliban had just three months ago allowed thousands of girls and women to sit university entrance exams in most provinces across the country.

    But there were restrictions on the subjects they could apply for, with engineering, economics, veterinary science and agriculture blocked and journalism severely restricted.

    Prior to Tuesday’s announcement, universities had already been operating under discriminatory rules for women since the Taliban takeover in 2021.

    There were gender segregated entrances and classrooms, and female students could only be taught by women professors or old men.

    However, women were still getting education. Unesco noted on Tuesday that from 2001 and 2018 – the period between Taliban rule – the rate of female attendance in higher education had increased 20 times.

    Several women have told the BBC they gave up after the Taliban regained rule because of “too many difficulties”.

    Issue splits Taliban

    Analysis by Yogita Limaye, BBC South Asia correspondent

    There has been speculation for over a month now that the Taliban government would ban university education for women.

    One female student predicted it a few weeks ago. “One day we will wake up and they will say girls are banned from universities,” she had said.

    And so, while many Afghans might have expected that sooner or later this decision would be taken, it still comes as a shock.

    Last month women were barred from parks, gyms and swimming pools. In March this year, the Taliban government did not deliver on its commitment to open secondary schools for girls.

    From conversations with Taliban leaders over the past year, it is evident that there is disagreement within the Taliban on the issue of girls’ education.

    Off the record, some Taliban members have repeatedly said they are hopeful and working to try and ensure girls get an education.

    Girls were allowed to sit for graduation exams for secondary schools two weeks ago, in 31 of Afghanistan’s 34 provinces, even though they haven’t been allowed to be in school for more than a year.

    That provided a glimmer of hope, which has now been extinguished.

  • L’UE istituisce un numero di assistenza telefonica a livello di Unione e incita a mettere fine alla violenza contro le donne in tutto il mondo

    In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Commissione presenta il 116 016, il numero europeo armonizzato delle linee di assistenza telefonica per le vittime di violenza contro le donne. Le donne vittime di violenza potranno chiamare lo stesso numero in tutta l’UE per ottenere consigli e sostegno.

  • Iran protests: Security forces intensify deadly crackdown in Kurdish areas

    At least 30 anti-government protesters have been killed by security forces in Kurdish-populated cities in west Iran in the past week, a rights group says.

    Hengaw reported that seven had died since Sunday in Javanroud alone, amid an intense crackdown by Revolutionary Guards armed with heavy weapons.

    On Monday, the funerals of two protesters turned into a mass rally.

    In one video, a protester can be heard saying the Revolutionary Guards are firing machine guns at people’s heads.

    The footage, which has been verified by BBC Persian, also appears to show people covered in blood lying on a street and someone shouting that a girl has been shot in the head. Automatic gunfire can also be heard.

    A mother who was worried about the fate of her young daughter and son protesting in the town posted an emotional appeal to people elsewhere in Iran, saying: “Please help us, they are killing everyone, killing our youth. Why aren’t people in Tehran coming out to the streets? Please help Kurdistan, help our youth.”

    The BBC also obtained on Monday a video showing a convoy of Revolutionary Guards with machine guns mounted on pick-up trucks heading to Mahabad, which has also witnessed intense confrontations recently.

    The city’s member of parliament, Jalal Mahmoudzadeh, said at least 11 people had been killed there in the past week.

    In Piranshahr, another small town, tens of thousands participated in the funeral of Karvan Ghadershokri, a 16-year-old-boy who was killed at a protest. A crowd earlier gathered in front of his parents’ house to prevent security forces from stealing his body.

    Every such funeral has turned into a mass rally against the clerical establishment. In response, security forces have taken away a number of protesters’ bodies and buried them in secret, without the presence of their families and friends.

    The protests that have spread across Iran like wildfire over the past two months started in the Kurdish region.

    They were sparked by the death in custody of Mahsa “Zhina” Amini, a 22-year-old Kurdish woman who fell into a coma after being arrested by morality police in the capital Tehran for allegedly wearing “improper” hijab.

    The Kurdish region has remained an epicentre of the unrest and has been a focus of the deadly crackdown by security forces.

    Iranian authorities have accused armed Kurdish opposition groups based in neighbouring Iraq of instigating “riots” in the region, without providing any evidence. The videos posted on social media have shown unarmed protesters confronting security personnel.

    Hengaw, which is based in Iraq’s Kurdistan Region, said last week that more than 80 protesters had been killed and 4,000 others detained in Kurdish-populated areas alone.

    The Human Rights Activists News Agency (HRANA), which is based outside Iran, has put the nationwide toll at 419 and also reported the deaths of 54 security personnel.

  • Fallocrazia

    Oggi è il giorno della resa. Sì. Della resa. Inutile combattere. Inutile indignarsi. Inutile tutto. 25 novembre giornata internazionale per l’eliminazione contro la violenza sulle donne. 8 marzo giornata mondiale delle donne, anch’essa nata su una tragedia. E l’elenco è lungo. Quote rosa, nella politica, nei consigli di amministrazione; tante femministe fanno pure spallucce e le definiscono strumento criticabile, ma necessario. Necessario! Imporre la A di genere nella lingua italiana, storpiandola. Persino un neologismo, femminicidio, coniato per cristallizzare un reato (omicidio non basta?). Corsi di difesa femminile che si moltiplicano come funghi. Parità sul lavoro e di salario che ancora guardiamo con il binocolo pur vivendo nell’Italia della Costituzione “più bella del Mondo”. Quella dell’Art.1, “fondata sul lavoro”. Ed eccoci al bandolo della matassa: siamo certi che il lavoro sia un diritto e non uno strumento che ci rende libere, liberi? Se fosse retribuito nel modo giusto, equo non per parità di genere bensì di ruolo, aiuterebbe le donne concretamente garantendo loro l’indipendenza economica e quindi, se necessario, la fuga da chi ha tradito la loro fiducia prima che accada l’irreparabile. E questo è un fatto, non una considerazione. Empowerment femminile…all’alba dei miei 50 anni sono sfiduciata, certa che tra un anno saremo ancora qui a parlarne.

  • REACT-EU: altri 1,5 miliardi di euro per lavoratori, datori di lavoro e competenze in Italia

    L’Italia riceve altri 1,5 miliardi di € nell’ambito di REACT-EU per aumentare le assunzioni di giovani e di donne, migliorare le competenze dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro e sostenere la ripresa economica del paese. Tali fondi saranno messi a disposizione in aggiunta ai precedenti 4,5 miliardi di € erogati per un sostegno analogo nell’ambito del programma operativo nazionale “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” finanziato dal Fondo sociale europeo (FSE), inizialmente proposto nel settembre 2021.

    Il nuovo finanziamento sosterrà:

    la creazione di posti di lavoro nelle regioni meridionali: 1,2 miliardi di € consentono di ridurre del 30% i contributi previdenziali a carico delle piccole imprese per i loro lavoratori nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Per essere ammissibili, le imprese devono impiegare i lavoratori per almeno nove mesi dopo la presentazione della richiesta di riduzione;

    l’occupazione giovanile: 139,1 milioni di € sono destinati a ridurre i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro che nel corso del 2022 assumono persone di età inferiore a 36 anni con contratti a tempo indeterminato, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 48.000 giovani;

    l’assunzione di donne: 88,5 milioni di € sono destinati a ridurre (entro il limite di 6.000 € l’anno) i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro che nel corso del 2022 assumono donne, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 54.000 donne;

    la formazione nel campo delle competenze verdi e digitali: quasi 280.000 € provenienti dal “Fondo nuove competenze” compensano le ore durante le quali il personale partecipa a corsi di formazione per acquisire nuove competenze verdi e digitali, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 5.700 imprese.

    Con l’approvazione di questi altri 1,5 miliardi di € l’Italia riceverà in totale 14,4 miliardi di € nell’ambito di REACT-EU per stimolare la sua ripresa e incentivare gli investimenti nelle transizioni verde e digitale.

  • Trasparenza per colmare il divario retributivo di genere nell’UE

    Lo stesso lavoro merita parità di retribuzione: si tratta di un principio fondante dell’Unione europea. Non è possibile affrontare il problema dell’ingiustizia del divario retributivo di genere senza modificare gli squilibri strutturali della società. Per questo motivo la Commissione ha raddoppiato gli sforzi a favore della parità di genere e delle cause profonde della disuguaglianza retributiva”. E’ quanto hanno dichiarato congiuntamente Věra Jourová, Vicepresidente per i Valori e la trasparenza, e Helena Dalli, Commissaria per l’Uguaglianza in occasione della Giornata europea della parità retributiva caduta quest’anno il 15 novembre. “Ci troviamo ora nella fase finale per rendere l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione una realtà in tutta l’UE. Abbiamo già introdotto nuovi diritti che consentono a donne e uomini di avere una scelta più ampia e di condividere meglio le responsabilità di assistenza e il lavoro. E contiamo sugli Stati membri per garantire che l’istruzione prescolastica e l’assistenza a lungo termine siano accessibili, abbordabili e di buona qualità come prerequisito per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Dobbiamo emancipare le donne affinché possano realizzare il loro potenziale.

    Manca tuttavia un elemento importante del puzzle: la trasparenza retributiva. La trasparenza contribuisce infatti a porre fine ai pregiudizi retributivi di genere fin dall’inizio e consente ai lavoratori di far valere il loro diritto alla parità di retribuzione per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Chiediamo al Parlamento europeo e al Consiglio – concludono Jourová e Dalli –  di adottare senza ingiustificati ritardi la nostra proposta di direttiva sulla trasparenza retributiva. Tutti ne beneficiano, quando tutti sono ugual”.

  • African female politicians recount bullying and attacks

    West African female politicians have told the BBC’s Africa Daily podcast that the system was rigged against them and that they faced bullying and attacks. This is the reason why more women do not join politics in the region, they say.

    “It’s the system,” said Eunice Atuejide who stood as a presidential candidate in Nigeria’s 2019 elections. It has “quite a lot of people who are very patriarchal” in leadership positions.

    Ms Atuejide said women who run for political office face fear of attacks and warned it can get “really dirty”.

    She said opponents go so far as to make fake videos, including fake sex videos, to smear the women candidates’ name.

    Liberia’s Karishma Pelham-Raad, who is one of the youngest women candidates hoping to be elected to Liberia’s House of Representatives, echoed similar sentiments.

    Social media can “bring you down completely”, she said. Despite the fact Liberia had a female president in the form of Ellen Johnson Sirleaf, Ms Pelham-Raad believes not much was done under her administration to advance the rights of women in politics: “She did not empower a lot of women,” Ms Pelham-Raad said.

    The situation is not much better in Ghana, where Dr Zanator Rawlings, who is an MP, said there was no affirmative action bill to get more women into political power. Out of Ghana’s 275 MPs just 40 are women, she said.

    “Women just don’t get enough funding or support,” she said. “The system is rigged against the women” she added, lamenting that when women are in politics, they are mostly given “token” positions and “deputising” roles.

    Senegal is the country doing better than other countries in West Africa – following elections in July, women make up 44% of MPs, compared to 4% of in Nigeria and 26% in Niger.

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