Economia

  • Il peccato originale tra il 2018 e il 2024

    Sono passati sei anni dal marzo 2018 da quando individuavo il pericolo della crescita di una potenza assolutamente non democratica come la Cina (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-peccato-originale/).

    La conferma arriva ora proprio durante la crisi russo-ucraina, in quanto la seconda potenza economica mondiale ha confermato il proprio sostegno alla Russia anche nel caso di un evento bellico durante il quale resterà al fianco di Putin.

    Questo conferma ancora una volta la visione miope di una oligarchia economica occidentale all’interno di un mondo globale il quale, privo di un minimo di regole condivise, rischia la disintegrazione proprio avendo sfruttato solo il vantaggio competitivo della diversità di sistemi fiscali, economici e democratici come strumento di speculazione, finalizzato semplicemente al raggiungimento del minor costo della manodopera e quindi dell’investimento.

    Il dumping economico, espressione di un più complesso dumping fiscale e sociale che si manifesta con una minore tutela dei lavoratori e dei consumatori, mostra i propri limiti proprio all’interno di una complessa situazione internazionale che mette in gioco la stessa democrazia.

    L’illusione di una supremazia dell’interesse economico in grado di trasformarsi in una sorta di adeguamento politico ed istituzionale al modello occidentale ha permesso ed anzi incentivato il trasferimento del primato tecnologico ed industriale dell’Occidente ai paesi dell’estremo Oriente. Con l’unico effetto che ora questi possono, sfruttando il basso costo della manodopera, mettere in difficoltà il sistema economico occidentale il quale non è in grado in alcun modo di risolvere le criticità politiche e strategiche internazionali.

    La crisi internazionale scaturita dal covid e dalla guerra russo-ucraina, come dal conflitto arabo israeliano e dagli attacchi alle rotte del Mar Rosso, pone in evidenza come la sola economia (o forse sarebbe più corretto parlare degli interessi speculativi di una minima parte degli operatori economici) non abbia la capacità, e forse neppure l’interesse, di risolvere e tantomeno di prevedere i problemi politici e democratici di un mondo troppo globale anche per le istituzioni politiche internazionali.

    In altre parole, la sintesi della criticità internazionali dimostrano come sia illusorio credere in un ipotetico primato dell’economia su ogni asset politico, sociale e culturale. Lo stesso principio della concorrenza a favore dei consumatore diventa solo teorico se non inserito all’interno di un quadro di norme condivise politiche, fiscali e sociali. In altre parole il suo valore si può esprimere solo se in quadri democratici condivisi, altrimenti ogni evoluzione economica diventa un semplice fattore di speculazione che si arena al primo ostacolo.

    Qualsiasi crescita economica, specialmente se non espressione di investimenti, ma semplicemente favorita da un minore costo della manodopera, quando avviene all’interno di sistemi politici non democratici favorisce gli oligopoli e rafforza le dittature creando le condizioni per le crisi internazionali come quella attuale.

  • Cubans stage rare street protest over power blackouts

    An appeals court has kept a freeze in place on a Texas immigration law, one of the toughest of its kind, in a case being closely watched across the US.

    The legislation would allow officials in Texas to detain and prosecute anyone they think has entered the country illegally, superseding federal powers.

    The law briefly came into force on Tuesday for a few hours during a legal back and forth between courts.

    A US appeals court heard arguments in the case on Wednesday morning.

    The three-judge panel appeared split on whether the law can remain in place while its constitutionality is being challenged in court.

    They issued no ruling on the case on Wednesday, and it is unclear when they will do so.

    If they opt to let the law go into effect, the Justice Department requested that its effective date be delayed until later to give it time to seek emergency action from the Supreme Court.

    The SB4 law in Texas was due to come into effect on 5 March but President Joe Biden’s administration challenged it on the grounds that immigrant detention should remain in its hands.

    Migrant arrivals at the southern US border have risen to record highs during his administration, making it a top concern among US voters in the run up to November’s presidential election.

    That has led Texas to take stronger action on its border with Mexico and if the courts uphold its new law then other US states may follow.

    Mexico has criticised the new law as anti-immigrant and has said it would refuse to accept anyone deported by Texas authorities.

    Mexican President Andrés Manuel López Obrador called the law “draconian” and dehumanizing on Wednesday.

    The decision to freeze the law is the latest in a string of judicial rulings deciding its fate.

    Should it come back into effect, it would mark a significant shift in how immigration enforcement is handled, as courts have previously ruled that only the federal government can enforce the country’s immigration laws – not individual US states.

    Crossing the US border illegally is already a federal crime, but violations are usually handled as civil cases by the immigration court system.

    Under SB4, anyone illegally entering or re-entering Texas faces up to 20 years in prison.

    It is not clear if any migrants were detained while the law was in effect.

    The ruling is the latest in a series of court rulings over whether SB4 can go ahead.

    In January, the Biden administration sued the state of Texas and the following month a district court ruled that SB4 was illegal.

    It blocked it from taking effect over concerns it would lead to each US state having its own immigration laws.

    Soon after, the New Orleans-based US Court of Appeals for the Fifth Circuit – the federal appeals court responsible for the area – said the law may take effect as it considered the appeal, unless the Supreme Court intervened.

    The Biden administration then filed an emergency request to the Supreme Court to uphold the district court’s freeze while the litigation was under way.

    In the meantime, Supreme Court Justice Samuel Alito placed a hold on the law to give the courts time to decide how it should proceed.

    Earlier on Tuesday, the Supreme Court allowed the measure to take effect while a lower federal appeals court weighed its legality.

    Then in a brief order late on Tuesday night, a three-judge panel at the Fifth Circuit voted to freeze the ruling as it hears the appeal.

    Historically, the federal government has created laws and regulations on immigration, even though the US Constitution does not explicitly grant it those powers.

    It is also the federal government that negotiates treaties and agreements with other countries.

    Republicans often criticise Democratic President Biden’s handling of the US-Mexico border, which opinion polls suggest is a prime concern for voters ahead of November’s White House election.

    A Gallup poll released in February suggested that nearly one-third of Americans believe immigration was the single greatest problem the country faced ahead of the government, the economy and inflation.

  • Gli investimenti scansano l’Italia

    L’Italia è una meta sempre meno attraente agli occhi degli investitori esteri, come emerge dal Global Opportunity Index (GOI) redatta dal Milken Institute. Lo stivale è slittato nella classifica mondiale dei mercati in cui investire dal 32esimo posto, occupato nel 2023, al 36esimo.

    Se l’Italia perde posizioni, cinque destinazioni tra le preferite a livello mondiale dagli investitori si trovano in Europa. La Danimarca, in particolare, sale al primo posto della classifica di quest’anno, grazie al miglioramento dei punteggi che riguardano la percezione delle imprese, facilità di fare affari in un Paese e altri parametri normativi. Seguono a ruota Svezia (ex numero uno nel 2023), Finlandia, Stati Uniti (che guadagna una posizione rispetto allo scorso anno) e Regno Unito.

    Nel complesso, le regioni E&D (Emerging & Developing Economy) “offrono opportunità interessanti agli investitori interessati ai mercati con un potenziale di crescita,” si legge nel rapporto. Anche se le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno colpito gli afflussi verso le economie asiatiche E&D, con un calo del 75,4% nel 2022 – ha spiegato il rapporto – tra le regioni emergenti, l’Asia è quella che ha ottenuto i migliori risultati, attirando più della metà (53,2%) dei fondi confluiti nei Paesi E&D tra il 2018 e il 2022.

    “Mentre le economie avanzate offrono stabilità, gli investitori alla ricerca di rendimenti in forte crescita continuano a mostrare interesse per le economie emergenti e in via di sviluppo”, ha dichiarato in un comunicato Maggie Switek, direttore senior del dipartimento di ricerca del Milken Institute.

    Tra le economie asiatiche emergenti, la Malesia è emersa come la preferita dagli investitori, posizionandosi al 27esimo posto a livello globale. Il Paese presenta le “migliori condizioni di investimento” tra tutte le economie E&D e si piazza bene per quanto riguarda il quadro istituzionale, in parte grazie al fatto che il Paese presenta “diritti degli investitori molto forti”, ha affermato Switek.  A questo proposito, vale la pena ricordare che, secondo il New York Times, la Malesia è anche il sesto esportatore di chip al mondo e produce il 23% di tutti i chip statunitensi.

  • Vodafone Italia passa a Swisscom, ora formerà un gruppo unico con Fastweb

    Swisscom ha stipulato accordi vincolanti con il Gruppo Vodafone Plc per l’acquisizione del 100% di Vodafone Italia per 8 miliardi di euro con l’obiettivo di integrarla con Fastweb, la sua controllata in Italia. La combinazione di infrastrutture mobili e fisse complementari di alta qualità, nonché delle competenze e asset di Fastweb e Vodafone Italia – si legge in una nota – darà vita ad un operatore convergente leader in Italia. Le economie di scala, la struttura dei costi più efficiente e le significative sinergie consentiranno alla NewCo di generare un elevato valore per tutti gli stakeholder, di sostenere gli investimenti e di offrire servizi convergenti innovativi a prezzi competitivi, migliorando le prestazioni e l’esperienza per i clienti in tutti i segmenti di mercato.

    La transazione resta soggetta all’approvazione delle autorità regolamentari e delle altre autorità competenti. Con questa transazione Swisscom rafforza in modo significativo la sua presenza in Italia, dove opera con successo dal 2007 attraverso Fastweb. Negli ultimi dieci anni Fastweb ha registrato una crescita di oltre il 50% in termini di clienti, fatturato ed Ebitda rettificato e si è affermata come uno dei principali operatori nel mercato italiano. Vodafone Italia è un operatore di rete mobile di qualità con un’ampia base di clienti. Combinando i punti di forza di Fastweb nella connettività fissa con la leadership di Vodafone Italia nei servizi mobili, la NewCo sarà in grado di generare rilevanti benefici per i consumatori, le imprese e il Paese.

    Per quanto riguarda la rete mobile, i clienti beneficeranno di una migliore connettività e qualità del servizio, grazie a una rete proprietaria gestita end-to-end. Anche i clienti dei servizi a banda larga potranno godere di una migliore qualità del servizio, grazie alla combinazione della rete proprietaria di Fastweb e del Fixed Wireless Access (FWA) 5G di Vodafone. I clienti residenziali in Italia avranno accesso ad una combinazione di soluzioni ad alte prestazioni basate su fibra e 5G. Di conseguenza, la base clienti della NewCo beneficerà di servizi convergenti, migliori performance e customer experience a prezzi competitivi. L’accesso ad asset e competenze complementari, come l’infrastruttura cloud all’avanguardia, le soluzioni avanzate nel settore della cybersecurity e dell’AI di Fastweb e le infrastrutture mobili di Vodafone Italia, metterà a disposizione dei clienti business un più ampio portafoglio di servizi di connettività e ICT di alta qualità attraverso un unico punto di accesso, accelerando la digitalizzazione delle imprese e della pubblica amministrazione in Italia.

    La NewCo sarà commercialmente più resiliente, garantendo così livelli sostenuti di investimento a lungo termine nelle migliori infrastrutture di rete fisse e mobili e in innovazione, contribuendo a colmare il digital divide e ad accelerare la trasformazione digitale del Paese. Dalla transazione nascerà un operatore con asset convergenti e le dimensioni adeguate a competere efficacemente nel mercato e incrementare il livello di concorrenza nel Paese. La NewCo continuerà, inoltre, a mettere le proprie infrastrutture di alta qualità fisse e mobili a disposizione di terzi per servizi di accesso all’ingrosso. Il closing è soggetto alle approvazioni regolamentari e di altre autorità competenti, non richiederà il voto degli azionisti Swisscom e dovrebbe verificarsi nel primo trimestre del 2025. La NewCo e il Gruppo Vodafone stipuleranno alcuni accordi di servizio transitori e a lungo termine, tra cui un contratto di licenza che consente l’uso del marchio Vodafone in Italia per un massimo di 5 anni dopo il closing.

    “Questa operazione – ha commentato Walter Renna, Amministratore delegato di Fastweb – segna un punto di svolta per Fastweb e genererà un valore significativo per tutti gli stakeholder. Grazie alla qualità superiore delle infrastrutture mobili e fisse, l’operatore convergente che risulterà dall’operazione sarà in grado di offrire connettività performante e servizi innovativi a tutti i segmenti del mercato. La NewCo contribuirà all’evoluzione di questo settore strategico con investimenti significativi in fibra e 5G, servizi innovativi Ict e sicurezza delle infrastrutture, abilitando così una rapida trasformazione digitale delle famiglie, delle imprese e della Pubblica Amministrazione”. Christoph Aeschlimann, Ad di Swisscom, ha commentato: “Swisscom opera con successo in Italia fin dall’acquisizione di Fastweb nel 2007. In questo periodo abbiamo generato un solido track record di investimenti e crescita in Italia. La logica industriale di questa fusione è molto solida. Fastweb e Vodafone Italia rappresentano una combinazione ideale per generare un elevato valore aggiunto per tutti gli stakeholder. Di conseguenza, i clienti residenziali e business beneficeranno dell’offerta più completa. Anche Swisscom risulterà rafforzata nel suo complesso, consentendoci di continuare a effettuare investimenti significativi nei mercati svizzero e italiano”.

  • Dal Covid ad oggi la speculazione trova nuova forza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    L’anno successivo al covid gli utenti hanno conosciuto la speculazione energetica basata sulle quotazioni del gas (materia prima oggetto delle sanzioni europee contro la Russia di Putin) alla borsa olandese nata, secondo la “dotta” strategia della UE, per offrire un maggiore peso all’euro nelle transazioni energetiche.

    Questa situazione prettamente finanziaria ha determinato per le imprese fornirci di energia l’esplosione di fatturato ed utili senza precedenti. Prova ne è che la Spagna ha fissato il price cap a quaranta euro ed introdotto con successo una extra tassazione straordinaria in ragione degli effetti della speculazione energetica sui fatturati delle imprese erogatrici.

    Da allora in Italia, pur essendo passati quasi quattro anni, un’altra volta i medesimi consumatori si trovano all’interno di una ulteriore speculazione ancora più ingiustificata. A fronte di una strutturale diminuzione del prezzo del gas, ora quotato circa 23 euro a megawattora contro i 340 del periodo successivo al covid ed in piena crisi russo-ucraina, le bollette arrivate in tutta Italia rappresentano l’espressione cristallina di un oligopolio di matrice sudamericana con rincari che arrivano al 300%.

    Questa gestione eversiva nell’approvvigionamento per le famiglie italiane trova oggi, come in passato, l’approvazione di tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese, nessuno escluso, negli ultimi decenni. Ogni compagine governativa ha omesso di operare a favore delle imprese e delle famiglie italiane mantenendo una posizione servile e mercenaria nei confronti delle grandi aziende fornitrici di energia in mano ormai a fondi privati stranieri. Lo scenario, infatti, era già chiaro nel maggio 2023 ed evidenzia il diverso destino industriale e delle famiglie tra gli stessi partner dell’Unione Europea (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/).

    Non soddisfatti, poi, si è pensato bene nel 2024 di aumentare di 17 punti l’Iva applicata nelle bollette (togliendo lo sconto introdotto dal governo Draghi) e, per chiudere il cerchio, con l’approvazione di una imbarazzante interpretazione della dottrina liberale, sono state eliminate le tariffe tutelate.

    Ricapitolando, grazie all’azione combinata di tutti i governi negli ultimi trent’anni la situazione risulta ormai decisamente insostenibile anche sotto il profilo della credibilità istituzionale oltre che della tenuta istituzionale. Non trova alcuna giustificazione, infatti, il fatto che nessun governo e partito si sia adoperato per introdurre, a fronte della scadenza del contratto di fornitura energetica, l’obbligo di proporne il rinnovo la cui operatività scattasse con l’ottenimento del consenso del consumatore. Si è preferito lasciare mano libera alle aziende di praticare la tariffa più alta possibile non appena il contratto di fornitura avesse raggiunto la scadenza.

    In più, quando scade un contratto tra due contraenti ed in attesa della stipula di un secondo da rendere operativo, dovrebbero nel frattempo rimanere in vigore le condizioni precedenti con la possibilità di aumenti legati all’andamento delle quotazioni internazionali.

    Desta, poi, un certo ribrezzo sentire ancora oggi qualche esperto di dottrina liberale giustificare questa apocalisse energetica come la applicazione del concetto il libero mercato. Una tesi talmente insostenibile e che esprime competenze precedenti alla caduta del muro di Berlino in quanto all’interno di un reale libero mercato tutti i soggetti dovrebbero venire sottoposti ai medesimi obblighi contrattuali.

    In Italia, viceversa, la politica, nella sua più variegata espressione, ha sempre favorito in modo indecente le società energetiche rendendo i cittadini a quel “parco buoi” con i quali la speculazione finanziaria indica i piccoli risparmiatori.

    La paura di una degenerazione atomica del conflitto russo ucraino trova la sua prima applicazione nel mercato energetico nazionale le cui vittime sono rappresentate dai consumatori italiani.

  • Esplode la bomba del debito usa e globale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net del 16 marzo 2024

    Le vicende finanziarie dovrebbero essere valutate per quello che sottendono, a volte situazioni negative. Attualmente sono gli Usa che preoccupano perché dal giugno 2023 ogni cento giorni il debito pubblico aumenta di ben mille miliardi di dollari. I dati sono eloquenti. Anzitutto va rimarcato che in dieci anni, dal 2014 a oggi, il debito americano è raddoppiato, passando da 17.000 miliardi all’attuale cifra di 34.500 miliardi. Molti ritengono che il modello “mille miliardi ogni 100 giorni” continuerà in futuro.
    Il Congressional Budget Office, l’organismo indipendente che produce analisi economiche per il Congresso, stima che il deficit di bilancio annuale passerà da 1.600 miliardi di quest’anno a 2.600 miliardi del 2034. In altre parole, nel prossimo decennio gli Stati Uniti aggiungeranno quasi 19.000 miliardi di dollari all’attuale debito pubblico fino a un totale di 54.000 miliardi.
    Nello stesso decennio soltanto per gli interessi gli Usa spenderanno più di 12.400 miliardi. Perciò si stima che la quota per il pagamento degli interessi sul debito potrebbe superare le altre voci di bilancio, comprese le spese per la difesa. Si tenga presente che le proiezioni sono fatte stimando che il tasso d’interesse dovrebbe scendere sotto il 3% dall’attuale 5,5%.
    Questa è la realtà nascosta, volutamente ignorata per dar spazio soltanto all’esaltazione dei dati positivi relativi alle aspettative dell’aumento del pil e dell’occupazione.
    L’Institute of international finance, l’associazione delle maggiori istituzioni finanziarie del pianeta con sede a Washington, afferma che nel 2023 la “bolla globale” del debito, quello pubblico, delle imprese e delle famiglie, con l’eccezione dei derivati finanziari, sarebbe aumentata di circa 15.000 miliardi di dollari portando il debito globale al livello di 310.000 miliardi! Un decennio fa era di 210.000 miliardi. Si tratta di un pericoloso trend mondiale.
    Non si tratta di un malessere ma di una febbre da cavallo le cui cause risiedono in decenni di politiche finanziarie errate. Gli effetti si manifestano di volta in volta in modi differenti o in settori diversi ma sono sempre il frutto avvelenato di una finanza speculativa che inquina tutti i settori dell’economia. Lo abbiamo visto nella grande crisi del 2008-9, mai affrontata veramente, nelle bancarotte bancarie, nella liquidità a “go go” dei quantitative easing, nelle politiche della Federal Reserve del tasso di interesse zero prima e dell’impennata dei tassi poi per rincorrere l‘inflazione.
    In questo quadro è stupefacente osservare che, mentre il debito e la liquidità crescono, hanno raggiunto i massimi storici anche l’oro, il bitcoin e Wall Street. L’oro ha superato i 2.000 dollari l’oncia, il bitcoin, la criptovaluta più conosciuta, è ritornato a valori impensabili, appena sotto i 70.000 dollari, con un aumento del 200% in 12 mesi, e S&P 500, il più importante indice azionario della borsa di Wall Street, ha sfondato ampiamente il punto massimo storico di 5.000 punti. Ovunque si guardi, i mercati azionari stanno battendo i record: l’indice europeo azionario STOXX 600 ha stabilito il proprio record intorno ai 500 punti e il Nikkei 225 giapponese ha superato il suo migliore valore precedente, fissato nel 1989.
    Questa euforia è provocata in particolare dall’effervescenza dei titoli legati alle imprese dell’intelligenza artificiale. Per esempio, il produttore di chip AI Nvidia ha registrato l’incredibile crescita dei ricavi del 265% nel quarto trimestre 2024, facendo salire più del 60% il prezzo delle sue azioni da inizio anno. In verità occorre cautela perché di troppa euforia si può morire! D’altronde è già successo negli anni novanta con la bolla dei titoli IT, information technology, che, dopo avere drogato il mercato di Wall Street portandolo in un paradiso artificiale, nei primi anni del 2000 un crac, noto come dot-com crash, lo fece sprofondare nei più bassi gironi dell’inferno.
    Molti negli Usa, a fronte dell’insostenibilità del debito propongono la riduzione dei deficit di bilancio, che significa tagli alla spesa pubblica. Sarebbe un giro di vite sul welfare, sulle spese sanitarie, sull’istruzione, sui trasporti, ecc., che andrebbe a colpire i livelli di vita della popolazione più povera e della cosiddetta middle class già depauperata. A Washington si stima che le entrate, che ammontano al 17,5% del Pil nel 2024, scenderanno al 17,1% nel 2025, per poi rimanere sotto il 18% fino al 2027.
    In sintesi di tutto si parla, tranne che mettere mano alla finanza dominante sfuggita ai controlli con il rischio che possa riverberare i suoi effetti negativi in tutto il mondo. Questa è una ragione di più per chiedere al G7 e al G20 di affrontare lo spinoso problema.

    Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista

  • Africa, Piano Mattei, inquinamento

    Il Piano Mattei per l’Africa, voluto dal governo Meloni, lancia una concreta nuova prospettiva di reciproca collaborazione tra i Paesi del vasto continente africano e l’Europa, con l’Italia cinghia di propulsione.

    L’Africa è stata, ed è ancora, in parte colonizzata dalla Cina e dalla Russia, pur con sistemi diversi e diverse aree di influenza, e molti problemi stanno venendo alla luce, basti pensare alle sommosse dei lavoratori kenioti contro le imprese cinesi che li trattano con disprezzo e con salari troppo bassi rispetto ai parametri del Paese.

    Liberare l’Africa dai colonialismi significa ovviamente anche aprire un mercato alla pari con l’Europa, con regole per la produzione e la coltivazione ed una collaborazione corretta in tema di ambiente.

    Tra i maggiori problemi, la mancata soluzione dei quali ha portato ad un arresto dello sviluppo ed ad aree di estrema povertà, sono la mancanza di acqua e di adeguati sistemi, specie nelle aree urbanizzate, di smaltimento dei rifiuti.

    Il problema dell’acqua può essere risolto solo con i pozzi ed, in alcuni casi, con sistemi di desalinizzazione ed è ovvio che i pozzi andrebbero fatti direttamente dalle imprese europee, villaggio per villaggio, perché altrimenti si rischierebbe un dispendio di soldi che non corrisponderebbe alla realizzazione delle opere. non per nulla i cinesi costruiscono direttamente le infrastrutture per le quali si sono accordati con i governi africani.

    Siamo ovviamente consapevoli che nel piano Mattei è ben presente la ricchezza, sotto varie forme, come i giacimenti di varie materie di interesse strategico per l’Europa, che offre il sottosuolo africano e che il continente è anche un importante partner per l’acquisto di tecnologia europea ma non dobbiamo dimenticare il problema inquinamento.

    L’Europa si è data obiettivi ferrei, a breve scadenza, per ridurre il deterioramento dell’ecosistema dovuto a varie attività umane ma nessun risultato sarà veramente raggiunto se non si terrà conto delle discariche a cielo aperto, dei roghi di immondizie e materie tossiche che oscurano spesso il cielo dei villaggi africani, se si continueranno a mandare in Africa i nostri veicoli, privati e commerciali, da noi divenuti obsoleti perché troppo inquinanti.

    Ci sono strategie di grande portata che per essere di concreta utilità devono tenere conto anche di realtà che solo in apparenza sono meno importanti: combattere l’inquinamento in Africa è combatterlo anche per il continente europeo, per il resto del mondo.

    L’importante è avere chiara la visione d’insieme e cominciare a partire con iniziative concrete, in un certo modo potremmo dire non tanto soldi quanto attività direttamente sul luogo.

  • Le “belle tasse” e la logica fiscale

    Una delle motivazioni addotte per giustificare l’alta pressione fiscale, ma non certo la sostanziale inefficienza della spesa pubblica, è legata all’alta percentuale di evasione fiscale alla quale sostanzialmente viene attribuita la responsabilità dell’alto livello delle tasse dirette ed indirette nel loro complesso. Contemporaneamente si afferma come il recupero dell’evasione fiscale rappresenti l’unica strategia che abbia come obiettivo quello di inaugurare un percorso di abbassamento della pressione fiscale complessiva, cioè l’unico percorso per ridare ossigeno alla domanda interna e quindi ai consumi a parità di retribuzioni.

    In questo contesto puramente ideologico si registra come nel 2023 risultino recuperati, attraverso la lotta all’evasione, circa 24,7 miliardi, 4,5 miliardi in più rispetto al 2022 (+22%), quindi nei due anni 2022/23 quasi 50 miliardi, la somma più alta di sempre.

    Contemporaneamente, nel medesimo anno solare, la pressione fiscale reale si è attestata al 42,5%, che diventa 47,5% per i contribuenti onesti.

    La risibile diminuzione della pressione complessiva del 2023 rispetto 2022 si attesta ad un misero – 0,2% ma interamente attribuibile alla rimodulazione degli scaglioni IRPEF, alla quale fanno riscontro un aumento dell’inflazione del + 5,3% (+8,1% dei generi alimentari) nel 2023, alla quale per l’anno in corso si aggiunge l’aumento dell’IVA del 17% nelle bollette del gas.

    Come logica conseguenza emerge evidente che nonostante il corretto e assolutamente civile recupero dell’evasione fiscale questa non si sia dimostrata la via per diminuire la pressione fiscale complessiva, ma semplicemente sia un ulteriore supporto per alimentare nuova spesa pubblica.

    Andrebbe allora ricordato come gli effetti della spesa pubblica risultino decisamente al di sotto degli standard minimi, o, se si preferisce, in rapporto a potenziali Lep europei, in quanto l’Italia rappresenta in Europa l’unico Paese ad aver visto ridotta negli ultimi trent’anni la capacità economica delle famiglie del -2,7%, mentre nello stesso periodo in Germania risulta aumentata del +34,7 mentre in Francia del +27,4%.

    Se questi rappresentano gli effetti distorsivi della spesa pubblica italiana, come logica conseguenza fornire ulteriori strumenti finanziari a questo perverso strumento non farebbe che alimentare un ulteriore impoverimento dei cittadini italiani.

    Inoltre, e certamente non meno importante, gli stessi effetti distorsivi della spesa pubblica rappresentano una delle motivazioni per la quale le retribuzioni in Germania risultino superiori di quasi il +40% a parità di contratto rispetto a quelli italiani, quindi una delle motivazioni principali dell’esodo dei giovani laureati italiani in cerca di retribuzioni adeguate al proprio titolo di studio.

    In altre parole, al di là della retorica politica, si registra come ad ogni recupero di percentuali di evasione fiscale corrisponda un aumento della spesa pubblica e mai una diminuzione della pressione fiscale in Italia.

    Nonostante questo, da sempre l’argomento dell’evasione fiscale viene utilizzata come ombrello per giustificare le inefficienze della stessa spesa pubblica, ma soprattutto un alibi per i suoi responsabili politici.

    Pur ribadendo, quindi, come il recupero dell’evasione fiscale stessa rappresenti un principio di equità, al tempo stesso andrebbe ricordato come questa non possa venire intesa come una leva per aumentare il benessere ed il livello dei servizi e tantomeno per abbassare la pressione fiscale. Senza poi dimenticare come, sempre in relazione all’evasione fiscale, una della sue massime espressioni venga rappresentata dalle allocazioni fiscali delle aziende e banche (ma anche società dello Stato) in nazioni comunitarie, come l’Olanda, che assicurano un dumping fiscale. Si calcola, infatti, in circa 4.500 miliardi le riserve finanziarie sottratte al fisco europeo grazie al sistema fiscale olandese pari al PIL della Francia e dell’Italia.

    Come logica conseguenza, se si volesse porre veramente come priorità l’evasione fiscale questa dovrebbe trovare la propria genesi all’interno di nuovi quadri normativi fiscali europei. Nel caso contrario, invece, questo mito puramente ideologico nel quale ad un ipotetico recupero dell’evasione fiscale corrisponderebbe una diminuzione della pressione, non presenta alcun riferimento reale, al contrario, paradossalmente, accentua le disparità sociali nel Paese e nei confronti degli altri membri dell’Unione europea, in quanto la storia ci dimostra come ogni recupero di finanze sottratte al fisco italiano rappresenti semplicemente un nuovo strumento finanziario destinato all’aumento della spesa pubblica.

    Alla fine, quindi, il recupero dell’evasione fiscale, pur rappresentando uno strumento di equità, contemporaneamente alimenterà   ed accentuerà proprio gli squilibri sociali ed economici alimentati da uno strumento distorsivo come la spesa pubblica.

  • Al via un percorso di transizione per un commercio al dettaglio digitale e verde

    La Commissione ha pubblicato il percorso di transizione verso un ecosistema del commercio al dettaglio più resiliente, più digitale e più verde.

    Si tratta di un piano elaborato congiuntamente da Commissione, Stati membri, imprese, parti sociali e ONG che individua le sfide e le opportunità per l’ecosistema del commercio al dettaglio e propone azioni per migliorarne la resilienza e per sostenerne la trasformazione digitale, verde e nell’ambito delle competenze. Questo percorso promuove una transizione giusta ed equa per tutti gli attori dell’ecosistema, tra cui la forza lavoro, i consumatori e le imprese di ogni tipo e dimensione; incoraggia attori economici, parti sociali e autorità nazionali, regionali e locali a impegnarsi nel processo di attuazione congiunta e a contribuire a un ecosistema del commercio al dettaglio competitivo, sostenibile, resiliente ed equo.

    Il commercio al dettaglio è il più grande ecosistema industriale europeo: rappresenta infatti l’11,5% del valore aggiunto dell’UE. È inoltre il principale settore occupazionale dell’economia dell’UE, in quanto dà lavoro a quasi 30 milioni di persone in 5,5 milioni di imprese (il 99% delle quali sono PMI). L’ecosistema del commercio al dettaglio svolge un ruolo fondamentale nella distribuzione dei prodotti, di cui usufruiscono quotidianamente 450 milioni di consumatori in tutta l’UE. Si tratta anche di un elemento chiave del tessuto sociale delle comunità urbane e rurali e offre un contributo importante alla creazione di posti di lavoro locali e alla vitalità e all’attrattiva dei centri urbani.

  • Brics: cresce la cooperazione monetaria

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net l’8 marzo 2024

    Ciò che accade nel mondo monetario e finanziario globale non può essere ulteriormente ignorato e seppellito sotto certe ostilità nei confronti della Cina e in generale del sud del mondo. Il processo insito nell’uso di diverse monete rispetto al consueto utilizzo del dollaro altro non è che una naturale spinta, non militare, verso un nuovo assetto geopolitico pacifico basato sulla cooperazione internazionale.
    Intanto l’Egitto ha appena dichiarato che intende progressivamente abbandonare il dollaro nelle sue attività commerciali e sollecita anche i suoi partner a usare le proprie monete nazionali negli accordi. Si ricordi che l’Egitto è una new entry nel gruppo dei Brics. La decisione e le altre simili prese da molti paesi sono la conseguenza della politica delle sanzioni e dell’incerto valore del dollaro a causa dell’enorme crescita del debito pubblico americano.
    Anche nel recente meeting dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei Brics tenutosi a San Paolo in Brasile è stata sottolineata tale preoccupazione. Si è affermato, in particolare, che l’attuale sistema dei pagamenti internazionali “è usato come arma di pressione politica ed economica”.
    L’enfasi ivi posta é “sulla crescente importanza del format multilaterale nel sistema monetario e finanziario internazionale e sulla necessità di aumentare il ruolo delle valute nazionali nel commercio reciproco.”. Pertanto si afferma la necessità di meccanismi alternativi anche nei pagamenti transfrontalieri, poiché la stragrande maggioranza degli Stati si è resa conto che alcuni paesi dell’Occidente si sentono autorizzati a dettare la propria volontà agli altri, minacciando di interrompere l’accesso ai processi economici globali.
    Molti paesi, da ultimo anche la Nigeria e il Pakistan, hanno l’intenzione di sottrarsi alle imposizioni delle grandi istituzioni del sistema di Bretton Woods, come il Fmi e la Banca mondiale. Infatti la New development bank, la banca dei Brics, è sempre più attiva ed è vista come il potenziale futuro centro creditizio del Global South. Essa si appresterebbe per esempio a creare obbligazioni in monete locali per l’equivalente di oltre 28 miliardi di dollari. Alcuni osservatori occidentali parlano di un processo lento. Forse, ma in continua crescita.
    A San Paolo si è discusso della creazione della piattaforma multilaterale “Brics Bridge” che mira, tra l’altro, a favorire pagamenti e regolamenti attraverso l’utilizzo di monete digitali create dalle banche centrali. Il programma s’ispira al “Project mBridge” della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea per l’utilizzo delle monete digitali delle banche centrali nelle transazioni transfrontaliere. E in parallelo si lavora per collegarle con i sistemi nazionali di messaggistica finanziaria.
    Un altro aspetto della piattaforma è l’uso di una moneta terza nei commerci tra due differenti paesi. Per esempio, la Russia esporta molto in India ma ha delle importazioni limitate. I pagamenti fatti in rupie rischiano di accumulare grandi quantità di valuta indiana. A un certo punto lo squilibrio ha toccato i 40 miliardi di dollari. Perciò è allo studio l’uso di un’altra moneta, come lo yuan cinese o il dirham degli Emirati Arabi Uniti, per superare le difficoltà finanziarie nel commercio tra India e Russia. Un’altra possibilità è di usare le rupie per comprare obbligazioni indiane legate a progetti infrastrutturali. Nel frattempo, secondo i dati della Banca centrale di Mosca, l’uso dello yuan per pagare le esportazioni russe è aumentato di 86 volte, raggiungendo il 34,5% dei pagamenti totali negli ultimi due anni.
    Il passo successivo e risolutivo, sollevato anche nel summit di San Paolo, è la creazione di un’unità di conto, cioè di una moneta non circolante ma essenziale per regolare i commerci e superare molte difficoltà. Del resto, in Europa conosciamo bene gli effetti positivi dell’Ecu, l’unità di conto che ha favorito l’unione economica e il libero scambio delle merci nel nostro continente.

    *già sottosegretario all’Economia; economista

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