Economia

  • La sagra delle manipolazioni e delle menzogne sull’Autonomia Differenziata per nascondere la polvere sotto il tappeto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, Presidente di Europa Nazione

    La riforma dell’Autonomia Differenziata nel corso della sua approvazione ha già integrato 26 violazioni della Costituzione, 12 forzature di legge e 42 truffe e manipolazioni che, per un disegno di legge di appena 11 articoli, costituiscono un record mondiale di mala politica, ed evidenziano una totale assenza di etica, moralità e correttezza di una classe politica incapace di vedere al di là dei propri interessi, le conseguenze gravissime di una triade di riforme che nulla hanno a che vedere con il bene comune e il rafforzamento della serenità e dell’unità del Paese, ma semmai l’esatto contrario.

    Ottenuta l’approvazione, la preoccupazione crescente sulla presa di coscienza dei cittadini italiani, specialmente del Sud, sta sollecitando molti soggetti politici a rivestire il ruolo di difensori d’ufficio della sciagurata riforma, con un florilegio di ulteriori bugie e manipolazioni, nonché insulti ai cittadini, senza avere mai letto il testo, e ancora meno capito, la tragedia che cercano di difendere e di trasformare in presunta opportunità per le vittime della congiura delle tre riforme.

    Tra i tanti che esaltano l’Autonomia Differenziata emergono, per inconsistenza degli argomenti, figure come quella del Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e del Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare Nello Musumeci che, dopo 17 mesi di processo approvativo della legge, con i loro interventi, se in buona fede, dimostrano di non avere capito nulla di questo provvedimento. In particolare Schifani nell’accusare nientemeno di “terrorismo politico” gli attacchi all’Autonomia, dichiara fideisticamente (ma senza avere letto una riga del provvedimento legislativo) “di rifiutarsi di pensare che questo governo possa approvare intese pericolose per il Sud”, e conclude la sua esternazione sostenendo la sua tesi, del tutto infondata, sul principio che “se non ci saranno i Livelli Essenziali di Prestazione l’Autonomia non partirà”. Gli fa eco il Ministro Musumeci che, dall’alto delle sue note competenze legislative e giuridiche, messe in atto nei cinque anni di gestione della Regione Siciliana dove ha risolto miracolosamente ogni problema, con il cipiglio che gli è tipico, insulta i meridionali e li sprona a smetterla di piangere. Ed aggiunge una affermazione criptica “Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle regioni settentrionali”; per concludere “Io ho votato il provvedimento al Senato e non avrei mai votato un provvedimento che potesse pregiudicare l’unità d’Italia”, con ciò confermando che non ha letto, o non ha capito il provvedimento approvato.  Questi due campioni della politica siciliana si assumono la responsabilità di difendere una norma indifendibile, incuranti del destino di 20 milioni di italiani del Sud, venduti a logiche di interessi personali e partitici, che di colpo vengono privati dei loro diritti costituzionali, del loro futuro e del doveroso rispetto dovuto al popolo sovrano. Come si fa a non capire che con l’approvazione della legge, nessuno potrà fermare il processo di trasferimento dei fondi dallo Stato alle regioni ricche, che lo otterranno con le intese che saranno operative nel giro di 4-5 mesi al massimo? Il procedimento previsto nei 24 mesi dall’approvazione del disegno di legge dei decreti legislativi per la determinazione dei LEP non riguarda le regioni ricche, che hanno le commissioni paritetiche, e quindi da subito potranno aumentare a loro piacimento i costi del LEP. Sono soltanto le Regioni fragili che dovranno aspettare i 24 mesi, e poi eventualmente per l’aumento dei costi dei LEP: prima dovranno aspettare altri tre anni, e poi anche il finanziamento dello Stato, che nel frattempo le regioni ricche avranno svuotato, e quindi non ci saranno le risorse necessarie a sostenere tali spese. Quindi Schifani e Musumeci, e tutti coloro che hanno votato questa riforma, specialmente se eletti nel Sud, con questo provvedimento hanno tradito non solo i diritti costituzionali dei cittadini del Sud, ma la logica stessa della solidarietà come principio fondativo della Patria comune. Il Sud è stato sacrificato sul terreno della disparità dei diritti e l’Autonomia Differenziata è la prima legge della Repubblica Italiana a legittimare tale disparità con l’avere sostituito lo Jus Civitatis con lo Jus domicili, banalizzando di fatto l’art. 3 della Costituzione Italiana sulla parità dei diritti, e concedendo ogni possibile beneficio solo in base alla residenza che, per i cittadini delle regioni ricche comporterà vantaggi e prebende, a discapito dello Stato e delle regioni povere, che dovranno sopravvivere in condizioni di assoluta assenza di solidarietà e perequazione. Non è accettabile che si restituisca il residuo fiscale alle Regioni ricche, che non ne hanno alcun diritto, essendo il pagamento delle imposte erariali un dovere nei confronti delle Stato, e quindi impedire alle regioni povere di avere risorse e trasferimenti dallo Stato, come fosse una condanna alla presunta incapacità di non essere diventate anch’esse ricche. Perché la perequazione tra i territori (che non c’è nella riforma malgrado imposta dalla Costituzione) e i principi di solidarietà, prescindono dal passato e dalle eventuali responsabilità, ma incidono sul futuro, ed appare incredibile che una destra di governo possa concepire una norma così assurdamente penalizzante e divisiva, da smuovere anche l’allarme della Commissione UE che sostiene come “la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Un’ultima domanda a Schifani, Musumeci e ai difensori d’ufficio di questo sciagurato provvedimento che non sarà dimenticato dagli italiani: quando lo Stato rimarrà senza risorse, per averle date alle regioni ricche, chi pagherà il Debito Pubblico, il Sud?

    *Presidente di Europa Nazione

  • Il 92% degli italiani non rinuncia alle ferie, ma fa vacanze più corte

    Secondo l’Osservatorio Findomestic rispetto allo scorso anno sono diminuiti (dal 12% all’8%) gli italiani che rinunciano a fare le vacanze. Si parte soprattutto con i familiari per cercare relax e benessere più che cultura. La spesa media prevista è di quasi 1.800 euro a famiglia, il 15% in più rispetto al 2023. I rincari maggiori percepiti per bar, ristoranti e alberghi.

    Il 92% degli italiani ha già programmato le vacanze (62%), o pensa comunque di farle (30%), ma per meno tempo rispetto alla scorsa estate. Secondo il focus dedicato al turismo dell’Osservatorio Findomestic (Gruppo Bnp Paribas), il 41% degli intervistati partirà per una settimana (era il 51% nel 2023), mentre il 27% solo per qualche weekend (9 punti percentuali in più rispetto all’ultima estate). Rimane stabile al 30% la percentuale di chi andrà in vacanza per due settimane e anche oltre. Solo l’8% degli italiani (era il 12% nel 2023) non farà, invece, alcun giorno di vacanza, soprattutto (per 1 famiglia su 2) a causa di una diminuzione del proprio reddito.

    “Gli italiani – commenta Claudio Bardazzi, Responsabile Osservatorio Findomestic – non vogliono rinunciare a godersi qualche giorno di riposo nonostante il momento incerto dal punto di vista economico: partiranno soprattutto per l’Italia (80%) e per il mare che resta la meta prediletta (72%), seguita dalle città d’arte (24%) e dalla montagna (18%). Si andrà in compagnia della propria famiglia (82%) più che tra amici (15%), si cercherà più benessere e relax (61%) che cultura o divertimento (24%)”.

    Gli italiani che pensano di partire per le ferie prevedono una spesa media intorno ai 1.785euro, in aumento del 15% rispetto ai 1.560 euro del 2023. Le famiglie con 4 o più persone riescono a contenere maggiormente l’aumento dei costi: prevedono un budget medio di 1.923 euro, 73 in più (+4%) rispetto ai 1.850 euro dello scorso anno. Nel complesso, quasi 7 famiglie su 10 (68%) pensano di spendere fino a 2.000 euro, il 15% tra 2.000 e 3.000 e soltanto il 7% oltre i 3.000 euro. “Il 68% dei vacanzieri di questa estate – continua Bardazzi – nota un aumento dei prezzi superiore a quello che si osserva in altri settori e i rincari più evidenti sono percepiti nei ristoranti e bar (65%), alberghi (58%), trasporti aerei e spiagge (41%)”. “Per contrastare la crescita dei prezzi e il calo del potere d’acquisto chi parte si propone di fare ferie “intelligenti”: il 72% cercherà di spendere il meno possibile, il 69% eviterà le mete più ambite e il 65% ha prenotato con largo anticipo per risparmiare, evitando nel 59% dei casi i periodi più centrali”.

    L’albergo è la struttura prescelta dal 34% degli intervistati (3 punti percentuali in più rispetto al 2023), ma anche le case in affitto e i residence risultano una soluzione molto gradita (30%, in linea con l’anno scorso). Al terzo posto troviamo i bed&breakfast con il 22% delle preferenze. “La necessità di cercare relax e benessere – ha aggiunto Bardazzi – emerge anche dalla scelta della destinazione: oltre 3 persone 10 per evitare complicazioni o brutte sorprese andranno in posti dove sono già stati o vanno di solito e il 25% sceglie nuove destinazioni solo affidandosi ai consigli degli amici”.

  • Esportazioni agroalimentari dell’UE in costante crescita nel primo trimestre del 2024

    L’ultima relazione mensile sul commercio agroalimentare mostra che nel marzo 2024 l’avanzo commerciale del settore agroalimentare dell’UE ha raggiunto i 6,7 miliardi di euro, equivalente a un aumento dell’8% rispetto al mese precedente e del 3% rispetto al marzo 2023.

    Nel marzo 2024 le esportazioni agroalimentari dell’UE hanno raggiunto i 20,1 miliardi di euro, con un aumento su base mensile del 4%. Il Regno Unito è rimasto la principale destinazione delle esportazioni agroalimentari dell’UE, rappresentando il 22% del valore delle esportazioni dell’Unione.

    Nel primo trimestre del 2024 gli Stati Uniti hanno registrato il maggior aumento delle esportazioni dell’UE, con una crescita del 6% (372 milioni di euro), mentre la Cina, nonostante una riduzione di valore del 12%, è rimasta la terza destinazione. In termini di prodotti esportati, le esportazioni dell’UE di olive e olio d’oliva hanno registrato l’aumento più elevato rispetto al 2023 (+615 milioni di €, +51%) a causa dell’aumento dei prezzi, nonostante un lieve calo dei volumi.

  • L’UE avvia procedimenti per la risoluzione delle controversie nei confronti dell’Algeria per difendere le imprese europee

    L’UE ha avviato un procedimento per la risoluzione delle controversie nei confronti dell’Algeria e ha richiesto consultazioni con le autorità algerine per affrontare le diverse restrizioni imposte alle esportazioni e agli investimenti dell’Unione. L’UE ritiene che, imponendo tali misure commerciali restrittive dal 2021, l’Algeria non rispetti i suoi impegni in materia di liberalizzazione degli scambi nel quadro dell’accordo di associazione UE-Algeria.

    L’obiettivo dell’UE è impegnarsi in modo costruttivo con l’Algeria al fine di eliminare le restrizioni in diversi settori di mercato, dall’agricoltura all’industria dell’autoveicolo. Le restrizioni includono un sistema di licenze di importazione che ha l’effetto di un divieto di importazione, sovvenzioni vincolate all’uso di fattori di produzione locali per i costruttori di autovetture e un massimale relativo alla proprietà straniera per le imprese che importano beni in Algeria.

    L’UE è il principale partner commerciale e il principale mercato degli scambi internazionali dell’Algeria (circa il 50,6 % nel 2023). Alla luce degli sforzi infruttuosi per risolvere la questione in via amichevole, l’UE ha compiuto questo passo per tutelare i diritti degli esportatori e delle imprese dell’UE operanti in Algeria che hanno subito ripercussioni. Le misure algerine danneggiano anche i consumatori algerini, a causa di una scelta indebitamente limitata di prodotti.

    Nel 2002 l’UE e l’Algeria hanno firmato un accordo di associazione, entrato in vigore nel 2005, che stabilisce un quadro di riferimento per la cooperazione UE-Algeria in tutti i settori, compresi gli scambi. Qualora non si riuscisse a raggiungere una soluzione, l’UE avrà il diritto, in virtù dell’accordo, di chiedere la costituzione di un collegio arbitrale.

     

  • Il paradosso degli incentivi fiscali

    Gli incentivi fiscali possono determinare degli  esiti contraddittori a seconda del loro posizionamento.  Sembra incredibile come ancora oggi sia necessario precisare la differenza negli  esiti con la politica degli incentivi se posizionati a monte o a valle di una qualsiasi filiera industriale.

    Nel caso, per esempio, dell’industria automobilistica qualsiasi forma di incentivo relativo a favorire l’acquisto di un’auto, esattamente quanto scelto dal governo in carica, rappresenta un sostegno alla politica “commerciale” quasi sempre utilizzato, come diceva Marchionne negli anni passati, a favore della vendita di automobili estere e magari nell’ultimo periodo cinesi.

    Anche se gli esempi risultano sempre molto difficili da dimostrarsi veramente esemplificativi, sarebbe come se il bonus edilizio fosse stato adottato come incentivo alla vendita delle realtà immobiliari esistenti e non a favore di un eventuale efficientamento energetico, come è avvenuto in realtà, anche con effetti disastrosi per quanto riguarda il debito alla spesa pubblica.

    In quest’ottica, all’interno di una politica di sviluppo di una qualsiasi filiera industriale i medesimi incentivi dovrebbero rappresentare la prima forma di sostegno alle produzioni o quantomeno al mantenimento delle complesse filiere all’interno del confine nazionale.

    Solo in questo caso, quindi, questi assumerebbero i connotati di una forma di sostegno non al singolo settore manifatturiero, ma più complessivamente ne trarrebbe un vantaggio la stessa occupazione, e, di conseguenza, anche allo sviluppo della domanda interna e quindi dello stesso PIL.

    Nel complesso momento nel quale il sistema economico/industriale si trova, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, di fronte alla quindicesima flessione della produzione industriale un governo consapevole avrebbe dirottato ogni incentivo a monte della filiera, più che allo sviluppo del commercio dei prodotti per riuscire ad acquisire qualche decimale di crescita.

    In quanto l’obiettivo strategico dovrebbe essere quello di invertire il trend della disastrosa flessione della produzione industriale, la quale non è ancora oggi condizionata dalla politica fiscale a sostegno espressa dal governo in carica come dai precedenti.

    Va ricordato, infatti, come gli ultimi governi, compreso l’attuale, si sono dimostrati espressione di un imbarazzante pressapochismo economico optando  con la scelta dei bonus fiscali ed incentivi a valle di ogni filiera industriale e quindi anche di quella Automotive. Ed ecco allora come i risultati ovviamente non tardano ad arrivare, come qui sotto ricordati (*), con un calo della produzione industriale nel settore industriale dell’auto del -20%. Un disastro strategico e politico oltre che economico il quale non può venire semplicemente attribuito alla congiuntura internazionale ma anche ad un’incompetenza di fondo di chi ha gestito negli ultimi vent’anni la politica economica ed industriale del Paese.

    Tornando, quindi, agli incentivi fiscali ed economici, sarebbe opportuno ricordare come proprio dal loro posizionamento, se a monte o piuttosto a valle della filiera industriale, questi potranno garantire un futuro al nostro Paese oppure condannarlo alla propria estinzione industriale ed economica.

    (*) https://www.motorionline.com/anfia-ad-aprile-in-italia-la-produzione-cala-ancora-203/

  • Arriva Combimais XI

    Presentato a Milano l’undicesimo protocollo CombiMais. Il sistema in 10 anni ha dimostrato di saper stabilizzare la produzione, rispettando ambiente, sostenibilità e qualità, ha detto Mario Vigo dell’azienda agricola Folli a Robbiano (Milano), ideatore del protocollo CombiMais e presidente del CentroStudi Innovagri, l’associazione impegnata nello studio e la ricerca dell’innovazione nell’agroalimentare.

    Come si legge sulle pagine de Il Sole 24 Ore, il contesto è la borsa cerealicola regionale Granaria a Milano, dove nello scorso aprile è stato presentato il nuovo protocollo CombiMais1.1, undicesimo aggiornamento del primo, presentato in occasione di ExpoMilano nel 2015. Il protocollo è una sorta di distillato di buone pratiche rivolte ai coltivatori, per reagire ai cambiamenti climatici e di contesto che rendono sempre più complessa la coltivazione del mais e la redditività per le aziende.

    Il modello è quello dell’aggregazione tra aziende, per ridurre i costi di produzione e mettere a fattor comune le competenze. Il coordinamento agronomico del protocollo CombiMais è affidato a Leonardo Bertolani; gli step delle attività sono sotto la regia del Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino, guidato dal professo Amedeo Reyneri che, in occasione della presentazione alla stampa, ha chiarito i riferimenti scientifici del progetto.

    La presenza alla presentazione milanese del protocollo CombiMais di Alessandro Beduschi, assessore all’Agricoltura, Sovranità Alimentare, Foreste di Regione Lombardia, ha permesso agli imprenditori del protocollo presenti in sala di fare emergere le richieste del mondo agricolo lombardo. «CombiMais dimostra che questo non è un settore reazionario negazionista – ha detto l’assessore – invece si propone un approccio olistico, una antologia di buone prassi che la tecnologia rende possibili per colture irrinunciabili come quella del mais. Questa iniziativa dovrebbe entrare nella politica regionale e anche nazionale: è una risposta concreta, non ambientalismo sterile».

  • Nel 2024 l’Africa avrà un Pil più grande del 3,7%

    La crescita media del Pil dell’Africa tornerà a crescere al 3,7% nel 2024 dopo aver conosciuto un rallentamento al 3,1% nel 2023, e aumenterà al 4,3 % nel 2025. È quanto emerge dall’Africa Economic Outlook 2024, presentato oggi a Nairobi in occasione della riunione annuale della Banca africana di sviluppo (Afdb). Analizzando i Paesi del Nord Africa, l’Egitto farà registrare quest’anno una crescita pari al 3,3%, in calo rispetto al 3,8 per cento del 2023, mentre la proiezione per il 2025 è di una crescita del 4,5% del Pil. L’Algeria, dopo una crescita pari al 4,2% nel 2023, rallenterà al 4% nel 2024 e al 3,7% nel 2025. Il Marocco, la cui economia è cresciuta del 3,2% nel 2023, crescerà del 3,5% nel 2024 e del 3,8 % nel 2025. Quanto all’area sub-sahariana, la prima economia africana – la Nigeria – crescerà quest’anno del 3,2%, in aumento rispetto al 2,9% del 2023, e conoscerà un ulteriore consolidamento al 3,4% nel 2025. Il Sudafrica, dopo aver conosciuto una crescita molto bassa lo scorso anno (0,6 per cento), quest’anno l’economia tornerà a crescere sopra l’1%(+1,3%) e nel 2025 si stima un aumento del Pil pari all’1,6%.

    Nonostante le sfide strutturali radicate e suscettibilità agli shock esogeni, la maggior parte delle economie africane ha mostrato una notevole resilienza, afferma il rapporto, sottolineando che negli ultimi quattro anni il continente ha dovuto fare i conti con molteplici shock esogeni, persistenti prezzi elevati di cibo ed energia a seguito degli effetti prolungati dell’invasione russa dell’Ucraina e delle altre tensioni geopolitiche, dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi. L’Africa rimane la seconda regione con la crescita più rapida al mondo dopo l’Asia. Secondo il rapporto, 41 Paesi africani cresceranno ad un ritmo più elevata nel 2024 rispetto al 2023 e si prevede che 15 di essi cresceranno di oltre il 5% nel 2024. Inoltre, dieci Paesi africani risultano essere tra le prime 20 economie a più rapida crescita al mondo, una tendenza in atto da oltre una decade. Ciò nonostante, prosegue il rapporto, numerose rimangono le sfide alla crescita africana, a partire dallo sviluppo ancora arretrato e da una crescita demografica troppo sviluppata per essere sostenuta da quella economica.

    Grazie al recupero del reddito disponibile eroso dall’inflazione, nel 2024 i consumi interni si manterranno in crescita posizionandosi sopra i livelli di spesa pre-Covid anche a prezzi costanti, dopo il pareggio del 2023. A trainare il recupero saranno i servizi (in particolare quelli legati alla socialità, come alberghi e ristoranti, cultura e spettacolo) e i beni durevoli per la mobilità, che si confermeranno in crescita vivace, dopo il punto di minimo toccato durante la pandemia. In sostanziale tenuta la spesa per beni alimentari, che a seguito dei recenti rincari continuerà a incidere in maniera rilevante sulla spesa complessiva per consumi nel 2024, e sui redditi delle famiglie, togliendo spazi di recupero ai consumi di abbigliamento e calzature, soprattutto per le famiglie meno abbienti. I beni durevoli per la casa (mobili, elettrodomestici), invece, risentiranno dell’effetto di sgonfiamento degli incentivi rivolti al comparto delle ristrutturazioni edilizie.

  • Lo Stato di minoranza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Come istituzione lo Stato dovrebbe rendersi interprete dell’interesse dei propri cittadini, grazie all’opera degli organi istituzionali titolari dei poteri esecutivo, legislativo e giurisdizionale.

    In altre parole, ci dovrebbe essere in uno stato democratico la completa e totale identificazione degli obiettivi statali con le aspettative della maggioranza degli amministrati. Questo tipo di risultato può venire ottenuto e soprattutto mantenuto solo all’interno di una democrazia diretta, nella quale i cittadini possano esprimere la propria opinione sulle più diverse questioni di ordine economico, fiscale, politico ed anche infrastrutturale come attualmente solo in Svizzera avviene.

    Viceversa l’entità statale elabora una propria indipendente priorità di obiettivi politici, economici e, nell’ultimo decennio, anche ambientali ed etici, questi ultimi sicuramente importanti ma comunque espressione di una minoranza, in virtù di una presunta superiorità intellettuale la cui sola legittimazione deriva dal semplice mandato elettorale.

    Come logica conseguenza in questo caso lo Stato non solo diventa una istituzione non più in grado di interpretare le necessità dei cittadini ma addirittura neppure interessata alla loro conoscenza, così da rendersi distaccato e lontano ed alla fine autoritario, infatti uno Stato minoritario si dimostra tale quando la propria classe politica manifesta interesse solo ed esclusivamente per le aspettative delle minoranze.

    In quest’ultimo caso le due forme di sostentamento e di mantenimento dello Stato vengono rappresentate dalla gestione della spesa pubblica sempre in continuo aumento. In più, a questa forma di potere si aggiunge la gestione del credito esercitata da un sistema bancario che sostiene, in complicità con lo stato, l’esplosione del debito pubblico (*).

    Per ottenere il mantenimento di questa diarchia, lo Stato inevitabilmente non cerca di migliorare l’efficienza della spesa pubblica, e conseguentemente il benessere dei propri cittadini, ma canalizza tutte le proprie attenzioni verso obiettivi ancora una volta politici ed etici come la lotta alla evasione, in quanto l’obiettivo principale non è quello di razionalizzare la spesa, in relazione alla cui efficienza l’Italia è al 123° posto dietro ad Haiti, ma di aumentare la dotazione finanziaria della stessa e di conseguenza il potere di chi lo gestisce.

    All’interno infatti di una spesa pubblica che ha raggiunto i 1.129 miliardi e ben oltre il 57% del PIL, avrebbe un effetto minimale il recupero anche dell’intera evasione fiscale e contributiva attuale attorno agli 82 miliardi di imponibile.

    La sua resa finanziaria risulterebbe di circa 42 miliardi, anche applicando l’aliquota massima, il recupero totale, in ultima analisi, si attesterebbe al 3,5% della spesa pubblica totale. Quindi affermare che la sola lotta all’evasione possa essere la soluzione per sanare gli squilibri ingiustificabili causati dalla stessa spesa pubblica rappresenta un controsenso o peggio la tipica espressione di uno Stato assolutamente minoritario.

    Con questo termine si definisce quella entità statale espressione di una democrazia malata con un sistema elettorale bloccato dagli stessi partiti all’interno della quale la delega non rappresenta più una garanzia di democrazia, ma semplicemente una cambiale in bianco che viene utilizzata per sostenere e sviluppare interessi particolari.

    In questo contesto ecco allora che Stato ponendo la sua attenzione e la propria tecnologia digitale nella sola lotta all’evasione, causata anche dai “materassi normativi” creati da ogni governo, in barba a qualsiasi tutela della privacy utilizza sempre più strumenti invasivi della legittima sfera personale (**) assumendo sempre più i connotati orwelliani. Mentre se il medesimo impegno venisse indirizzato nel combattere i reati “minori”, ai quali la pessima riforma Cartabia del governo Draghi ha annullato la procedibilità d’ufficio, probabilmente i reati contro il patrimonio potrebbero sicuramente essere contrastati con maggiore efficienza.

    Risulta evidente, quindi, come l’attuale entità statale ora rappresenti non più gli interessi della comunità, ma semplicemente lo strumento per il conseguimento di interessi particolari sostenuti finanziariamente attraverso la spesa pubblica e la gestione del credito.

    In fondo non si rileva una grande differenza nella elaborazione delle priorità, espresse anche in sede europea, tra le teocrazie islamiche e gli attuali asset istituzionali minoritari attualmente espressi sia dall’Italia che dalla stessa Unione Europea.

    (*) novembre 2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

    (**) giugno 2024 https://www.wallstreetitalia.com/anonimometro-gia-operativi-i-controlli-sui-conti-correnti/

  • Contraffazione, un danno da 16 miliardi

    L’ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale controlla le conseguenze economiche della contraffazione e, dai suoi dati, risulta che sono 16 i miliardi che ogni anno vanno persi per colpa delle merci contraffatte e con la perdita di duecentomila posti di lavoro nell’Unione.

    L’Italia è ovviamente uno dei paesi più colpiti perché gran parte della contraffazione riguarda l’abbigliamento ed il calzaturiero, settori nei quali la nostra industria è molto forte, a seguire vi sono i cosmetici e l’industria del giocattolo.

    La contraffazione colpisce anche molti altri settori compreso quello delle penne e degli accendini Bic o quello dei pneumatici.

    Il danno economico è rilevante ma lo sono altrettanto i danni per la salute sia per l’uso di sostanze tossiche nei giocattoli o di coloranti nei vestiti o cosmetici, che per la poca sicurezza ed affidabilità del prodotto contraffatto, basti pensare alle gomme per le macchine ed i camion.

    Germania, Francia e Spagna sono i paesi europei che, con l’Italia in testa, patiscono di più la messa in commercio di merci illegali e, o, contraffatte. Circa il 15% degli articoli sequestrati alle frontiere esterne dell’Unione sono risultati pericolosi per la salute.

    La Commissione europea, oltre che di Euipo, si avvale di Interpol e dell’Olaf per contrastare la diffusione della contraffazione ma bisogna anche dire chiaramente che, oltre a reimpostare il funzionamento delle dogane per armonizzare sistemi e tempi, è anche necessario informare con più chiarezza i consumatori dei pericoli nei quali incorrono e dei danni economici e lavorativi che, a causa della contraffazione, toccano poi a tutti.

    Bisogna far capire, specie ai più giovani, che l’acquisto di prodotti contraffatti oltre ad essere un rischio è di fatto un risparmio solo apparente perché le conseguenze economiche negative si riversano su tutti i cittadini.

    Un altro aspetto preoccupante è la vendita on line di farmaci, integratori, presidi sanitari, falsificati.

    In questa campagna elettorale, dove si parla di tutto meno che dei problemi che l’Europa deve risolvere al più presto, se vuole vivere ed essere utile e libera, anche la cultura della legalità, la lotta alla contraffazione dovrebbe essere argomento di dibattito e un altro obiettivo per il prossimo Parlamento europeo. Ma la politica sembra concentrarsi sul tiro alla fune.

  • Il turismo di non ritorno

    Il mercato globale ha determinato anche la globalizzazione della domanda turistica e con lei la volontà di visitare le località più belle del mondo, molte delle quali si trovano in Italia, creando le condizioni dell’overtourism, termine molto “qualificante”.

    Da anni il turismo rappresenta una risorsa importante ma contemporaneamente abbina dei costi impliciti ancora oggi non perfettamente calcolati e forse neppure conosciuti.

    Solo ora,  in seguito ad una nuova esplosione di domanda turistica, gli effetti si cominciano ad intravedere, attraverso lo spopolamento dei centri storici delle maggiori località turistiche e con un appiattimento delle figure professionali richieste solo dalla ristorazione come dall’hotellerie (giugno 2023 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-presunta-sostenibilita-del-turismo/).

    Uno degli aspetti più importanti che il vero sviluppo economico ha portato con sé può venire individuato nella crescita di nuove aggregazioni urbane, proprio dove si creano posti di lavoro legati all’industria e quindi ad un sito produttivo creatore di valore aggiunto.

    Con il turismo, invece, avviene esattamente lo stesso in quanto i prezzi delle case subiscono delle rivalutazioni scollegate dal contesto ma basate solo ed esclusivamente su un interesse turistico globale.

    In questo contesto risulta più remunerativo avviarle verso gli affitti turistici più che darle come residenza di famiglia.

    Questo dimostra come il turismo non rappresenti una forma di sviluppo per un paese, in quanto vende un prodotto esistente ad un valore base e non ha nessun coefficiente moltiplicatore se non quello speculativo relativo ad una domanda turistica crescente.

    Credere che il turismo rappresenti il futuro della nostra economia dimostra sostanzialmente una assoluta incapacità di comprensione relativa ad un fenomeno certamente in crescita ma molto lontano dalla creazione di quel valore aggiunto quale può nascere solo ed esclusivamente attraverso un sistema industriale capace di rispondere ad una domanda globale.

    In altre parole, il turismo rappresenta una forma di economia per pochi, semplice ed immediata ma che porta inevitabilmente qualsiasi località e paese ad un declino proporzionato alla percentuale di importanza della economia turistica (luglio 2023 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-cuba-del-terzo-millennio/).

    In questo contesto risulta espressione della medesima incapacità di comprendere e gestire un fenomeno complesso e mondiale l’idea di inserire un ticket di ingresso ad un patrimonio rappresentato da una città come Venezia o le Dolomiti stesse.

    A questo si aggiunga come per la città Veneta il flusso di turismo sia legato ormai ai dodici mesi dell’intero anno, mentre per le Dolomiti, studiando i flussi turistici e soprattutto il traffico sulle statali più battute, si rivela essenzialmente legato al massimo a due o tre periodi all’anno, che quindi non giustificano alcun intervento strutturale e tanto meno un ticket.

    Il vero obiettivo delle istituzioni dovrebbe essere rappresentato dalla responsabilità di tramandare ai posteri il patrimonio che hanno ereditato senza alcun merito se non quello di essere nati nel nostro meraviglioso Paese.

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