Droga

  • Mexico cartel used explosive drones to attack police

    Suspected criminals in Mexico have used drones to drop explosives on police, injuring two officers.

    Officials think the powerful Jalisco New Generation Cartel (CJNG) is behind Tuesday’s attack in the western state of Michoacán.

    In August, two rigged drones were found in the car of suspected CJNG members.

    The drones are thought to be the latest weapons in a deadly war between the drugs cartel and the security forces and vigilantes opposed to them.

    New weapon in a deadly fight

    Not much detail has been released about Tuesday’s attack but local media said two drones had been used.

    It is believed they were rigged in a similar way to the two drones that were found in the car boot of suspected cartel members.

    The drones seized last year had containers taped to them which had been filled with plastic explosives and ball bearings. Experts said they had been set up to be detonated remotely and could have inflicted deadly damage.

    The officers injured on Tuesday had been deployed to clear roads leading to the city of Aguililla, in Michoacán, which had been blocked by the cartel to impede the access of the security forces.

    Over the past weeks, hundreds of residents have been fleeing the city in fear as the CJNG and a rival group calling itself United Cartels (Cárteles Unidos), fight for control of the city.

    Earlier this month, eight mutilated bodies were found in the area after a particularly deadly fight between the two groups.

    Aguililla is the birthplace of CJNG leader Nemesio Oseguera Cervantes, also known as “El Mencho”.

    “El Mencho” is one of Mexico’s most wanted men and the US Drug Enforcement Administration is offering a $10m (£7.2m) reward for information leading to his capture.

    His cartel is one of the most powerful in the country and has been behind some of the deadliest attacks on Mexican security forces, such as a 2015 ambush in Jalisco which left 15 officers dead.

    It has spread from his original power base in the state of Jalisco to have an almost nationwide presence.

    Security officials say it was also behind the brazen assassination attempt on Mexico City’s police chief, Omar García Harfuch, last June.

    The cartel is believed to have further stepped up its attacks on the security forces in retaliation for the extradition to the United States of El Mencho’s son, Rubén Oseguera González, known as “Menchito” (Little Mencho), on drug trafficking charges.

  • A New York adesso c’è anche la marijuana legale

    New York dice addio al proibizionismo. Per anni capitale mondiale degli arresti per il possesso e l’uso di marijuana, la Grande Mela ha approvato una delle leggi più progressiste per la legalizzazione della cannabis a uso ricreativo. “Questo è un giorno storico”, ha esultato il governatore Andrew Cuomo dopo aver firmato il provvedimento tramutandolo in legge.

    New York diventa così il 16esimo Stato d’America a legalizzare la marijuana. I primi negozi di cannabis potrebbero aprire già nel 2022, subito dopo l’erogazione delle prime licenze che consentiranno fra l’altro la consegna a domicilio. Agli adulti di New York sopra i 21 anni sarà anche consentito di allevare in casa alcune piante di marijuana per uso personale. Le previsioni indicano possibili vendite record di cannabis: circa 4,2 miliardi di dollari l’anno, dietro solo alla California. Un boom che aiuterà le casse dello Stato: oltre a creare fra i 30.000 e i 60.000 posti di lavoro, l’industria genererà per l’erario statale circa 350 milioni di dollari l’anno grazie a un’imposta del 13% sulle vendite. Il 40% delle entrate sarà destinato all’istruzione, il 40% sarà investito nelle comunità più colpite dal ‘proibizionismo della marijuana’, ovvero quelle con più arresti, mentre il restante 20% andrà al trattamento della tossicodipendenza. “Per troppo tempo il divieto della cannabis ha colpito in modo sproporzionato le comunità di colore con dure sentenze di carcere. Questa legge offre loro giustizia oltre ad abbracciare una nuova industria che aiuterà l’economia a crescere”, ha spiegato Cuomo.

    I precedenti tentativi di legalizzazione della cannabis che si sono succeduti nel corso degli anni sono nella maggior parte dei casi falliti sulla ripartizione delle entrate fiscali. Ma questa è stata la volta buona e per Cuomo è una boccata d’ossigeno, per quanto momentanea. Gli scandali delle accuse di molestie e dei numeri truccati sui morti per Covid nelle case di cura continuano a non dare tregua al governatore, sempre più sotto pressione fra le richieste di dimissioni e le grandi manovre avviate per un suo possibile impeachment. La marijuana consente a Cuomo di distrarre l’attenzione dai suoi guai, anche se il compromesso raggiunto gli è costato molte concessioni. Passi indietro che hanno colpito i deputati e i senatori dello Stato abituati a un Cuomo decisamente più combattivo ma ora costretto a fare marcia indietro per ottenere un’importante vittoria politica da spendere di fronte agli occhi dei suoi elettori e di tutti coloro che lo accusano.

  • Il covid non ferma la produzione e lo spaccio di droghe

    Un po’ di dati sul consumo e diffusione delle droghe nel periodo compreso dal 29/12/2020 al 22/03/2021, forniti da Aduc, Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori.

    Sequestri: droghe leggere (kg)193.300, droghe pesanti (kg) 100.100, dosi droghe sintetiche 22.500, piante di cannabis 154.600. 6 le vittime, 526 gli arresti per un totale di 1.666 giorni di reclusione.

    Nel corso del 2020, per l’esattezza dal 01/01 al 28/12 i dati sono stati i seguenti: sequestri – droghe leggere Kg 664.100, – pesanti: Kg 321.000, – sintetiche: dosi 88.603, – cannabis: piante 1.064.040; vittime 56; arresti: 2.311 per un totale di 60.970 giorni di reclusione.

  • Similitudini

    …La corruzione è dappertutto, il talento è raro. Perciò, la corruzione è

    l’arma della mediocrità che abbonda, e voi ne sentirete ovunque la punta.

    Honoré de Balzac; da “Papà Goriot”

    Così diceva convinto Vautrin al giovane Eugene de Rastignac. Correva l’anno 1819. In quel tempo tutti e due vivevano a Parigi. Vautrin, ladro e usuraio, era stato condannato ai lavori forzati, ma era evaso appena aveva potuto. Il suo vero nome era Jacques Collin, ma negli ambienti della malavita parigina lo avevano soprannominato ‘Inganna-la-morte’ (Trompe-la-Mort). La polizia lo stava cercando dappertutto, perché era una persona molto pericolosa. Eugene de Rastignac invece, uno dei personaggi non solo del romanzo Papà Goriot, ma anche di molti altri romanzi della Commedia Umana di Balzac, era un giovane di 21 anni, arrivato a Parigi per studiare legge. Lui non sapeva niente di Vautrin. Un giorno Vautrin cercava di spiegare a Rastignac che in questo mondo “non ci sono principi, ma soltanto eventi. Non ci sono leggi, ma soltanto circostanze”. E che “…l’uomo intelligente si adatta agli eventi e alle circostanze per dominarle”. Vautrin consigliava a Rastignac di “non insistere con le proprie convinzioni”, e nel caso servisse, se qualcuno glielo chiedeva, “doveva vendere i suoi principi”. Si, proprio vendere, in cambio di soldi o altro! Vautrin rappresentava a Parigi la “Società dei diecimila”, che era un raggruppamento non di ladri comuni, ma “di ladri di alto livello”. E lui gestiva enormi quantità di denaro per conto della Società. Balzac ci racconta che i soci erano persone che “non si sporcano le mani per delle piccole cose e non si immischiano in affari se non riescono a guadagnare, come minimo, diecimila franchi”. Da buon usuraio qual era, Vautrin vede anche in Rastignac una persona dalla quale poteva approfittare, essendo lui un povero giovane di provincia, ma ambizioso ed arrivista, Vautrin propone a Rastignac un accordo, dal quale poteva avere un guadagno del 20% come commissione. Accordo che non si concluse, anche perché, finalmente, Vautrin viene arrestato dalla polizia.

    Duecento anni dopo quegli eventi, maestosamente raccontati da Balzac nel suo romanzo Papà Goriot, le cose si ripetono, generando, tra l’altro, delle similitudini. In ogni parte del mondo, così come in Albania. Guarda caso, l’attuale primo ministro viene chiamato anche il “signor 20%”. Lo hanno soprannominato così dopo le diverse accuse pubbliche, fatte da quando era il sindaco di Tirana. Secondo quelle accuse lui, o chi per lui, chiedeva ai costruttori una commissione del 20% dell’investimento in cambio del permesso per costruire. Durante questi ultimi anni il primo ministro albanese è stato accusato ripetutamente e pubblicamente, documenti alla mano, in albanese e in altre lingue, di molti fatti gravi. Le accuse pubbliche riguardavano e riguardano, tra l’altro, gli stretti legami che lui, e/o chi per lui, ha con la criminalità organizzata. Legami che si basano su un solido supporto reciproco. Una collaborazione quella, che secondo le documentate e ripetute accuse pubbliche, ha permesso al primo ministro i suoi due mandati istituzionali e altre vittorie elettorali. Mentre alla criminalità organizzata ha garantito affari miliardari. Compresi, tra l’altro, la diffusa coltivazione della cannabis su tutto il territorio nazionale e il traffico illecito di stupefacenti. Traffico che continua indisturbato, come dimostrano i fatti resi noti dalle procure dei paesi confinanti, ma soprattutto quelle italiane. Soltanto una settimana fa è stato sequestrato sulle coste italiane un grosso carico di droga proveniente dall’Albania.

    Il primo ministro albanese è stato accusato di aver nascosto delle condanne in altri paesi europei. Accuse fatte, anche quelle, sia in albanese che in altre lingue. Una decina di giorni fa un noto collezionista di icone, durante un’intervista televisiva in prima serata, ha ripetuto la sua accusa. E cioè che l’attuale primo ministro albanese è stato arrestato e condannato in Francia agli inizi degli anni ’90 per traffico di icone rubate! Quella del collezionista, durante l’intervista televisiva una decina di giorni fa, non era soltanto una ripetuta accusa ma, come ha dichiarato lui, era anche una sfida pubblica al primo ministro. Ad oggi però, il primo ministro, che ha denunciato ufficialmente “per calunnia” molte persone, compresi politici, giornalisti e/o redazioni di giornali e altri media in Albania e in altri paesi, non ha detto neanche una sola parola e non ha presentato nessun ricorso “per calunnia” contro il collezionista di icone. E se fossero vere le accuse fatte dal collezionista, ma non solo da lui, sia in albanese che in altre lingue, allora si aggiunge un’altra similitudine tra il primo ministro albanese e Vautrin.

    Le similitudini non finiscono qui però. Sempre in base alle tante denunce e accuse pubbliche, risulterebbe che il primo ministro albanese sia anche il rappresentante istituzionale degli interessi miliardari di certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Guarda caso, un altra similitudine con Vautrin, che era il rappresentante della sopracitata “Società dei diecimila”, come ci racconta Balzac nel suo romanzo Papà Goriot. Il nostro lettore conosce ormai l’emblematico caso del barbaro e vigliacco abbattimento, notte tempo, il 17 maggio scorso, dell’edificio del Teatro Nazionale, in pieno centro di Tirana. Si tratta proprio del caso per eccellenza che dimostra e testimonia la stretta collaborazione tra il potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti. Una pericolosa collaborazione che sta alle fondamenta della nuova dittatura sui generis ormai restaurata ed operativa in Albania. L’unica incognita, almeno pubblicamente, è chi comanda in quella “combriccola”. Tutti ormai sanno però, che l’abbattimento del Teatro Nazionale rappresenta un affare criminale miliardario, che parte dal riciclaggio del denaro sporco, proveniente dai traffici illeciti e dalla corruzione ai più alti livelli, per poi continuare con grossi investimenti e introiti garantiti. Per agevolare ed ufficializzare tutto ciò, il primo ministro albanese presentò ed approvò in Parlamento una “legge speciale”, in piena estate del 2018, per passare in grande fretta la proprietà pubblica ad un privato, noto cliente del potere politico. Ormai il riciclaggio del denaro sporco è un’allarmante realtà in Albania. Una realtà che è stata testimoniata, tra l’altro, anche dai due ultimi rapporti annuali del MONEYVAL (Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo; una struttura del Consiglio d’Europa). Dai rapporti si evidenzia che “…la corruzione rappresenta grandi pericoli per il riciclaggio del denaro in Albania”. E che “…l’attuazione della legge, ad oggi, ha avuto una limitata attenzione per combattere la corruzione legata al riciclaggio del denaro”! Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia; 4 maggio 2020). E non poteva essere diversamente, con un simile “rappresentante istituzionale” qual è il primo ministro albanese. Come era anche Vautrin per la sopracitata “Società dei diecimila”. E queste sopracitate sono soltanto alcune delle similitudini tra i due.

    Chi scrive queste righe trova attuale quanto scriveva Balzac nel suo Papà Goriot. E cioè che anche in Albania nel 2020, come in Francia del 1819, la corruzione la trovi dappertutto. Ed è l’arma della mediocrità che abbonda, la cui punta si sente ovunque. L’autore di queste righe è convinto però che, diversamente da quanto accadeva a Parigi nel 1819, dove Vautrin veniva arrestato dal sistema della giustizia, in Albania nel 2020 il sistema della giustizia è controllato personalmente proprio dal primo ministro. Nel 1819 Vautrin consigliava a Rastignac che, se servisse, “doveva vendere i suoi principi”. Mentre il primo ministro albanese, nel caso abbia mai avuto dei principi, ormai li ha già venduti ai richiedenti. Ad un buon prezzo però!

  • Cronaca di un verdetto preannunciato

    Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano,
    mentre le piccole ci restano impigliate

    Honoré De Balzac

    Sì, era proprio la cronaca di un verdetto preannunciato quello della Corte per i Reati Gravi, letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che riguardava l’ex ministro dell’Interno albanese (2013 – 2017). Proprio quello che nel 2015 era stato accusato, per primo, da un funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo e sotto protezione in un paese europeo, perché perseguitato per quella ragione. Proprio quell’ex ministro che è stato accusato in seguito e con altri fatti concreti dall’opposizione e dai media non controllati, per la cannabizzazione dell’Albania e per il suo diretto coinvolgimento con un noto gruppo criminale che coltivava e trafficava la cannabis. Proprio quell’ex ministro però, per il quale, dopo aver, finalmente, “rassegnato le sue dimissioni” l’11 marzo 2017, l’attuale primo ministro dichiarava che lui “era il nostro campione che ha trasformato la Polizia [di Stato] da quella che era, all’istituzione più credibile”. Quanto è successo da allora in poi, dati e fatti alla mano, dimostra però l’esatto contrario sulla credibilità della Polizia di Stato e sulle falsità delle dichiarazioni del primo ministro.

    I veri grattacapi dell’ex ministro dell’Interno cominciarono il 17 ottobre 2017, quando in Italia sono stati arrestati i membri di un ben strutturato gruppo criminale che trafficava stupefacenti dall’Albania in Italia. Tra gli arrestati c’era anche il capo del gruppo e parente dell’ex ministro. Proprio uno di quelli che aveva denunciato nel 2015 il funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo, dopo essere stato perseguitato in Albania. Il 18 ottobre 2017 la Procura per i Reati Gravi aveva chiesto ufficialmente al Parlamento di avviare le procedure per permettere l’arresto dell’ex ministro, in quel periodo deputato. Da quel momento in poi, la maggioranza governativa, per motivi politici e ben altri ancora, tramite i suoi rappresentanti nelle apposite commissioni parlamentari, ha cercato di ritardare il processo per la revoca dell’immunità parlamentare all’ex ministro. Alla fin fine e grazie a tutto il necessario appoggio istituzionale e altro, per l’ex ministro non c’è stato nessun arresto. Lui ha seguito il processo giudiziario da cittadino libero. L’ex ministro, all’inizio, è apparso veramente abbattuto nelle sue uscite pubbliche. “Io verrò arrestato, io sto andando in prigione. Il Parlamento è stato radunato a votare per decidere se andrò in prigione o no”. Così dichiarava lui il 19 ottobre 2017, durante una trasmissione televisiva in prima serata e dopo che anche il primo ministro aveva fatto chiaramente capire, con una sua dichiarazione su Facebook, che aveva abbandonato il suo prediletto e “ministro campione”. Soltanto all’inizio però, perché dopo qualche giorno l’ex ministro ha cambiato completamente atteggiamento. La sua nuova strategia si basava sulle minacce tramite chiari messaggi in codice. Cosa che ha continuato a fare anche in seguito. Lo ha fatto anche prima della sopracitata seduta del 19 settembre scorso della Corte per i Reati Gravi e continua a farlo in questi giorni. Perché non si sa mai e tutto può ancora succedere. Sono dei messaggi che, tenendo presente quanto è accaduto in Albania durante questi ultimi anni, si indirizzerebbero al primo ministro e ad alcuni ex colleghi e/o alti rappresentanti della maggioranza governativa. Usando proprio delle frasi offensive, dette dal primo ministro in altre precedenti occasioni, nonché allusioni ai “fratelli” coinvolti in affari di droga. In Albania tutti sanno a quali fratelli l’ex ministro fa riferimento. Ed essendo stato titolare per quasi quattro anni del ministero dell’Interno, l’ex ministro potrebbe avere documenti, registrazioni e filmati che potrebbero coinvolgere veramente anche dei fratelli delle persone ai massimi livelli dell’attuale gerarchia politica in Albania. Lì, dove tutti sanno che se l’ex ministro dell’Interno ha fatto quello per il quale è stato pubblicamente accusato, mai e poi mai poteva farlo senza il beneplacito del primo ministro. Anzi, in Albania tutti sono convinti che l’ex ministro ha semplicemente eseguito degli ordini ben precisi, seguendo una ben dettagliata strategia. Strategia basata sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata per permettere al primo il mantenimento e il consolidamento del potere politico e all’altra ingenti guadagni miliardari. Si valuta che soltanto nel 2016 gli introiti dal traffico illecito della cannabis siano stati di circa un terzo del prodotto interno lordo dell’Albania! E si tratta soltanto di una valutazione approssimativa.

    In seguito ai primi messaggi in codice dell’ex ministro, che si pensa siano stati direttamente indirizzati al primo ministro, quest’ultimo ha cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti. Ha cominciato ad attaccare a spada tratta, come suo solito, i media e i procuratori che si stavano occupando del caso. Procuratori i quali, nella sopracitata richiesta ufficiale indirizzata al Parlamento, chiedendo l’avvio delle procedure per l’arresto dell’ex ministro, erano convinti che lui fosse coinvolto, appoggiasse e facilitasse le attività del sopracitato gruppo criminale. Riferendosi ai procuratori del caso, ai quagli all’inizio chiedeva soltanto di fare giustizia fino in fondo, dopo i messaggi in codice dell’ex ministro, il primo ministro ha cambiato radicalmente opinione. Lui si “meravigliava” e si chiedeva “…dove è stato trovato questo zelo sconoscituo da una Procura per i Reati Gravi, che non ha mosso un dito da quando è stata costituita….?”.

    Da allora in poi tante cose sono cambiate radicalmente, anche per “salvare” l’ex ministro. Perché salvando lui il primo ministro salva tante altre cose e, secondo le cattive lingue, salva anche se stesso. E tutto ciò in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore e nell’ambito dell’ormai pubblicamente fallita “Riforma di Giustizia”. Così, violando quanto stabilisce la Costituzione, è stato votato in Parlamento, o meglio dire nominato, il nuovo procuratore generale provvisorio, termine quello inventato appositamente, perché non esisteva da nessuna parte. Poi, in seguito, è stato nominato il capo della Procura per i Reati Gravi. Tutti e due delle persone ubbidienti agli ordini politici del primo ministro, come i tanti fatti ormai accaduti lo dimostrerebbero. Tra i primi atti ufficiali dei nuovi nominati ci sono state le rimozioni dal caso del ministro dell’Interno, di tutti i procuratori. I nuovi incaricati per più di un anno e mezzo, guarda caso, non sono riusciti a portare alla Corte per i Reati Gravi delle prove per sostenere l’accusa formulata dai loro colleghi, precedentemente rimossi dall’incarico. E le prove, secondo chi se ne intende, sono state tante e convincenti. Tutto per arrivare ad un preannunciato verdetto. Quello letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che ha condannato l’ex ministro soltanto per “abuso d’ufficio”. A causa del rito abbreviato la condanna è stata ridotta a 3 anni e 4 mesi di affidamento in prova al servizio sociale e il divieto di svolgere funzioni pubbliche. Sono state respinte “per mancanza di prove” le accuse di “traffico di sostanze stupefacenti” e “associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga”!

    Chi scrive queste righe è convinto che il processo a carico dell’ex ministro dell’Interno rappresenta un’ulteriore testimonianza del totale fallimento della Riforma della giustizia e del pieno controllo del sistema e dello Stato da parte del potere politico. Purtroppo con il preannunciato verdetto del 19 settembre scorso si è verificato in Albania quanto scriveva Balzac circa due secoli fa. E cioè che le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano, mentre le piccole ci restano impigliate.

     

    23 settembre 2019

  • Ricerca Usa evidenzia come si crea la dipendenza da cocaina

    L’uso continuo di cocaina modifica l’espressione di un gene, rendendolo più attivo, nell’ippocampo, che è una parte del cervello responsabile della memoria e dell’apprendimento. Lo rileva uno studio della Michigan State University, pubblicato sul Journal of Neuroscience, che indica in questo effetto una delle possibili spiegazioni della dipendenza da cocaina.

    Gli studiosi ritengono che quando questo gene è ‘attivo’, il cervello di un tossicodipendente crei legami più forti tra la droga e l’ambiente in cui viene assunta, il che porta a elaborare ricordi positivi e rende più propensi a riutilizzarla. Svolgendo la propria ricerca su topi, gli studiosi hanno rilevato che i roditori a cui veniva somministrata quotidianamente cocaina mostravano una maggiore espressione di questo gene rispetto a quelli a cui era stata data una soluzione salina. L’uso continuo di cocaina ha causato una modificazione che ha reso il gene più attivo.

  • Più multe per i guidatori che usano droghe illegali

    In aumento nel 2018 le multe per i guidatori sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (5.404, +2,2% sul 2017) e in calo quelle per guida in stato di ebbrezza alcolica (39.209, -5,5%). Come riporta ADUC – Notiziario Droghe, a rivelarlo è il Rapporto Aci-Istat sugli incidenti stradali. Dai dati della Polizia Stradale emerge anche quest’anno che a essere multati per guida in stato di ebbrezza sono soprattutto i giovani conducenti di autovetture (tra 25 e 32 anni) nella fascia oraria notturna, fascia durante la quale è stato elevato circa l’80% delle sanzioni. Emerge inoltre che gli italiani sono diventati un po’ più attenti nel parlare al telefono mentre si trovano alla guida: l’infrazione per l’uso improprio dei cellulari, pur restando tra quelle più frequenti, diminuisce mediamente del 6%, forse anche grazie al diffondersi di veicoli dotati di Bluetooth.
    Il Rapporto evidenzia che anche nel 2018 le tre principali cause degli incidenti sono la distrazione, la mancata precedenza e la velocità elevata. Agosto è il mese più pericoloso per il numero di incidenti gravi in tutti gli ambiti stradali (2,7 morti ogni 100 incidenti). Giugno e luglio quelli con più incidenti nel complesso, rispettivamente 16.755 e 16.856. Gennaio e febbraio, viceversa, i mesi con il minor numero di incidenti, febbraio anche con il minor numero di morti. Di notte (tra le 22 e le 6 del mattino) e nelle ore di buio aumentano sia l’indice di mortalità che quello di lesività (rispettivamente morti e feriti ogni 100 incidenti).

  • Sedici marine arrestati in California per traffico di esseri umani e droghe

    Sedici marine americani sono stati arrestati con l’accusa di essere coinvolti in varie attività illecite, dal traffico di essere umani a reati legati alla droga. Lo ha reso noto il corpo dei Marine, precisando che nessuno di loro ha servito nella missione del Pentagono per la crisi migratoria al confine col Messico.
    Gli arresti sono stati eseguiti a Camp Pendleton, California, durante la formazione di un battaglione.

  • ‘Cambia la “sostanza”: “dipende” anche da te!’

    In occasione della Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito di droga (che si celebra mercoledì 26 giugno), Dianova Italia lancia la campagna ‘Cambia la “sostanza”: “dipende” anche da te!’, un gioco di parole per ricordare che ognuno nella nostra società può essere promotore di un cambiamento, sia

    personale che collettivo. I temi della campagna sono strettamente legati alla situazione attuale sulla tossicodipendenza in Italia, dove solo nel 2018 si sono registrati ben 251 decessi per via dell’abuso di droghe, un dato in costante crescita in linea anche con il preoccupante aumento del consumo di sostanze come eroina e fentanyl, e con l’abbassamento generale dei costi delle sostanze reperibili sul mercato.

    Passando agli aspetti concernenti la politica, Dianova considera di fondamentale importanza azioni e provvedimenti incentrati sulla repressione del grande traffico di stupefacenti detenuto dalle organizzazioni criminali da sempre presenti in Italia; la classe politica attuale, tuttavia, ha preferito optare quasi esclusivamente per la repressione del consumatore, una misura non solo inefficace, ma che ha provocato

    nel corso degli anni l’emarginazione dei consumatori di droghe, escludendoli dalla rete assistenziale. Dianova, come specifica anche nel suo posizionamento sulle dipendenze, prende atto dei limiti delle politiche internazionali basate principalmente sul proibizionismo e la repressione del consumatore, e l’incapacità di arginare l’aumento del traffico e il consumo di sostanze, soprattutto tra i giovani, dimostrano la necessità di rivedere l’approccio attuale. Da questa analisi, Dianova ha scelto di improntare la campagna ‘Cambia la “sostanza”: “dipende” anche da te!’, su temi quali l’incapacità da parte del servizio pubblico e privato di intercettare quella fascia di popolazione giovanile di nuovi consumatori, la mancanza di informazioni per la comprensione del fenomeno, i nuovi modelli di consumo ma con scenari che ricordano gli anni ’70 e ’80 e una società civile sempre più individualista che sottovaluta, banalizza e tollera un fenomeno che sta tornando in modo pericoloso. L’obiettivo della campagna è quello di offrire le competenze e le conoscenze di Dianova come risorse all’interno della rete preposta al trattamento residenziale e sensibilizzare i diversi target individuati attraverso immagini e messaggi specifici. Il primo target individuato è quello dei consumatori, ovvero coloro che vivono il problema in prima persona, ai quali Dianova vuole offrire tutto il suo supporto in termini di assistenza e riabilitazione. Vi è poi la collettività, target a cui saranno indirizzati una serie di messaggi per invitare a riflettere, a promuovere stili di vita sani e a non criminalizzare, ma anche per chiedere donazioni a favore delle attività dedicate ai ragazzi ospitati nelle Comunità Terapeutiche. Infine, le famiglie/agenzie educative, un pubblico che fa fatica a gestire la fase critica dell’adolescenza in quanto non sufficientemente informato o poco attento rispetto a quello che sta accadendo; i messaggi, in questo caso, inviteranno a comprendere maggiormente il problema del ritorno della dipendenza, a capire quali sono i riferimenti educativi ai quali i nostri giovani possono guardare e, soprattutto, ad ascoltare, la cosa più importante. La campagna durerà per tutto il mese di giugno, e sui social network sarà possibile sostenerla utilizzando l’hashtag #CambiaLaSostanza e/o personalizzando la propria immagine del profilo.

  • Bugie e inganni

    L’un nasce ladro e l’altro ladroncello, né a tutti i prepotenti è ugual destino.
    Dove passa la vespa, nel tranello rimane il moscerino.

    Jean de La Fontaine; “Il corvo che volle imitare l’aquila”

    La favola comincia così: “Vedendo un corvo l’aquila, che audace rapiva un agnelletto, più debol, ma non men di lei vorace, vuol tentare il medesimo colpetto”. Perciò salta addosso a un bel montone, volendo imitare così il grande rapace. La Fontaine, basandosi su una favola di Esopo, si riferisce all’aquila non come simbolo di nobiltà, di fierezza e di libertà, bensì con altre e meno pregevoli connotazioni. Il corvo, che cominciava a godere il colpo, non sapeva però che il montone pesava molto e che aveva un pelo folto “che la barba parea di Polifemo”, come scriveva Jean de La Fontaine. Non solo non riusciva a sollevare quella preda, perché era pesante, ma sfortuna nella sfortuna, era proprio il pelo del montone, aggrovigliato nei suoi artigli, che non permise più a quel disgraziato corvo di staccarsi e fuggire, mentre il pastore si stava avvicinando minaccioso. Il pastore prese l’avido corvo e lo diede ai suoi pastorelli per usarlo come zimbello. Così finisce la favola. E le favole, si sa, tramite allegorie, simbolismi e metafore rappresentano la saggezza secolare dei popoli.

    Da anni in Albania si sta soffrendo per i ladri. Ma non per ladri qualsiasi, bensì per ladri molto pericolosi e altolocati politicamente. Ladri che nonostante abusino e rubino a più non posso, scappano sempre al tranello, mentre vengono presi soltanto i ladruncoli. Come il corvo della favola. In Albania questa grave realtà è ben conosciuta e di dominio pubblico, nonostante gli sforzi della propaganda governativa, che fa di tutto per nasconderla. Purtroppo non succede niente perché neanche i procuratori e i giudici non riescono a vedere e a constatare niente! Ergo, questa realtà non esiste! E non poteva essere altrimenti. Perché si sa, il sistema della giustizia, ormai pericolosamente politicizzato e messo sotto il controllo e al servizio del primo ministro, è il derivato diretto della volutamente fallita riforma della giustizia.

    Ma nonostante gli sforzi enormi e continui della propaganda governativa, sostenuta anche dalla “cecità e inattività” del sistema di giustizia, questa realtà non si può nascondere. Lo hanno notato ed evidenziato ormai alcuni tra i più importanti media internazionali. Senz’altro questa realtà la conoscono benissimo anche i servizi segreti di alcuni dei paesi occidentali presenti in Albania, perché quanto accade ormai lì ripercuote e desta preoccupazione anche da loro. Sia in termini di criminalità organizzata e di riciclaggio del denaro sporco, che di altro. Questa grave realtà è stata evidenziata anche nel Rapporto ufficiale per il 2018, che il Dipartimento di Stato ha presentato al Congresso degli Stati Uniti giovedì scorso. Un rapporto che mette nero sul bianco quanto accade realmente in Albania e che ha messo in affanno i diretti interessati, allo stesso tempo i diretti responsabili. I quali, primo ministro in testa, cercano di far finta di niente, per l’ennesima volta, con la disperata speranza che la propaganda governativa possa salvare il salvabile. E che, male che vada, fare in modo che nel tranello rimangano, come nella favola del corvo e dell’aquila, soltanto alcuni ladruncoli e non i veri ladri molto altolocati politicamente.

    Secondo il sopracitato Rapporto per il 2018 del Dipartimento di Stato, riferendosi ai media, l’Albania risulta essere “fonte della [produzione] di cannabis e, sempre di più, un paese di transito della cocaina e dell’eroina”. Per poi evidenziare che la criminalità organizzata albanese gestisce ormai il traffico della cocaina e dell’eroina dai paesi produttori dell’America latina e dell’Asia, verso i mercati europei. Un altro fatto, ben noto ormai in Albania, riguarda la corruzione governativa. Secondo il Rapporto “la corruzione governativa è ben diffusa” stimolando perciò un ambiente nel quale i trafficanti delle droghe “operano senza essere puniti”. In quanto al riciclaggio del denaro sporco, sempre nel sopracitato Rapporto si afferma che durante il 2018 il governo albanese non è riuscito a contrastare e combattere il riciclaggio. Dal Rapporto risulta che “Le costruzioni, i progetti per lo sviluppo delle imprese e i giochi d’azzardo sono i metodi più efficaci per il riciclaggio del denaro della criminalità [organizzata] albanese”.

    Si tratta di una realtà ormai e purtroppo ben nota e denunciata continuamente in Albania. Ma che “stranamente” è una realtà che “sfugge” agli occhi, alle orecchie e alla dovuta e doverosa attenzione istituzionale di alcuni “rappresentanti internazionali” accreditati in Albania. Dalle loro continue e non sempre appropriatamente fatte dichiarazioni pubbliche, risulterebbe che questa realtà “sfugge” però ad alcuni rappresentanti diplomatici statunitensi. I quali elogiano soltanto i “successi’ del governo e descrivono una realtà albanese molto rassicurante e promettente. Realtà che però è ben diversa da quella descritta dal sopracitato Rapporto per il 2018 del Dipartimento di Stato. Chissà perché?!

    Una realtà questa albanese, che sembrerebbe sia “sfuggita” anche al massimo rappresentante della Delegazione dell’Unione europea a Tirana. Il quale dichiarava, all’inizio della settimana scorsa, che dal giugno scorso ad oggi l’Albania “ha fatto un considerevole progresso”! Il che contrasta fortemente con quello che accade quotidianamente. Sembra che al rappresentante dell’Unione europea sia sfuggita, tra l’altro, la pubblicazione dei contenuti di alcune intercettazioni dalle quali risulta il coinvolgimento attivo della criminalità organizzata durante le elezioni politiche del 2017. Sembra che allo stesso rappresentante siano sfuggite anche le ultime pubblicazioni, durante la scorsa settimana, dei contenuti di alcune intercettazioni telefoniche che coinvolgerebbero alti funzionari della polizia di Stato che trattano con un “trafficante attore” per coprire uno scandalo governativo. Chissà perché?!

    A questo punto viene naturale la domanda: a chi e a cosa credere? Alla realtà quotidianamente vissuta e sofferta dai sempre più poveri cittadini in Albania? Alle evidenze documentate, da quei pochi media ancora non controllati e da alcuni rappresentanti dell’opposizione, sulla crescente e diffusa corruzione governativa? A tutto quello che risulta dalle intercettazioni telefoniche, dalle quali risulterebbero coinvolti alti funzionari della polizia di Stato? Alla provata connivenza della criminalità organizzata con i massimi livelli della politica? All’arroganza del primo ministro che adesso controlla personalmente tutto il sistema della giustizia, oltre a tante altre istituzioni pubbliche e statali? E ultimamente, anche ai contenuti del Rapporto per il 2018 del Dipartimento di Stato? Oppure alle dichiarazioni di alcuni “rappresentanti internazionali” in Albania? E poi, per chi lavorano realmente questi “rappresentanti internazionali”?! A chi e a cosa credere?

    Chi scrive queste righe è convinto che le bugie e gli inganni del primo ministro e dei suoi, compresi anche alcuni importanti “rappresentanti internazionali” non possono durare a lungo. Perché, come dice la saggezza popolare, con le bugie si può andare avanti in tutto il mondo, ma non si può mai tornare indietro. Egli è altresì convinto anche che verrà un giorno, quando insieme con i ladroncelli, saranno presi nel tranello anche i ladroni. E per l’Albania e gli albanesi prima questo giorno verrà e meglio sarà!

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