donne

  • La competenza non ha un genere privilegiato

    Una delle forme più ridicole di “politicamente corretto” utilizzate con l’obiettivo dichiarato di dimostrarsi anche progressisti è quella di individuare nel genere femminile la soluzione ai problemi della nostra articolata e complessa società in quanto l’universo femminile sarebbe espressione di una superiorità congenita rispetto a quello maschile. Contemporaneamente si arriva anche ad affermare come le donne sarebbero solo in quanto tali migliori dei colleghi maschili all’interno di qualsiasi campo operativo nel quale si trovassero ad interagire.

    La sacrosanta parità di genere rappresenta sicuramente un obiettivo da raggiungere attraverso atti normativi e comportamenti i quali possono indicare la direzione da seguire.  In un contesto più articolato e complesso questo traguardo, la parità, rappresenta e soprattutto esercita quella funzione svolta “dall’ascensore sociale” all’interno delle società democratiche per le classe meno abbienti. Il riconoscimento dell’assoluta uguaglianza deve venire ricercata e contemporaneamente conseguita, o quantomeno progressivamente avvicinata, tanto nei diritti quanto nell’accesso a supporti attraverso sostegni normativi e finanziari. Il tutto come semplice e naturale riconoscimento delle articolate espressioni del genere umano e non tanto come uno specifico supporto ad una sola delle forme di genere.

    Il mondo progressista, invece, per dimostrare la propria posizione “all’avanguardia” risulta andare oltre questa parità “dalla linea di partenza”, individuando ed identificando come una vera e propria icona la superiore potenzialità dell’universo femminile quale nuova forma di rivincita e rinascita della civiltà occidentale.

    La vicenda dei vaccini dimostra, invece, come Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, assieme a Sandra Gallina, interprete, la cui competenza in passato è stata espressa nell’ambito della pesca, entrambe prive di una minima competenza in ambito contrattualistico, abbiano gestito in modo indegno i contratti con le Big Pharma. Le problematiche relative all’approvvigionamento dei vaccini nascono essenzialmente dalla loro responsabile incapacità, per di più ammessa dalla stessa Presidente. Contemporaneamente, sul suolo italiano due esponenti del genere femminile e maschile, Azzolina ed Arcuri, hanno investito centinaia di milioni in banchi a rotelle, ora vergognosamente accatastati nei magazzini.

    Queste due coppie di genere, la prima iconica ed europea, la seconda italiana ed espressione dei due generi, dimostrano come abbiano entrambe espresso la propria incompetenza. In più il commissario Arcuri (per l’emergenza sanitaria) avrebbe dovuto elaborare, ancor prima di sapere quando potessero diventare disponibili, un piano vaccinale articolato e preciso da attuare immediatamente dopo la disponibilità dei vaccini. Basti ricordare in questo senso la vergognosa operazione delle primula (https://www.ilpattosociale.it/attualita/le-1-500-primule-il-fiore-del-delirio-italico/).

    Sembra incredibile come non si riesca, all’interno del mondo della politica e in quello dell’intelligentia italiana, a comprendere come la competenza non sia legata al genere (e ancor meno alle tendenze sessuali) ma sia espressione finale di una forma mentale assolutamente indipendente dal genere stesso che si esprime all’interno di un percorso di apprendimento cominciato (la vera base di partenza) dal conseguimento del titolo di studio.

    In altre parole, non può essere il semplice titolo di studio, unito ad una qualità di genere riconosciuta, a certificare la competenza di una persona quanto la capacità, con la disponibilità e la volontà ad un continuo miglioramento ed aggiornamento delle proprie competenze da sviluppare partendo proprio da quelle conseguite e certificate dal titolo di studio.

    Mai come ora l’arretramento culturale assume caratteristiche macroscopiche proprio all’interno di quegli ambienti che si considerano progressisti. Si indica nel genere femminile la soluzione ai nostri problemi incapaci di comprendere di commettere il medesimo errore dal quale la società vorrebbe ora emendarsi: cioè la superiorità di un solo genere.

    Sembra incredibile, in più, come questa visione colpevole dei medesimi vizi della cultura maschilista da combattere altro non sia che l’espressione di una visione infantile la quale tende ad annullare il valore della preparazione preferito ad un concetto di “competenza espressione di una qualità di genere”.

    L’incompetenza emersa evidente dalla vicenda dei vaccini nel contesto europeo ed italiano rappresenta il vero problema in ambito politico, e soprattutto istituzionale, pur vedendo come protagoniste anche delle donne, perché dimostra esattamente come la competenza sia l’unica qualità da ricercare indipendentemente dal genere che la esprime.

    All’interno di una società evoluta è necessario operare sulle opportunità da offrire per valorizzare le competenze indipendentemente del genere.

    In una società evoluta, democratica e liberale le differenze, di genere o espressione di altri fattori, non vengono annullate ma sublimate in quanto l’interazione tra queste offre come risultato non la semplice somma delle singole qualità di genere ma la crescita esponenziale come espressione della moltiplicazione delle stesse differenze. Annullare le evidenti differenze di genere difatti annulla il valore che queste possono produrre all’interno un sistema politico economico paritario.

    Mai come ora contro il nuovo massimalismo di generi Vive la difference!

  • La Veterinaria al femminile va oltre gli stereotipi

    Le donne Veterinarie sono il 51,8% della categoria professionale. Sono soprattutto libere professioniste, titolari di Partita Iva o a regime agevolato/forfettario, e ritengono “irrinunciabile” l’indipendenza economica (95%). Ma giudicano il proprio reddito “insoddisfacente” (44%) e per questo chiedono allo Stato politiche di sostegno economico-finanziario. Soprattutto per la maternità.

    E’ l’istantanea di una consultazione condotta dall’ANMVI (v. nota) sulla professione veterinaria al femminile, dalla quale emerge una questione di genere concreta e priva di luoghi comuni.

    In attività– La maggioranza delle partecipanti (90%) è in attività professionale e il settore prevalente è la medicina veterinaria per animali da compagnia. Ha un’età compresa fra i 30 i 50 anni (il 64% del campione) ha almeno un figlio (48%) e vorrebbe più tempo da dedicare alla famiglia attuale o di origine (70%).

    La carriera- Le Veterinarie chiedono di non dover essere costrette a scegliere fra vita extra-professionale e carriera professionale. Carriera professionale che le vede prevalentemente (42%) in posizioni di collaborazione presso realtà societarie o associative delle quali sono ancora poche quelle al vertice come direttrici sanitarie, comproprietarie di quote o titolari (23%).

    L’80% delle partecipanti non ha mai ricoperto ruoli di vertice in ambito veterinario. E tuttavia, gli incarichi di rappresentanza non sembrano attrarre: il criterio dell’equilibrio di genere introdotto dalla riforma degli Ordini delle professioni sanitarie (cd Legge Lorenzin) è valutato positivamente dal 33%, ma è indifferente per il 59%.

    Gender o a-gender? – Le Veterinarie non danno una connotazione di genere alla professione medico veterinaria in sé, ma spostano il focus sulle condizioni di esercizio in quanto donne. Anche il sorpasso di genere fra gli iscritti all’albo nazionale non vale come rivendicazione, ma è principalmente un dato “neutro”.

    Maternità e tempo– La dimensione donna entra davvero in gioco quando si tratta di maternità e genitorialità. L’88% chiede sostegni strutturali allo Stato più che alle organizzazioni di categoria. Il 51,5% vorrebbe sostegni al lavoro domestico per poter ridurre il carico di lavoro extra professionale. Conciliare il tempo professionale con quello extra-professionale è un’abilità che riesce a poche (16%). Solo il 19% auspica una riduzione del carico professionale. E per il 52% delle rispondenti il tempo da dedicare all’aggiornamento professionale è “insufficiente”.

    Una professione adatta alle donne– Per il 60% delle Veterinarie la professione è adatta alle donne. Che le donne abbiano un proprio peculiare approccio- sia al cliente che al paziente in cura- è vero “a volte” per la maggioranza delle rispondenti (36%) e non lo è per il 17%. Percentuali che diluiscono e la connotazione di genere, guardando alla professionalità come ad un valore a-gender.

    Discriminazione– Quando c’è discriminazione (23% sì, 22% a volte) verso la Veterinaria donna, essa proviene soprattutto dai clienti (33%): in generale, la discriminazione verso la donna Veterinario è dovuta principalmente a pregiudizi sulle capacità professionali (66%) e alla resistenza culturale a guardare alla donna come al “dottore” e non a una figura ausiliaria. Raggiunge la significativa percentuale del 45% la quota di Veterinarie che intravvede una esposizione al rischio di discriminazione e di violenza di genere.

    I rapporti con i Colleghi- Nei rapporti con i più stretti Colleghi di lavoro, le Veterinarie si confermano ben poco influenzate dal genere, a prevalere nei giudizi è un equidistante “dipende” (42%) seguito da un 37% di rispondenti per le quali “non c’è differenza” di genere. Nei commenti liberi, le partecipanti stigmatizzano però che la maternità, in atto o potenziale, è un fattore sfavorevole nei colloqui di lavoro o per il mantenimento dei rapporti di lavoro. Ma il gender gap, per il 63%, è un problema culturale generale universale, che va oltre lo specifico della Veterinaria (solo il 15% pensa che la mancanza di pari opportunità per le donne Veterinarie dipenda da fattori endogeni della Categoria). Un 10% attribuisce delle responsabilità alle stesse donne.

    Superare gli stereotipi- Superare gli stereotipi di genere e favorire la sensibilità di genere sono due priorità culturali, accanto ad un cambio di mentalità e allo sviluppo di una maggiore coesione fra i sessi.

    NOTA – “Essere Veterinarie, essere Donne Consultazione sulla dimensione professionale femminile” – Questionario e commenti liberi somministrato nel periodo settembre- novembre 2020. Rispondenti 2.246 Veterinarie – ©ANMVI 2020

    Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani- 0372/40.35.47

  • Solo con l’educazione si può conquistare la parità di genere

    Le leggi, le numerose prese di posizioni, gli appelli e le condanne, che le parole esprimono con decisione, non modificano la realtà: l’uccisione di donne aumenta e viviamo in una società maschilista non perché il Pd non ha ministri donna ma perché, dall’educazione scolastica a quella famigliare, non si insegna il rispetto dell’altro e le donne ne subiscono le conseguenze.

    La parità di genere non si conquista se non attraverso l’educazione che i bambini dovrebbero ricevere fin dalla culla, che i maschi adulti dovrebbero apprendere dalla società che li circonda, società che invece sulle disuguaglianze discetta molto per non eliminarle quasi mai. Educazione, cultura, costume anche per insegnare alle donne a rispettarsi di più, a non cedere alle lusinghe di droga o denaro facile, a sapere che la libertà ha anche il prezzo di rendersi il prima possibile autonome e capaci di gestire la propria vita, a prescindere da quanto possa essere difficile, faticoso accettare una momentanea solitudine piuttosto che un rapporto poco chiaro o violento. Bisogna pensare meglio a come prevenire situazioni che troppo spesso si tramutano in fatti di sangue. Il covid ha fatto più chiaramente emergere le troppe violenze, fisiche e morali, che troppe volte si consumano in ambito domestico. Il legislatore, prima della tanto attesa ed urgente riforma della giustizia, deve occuparsi subito almeno di tutto quanto riguarda i crimini di violenza contro donne e bambini, sia per quanto riguarda gli interventi immediati da fare dopo segnalazioni e denunce, sia per le corsie celeri, che devono portare a decisioni rapide per isolare gli uomini violenti, che per dare concrete ed immediate opportunità di vita alle donne che devono fuggire dalla violenza. Forse anche questo aspetto economico e sociale dovrebbe essere affrontato con i fondi europei perché le poche strutture, prive di sufficienti mezzi, che esistono oggi non sono in grado di arginare il sangue che bagna le mimose.

  • Il genere neutro degli incarichi

    Tra i tanti problemi stiamo a discutere su quanto ha detto Beatrice Venezi, e cioè di non essere direttrice ma direttore d’orchestra. Solidarizzo con lei, le funzioni, gli incarichi che si ricoprono sono di genere neutro, il maschile ed il femminile si distinguono dall’articolo. Poi ovviamente c’è chi crede che la parità tra uomo e donna non si raggiunga parificando gli stipendi e le opportunità ma chiamando ministra chi è a capo di un ministero, ministra, molto simile a minestra, non sarà anche questo un subdolo modo di far rimanere indietro le donne?

  • Giornata internazionale della donna 2021: la pandemia di COVID-19, una sfida di rilievo per la parità di genere

    In vista della Giornata internazionale della donna, la Commissione ha pubblicato la sua relazione 2021 sulla parità di genere nell’UE, dalla quale emerge l’impatto negativo che la pandemia di COVID-19 ha avuto sulle donne. La pandemia ha esacerbato le disparità esistenti tra donne e uomini in quasi tutti gli ambiti della vita, sia in Europa che nel resto del mondo, segnando un arretramento rispetto alle faticose conquiste del passato. Allo stesso tempo la parità di genere non è mai stata così importante nell’agenda politica dell’UE e la Commissione ha profuso un grande impegno per attuare la strategia per la parità di genere adottata un anno fa. Per meglio monitorare e fare il punto dei progressi compiuti in ciascuno dei 27 Stati membri, la Commissione ha inaugurato un portale per il monitoraggio della strategia per la parità di genere.

    La relazione evidenzia come la pandemia di COVID-19 si sia rivelata una sfida di rilievo per la parità di genere.

    Gli Stati membri hanno registrato un aumento della violenza domestica: ad esempio il numero di segnalazioni di violenza domestica in Francia è aumentato del 32% durante la prima settimana di chiusure, mentre in Lituania è aumentato del 20% nelle prime tre settimane. L’Irlanda ha visto quintuplicare i provvedimenti per violenza domestica e le autorità spagnole hanno riferito un aumento del 18 % delle richieste di intervento durante le prime due settimane di confinamento.

    Le donne sono state in prima linea nella lotta contro la pandemia: il 76% del personale dei servizi sanitari e sociali e l’86% del personale che presta assistenza alle persone è costituito da donne. Con la pandemia le lavoratrici di questi settori hanno subito un aumento senza precedenti del carico di lavoro, dei rischi per la salute e dei problemi relativi alla conciliazione della vita professionale con quella privata.

    Le donne nel mercato del lavoro sono state duramente colpite dalla pandemia: le donne sono sovrarappresentate nei settori che sono maggiormente colpiti dalla crisi (commercio al dettaglio, comparto ricettivo, lavoro di cura e lavoro domestico) in quanto comportano mansioni che non è possibile svolgere a distanza. Le donne hanno inoltre incontrato maggiori difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro durante la parziale ripresa dell’estate 2020: i tassi di occupazione sono infatti aumentati dell’1,4% per gli uomini, ma solo dello 0,8% per le donne tra il secondo e il terzo trimestre del 2020.

    Le chiusure hanno forti ripercussioni sul lavoro di cura non retribuito e sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata: le donne hanno dedicato, in media, 62 ore a settimana alla cura dei figli (rispetto alle 36 ore degli uomini) e 23 ore a settimana ai lavori domestici (gli uomini 15 ore).

    Clamorosa l’assenza delle donne nelle sedi decisionali in materia di COVID-19: uno studio del 2020 ha rilevato che gli uomini sono molto più numerosi delle donne negli organismi creati per rispondere alla pandemia. Delle 115 task force nazionali dedicate alla COVID-19 in 87 paesi, tra cui 17 Stati membri dell’UE, l’85,2% era costituito principalmente da uomini, l’11,4% principalmente da donne e solo il 3,5% era caratterizzato da una parità di genere. A livello politico, è donna solo il 30 % dei ministri della Sanità dell’UE. A capo della task force della Commissione per la crisi COVID-19 siede la Presidente von der Leyen e, degli altri cinque Commissari che la compongono, tre sono donne.

  • Giornata Internazionale della donna: “Ti piace la versione covid di te stessa?”

    L’Ufficio del Parlamento europeo a Milano promuove un evento digitale in occasione della Giornata Internazionale della donna.  L’evento, organizzato in collaborazione con Radio Popolare, sarà trasmesso giovedì 4 marzo alle ore 17, in diretta Facebook sulle pagine di Radio Popolare e Parlamento europeo in Italia.

    Il tema di quest’anno, scelto dalla Commissione Donne del Parlamento europeo per la Giornata Internazionale della Donna, è “Empowerment e leadership femminile ai tempi del COVID-19”. Si tratta di un tema che si declina in diverse possibili direzioni quali: sostenere l’uguaglianza di genere attraverso l’inclusione delle donne nei media, utilizzare le nuove tecnologie per difendere i diritti delle donne e per diffondere dibattiti di genere, comunicare idee e azioni dei movimenti femminili nel nuovo scenario digitale. Le donne sono state particolarmente colpite dal Covid-19: la pandemia ha messo a dura prova una condizione già spesso fragile e oberata di compiti.  Le statistiche sulla disoccupazione dicono molto in questo senso. Eppure, proprio le donne sono considerate elemento chiave della ripresa in chiave europea. Non solo, l’argomento è sentito dall’opinione pubblica tanto che la parità di genere, secondo un recente sondaggio, è al primo posto tra i valori che gli italiani vogliono che il Parlamento europeo difenda.

    Con la sua iniziativa, l’Ufficio del Parlamento europeo a Milano intende favorire il dibattito su questi temi e, al tempo stesso, diffondere la conoscenza presso il pubblico delle attività promosse dalla nostra Istituzione, dalle associazioni che si occupano della tutela delle donne e della promozione dell’uguaglianza di genere.

    L’evento sarà moderato dalla giornalista e speaker radiofonica Florencia Di Stefano-Abichain che creerà un dialogo con eurodeputate e prestigiose ospiti su lavoro, vita privata e rappresentazione femminile, trattando i problemi messi a nudo e esasperati dalla pandemia.

    Quali soluzioni per far crescere l’occupazione delle donne? Come alleggerire il carico domestico e familiare? In che modo TV e cinema plasmano l’immagine del femminile? E in tutto questo, quale ruolo ha l’UE nel costruire un’Europa più equa?

    Ospiti del dibattito saranno: Monica D’Ascenzo, giornalista Sole24Ore, responsabile di Alley Oop, Francesca Dellisanti, presidentessa YoungWomen Network, Maurizio Molinari, direttore Ufficio del Parlamento europeo a Milano, Marina Pierri, critica, saggista e direttriceartistica del Festival delle serie, Giusy Sica, fondatrice del think tank Re-Generation Y-outh e volontaria della community del Parlamento europeo, insieme-per.eu, Patrizia Toia, eurodeputata Vicepresidente Commissione parlamentare ITRE, Isabella Tovaglieri, eurodeputata membro Commissione parlamentare FEMM

  • Solo il 16,5% delle ragazze si laurea in discipline STEM

    Il gender gap esiste e non solo a livello salariale. La differenza tra uomo e donna in termini di chances di lavoro e quindi di reddito potrebbe forse trovare origine, a monte, in un ampio divario di genere nelle materie Stem. La differenza nella preparazione in Science, Technology, Engineering and Mathematics, le materie più richieste nel mondo del lavoro, pesa ancora parecchio, come raccontano i dati di un’indagine condotta da Save The Children ed elaborati dall’Istat, riportati dal sito Skuola.net in occasione della sesta giornata delle donne e delle ragazze nella Scienza, un’iniziativa promossa e istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015.

    Le ragazze che decidono di intraprendere una carriera scientifica sono ancora troppo poche: solo il 16,5% delle giovani, infatti, si laurea in facoltà ‘tecniche’, contro il 37% dei maschi. È vero che sono numeri superiori alla media europea, ma non per questo sono soddisfacenti. Un divario che affonda le sue radici ben prima dell’università: se, ad esempio, viene chiesto a un gruppo di bambini di disegnare uno scienziato, solo 1 su 3 lo disegnerà donna. Una percentuale che, peraltro, si riduce sensibilmente con l’avanzare dell’età: se viene chiesto ad un gruppo di ragazze di 16 anni, saranno 3 su 4 a disegnarlo maschio. Infine, se lo chiediamo ad un gruppo di ragazzi coetanei il 98% lo disegnerà maschio. Questo perché gli stereotipi di genere sono molto più diffusi di quanto si possa pensare ancora oggi, soprattutto nel processo di crescita dei giovani. La riprova sta nel fatto che appena 1 ragazza su 8 si aspetta di lavorare come ingegnere o in professioni scientifiche, a fronte di 1 su 4 tra i maschi.

    In realtà gli stereotipi di genere iniziano a scuola: già dalla scelta del liceo o della facoltà universitaria, si avverte chiaramente che il gender gap si fa sentire. Tra i diplomati nei licei i ragazzi sono più presenti in quelli scientifici (il 26% di tutti i diplomati rispetto al 19% delle ragazze), mentre solo il 22% delle ragazze si diploma in istituti tecnici, quasi la metà rispetto ai maschi (42%); dati, questi, che si riferiscono all’anno scolastico 2018-2019. Percentuali basse si riscontrano anche all’ambito universitario, come abbiamo visto. Un lungo percorso non privo di ostacoli, quello che le giovani aspiranti donne nella scienza devono affrontare, che naturalmente si riflette nel mondo del lavoro: nelle aree STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), le giovani rappresentano il 41% dei dottori di ricerca, il 43% dei ricercatori accademici, solo il 20% dei professori ordinari e tra i rettori italiani solo il 7% sono donne (come riportato dal ministero dell’Istruzione) per l’anno 2020.

    La bella notizia, se si consultano i dati dell’Eurostat, è che nel 2019 Sardegna e Sicilia impiegato più donne nei settori scientifici delle altre regioni d’Italia: il 37% del totale dei lavoratori di queste aree. A fare da contraltare una rappresentanza più scarsa nel Nord-Ovest e nel Sud d’Italia in generale, dove ci si ferma rispettivamente al 33% e 34%, mentre il Centro segue il trend positivo delle Isole registrando un 36%, poco sopra al Nord-Est che si attesta al 35%. Con l’Italia che, nel complesso, si aggiudica una media del 34% di donne impiegate come scienziate e ingegnere, con 400 mila donne nel campo scientifico contro circa il doppio (760 mila) dei colleghi maschi. Una media ancora troppo bassa, anche se si allarga lo sguardo per confrontarla con quella di tutta Europa, dove le donne impiegate in questi settori restano una minoranza, ma acquistano punti percentuali arrivando a circa il 41%.

  • Il femminicidio? Secondo molte sentenze è una manifestazione di gelosia

    I femminicidi raccontano che il luogo e l’ambito più pericolosi per la donna spesso sono la sua abitazione e la sfera sentimentale. Sono i due elementi tra loro correlati che affiorano da uno studio sulla violenza di genere (“Femminicidi a processo”) condotto da ricercatori e docenti dell’università di Palermo coordinati dalla sociologa Alessandra Dino. Due elementi che purtroppo troppo spesso ricorrono nella lunga scia di storie di donne ammazzate.

    Alessandra Dino sottolinea, nel saggio, gli “effetti perversi” prodotti, sia nelle sentenze giudiziarie che in alcune cronache giornalistiche, della definizione di “gelosia”, utilizzata quasi come una sorta di attenuante per delitti che vanno invece classificati semplicemente e ancor più tragicamente come “futili e abbietti”.  I percorsi della ricerca, promossa dal Miur, svelano gli stessi caratteri del fenomeno che si ritrovano negli ultimi casi di cronaca di cui sono state vittime la cantante palermitana Piera Napoli uccisa in casa dal marito, Ilenia Fabbri sgozzata in cucina a Faenza e Roberta Siragusa, la 17enne assassinata e bruciata, sostiene l’accusa, dal fidanzato Pietro Morreale a Caccamo nel Palermitano.

    I ricercatori dell’università di Palermo hanno analizzato per la loro indagine, dalla quale è stato ricavato un volume in fase di pubblicazione, 370 sentenze emesse tra il 2010 e il 2016. Tra le carte giudiziarie si fa riferimento nel 27,4% in “una crisi nella sfera della relazione sentimentale” presentata nelle più varie declinazioni. In alcune sentenze – fanno notare i ricercatori- viene chiamata ancora “gelosia” e spesso è associata a una dimensione “morbosa”. Per Alessandra Dino si tratta di uno dei tanti “pregiudizi”, non solo lessicali ma anche giudiziari. “Lo vediamo – dice – nelle motivazioni e nei dispositivi di alcune sentenze. Quasi sempre a un delitto per ‘gelosia’ vengono riconosciute le attenuanti generiche e quasi mai all’imputato viene contestata l’aggravante dei motivi abietti e futili”. In qualche sentenza si legge perfino che l’assassino ha agito sotto la spinta di una “non controllata gelosia”.

    I ricercatori di Palermo, che hanno interpellato anche 30 testimoni privilegiati (magistrati, avvocati, medici legali) hanno approfondito la lettura dei femminicidi per ricavarne alcune tipologie fortemente connotate. Il marito o il fidanzato uccide per esercitare “possesso e dominio”. Il gesto estremo diventa in questi casi l’affermazione del potere incondizionato dell’uomo sulla donna e come la “negazione totale della libertà della donna di autodeterminarsi”.

    L’indagine ha poi individuato pochi casi (appena il 3,3%) di uccisioni collegate a una violenza sessuale e alcuni episodi di “femminicidio altruistico” compiuto da mariti che non sopportano le sofferenze della moglie ammalata e la uccidono per risparmiarle altre pene. In generale, nella statistica criminale, il numero delle donne uccise è cresciuto in percentuale nel rapporto con i morti di genere maschile. È un altro indicatore che esprime la maggiore vulnerabilità della donna. E serve a dare un senso alle proposte di cui si fa portavoce Alessandra Dino: alzare il livello di prevenzione sul territorio, puntare sulla formazione di magistrati e operatori, creare una rete di protezione dei soggetti femminili a rischio. Senza trascurare la lettura della dimensione culturale dei femminicidi.

  • Il Parlamento europea approva la strategia per la parità di genere 2020-2025

    Il 21 gennaio scorso il Parlamento Europeo ha approvato con 464 voti favorevoli, 119 contrari e 93 astensioni la nuova strategia UE per la parità di genere, presentata il 5 marzo 2020 dalla Commissione europea. I parlamentari chiedono però ulteriori azioni e obiettivi specifici e vincolanti.

    Malgrado l’UE sia un leader globale nella parità di genere e abbia compiuto notevoli progressi negli ultimi decenni, la violenza e gli stereotipi di genere persistono: una donna su tre nell’UE ha subito violenze fisiche e/o sessuali. Le laureate superano numericamente i laureati, ma guadagnano in media il 16 % in meno degli uomini; le donne rappresentano appena l’8 % degli amministratori delegati nelle principali imprese dell’UE.

    Per affrontare questo problema, la strategia per la parità di genere 2020-2025 delinea le azioni principali da intraprendere nei prossimi 5 anni e si impegna a garantire che la Commissione includa una prospettiva di uguaglianza in tutti i settori di azione dell’UE. La strategia illustra il modo in cui la Commissione darà seguito alla promessa della Presidente von der Leyen di realizzare un’Europa che offra le stesse opportunità a tutti coloro che condividono le stesse aspirazioni.

    Finora nessuno Stato membro dell’UE ha realizzato la parità tra donne e uomini. I progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni. Per colmare questi divari e per consentire all’Europa di sviluppare il suo pieno potenziale nelle imprese, nella politica e nella società, la strategia delinea una serie di azioni fondamentali, tra cui: porre fine alla violenza e agli stereotipi di genere; garantire una parità di partecipazione e di opportunità nel mercato del lavoro, compresa la parità retributiva; e conseguire un equilibrio di genere a livello decisionale e politico.

    1. Nell’UE il 33 % delle donne ha subito violenze fisiche e/o sessuali e il 55 % ha subito molestie sessuali. Le donne in Europa devono essere libere dalla violenza e dagli stereotipi dannosi. A questo scopo la strategia invoca misure giuridiche per qualificare come reato la violenza contro le donne. La Commissione intende in particolare estendere le sfere di criminalità in cui è possibile introdurre un’armonizzazione in tutt’Europa a forme specifiche di violenza contro le donne, tra cui le molestie sessuali, gli abusi a danno delle donne e le mutilazioni genitali femminili. Proporrà inoltre una legge sui servizi digitali per chiarire quali misure si attendono dalle piattaforme per contrastare le attività illegali online, compresa la violenza online nei confronti delle donne.
    2. Le donne nell’UE guadagnano in media il 16 % in meno rispetto agli uomini e continuano a incontrare ostacoli all’accesso e alla permanenza nel mercato del lavoro. La parità di genere è una condizione essenziale per un’economia europea innovativa, competitiva e prospera. Date le sfide demografiche e le transizioni verde e digitale, aiutare le donne a trovare lavoro in settori caratterizzati da carenze di competenze, in particolare il settore tecnologico e quello dell’intelligenza artificiale, avrà un’incidenza positiva sull’economia europea. Per contrastare la disparità sul piano salariale la Commissione avvia oggi una consultazione pubblica sulla trasparenza retributiva e intende proporre misure vincolanti entro la fine del 2020. Per consentire alle donne di realizzarsi pienamente nel mercato del lavoro, la Commissione intende inoltre raddoppiare il suo impegno per mettere in atto le norme dell’UE sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata, in modo che donne e uomini abbiano un’autentica ed uguale libertà di scelta per quanto riguarda il loro sviluppo sia sul piano personale che su quello lavorativo. La parità di genere nel mercato del lavoro, e in materia di inclusione sociale e di istruzione, continuerà a essere monitorata nell’ambito del semestre europeo.
    3. Le donne continuano a essere sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali, fra l’altro nelle principali imprese dell’UE, in cui rappresentano solo l’8 % degli amministratori delegati. Affinché le donne possano svolgere ruoli guida anche nelle imprese, la Commissione insisterà per l’adozione della proposta del 2012 sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione. Promuoverà inoltre la partecipazione delle donne all’attività politica, in particolare alle elezioni del Parlamento europeo del 2024, anche tramite finanziamenti e la condivisione delle migliori pratiche. Per dare l’esempio, la Commissione cercherà di raggiungere, nell’ambito del suo personale, un equilibrio di genere del 50 % a tutti i livelli dirigenziali entro la fine del 2024.
  • Italia sesta in Europa per leadership femminile in azienda, ma solo il 4% delle donne è Ceo

    I progressi ci sono, ma non tutti in Europa hanno lo stesso passo nel cammino che porta le donne ai vertici delle aziende. E la pandemia di Covid, tra nuovi equilibri di conciliazione e crisi dell’occupazione, rischia di pesare ancora di più sul mondo femminile. E’ la fotografia scattata dallo studio europeo di Ewob, l’associazione European Women on Boards di cui fa parte l’italiana Valore D, che ogni anno analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei posti di comando aziendali delle più grandi realtà europee.

    In Norvegia, Francia, Regno Unito, Finlandia e Svezia le aziende sono vicine all’equilibrio di genere ai vertici societari, diversamente da ciò che si registra in paesi come Polonia e Repubblica Ceca, tutt’altro che orientati alla leadership femminile. L’Italia si trova in sesta posizione nell’indice di Gender Diversity. Si colloca nella parte alta della classifica registrando un indice di 0,60 – leggermente superiore alla media europea – e posizionandosi davanti a Olanda, Belgio e Irlanda. Con un indice di 0,74 è la Norvegia a vantare le aziende più performanti in termini di uguaglianza di genere. Nel Belpaese i dati testimoniano una buona presenza di donne nei consigli di amministrazione (22%) e nei comitati di controllo (45%) dettata anche, tuttavia, da una legislazione favorevole. Ma sui livelli esecutivi la musica cambia: le donne al vertice delle aziende sono solo il 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% del Regno Unito e solo il 4% riveste il ruolo di amministratore delegato, contro il 21% della Norvegia o il 15% dell’Irlanda. “È grazie alla legge Golfo-Mosca se oggi in Italia abbiamo migliorato la rappresentanza femminile nei Consigli di amministrazione, ma il percorso è lungo. Ancora troppo esiguo il numero di donne ai vertici delle aziende nei livelli executive e ceo”, spiega Paola Mascaro, Presidente di Valore D. Sono appena il 6% le società che compongono l’indice di Borsa Stoxx Europe 600 con a capo una donna e solamente in 130 (19%) è presente una donna che a livello europeo ricopre la funzione di amministratore delegato o direttore operativo. La parità nella stanza dei bottoni però sembra ancora lontana: i ruoli dirigenziali sono il 28% del totale. La presenza femminile all’interno dei Cda è invece del 34% ed è il livello di governance che registra la maggiore partecipazione delle donne.Il 2020, nonostante la pandemia, è stato comunque un anno di progresso. “Rispetto al 2019, l’avanzamento della leadership femminile si è tradotto concretamente in un aumento delle donne Ceo che oggi sono 42, 14 in più rispetto all’anno scorso”, sottolinea Päivi Jokinen, presidente di European Women on Boards.

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