Economia

  • L’economia cinese cresce più velocemente del previsto nel primo trimestre

    L’economia cinese ha avuto un inizio d’anno più forte del previsto, nonostante l’aggravarsi della crisi nel settore immobiliare. Secondo i dati ufficiali, nei primi tre mesi del 2024 il prodotto interno lordo (PIL) è cresciuto del 5,3% rispetto all’anno precedente, superando superato le aspettative. La seconda economia mondiale potrebbe vedere la crescita rallentare al 4,6% nel primo trimestre. Il mese scorso Pechino ha raggiunto un ambizioso obiettivo di crescita annuale pari a circa il 5%”.

    I dati dell’Ufficio nazionale di statistica (NBS) hanno anche mostrato che la crescita delle vendite al dettaglio nel primo trimestre, un indicatore chiave della fiducia dei consumatori cinesi, è scesa al 3,1%. Nello stesso periodo gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 9,5%, evidenziando le sfide affrontate dalle società immobiliari cinesi.

    I dati sono arrivati mentre la Cina continua a lottare con la crisi del mercato immobiliare in corso. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il settore rappresenta circa il 20% dell’economia. Gli ultimi dati hanno anche mostrato che a marzo i prezzi delle nuove case sono scesi al ritmo più veloce da oltre otto anni. La crisi del settore immobiliare è stata evidenziata a gennaio, quando un tribunale di Hong Kong ha ordinato la liquidazione del colosso immobiliare Evergrande. La settimana scorsa, l’agenzia di rating del credito Fitch ha ridotto le sue prospettive per la Cina, citando i crescenti rischi per le finanze del paese a causa delle sfide economiche.

    Per decenni l’economia cinese si è espansa a un ritmo stellare, con dati ufficiali che indicavano una crescita media del PIL vicina al 10% annuo.

  • Il triste esito del “socialismo liberale”

    Le due ideologie politiche socialista e liberale si dimostrano sempre più convergenti nella realtà. Da sempre, infatti, all’interno del nostro Paese si confrontano sostanzialmente due schieramenti ideologici in campo politico ma soprattutto economico.

    Il primo si definisce espressione di un ipotetico mondo liberale in contrapposizione a quello legato alla ideologia socialista. Il confronto, anche cruento sotto il profilo dialettico, tuttavia alla fine si conclude con il compiaciuto conseguimento di un unico risultato, cioè la nefasta sintesi di entrambi gli approcci ideologici, liberale quanto socialista.

    Basti rilevare come la pressione fiscale sia arrivata ad oltre il 50,3% e rappresenti la massima declinazione di una centralità dello Stato e soprattutto di una propria funzione “fondamentale”, come ogni ideologia socialista da sempre propone ed ora applicabile anche nell’ambito dell’Unione Europea.

    In questo contesto, già di per sé negativo per le attività economiche quanto per la vita degli stessi cittadini, anche una timida applicazione della teoria liberale potrebbe fungere da contrappeso.

    In Italia, però, invece di creare le condizioni per un più agevole accesso ai servizi generati da una sana concorrenza tra monopolisti, la sua applicazione ha permesso la creazione di posizioni di pura speculazione in campo energetico, esercitate a sfavore ovviamente degli utenti.

    L’effetto disastroso di questa pseudo economia liberale, la quale in Italia altro non rappresenta se non interessi monopolisti, viene rappresentato dalle tariffe elettriche pagate dalle imprese e dai cittadini nel mese di aprile con i concorrenti europei.

    Il confronto impietoso dimostra quanto inaccettabile si sia dimostrata la disonestà intellettuale di tutti i governi che hanno gestito la strategia energetica negli ultimi anni. Il governo Draghi ha atteso vanamente la definizione di un Price Cap a livello europeo mentre la Spagna lo ha adottato fin dall’inizio fissandolo a 40 euro ed il differenziale tra le tariffe praticate risulta imbarazzante.

    Successivamente il governo Meloni ha abolito le tariffe tutelate inneggiando ad un fasullo mercato libero come opportunità per gli utenti, aumentando contemporaneamente l’IVA dal 5 al 22%, precedentemente abbassato al governo Draghi.

    In altre parole, la sintesi di queste due ideologie teoricamente contrastanti, le quali sono state applicate da tutti i governi che si sono susseguiti alla guida dell’Italia negli ultimi trent’anni, ha creato le condizioni di un mercato energetico privo della funzione calmieratrice dello Stato come di una qualsiasi forma di concorrenza tra monopolisti.

    Un disastro strategico epocale il quale condanna il nostro Paese ad una progressiva marginalità all’interno di qualsiasi contesto economico globale, già di per sé appesantito da una folle transizione energetica voluta dall’Unione Europea.

  • Tunisia gettonatissima per l’estate, il vettore aereo nazionale fa il pieno di prenotazioni

    La Tunisia si prepara alla stagione estiva per cui è atteso un considerevole aumento di turisti e visitatori. Dal trasporto aereo alle strutture ricettive, che approfittano della relativa calma del mese sacro islamico di Ramadan per lavori di manutenzione e rinnovi, tutti in Tunisia scommettono in una stagione da record. A partire dal 18 aprile, la compagnia di bandiera tunisina, Tunisair, offrirà due voli settimanali da e per Venezia. Il collegamento rientra nel programma eccezionale messo in atto dal vettore durante il periodo estivo 2024 per cui si prevede un considerevole aumento della domanda. Tunisair ha dichiarato di aver ricevuto prenotazioni per 7.068 voli ossia 2,7 milioni di posti, il che rappresenta un aumento del 19% rispetto all’estate dell’anno scorso.

    Per soddisfare la domanda, la compagnia è riuscita a mobilitare 16 aerei e a noleggiarne altri due che hanno rispettivamente una capacità di ospitare 300 e 160 passaggi, per un totale di 18 aerei rispetto ai soli 11 dell’anno scorso. La compagnia di bandiera della Tunisia riprenderà inoltre un volo regolare a settimana verso ogni lunedì, a partire dal primo maggio, due voli settimanali da Tunisi e un volo settimanale da Djerba verso Zurigo a partire dal 2 aprile. Maggiori collegamenti settimanali sono stati annunciati verso gli aeroporti francesi di Nantes, Lione, Marsiglia, Nizza e Parigi Orly, da Tunisi, Djerba e Monastir. Offrirà anche da 3 a 11 voli settimanali per il Marocco ed almeno tre voli a settimana verso i Paesi dell’Africa sub-sahariana.

    Il turismo ha registrato una netta ripresa in Tunisia nel 2023 con 8,8 milioni di visitatori, in crescita del 57,4 per cento in un anno rispetto ai 5,2 milioni del 2022. In testa troviamo gli algerini (3 milioni contro gli 1,2 dell’anno precedente) seguiti dai libici (2,5 milioni). Anche i flussi turistici dai paesi europei hanno registrato un incremento, raggiungendo i 2,5 milioni di ingressi rispetto a 1,8 dell’anno precedente, in particolare i francesi, circa 1 milione contro 839,7mila dell’anno precedente, i tedeschi 303,2 mila contro 187,4mila del 2022, gli italiani 123.078, al sesto posto in termini di nazionalità in ingresso. Il settore era già in ripresa nel 2022, quando la Tunisia aveva recuperato il 68 percento del flusso turistico del 2019.

    Nei primi due mesi del 2024, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Banca centrale tunisina (Bct), la Tunisia ha registrato un aumento delle entrate dal settore del turismo del 10,6 per cento dall’inizio dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2023, raggiungendo i 216 milioni di euro. Nello stesso periodo, le rimesse cumulative dei lavoratori sono aumentate del cinque per cento superando i 293 milioni di euro. Il turismo in Tunisia comprende attrazioni che vanno dalla sua città cosmopolita, nonché capitale, Tunisi, alle antiche rovine di Cartagine e Dougga, i tradizionali quartieri musulmano ed ebraico di Djerba, il deserto del Sahara con le oasi di Tozeur ed infine località costiere come Monastir, Sousse e Kelibia. Ricca anche l’offerta culturale con kermesse, eventi e festival dedicati a cinema, teatro, danza e arti tradizionali, partendo dalla Fiera internazionale del libro di Tunisi, in programma dal 19 al 28 aprile e che vedrà l’Italia in qualità di ospite d’onore.

    Martedì 2 aprile, il ministro del Turismo, Mohamed Moez Belhocine, si è recato sull’isola di Djerba, accompagnato dal governatore di Medenine, Saeed bin Zayed, per fare il punto sull’andamento dell’attività turistica e sul grado di preparazione per la stagione estiva. L’obiettivo è quello di fornire un servizio d’eccellenza al visitatore partendo dal suo arrivo in aeroporto. “Il miglioramento della qualità inizia con la fornitura dei migliori servizi all’arrivo del turista in aeroporto fino alla sua partenza dal Paese”. Ha dichiarato Belhocine, facendo visita al Centro di formazione turistica di Djerba, dove viene formata forza lavoro specializzata nell’ambito del programma di partenariato tra l’Agenzia di formazione per le professioni del turismo e il Centro Alif locale. Il ministro ha anche ammirato la bellezza di una tradizionale “Casa di Djerba” vista la recente inclusione dell’isola nella lista del patrimonio mondiale Unesco e l’antica medina di Djerba Midoun.

  • Smart mobility, in Lombardia: investiti 1,7 miliardi per 222 nuovi treni

    “Il tema della mobilità è cruciale: Regione in tutti questi anni ha fatto la sua parte: 1,7 miliardi per 222 nuovi treni (ad oggi oltre 140 immessi). Un piano di rinnovamento straordinario per migliorare il servizio a beneficio dei cittadini e dell’ambiente. Convogli che garantiscono risparmi dei consumi energetici, realizzati con materiali riciclabili”. Lo ha detto l’assessore regionale ai Trasporti e Mobilità sostenibile, Franco Lucente, al convegno ‘Smart Mobility Alliance’ che si è svolto a Palazzo Lombardia. All’incontro è intervenuto anche il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana.

    “I trasporti – ha aggiunto – non sono solo su ferro, anche su gomma, e a tal proposito è giusto evidenziare che il rinnovamento e la programmazione della flotta degli autobus prevede 1.200 nuovi mezzi entro il 2026”.

    “Regione Lombardia – ha concluso – sia capofila di una nuova ‘alleanza sulla mobilità’, in grado di coinvolgere istituzioni, stakeholder, imprese ed associazioni in maniera trasversale. La mobilità ha implicazioni in ogni settore, dai trasporti all’agricoltura, dal turismo alla sanità, all’economia e allo sviluppo di nuovi sistemi urbani. Da tempo lavoriamo ad una Lombardia interconnessa, capace di accogliere le sfide della digitalizzazione e dove non esistono più distanze tra centro e periferia. Un futuro dove le nuove intermodalità e la connessione tra cose e persone daranno vita ad una vera e propria ‘rivoluzione della mobilità’, figlia di una neutralità tecnologica dove l’impegno verso il ‘green’ sappia contemplare diverse soluzioni, dall’elettrico, al metano e all’idrogeno”.

  • L’insostenibile pesantezza della pressione fiscale

    “Più si aumentano le aliquote e meno le imposte rendono; per ottenere il rendimento bisogna invece diminuire le aliquote”, Luigi Einaudi

    A questo pensiero illuminato del più grande Presidente della Repubblica va aggiunto come egli fosse anche convinto che con la stessa moltiplicazione delle imposte, avendo queste sempre un costo, diminuisse l’efficienza del sistema fiscale complessivo.

    La classe politica italiana, viceversa, da oltre trent’anni anni utilizza la leva fiscale semplicemente con l’unico obiettivo di fornire le risorse necessarie ad una spesa pubblica assolutamente impazzita ed ingestibile, troppo spesso espressione di interessi lobbistici o di gruppi di interesse. La giustificazione sempre addotta per giustificare questa deriva e la contemporanea esplosione della pressione fiscale rimane quella relativa al mancato apporto finanziario legato alla quota di reddito evaso.

    Andrebbe ricordato come questa quota evasa abbia una minima incidenza con 80 miliardi di imponibile su di una spesa pubblica che sta arrivando ai 1.100 miliardi e si dimostra, quindi, un argomento più politico che economico in quanto assolutamente irrisoria nella sua entità, rappresentando meno del 5% della spesa complessiva.

    La leva, o la clava fiscale, rappresenta, quindi, l’estrema ratio, la quale consente ad una classe politica assolutamente irresponsabile di continuare ad aumentare la spesa pubblica in virtù di un ipotetico benessere per la collettività. Un concetto alquanto infantile in quanto l’effetto della realizzazione di un’opera pubblica, non venendo più realizzata da un’azienda ma arrivando da un general contractor il quale poi, a sua volta, attraverso la catena di subappalti, trasferisce a caduta ad aziende specifiche che gli assicurano i minimi costi. Di conseguenza lo stesso aumento della occupazione risulterebbe assolutamente irrisorio e a tempo determinato.

    Il raggiungimento, come il superamento, del 50% della aliquota fiscale nel nostro Paese rappresenta uno scandalo senza precedenti anche in prospettiva della continua e costante riduzione della spesa pubblica dedicata, per esempio, al sistema sanitario nazionale.

    Questa deriva economico-fiscale meriterebbe un approfondimento sulla capacità ed onestà intellettuale di chi ha gestito tanto la spesa quanto la pressione fiscale negli ultimi anni a partire dal 2011, quando il debito pubblico segnava 1987 mld mentre ora ha raggiunto i 2867 mld.

    Appare evidente come la leva fiscale e la stessa spesa pubblica e il debito che ne consegue rappresentino l’espressione di una forma di potere assolutamente svincolata dai suoi effetti per la popolazione, come ampiamente ho anticipato quasi otto anni addietro (*).

    Riportare la spesa pubblica, e la sua prima sorgente che la rifornisce, cioè la pressione fiscale, all’interno di un rapporto di valutazione costi/benefici rappresenta la prima scelta per tentare di rientrare all’interno di un sistema democratico che abbia come obiettivo la crescita dell’intero Paese.

    Nel caso contrario con questa aliquota (50,3%) lo Stato diventa semplicemente un predatore di risorse finalizzate al conseguimento di obiettivi politici ed etici, spesso espressione di deliri ideologici, e comunque sempre molto lontani dal concetto istituzionale di benessere collettivo.

    (*)  Novembre 2018 La vera diarchia https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

  • Quale scenario di guerra

    L’escalation delle tensioni internazionali ha introdotto il concetto di “economia di guerra” nel lessico istituzionale all’interno del quale cambiano radicalmente le priorità di spesa dei governi, le quali si orientano ovviamente a favore del rafforzamento degli arsenali e all’aggiornamento degli armamenti uniti al mantenimento dell’esercito quali principali settori da finanziare attraverso le spesa pubblica.

    All’interno del contesto attuale a questo tipo di economia e soprattutto alle sue difficoltà si possono aggiungere le difficoltà di rifornimento e di approvvigionamento delle materie prime essendo venute meno proprio le filiere energetiche e produttive.

    Tuttavia, la leggerezza con la quale viene introdotto tanto dai politici quanto dai media il concetto di una inevitabile metamorfosi dell’economia attuale ad una ben più complessa da scenario di guerra non tiene assolutamente in conto della situazione che per i cittadini italiani una guerra sia decisamente cominciata oltre trent’anni addietro.

    Andrebbe ricordato come l’Italia rappresenti ad oggi l’unico Paese in Europa che ha visto ridurre il proprio reddito disponibile del -2,9% mentre contemporaneamente in Germania lo stesso risulti cresciuto del +33,7 ed in Francia di oltre +31%.

    Un andamento così disastroso delle retribuzioni, confermato anche della ennesima diminuzione del -0,1% nell’ultima rilevazione relativa all’ultimo trimestre 2023, espressione di una sintesi essenzialmente individuabile in due determinati e precisi motivi.

    Il primo è rappresentato dalla scelta monetaria che ha visto affidarsi sempre e solamente per la crescita dei fatturati alla svalutazione competitiva la quale ha favorito le esportazioni ma non i redditi come la domanda interna e tantomeno gli asset economici. Il secondo è individuabile nella scellerata strategia di abbandono di ogni politica industriale (definita old economy) negli ultimi trent’anni a favore di un’illusoria visione di economia dei servizi e legata al turismo.

    Il principale effetto di questa differenza dell’andamento delle retribuzioni determina, in più, una forbice tra le diverse tariffe e costi nei Paesi che può raggiungere il +40% a sfavore dell’utenza nazionale italiana.

    A questo scenario già di per sé drammatico si aggiungano i dati relativi alla povertà assoluta che è cresciuta dello +0,2% nel 2023, raggiungendo la cifra dell’8,5% di famiglie che vivono in assoluta povertà, cioè circa 5,7 milioni di italiani.

    Una crescita che ha come cause aggiuntive probabilmente l’annullamento di determinati ammortizzatori sociali ma soprattutto l’esplosione dei costi energetici, i quali, con la soppressione delle tariffe del mercato agevolata e lo scellerato aumento dell’Iva dal 5 al 22% (*), porteranno ad un maggiore costo di 1.700 euro a famiglia. Questi dati sono l’espressione di una economia di guerra all’interno della quale la spesa pubblica quanto il debito pubblico sono stati utilizzati non certo per rendere fruibili servizi alle fasce di reddito più basse, ma come sostegno delle diverse riserve elettorali sostenute finanziariamente da ogni governo dei più diversi orientamenti politici.

    Ora, qualsiasi possa dimostrarsi l’evoluzione della crisi internazionale sarebbe opportuno ricordare come l’Italia non abbia più risorse, in quanto una guerra la cittadinanza italiana la sta già combattendo contro la propria classe politica e dirigente da oltre trent’anni.

    (*) sconto Iva introdotto dal governo Draghi, come quello sulle accise per i carburanti anche questo azzerato dal governo in carica

  • La Ferrari raddoppia le vendite di auto a Taiwan

    Le vendite del marchio automobilistico Ferrari a Taiwan sono raddoppiate negli ultimi quattro anni, sostenute dalla crescente ricchezza delle imprese di chip e semiconduttori e dal ritorno di capitale dovuto alla diversificazione delle catene di approvvigionamento.

    L’amministratore delegato di Ferrari, Benedetto Vigna, ha affermato che la domanda a Taiwan sta crescendo più rapidamente che in Cina o Hong Kong a causa di un forte aumento delle vendite di vetture ai cittadini sempre più ricchi di Taiwan. “La Cina cresce ma meno di Taiwan”, ha dichiarato Vigna al quotidiano “Financial Times”, aggiungendo: “A Taiwan ci sono più imprenditori e l’industria dei chip è in forte espansione”.

    Il mese scorso Ferrari ha registrato guadagni annuali record. E sebbene la maggior parte dei suoi guadagni provenga dall’Europa e dagli Stati Uniti, la casa automobilistica ha riferito che le spedizioni verso la Cina continentale e Taiwan sono aumentate dal 5% del totale nel 2020 a quasi l’11% nel 2023. Ferrari sta sfruttando un’impennata della ricchezza privata che ha reso Taiwan al quinto posto nel mondo, in parte grazie anche alla forte espansione del settore dei semiconduttori.

  • Dalla Commissione 600 milioni di euro all’Italia per promuovere la cooperazione tra gli operatori del settore della pesca e dell’acquacoltura

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano da 600 milioni di euro volto a promuovere gli investimenti nel settore della pesca e dell’acquacoltura. L’obiettivo del regime è promuovere la cooperazione e l’integrazione tra gli operatori e stimolare migliori relazioni di mercato. In particolare, il regime sosterrà lo sviluppo di contratti settoriali, attraverso aiuti agli investimenti che saranno distribuiti tra diversi beneficiari operanti nei diversi segmenti del settore, dalla produzione alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

    Il regime sarà aperto alle imprese di tutte le dimensioni attive nel settore della pesca e dell’acquacoltura. Nell’ambito della misura, che durerà fino al 31 dicembre 2029, l’aiuto assumerà la forma di sovvenzioni dirette e/o di finanziamenti agevolati.

    La Commissione ha ritenuto che il regime sia necessario e adeguato per incoraggiare gli investimenti pertinenti nel settore della pesca e dell’acquacoltura.

  • La Rappresentanza UE di Milano presenta l’edizione 2024 del Festival della Green Economy di Parma

    Presentata durante una conferenza stampa a Milano, mercoledì 27 marzo alle ore 11.30, al Palazzo delle Stelline (Corso Magenta, 59) l’edizione 2024 del Festival della Green Economy che si svolgerà a Parma dal 5 al 7 aprile. A presentare la kermesse emiliana Maurizio Molinari, capo ufficio a Milano del Parlamento Europeo, Stefania Nardelli, responsabile Stampa e comunicazione Commissione europea – Rappresentanza di Milano, Alessandra Pizzi, curatrice Green Week.

    Dopo il successo dell’anno precedente, il Festival si espande e raddoppia la sua portata, offrendo un palcoscenico ancora più ampio per discutere e promuovere soluzioni innovative per un’economia sostenibile.

    Quest’anno, la manifestazione promossa da ItalyPost, Fondazione Symbola, L’Economia del Corriere della Sera e Pianeta 2030, con il Comune di Parma, Università degli Studi di Parma, Unione Parmense degli Industriali e Parma, io ci sto!, con la main partnership di auxiell, Crédit Agricole, Davines Group e Iren sarà arricchita dalla partecipazione di decine e decine di imprenditori che si confronteranno sui temi più rilevanti di questo delicato momento storico, tra cui la presidentessa della Confindustria regionale Annalisa Sassi, il presidente di Confindustria Emilia Valter Caiumi, Giuseppe Pasini di Feralpi, Filippo Zuppichin di Piovan, Giampaolo Dallara, Davide Bollati di Davines, Marco Mantellassi di Manteco, Alberto Figna di Agugiaro & Figna, Filippo Polegato di Astoria, Albino Tonazzo di Kioene, Irene Rizzoli di Delicius. Saranno presenti anche sette sezioni tematiche, ciascuna composta da quattro incontri, dedicati ai legami tra sostenibilità e diversi settori industriali, tra cui la filiera agroalimentare, la moda e il tessile e abbigliamento, l’edilizia e infrastrutture, e altri ancora. Sbarcherà in città anche lo staff e lo studio mobile di Radio 24, che andrà in streaming direttamente da Piazza Garibaldi, dove il Comune allestirà anche uno spazio incontri per ospitare alcuni eventi del Festival.

  • Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove

    L’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

    Paul Valéry; da “Quaderni”

    “La costa di Gaza ha un alto valore immobiliare. Fossi in Israele, manderei i civili della Striscia nel Negev”. Lo affermava recentemente Jared Kushner, il genero del ex presidente statunitense Donald Trump, secondo il quotidiano britannico The Guardian, durante un’attività organizzata da Harvard University. E lui si riferiva al deserto di Negev, un’estesa area poco popolata nel sud del Israele. Durante l’intervento all’Università di Harvard, il genero del ex presidente statunitense ha aggiunto: “…Io azionerei i bulldozer nel Negev e cercherei di spostare lì le persone. Penso che questa sarebbe l’opzione migliore. Così possiamo andare ora e finire il lavoro”. Bisogna sottolineare che Jared Kushner è uno dei discendente di una famiglia di imprenditori immobiliari statunitensi di origine ebrea. E’ stato il consigliere di Trump per il Medio Oriente durante la sua presidenza. Nella Striscia di Gaza si sta combattendo ancora, dopo l’attacco dei militanti di Hamas del 7 ottobre scorso. E nel frattempo sono in corso anche dei negoziati per arrivare ad un accordo di pace tra le parti belligeranti. Accordo che prevede l’esistenza di due Stati indipendenti, Israele e Palestina. Ma per Kushner si tratterebbe di “…un’idea superbamente cattiva che essenzialmente sarebbe un premio per un’azione terroristica”. E nel caso Trump diventasse di nuovo presidente, suo genero gli avrebbe consigliato anche questo. Ovviamente però lui porterebbe avanti anche i suoi progetti immobiliari. Perché, come ha affermato all’Università di Harvard, “…le proprietà sul lungomare di Gaza potrebbero avere un grande valore se la gente fosse concentrata sul migliorare il proprio standard di vita”.

    Il genero di Trump, da ambizioso imprenditore immobiliare qual è, non ha solo dei progetti nella Striscia di Gaza. Per lui anche nei Balcani si potrebbe investire su delle lussuose strutture turistiche ed altro. Ragion per cui ha scelto di investire sia in Serbia che in Albania. Almeno da quello che si sa pubblicamente per il momento. E perché i suoi progetti milionari abbiano successo, il genero di Trump ha trattato direttamente con due autocrati, il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Un ruolo importante in queste trattative lo ha avuto anche uno stretto collaboratore di Trump, il quale è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Germania (2018-2020). In seguito, e per poco tempo, è stato anche il direttore della National Intelligence Community (Comunità dell’Intelligenza nazionale; n.d.a.), ma è stato attivo altresì nei Balcani, come rappresentante speciale del presidente degli Stati Uniti d’America per i negoziati di pace tra la Serbia ed il Kosovo. In quell’occasione ha conosciuto anche il presidente serbo ed il primo ministro albanese. In seguito il presidente serbo gli ha accordato il più alto riconoscimento ufficiale. Conoscenze ed “amicizie” da allora stabilite e che sono state messe a disposizione anche al genero di Trump.

    In Serbia, sfruttando sia quelle relazioni, che gli stretti legami famigliari con l’ex presidente statunitense, l’imprenditore immobiliare sembrerebbe aver accordato con il presidente serbo un vantaggioso affitto per 99 anni, senza nessun impegno finanziario, di un terreno a Belgrado che, fino al 1999, era la sede del ministero della Difesa della Jugoslavia. Sede che è stata bombardata proprio dalle forze aeree della NATO durante gli attacchi aerei, nell’ambito dell’Operazione Allied Force (Forza Alleata; n.d.a.) contro la Repubblica federale di Jugoslavia. Un accordo quello tra il genero di Trump ed il presidente serbo che prevede il diritto di costruire, in quel terreno affittato, una lussuosa struttura alberghiera, un complesso di appartamenti ed un museo. Si valuta che il progetto potrebbe avere un costo finanziario di circa 500 milioni di dollari. Il noto quotidiano statunitense The New York Times, riferendosi a quell’accordo, ha recentemente pubblicato anche un articolo investigativo. In quell’articolo sono state riportate anche le interviste, sia del genero di Trump, che dello stretto collaboratore dell’ex presidente, adesso consigliere e collaboratore di suo genero. Per loro il progetto di Belgrado permette agli Stati Uniti di aiutare a curare le piaghe causate dai bombardamenti del 1999 nell’ambito dell’Operazione Allied Force. Mentre per gli oppositori del presidente serbo si tratta di un progetto che è stato messo in atto dai poteri occulti per ottenere anche degli ingenti interessi, sempre occulti.

    Ma il progetto di Belgrado è soltanto uno dei tre progetti che il genero di Trump vuole realizzare nei Balcani. Gli altri due sono previsti in Albania. Si tratta di due progetti, del valore di circa 1 miliardo di dollari, che sono stati resi pubblici proprio la scorsa settimana e che prevedono sempre la costruzione di lussuose strutture alberghiere. Progetti ed accordi tenuti segreti per il pubblico fino alla scorsa settimana, quando dei noti giornali internazionali, gli statunitensi The New York Times, Newsweek, Bloomberg News e il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, hanno trattato professionalmente l’argomento. E da quegli articoli risulta che si tratta sempre di progetti, ideati e portati avanti in un modo occulto, che soddisfano sia coloro che li propongono che quelli che hanno dato il loro beneplacito; il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Due autocrati che si trovano in difficoltà nei rispettivi Paesi e che sperano e fanno di tutto per avere un sostegno statunitense se Trump vincesse le elezioni il prossimo 5 novembre.

    Ma mentre quello di Belgrado prevede costruzioni in un terreno in disuso, i due progetti in Albania prevedono costruzioni in aree protette. Uno sulla maggior isola albanese nel golfo di Valona, zona marina protetta. L’altro, sempre in una isola in mezzo ad una bellissima laguna nel nord di Valona, anche quella zona protetta, sia per i valori naturali, che quelli storici ed architettonici. E, guarda caso, il parlamento albanese ha approvato il 22 febbraio scorso, con una procedura abbreviata, alcuni emendamenti sulla legge per le aeree protette. Adesso si capisce anche il perché. Ormai questi due progetti sostenuti da poteri ed interessi occulti e portati avanti fino alla scorsa settimana in gran segreto, non hanno più delle difficoltà, neanche legali, per essere attuati.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore, con la dovuta oggettività, di altri sviluppi legati a questi progetti occulti. Per il momento si ferma qui, convinto però che, come affermava Paul Valery, l’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

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