Economia

  • Pronostico di Intesa e Prometei: quest’anno l’industria italiana fatturerà 1160 miliardi

    Il fatturato dell’industria italiana dovrebbe stabilizzarsi sui 1160 miliardi di euro a fine anno, a prezzi correnti: +250 miliardi rispetto al 2019, a chiusura di un ciclo post-Covid da record. È quanto emerge dal Rapporto Analisi dei Settori Industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia. A prezzi costanti, le attese sono di moderato rimbalzo (+0,6 per cento), che consentirà di recuperare solo in parte quanto perso nel corso del 2023 (- 2,1%). Dopo una prima parte dell’anno ancora debole, infatti, in linea con quella che è stata la tendenza prevalente nel 2023, ci attendiamo un secondo semestre di maggior dinamismo, grazie all’impatto positivo che il rientro dell’inflazione avrà sulla domanda interna e internazionale, e al conseguente ribasso dei tassi d’interesse. L’indice Istat, che sintetizza il clima di fiducia delle imprese manifatturiere italiane, resta in territorio negativo ma è in costante ripresa dai minimi di novembre 2023. I giudizi su ordini e domanda sono in miglioramento, nonostante un saldo ancora negativo sia sul fronte interno che sui mercati esteri. Inoltre, si riscontra un minor pessimismo degli operatori relativamente alle attese sulla produzione, che potrebbe presto concretizzarsi in un’inversione ciclica, interrompendo la fase di caduta dei livelli di attività in atto dal secondo trimestre del 2023.

    Il commercio mondiale – prosegue il Rapporto – ritroverà progressivamente slancio dopo la battuta d’arresto del 2023, pur a fronte di rischi geopolitici che potrebbero esercitare pressioni al ribasso. Buone opportunità di export emergeranno sia sui mercati extra-europei, soprattutto gli Stati Uniti, che stanno registrando performance superiori alle attese, sia all’interno dell’area Ue, che nel 2023 aveva rallentato maggiormente in termini di scambi commerciali. Ci aspettiamo che le imprese italiane siano in grado di cogliere le opportunità offerte dai mercati internazionali, registrando una crescita dell’export del 2,6% a prezzi costanti che confermerebbe la buona competitività dimostrata negli ultimi anni. Il processo di rafforzamento avviato post-crisi 2009, infatti, ha consentito a un nucleo sempre più ampio di aziende di inserirsi come partner affidabili nelle catene globali del valore e/o di conquistare quote nei mercati mondiali.

    A rallentare il passo nel corso del 2024 saranno soprattutto gli investimenti in costruzioni, dopo il ciclo eccezionale degli anni post-Covid. La contrazione dell’edilizia residenziale, indotta da un contributo meno espansivo della riqualificazione (rimodulazione del Superbonus, stop definitivo alla cessione del credito e allo sconto in fattura), potrà essere compensata solo parzialmente dagli investimenti del genio civile, sostenuti dall’accelerazione attesa degli interventi legati al Pnrr. Gli investimenti in beni strumentali si confermeranno in crescita nell’anno in corso, ma a ritmi meno dinamici di quelli degli anni post-pandemia, risentendo della fase di passaggio al nuovo piano incentivante Transizione 5.0.

    Grazie al recupero del reddito disponibile eroso dall’inflazione, nel 2024 i consumi interni si manterranno in crescita posizionandosi sopra i livelli di spesa pre-Covid anche a prezzi costanti, dopo il pareggio del 2023. A trainare il recupero saranno i servizi (in particolare quelli legati alla socialità, come alberghi e ristoranti, cultura e spettacolo) e i beni durevoli per la mobilità, che si confermeranno in crescita vivace, dopo il punto di minimo toccato durante la pandemia. In sostanziale tenuta la spesa per beni alimentari, che a seguito dei recenti rincari continuerà a incidere in maniera rilevante sulla spesa complessiva per consumi nel 2024, e sui redditi delle famiglie, togliendo spazi di recupero ai consumi di abbigliamento e calzature, soprattutto per le famiglie meno abbienti. I beni durevoli per la casa (mobili, elettrodomestici), invece, risentiranno dell’effetto di sgonfiamento degli incentivi rivolti al comparto delle ristrutturazioni edilizie.

  • Tribunale russo mette sotto sequestro 239 milioni di euro investiti da Deutsche Bank

    Il tribunale arbitrale di San Pietroburgo e della regione di Leningrado, su richiesta della società RusChemAlliance, gestore del progetto per la costruzione di un complesso di trattamento e liquefazione del gas a Ust-Luga, ha sequestrato proprietà, conti e titoli di Deutsche Bank per un importo di 238,61 milioni di euro o l’importo equivalente in rubli. Lo si legge nel fascicolo dei casi arbitrali secondo quanto riporta il sito web dell’agenzia “Tass”. In precedenza, RusChemAlliance aveva intentato una causa contro Deutsche Bank per 22,2 miliardi di rubli (238,1 milioni di euro di pagamenti in garanzia e 479,51 mila euro di sanzioni) come parte delle richieste di garanzia bancaria e ha chiesto il pignoramento delle filiali al 100% di Deutsche Bank in Russia.

    Il sequestro per un importo di 238,61 milioni di euro o l’equivalente in rubli è stato imposto su titoli e beni di proprietà di Deutsche Bank e della controllata russa Deutsche Bank LLC, oltre che di Deutsche Bank Technology Center LLC. Il tribunale ha inoltre vietato a Deutsche Bank di cedere il 100 per cento delle azioni del capitale autorizzato di Deutsche Bank LLC e Deutsche Bank Technology Center LLC. Allo stesso tempo, il tribunale arbitrale ha rigettato la richiesta di RusChemAlliance di sequestrare il 100 per cento delle azioni di Deutsche Bank in Deutsche Bank LLC e Deutsche Bank Technology Center LLC. La Corte ha inoltre ritenuto che, “quando si adottano misure provvisorie sotto forma di sequestro”, è necessario indicare che esse non si applicano ai fondi dei clienti situati in tali conti.

    Nella giornata di ieri, lo stesso tribunale, sempre su richiesta della medesima società, ha disposto il sequestro di proprietà, conti e titoli di Unicredit Bank Jsc e di Unicredit Bank Ag, le controllate rispettivamente russa e tedesca di Unicredit. Il caso è legato all’emissione di un “performance bond” da parte di Unicredit e di altre banche su un contratto stipulato tra RusChemAlliance e il consorzio Linde per la costruzione di un impianto di trattamento del gas. Il consorzio Linde si è tirato indietro dall’impegno a causa del regime sanzionatorio Ue e la società russa ha preteso il pagamento delle garanzie da parte delle banche. Queste si sono rifiutate di effettuare il pagamento e la contesa viene affrontata adesso in tribunale, dove è stato disposto un sequestro conservativo di asset Unicredit per un valore di 463 milioni di euro.

    Fonti della Farnesina riferiscono che il ministero degli Affari esteri sta seguendo il caso dell’azione giudiziaria intrapresa nei confronti di Unicredit. Anche questa disputa verrà affrontata nella riunione immediatamente convocata lunedì prossimo del “Tavolo Russia”, attivato dal ministro Antonio Tajani alla Farnesina con le aziende e le istituzioni impegnate nel mercato russo.

  • L’Italia accelera: il Pil cresce più che in Francia e Germania

    Tra il 2019 e il 2023 l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori dell’Unione europea, recuperando il livello del Pil di fine 2019 già nel terzo trimestre del 2021. È quanto emerge dal Rapporto annuale 2024 dell’Istat. “A confronto con l’ultimo trimestre del 2019 – si legge -, a fine del 2023, il livello del Pil era superiore del 4,2% in Italia, del 2,9% in Spagna, dell’1,9% in Francia e solo dello 0,1% in Germania”.

    “Nel 2023 – prosegue il Rapporto -, in Italia il Pil è aumentato dello 0,9%. La crescita è stata dello 0,7% in Francia e del 2,5% in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3%). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024, la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,7% in Spagna, lo 0,3% in Italia e lo 0,2% sia in Francia sia in Germania. Al netto degli effetti di calendario, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dell’1,6% in Spagna, dello 0,5% in Francia e Italia, e dello -0,2% in Germania”.

    Alla crescita del Pil nel 2023, spiega l’Istat, “hanno contribuito per 0,7 punti percentuali i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private, 0,2 quelli collettivi, 1,0 punti gli investimenti fissi lordi. La domanda estera netta ha pure dato un apporto per 0,3 punti, mentre il decumulo delle scorte di prodotti finiti ha sottratto 1,3 punti percentuali”.

    La crescita vivace dei flussi commerciali del 2021 e 2022 “si è arrestata nel 2023. In questo periodo, l’andamento in valore degli scambi ha risentito delle fluttuazioni dei prezzi di energia e altre commodities e dell’andamento della domanda mondiale”.

    “Nel 2023 – si legge – il valore delle esportazioni di beni è rimasto invariato, mentre quello delle importazioni si è ridotto del 10,4%. In volume, le esportazioni sono calate, riportando una flessione del 5,1%, alla quale ha contribuito la debolezza della Germania”. “Il saldo commerciale, negativo per oltre 30 miliardi di euro nel 2022, è tornato positivo per 34,5 miliardi”, aggiunge l’Istat.

    Nel 2023, la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.728 euro in valori correnti, in aumento del 3,9% rispetto all’anno precedente, trainata dall’ulteriore aumento dei prezzi; in termini reali, la spesa media si riduce dell’1,8%. “Dal 2014 al 2023 – prosegue -, la spesa media mensile delle famiglie è cresciuta dell’8,3%. L’aumento è stato molto più accentuato nelle Isole (+23%), seguite dal Centro (+11,4%) e dal Sud (+10,2%). Nel Nord, invece, l’incremento è stato del 4,5% (+4,8% nel Nord-ovest, +4,1% nel Nord-est), poco più della metà del dato nazionale”. Nell’arco dei 10 anni, tuttavia, spiega l’Istat, “la distanza tra le diverse aree del Paese si è complessivamente ridotta: nel 2014, il divario maggiore, tra Isole e Nord-est, era di 963 euro, il 33,9% in meno; nel 2023, il più ampio, tra Nord-ovest e Sud, è di 773 euro, il 26% in meno”.

    “L’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica, nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania”. Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc), prosegue il Rapporto, “nel 2022 la quota di occupati a rischio di povertà in Italia è all’11,5%, nell’Ue27 è l’8,5% del totale”.

  • La spesa pubblica ed il “capitalismo” relazionale

    Da decenni l’Italia viene criticata in ragione di un capitalismo familiare ormai superato, in contrapposizione ad una versione internazionale più manageriale, all’interno della quale le famiglie rappresentano la proprietà ma non più il braccio operativo.

    L’impresa contemporanea, e soprattutto l’industria attuale, propongono i propri prodotti e servizi all’interno di mercato globale, avvalendosi di un network di subfornitori, i quali entrano nella filiera consolidata fino a diventare partner esclusivi e talvolta ad avviare un vero e proprio processo di insourcing (*).

    Questo cambiamento organizzativo offre alle industrie la possibilità di competere contemporaneamente in tutti i mercati mondiali, caratterizzati da stagioni completamente diverse e quindi gestibili solo attraverso filiere produttive sempre più corte.

    Esiste, poi, il capitalismo relazionale, i cui attori principali sono rappresentati da personalità “imprenditoriali” che fanno capo ad interessi finanziari, assieme ad un mondo della politica il quale si trova a gestire la spesa pubblica con la consapevolezza di non doverne mai rendere conto, se non nei casi estremi, alla magistratura.

    Questa forma di capitalismo, la cui stessa natura e forza viene determinata dalla presenza di risorse finanziarie gestite dalla politica e frutto dei prelievo fiscale, rappresenta la peggiore versione di un capitalismo speculativo.

    Questo, infatti, avvalendosi di una catena di subappalti e cooperative molto spesso non determina alcuna ricaduta occupazionale stabile (il parametro fondamentale per valutare la validità di una strategia economica) a fronte di investimenti pubblici notevoli.

    Da questa semplice analisi emerge evidente come l’aumento della spesa pubblica negli ultimi trent’anni abbia tradito le proprie istituzionali funzioni e tanto più in quell’effetto redistributivo, su cui ancora oggi buona parte del mondo accademico e politico fanno affidamento.

    In altre parole, la spesa pubblica italiana (1.129 miliardi oltre il 57% del PIL) rappresenta semplicemente la prima forma di potere italiano, la seconda è rappresentata dalla gestione del credito (novembre 2018, https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/) la quale, trovandosi ora all’interno di un mercato globale, offre a chi ne usufruisca di utilizzare ogni leva della disperazione umana (come già detto subappalti e cooperative) con l’unico obiettivo di abbassare i costi e aumentare i profitti, anche grazie a strumenti normativi forniti dai committenti stessi, cioè dalla classe politica.

    Puntare, quindi, ancora oggi sulla centralità della spesa pubblica come motore economico e sui suoi effetti redistributivi rappresenta l’errore fondamentale comune al mondo politico ed accademico, come dimostra la perdita di potere d’acquisto negli ultimi trent’anni dei cittadini italiani a fronte di una esplosione della spesa pubblica, del debito e della pressione fiscale.

    La stessa vicenda relativa all’utilizzo dei fondi PNRR si è rivelata sostanzialmente una serie di  finanziamenti a pioggia dei più disparati progetti proposti da irresponsabili enti locali e lontano dalle ragioni istitutive per le quali i fondi avrebbero dovuto finanziare opere finalizzate all’aumento della competitività del sistema paese.

    Del resto, come anticipato, lo stesso andamento del reddito disponibile per i cittadini italiani che si è ridotto negli ultimi trent’anni del – 2,7%, mentre in Germania è cresciuto di oltre il +34% ed in Francia del +27%, dimostra la sostanziale “inutilità retributiva” della  della spesa pubblica e di ogni sua crescita.

    Un andamento confermato dagli ultimi dati relativi alle retribuzioni in Europa dal 2019 ad oggi che ha visto, a fronte di una diminuzione europea del -3% dei redditi disponibili, svettare l’italia con un -8% .

    Dati incontrovertibili che rappresentano  la conferma della sostanziale indifferenza economica di tale capitalismo relazionale il quale trova l’humus per la sua sopravvivenza nella presenza di una spesa pubblica assolutamente smisurata rispetto alle competenze di chi dovrebbe gestirla.

    (*) un processo avviato anni fa nel settore dell’alta orologeria Svizzera e che ha qualche evidenza anche in quello della occhialeria bellunese, i quali prediligono l’ottimizzazione dei tempi di produzione alla scelta strategica tra costi fissi e variabili.

  • A Varsavia la prima sede estera dell’Associazione italiana per il commercio estero

    E’ stata inaugurata a Varsavia Aice Poland, la prima sede di rappresentanza all’estero dell’Associazione italiana commercio estero (Aice), aperta a tutto il sistema di imprese che fa riferimento a Confcommercio. Lo ha reso noto un comunicato di Confcommercio. Aice Poland – neocostituita associazione di diritto polacco i cui uffici si trovano in una zona centrale di Varsavia: ulica Miedzynarodowa 31a-32 – è stata inaugurata con l’ambasciatore d’Italia in Polonia Luca Franchetti Pardo, il presidente Aice e vicepresidente Confcommercio con delega all’internazionalizzazione Riccardo Garosci, il presidente di Aice Poland e consigliere Aice con delega per l’Europa centro-orientale Franco Aprile, il direttore di Agenzia Ice Polonia Franco Lemme e il parlamentare Emanuele Loperfido, membro della commissione Esteri di Montecitorio. In una lettera inviata in occasione dell’inaugurazione, il direttore generale per la Promozione del Sistema Paese del ministero degli Esteri, Mauro Battocchi, ha rilevato come la Polonia costituisca il settimo mercato di destinazione delle esportazioni italiane e il quarto Paese per le importazioni. Obiettivo di Aice Poland è quello di essere un punto di riferimento per le imprese italiane che operano sul territorio polacco fornendo assistenza e supporto per il mercato polacco e dei Paesi vicini. L’attività di Aice Poland si svilupperà in collaborazione con gli enti italiani già presenti nella capitale polacca: Agenzia Ice, Camera di commercio italiana in Polonia, consolati, ambasciata.

    “Aice Poland è il primo passo concreto di un progetto più ampio, denominato ‘Aice nel mondo – Per l’internazionalizzazione di Confcommercio’ che prevede l’apertura di sedi di rappresentanza nelle aree geografiche di maggiore potenziale per le aziende associate”, ha ricordato Riccardo Garosci, presidente di Aice. “In un periodo storico caratterizzato da un elevato grado di instabilità politica ed economica a livello globale, avere punti di riferimento locali affidabili è la via per supportare le nostre imprese nelle loro attività internazionali. La scelta della Polonia è rilevante – ha proseguito Garosci – non solo per le potenzialità del mercato, ma anche per il ruolo che il nostro Paese potrà avere nel processo di ricostruzione del tessuto economico ucraino che, grazie all’ ingresso di Confcommercio nella cabina di regia del governo italiano per la ricostruzione dell’Ucraina, potrà coinvolgere anche le imprese del nostro sistema”. “L’apertura di Aice Poland è stata resa possibile grazie al lavoro di Franco Aprile, presidente di Confcommercio International Genova e nostro consigliere, che ha messo a disposizione il suo grande patrimonio di conoscenza della Polonia, nella quale opera da diversi anni”, ha concluso Garosci.

  • La delocalizzazione intellettuale

    Dagli anni ‘90 l’intera classe accademica, ed in particolare quella bocconiana, affermava come le delocalizzazioni produttive verso i paesi a basso costo di manodopera rappresentassero la soluzione ideale in quanto le professioni ad alto valore aggiunto sarebbero rimaste all’interno dei paesi occidentali più evoluti.

    Questa banale strategia ideologica ha aperto le porte ad un’infinita possibilità di posizioni speculative, come conferma l’attuale scelta di Stellantis, perfettamente in linea con quella di Google e di altre grandi aziende internazionali che smentiscono clamorosamente la infantile dottrina accademica e definiscono quello che potrebbe essere chiamato il ritardo culturale ed economico dell’intero mondo accademico e politico italiano.

    Il lavoro e il suo prodotto, indipendentemente dal contenuto tecnologico, rappresentano una sintesi di molteplici apporti professionali complessivi e proprio per questo la loro tutela non può che risultare complessiva.

    La esternalizzazione di determinate produzioni o servizi ha rappresentato sicuramente il modo per ridurre i costi fissi e parallelamente aumentare la flessibilità in rapporto alla complessità dei mercati.

    Tuttavia, questo processo ha creato anche delle filiere talmente complesse e distribuite nel mondo le quali ora, all’interno di una crisi legata agli eventi bellici come la guerra russo-ucraina e nel medio oriente, risultano insostenibili anche economicamente.

    A queste problematiche si aggiunge ora anche l’opportunità fornita dalla digitalizzazione dei sistemi nel loro complesso, la quale, di fatto, favorisce l’avvio di un processo di delocalizzazione intellettuale relativa a quelle professionalità che il miope mondo accademico aveva assicurato sarebbero rimaste all’interno dei paesi evoluti occidentali.

    In altre parole, la stessa definizione e distinzione delle diverse fasi di realizzazione di un prodotto o di un servizio in rapporto ad un diverso valore aggiunto nella fase di realizzazione di per sé rende impossibile la tutela complessiva del prodotto finale e quindi delle medesime professionalità utilizzate nel ciclo produttivo.

    La complessità di un prodotto, infatti, si rivela come l’espressione di articolate fasi e rappresenta, come si diceva prima, una sintesi di diverse professionalità ognuna delle quali assolutamente meritevole di tutela giuridica e normativa, in quanto espressione dei più diversi contributi professionali.

    L’inconsistenza strategica dimostrata dalla classe politica e da quella accademica che hanno, invece, sempre sostenuto questa “valutazione” del lavoro e in base a questa decidere quale fosse meritevole di una tutela, si rivela come il più grande fallimento economico e strategico nel mondo occidentale in relazione al proprio futuro.

    Il mercato globale può rappresentare un’occasione di sviluppo se e solo se i diversi attori che vi partecipano si dimostrano in grado di tutelare la propria cultura industriale ed economica.

    Viceversa, senza queste tutele ogni traguardo culturale e sociale delle singole Nazioni viene azzerato e con loro lo stesso futuro economico, favorendo così le posizioni speculative.

  • Pechino discute con la Libia dell’insediamento di sue aziende

    l ministro dell’Economia e del Commercio del Governo di unità nazionale della Libia (Gun), Muhammad al Hawaij, ha impartito istruzioni per fornire tutto il sostegno necessario alle aziende cinesi interessate a operare nel mercato libico. E’ quanto emerge dall’incontro tra il ministro Hawaij e l’incaricato d’affari cinese in Libia, Liu Jian, tenuto lunedì 22 aprile con l’obiettivo principale di rafforzare le relazioni economiche e commerciali tra i due paesi. Una nota del dicastero del governo libico con sede a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, precisa che al colloquio erano presenti anche il direttore del dipartimento del Commercio estero e della Cooperazione internazionale del ministero, il vice direttore generale dell’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni e un rappresentante del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.

    Durante l’incontro si è discusso dell’attivazione e del sostegno del Consiglio degli imprenditori libico-cinesi per facilitare il lavoro del settore privato, consolidare la cooperazione economica e commerciale, promuovere gli scambi di visite e istituire comitati di cooperazione congiunta nei due paesi. Da parte sua, l’incaricato d’affari di Pechino ha espresso il forte desiderio delle imprese cinesi di riprendere le loro operazioni in Libia e di contribuire alla realizzazione di progetti di investimento. Il diplomatico ha inoltre proposto di stabilire canali diretti di comunicazione tra l’ambasciata cinese e le istituzioni affiliate al ministero dell’Economia e del Commercio, organizzare visite e incontri bilaterali coinvolgendo imprenditori, camere di commercio e camere congiunte, al fine di creare vere opportunità di partenariato nel settore privato libico.

    Intanto, nell’est del Paese nordafricano diviso in due amministrazione politiche rivali, un consorzio guidato dalla Cina ha recentemente espresso interesse per la ricostruzione di Derna, la città libica devastata dalle inondazioni della tempesta subtropicale provocata dal passaggio del ciclone “Daniel”. Ali al Saidi, ministro dell’Economia del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014 e con sede nell’est, aveva ricevuto nei mesi scorsi una delegazione del Bfi Management Consortium, alleanza che secondo il quotidiano libico “Libya Herald” annovera la China Railways International Group Company e la britannica Arup International Engineering Company. “L’economia libica richiede un deciso impulso verso l’apertura agli investimenti come alternativa alla dipendenza dallo Stato”, aveva affermato Al Saidi, sottolineando che i progetti attualmente in fase di proposta “avranno un impatto significativo sul miglioramento dei servizi forniti ai cittadini”.

    A fine ottobre 2023, il ministro libico “orientale” Al Sidi aveva dichiarato a “Radio France International” che “la Cina è oggi la potenza effettiva che potrebbe costruire ponti, infrastrutture e strade in brevissimo tempo”. Secondo il ministro, la Cina starebbe finanziando in Libia un progetto da 30 miliardi di dollari (28 miliardi di euro) per costruire metropolitane proprio attraverso il consorzio Bfi. “In realtà si tratta di informazioni esclusive che nessuno conosce tranne il mio ministero e le parti coinvolte nell’accordo”, aveva aggiunto Al Sidi. Fonti libiche di “Agenzia Nova” a Tripoli, tuttavia, hanno riferito che allo stato attuale non risultano avviati investimenti cinesi nel comparto delle infrastrutture nordafricane.

    Sarebbe sbagliato sottovalutare il ruolo che la Cina ha giocato e sta ancora giocando in Libia. Prima della guerra civile del 2011, la cinese China National Petroleum Corp disponeva di una forza lavoro in Libia di ben 30 mila operai e tecnici cinesi, riuscendo ad incanalare oltre il 10 per cento delle esportazioni di greggio “dolce” libico. Ma è soprattutto nel settore delle infrastrutture, marchio di fabbrica dei progetti di Pechino “chiavi in mano”, che la Cina ha puntellato la sua presenza in Libia. Ai tempo dell’ex Jamahiriya del colonello Muammar Gheddafi, China Railway Group aveva avviato nell’ex Jamahiriya tre importanti progetti del valore totale di 4,24 miliardi di dollari. Il caos della guerra civile ha bloccato tutto, ma una possibile stabilizzazione (o partizione) del Paese potrebbe far ripartire i progetti.

  • La Commissione vara il Centro dell’UE di condivisione e di analisi delle informazioni spaziali

    La Commissione e l’Agenzia dell’Unione europea per il programma spaziale hanno varato il Centro dell’UE di condivisione e di analisi delle informazioni spaziali e ne hanno presieduto la prima riunione ufficiale del consiglio di amministrazione.

    L’iniziativa mira a rafforzare la sicurezza e la resilienza del settore spaziale europeo. Si tratta di questioni di fondamentale importanza, poiché i servizi essenziali per l’economia e per i cittadini e le politiche pubbliche dipendono sempre di più dallo spazio.

    Il Centro dell’UE di condivisione e di analisi delle informazioni spaziali è una rete di società europee del settore spaziale che desiderano sviluppare le loro competenze in modo collettivo, per prevenire, affrontare e attenuare meglio le sfide in materia di sicurezza. Il Centro si concentrerà in particolare su misure volte a migliorare la cibersicurezza.

    Sono stati selezionati 12 partecipanti fondatori che, per due anni, costituiranno il primo consiglio d’amministrazione del Centro insieme alla Commissione e all’Agenzia dell’UE per il programma spaziale. I 12 partecipanti fondatori, che rappresentano grandi gruppi industriali e piccole e medie imprese (PMI) di Francia, Germania, Italia e Spagna, renderanno operativo il Centro e ne organizzeranno le prime attività, alle quali parteciperanno gli altri membri.

  • Quattordici accordi tra Egitto e Cina riguardo a Suez

    La Zona economica del Canale di Suez ha firmato 14 accordi affinché le principali aziende cinesi stabiliscano numerosi progetti in Egitto, con la partecipazione del settore privato. Lo ha annunciato il responsabile del settore economico del Canale di Suez, Walid Gamal el Din, alla Conferenza di cooperazione e scambio tra Egitto e Cina. Walid ha annunciato il successo dell’esperienza di cooperazione egiziano-cinese nella Zona di cooperazione economica Teda Egitto, nella quale il volume degli investimenti ha finora raggiunto circa 2 miliardi di dollari attraverso la presenza di 150 aziende in molteplici settori industriali e logistici.

    La Zona economica del Canale di Suez è riuscita ad attrarre 128 progetti, in zone industriali e portuali, nel periodo da luglio 2023 a marzo 2024 (compresi progetti che hanno ottenuto l’approvazione finale e progetti che hanno ottenuto l’approvazione preliminare), con un costo di investimento superiore a 3 miliardi di dollari, di cui 40 per cento investimenti cinesi. Tra gli accordi più importanti siglati tra lo sviluppatore industriale Teda-Egitto c’è “un accordo per stabilire un progetto per la produzione di fibra di vetro e poliestere” con investimenti pari a 800 milioni di dollari e una capacità produttiva di circa un milione di tonnellate all’anno, su un’area di 600mila metri quadrati, nell’ambito dello sviluppatore industriale Teda-Egitto nella zona industriale integrata di Sokhna. La capacità produttiva nella prima fase del progetto dovrebbe raggiungere le 300mila tonnellate all’anno, con inizio della produzione nel 2026. L’accordo è stato firmato da Liu Aimin, presidente del consiglio di amministrazione di Teda-Egitto e Teda-Africa, e Ma Jianmiao, vicepresidente della Shin Company.

  • Dubbi del ministero dell’Ambiente sul Ponte sullo Stretto

    Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha chiesto 239 integrazioni di documenti alla Società Stretto di Messina S.p.A, nell’ambito della valutazione del progetto del Ponte sullo Stretto: 155 riguardano la Valutazione di impatto ambientale (Via); 66 la Valutazione di incidenza (Vinca), che verifica le conseguenze di un’opera sui siti Natura 2000, protetti perché di interesse Ue; altre 16 riguardano l’insufficienza di documentazione sul Piano di utilizzo delle terre (Put), rispetto alla «verifica di ottemperanza 2».

    L’ad della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, in qualche modo sembrava aspettarselo: «Sono assolutamente congrue, per l’entità e complessità dell’opera. La società ha sempre investito sull’ambiente. E nei 30 giorni previsti dal procedimento, insieme al contraente generale Eurolink, predisporrà tutte le integrazioni e chiarimenti richiesti». Minimizza pure il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ritenendo che la richiesta di integrazioni del suo dicastero contrassegni «l’avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale relativa all’opera». Le opposizioni leggono invece le richieste del Mase come un altolà a Matteo Salvini.

    Alla società Stretto di Messina il Mase chiede di spiegare la compatibilità del progetto con gli aggiornamenti dei vincoli ambientali e paesaggistici e degli strumenti di pianificazione territoriale. Ancora, si richiedono un’analisi approfondita di costi e benefici dell’opera e un quadro di tutti gli interventi. In concreto, il Mase lamenta che Stretto di Messina «non descrive il sistema di cantierizzazione, limitandosi all’elenco delle aree» e non abbia fornito informazioni sufficienti su gestione e smaltimento di terre e rocce da scavo. Ancora, al committente viene richiesto «un quadro aggiornato» delle «condizioni di pericolosità da maremoto» e delle stime sulla qualità dell’aria nella fase di cantiere e in quella di esercizio. In più, il Mase vuole dati completi sull’impatto delle opere sull’ambiente marino, sui corsi d’acqua superficiali, sulle acque sotterranee (citando in particolare l’area siciliana dei Pantani di Ganzirri), sul consumo del suolo, sui rischi di subsidenza e di dissesto, sugli effetti sulle attività agricole, sul rumore a terra e sottacqua, su vibrazioni e i campi elettromagnetici, sui rischi per biodiversità, flora e fauna, paesaggio e salute pubblica. Una mole di richieste, dunque. E sarà interessante leggere, fra un mese, le risposte della società.

    Nell’attesa di capire se il Ponte sia compatibile con la tutela dell’ambiente sono partite le procedure per l’esproprio di 450 abitazioni tra Messina e Villa San Giovanni e di 3,7 milioni di metri quadri di terreni che coinvolgono 300 famiglie sulla costa siciliana e 150 su quella calabrese, minacciano azioni legali. I privati interessati hanno tempo 60 giorni a decorrere dall’8 aprile per avanzare osservazioni.

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