educazione

  • Seminario Focus: imparare a conoscere il mondo animale

    Il 24 marzo si è svolto a Bologna il seminario focus, Partecipare ai seminari Focus, organizzato da Massimo Giunta e altri tecnici provenienti da tutta Italia, è un tuffo vero e profondo nel mondo animale, in special modo in quello del cane.

    Non è facile inquadrare in modo esaustivo e sintetico il bagaglio di informazioni, esperienze  che, dopo il seminario, ci portiamo a casa da studiare, elaborare e fare nostro.
    Ogni volta che credi di aver trovato una chiave di lettura Focus offre nuovi spunti che rimettono in gioco ogni cosa ma con una base da cui non si scappa mai, il cane e il suo benessere, il suo essere predisposto all’apprendimento e tenendo sempre presente l’incolumità delle persone, libertà sì ma rispettando la libertà di tutti.
    Addestrare il cane fa bene al cane, la mia e la sua libertà non devono ledere la libertà degli altri, un cane addestrato è un cane felice perché potrà partecipare molto di più alla vita quotidiana in famiglia e nella società.
    Purtroppo il tutto non è così semplice da realizzare, bisogna partire dal presupposto che come insegni ai bambini a non buttarsi in mezzo alla strada tra le auto o a non sporgersi dal balcone, perché potrebbero morire o causare un incidente dove altri ci andrebbero di mezzo, così si deve fare con il cane: insegnargli quello che può fare.
    Che amore è amare tuo figlio e consentirgli di fare tutte le esperienze comprese quelle che potrebbero ucciderlo inconsapevolmente? Un bimbo non conosce causa ed effetto, deve impararlo.
    Non voglio paragonare l’amore per un figlio con quello per un cane ma voglio far capire come in entrambi i casi la stessa attenzione possa salvare la vita propria o altrui semplicemente insegnando, come i genitori o la maestra fanno con i bambini, ai proprietari dei cani cosa devono a loro volta insegnare agli amici pelosi, facendosi anche aiutare da esperti.
    La cinofilia è un campo immenso di scuole, idee, metodi e fino a qui sarebbe anche stimolante e interessante se ci fosse alla base la comune volontà di portare il cane a vivere il suo essere cane con le stesse regole che guidano il comune vivere del padrone.
    A volte invece, specie in questo periodo della società, si confonde la libertà con  l’assenza di regole, si crede che ciascuno abbia diritto, per essere spensierato, a fare tutto quello che vuole e così si creano i pericoli per gli uomini e per gli animali.
    Si stigmatizzano i metodi con cui arrivare alla meta.
    Ma non è ovvio che tutto ciò che è estremo è dannoso? Non è ovvio che qualunque mezzo tu utilizzi non deve ledere il benessere etologico? A Focus si mette in risalto il benessere interspecie.

    Collare, pettorina, scorrimento non potrebbero fare danni se mal utilizzati? L’auto se usata male non è pericolosa?
    Quindi vietiamo a tutti di guidare o usare collari e pettorine? O insegniamo come  usare i mezzi necessari per arrivare alla meta?
    Parole che si scontrano con la realtà… Il gps per controllare il cane che può stare a 500 mt da noi magari finendo sotto un auto, inseguire un selvatico, incontrare un altro cane o aggredire qualcuno!!! Alcuni professionisti che dicono di appartenere a scuole cinofile moderne  dicono…ci vuole incoscienza…controllare il cane è una bastardata perché si blocca la sua curiosità, la capacità di fare esperienze…ci sta che si perda….Queste affermazioni si che sono pericolose soprattutto se si applicano alla vita quotidiana!!! Ricordiamoci che esistono le leggi e che devono essere bilanciate tra il benessere animale e la pubblica incolumità. Consigliare l’acquisto e l’uso del gps non è ciò che la vera cinofilia indica, quella vera cinofilia fatta di ore di impegno in campo e non.
    Nei seminari organizzati da Focus non sentiamo solo parole  ma si guardano filmati di eventi accaduti, casi veri, di cani mal gestiti, di situazioni quotidiane poi diventate tragedie che con poco avrebbero potuto essere evitate.
    Se la presunzione lasciasse spazio alla capacità di ascoltare, di informarsi, di ricordarsi che apparteniamo entrambi, uomo e cane, al mondo animale ma siamo dotati di diverse peculiarità-
    I video portati dai tecnici sono esperienze, traguardi, o addirittura cambi di metodo nel momento nel quale il precedente non ha funzionato bene come ci si aspettava.
    Qui sta l’elasticità di coesistenza di pensiero, di metodi, di intenti.
    E’ bellissimo confrontarsi, parlarsi, misurarsi, imparare. Perché il cane oltre ad avere la memoria di razza  può avere bisogno di un “vestito su misura” che dobbiamo aiutarlo a trovare. L’addestramento è il vestito che consente ai cani da soccorso, ricerca ma anche da compagnia di lavorare con e per l’uomo.

    Ricordiamolo sempre.

  • I compiti ed i doveri della società e dei genitori nei confronti dei bimbi

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    La terza infanzia comincia a sei anni e finisce sostanzialmente con la quinta elementare dopo la quale si entra nella fase della pubertà.

    Dopo la tragedia della Povera Giulia si moltiplicano le proposte per applicare all’interno della scuola dei nuovi metodi educativi (*) che avrebbero il compito di creare un substrato culturale ed interrelazionale finalizzato alla diminuzione dei reati contro le donne.

    A questi progetti si aggiungono degli interventi anche di personalità più complesse (la cui elaborazione presuppone una maggiore maturità) all’interno delle scuole elementari e quindi dell’infanzia.

    L’istituzione elementare assieme all’ambiente degli affetti familiari dovrebbero, invece, assicurare una stagione di assoluta serenità ai bimbi la quale, nelle fasi successive dello sviluppo, dovrebbe rappresentare un porto sicuro ed un punto di forza e rappresentare un valore rassicurante.

    Nessuno contesta l’eterogeneità del genere umano e come questa rappresenti di per sé un aspetto incontestabile, ma la presenza di particolari personalità presuppone da parte dei ragazzi un minimo di maturità la quale può essere patrimonio solo degli studenti quantomeno delle scuole superiori.

    In altre parole, ancora una volta, la politica di basso profilo, sfruttando l’emotività scatenata dalla tragedia della povera Giulia, sta tentando di esautorare le famiglie nella difficile gestione dei propri figli in nome di una superiore ideologia statale.

    Questi nuclei familiari da tempo si trovano tra mille difficoltà e cercano di far quadrare il bilancio familiare sia economico che affettivo alle cui evidenti difficoltà lo Stato non provvede attraverso il finanziamento di servizi a loro sostegno.

    Al contrario, relegandole ad un ruolo sempre meno centrale, lo Stato vorrebbe creare nuovi interventi “formativi” i quali comunque rappresentano nuovi capitolati di spesa pubblica.

    Come degli speculatori ideologici e politici si cerca di introdurre ed istituzionalizzare la marginalizzazione della stessa famiglia invece di aiutarla, proprio perché dalla sua debolezza cresce la forza di uno stato etico, anche introducendo precocemente delle figure complesse ed articolate rispetto al periodo dell’infanzia.

    In più, questo tipo di intervento dello Stato rappresenta un approccio ideologico per nulla supportato da riscontri oggettivi come evidenziano studi e ricerche sull’incidenza dei femminicidi all’interno di altri paesi europei i quali dovrebbero rappresentare il riferimento politico ed ideologico avendo adottato da tempo i medesimi modelli educativi.

    Il dovere di una società e della famiglia rimane invece quello di garantire la serenità di quei bambini il cui valore rassicurante si esprimerà soprattutto nel periodo adolescenziale e successivamente in quello adulto.

    Non si faccia l’errore di tramutare una tragedia come quella della povera Giulia in una battaglia politica ma soprattutto ideologica e identitaria quando invece si dimostra assolutamente speculativa con l’obiettivo di svilire il ruolo della famiglia la quale, invece, necessiterebbe di un maggiore sostegno anche attraverso il finanziamento di servizi aggiuntivi.

    Il Presidente della Repubblica ha ricordato come la famiglia rappresenti il nucleo fondamentale di una società. Mai come ora questa richiede attenzione ed aiuti e non certo modelli educativi assolutamente autoreferenziali in quanto puramente ideologici.

    (*) 1. educazione sessuale ed affettiva, 2. decreto Zan, 3. altri modelli molto più arditi in termini di sessualità

  • Un pensiero per Giulia impone nuove scelte in famiglia e nella scuola

    Purtroppo le guerre occupano da molto tempo i nostri pensieri oltre che le pagine dei giornali e le tv.

    L’ingiustizia e la crudeltà di quel che abbiamo visto e vediamo dovrebbe indurci a riflettere meglio anche sui nostri modi di comportarci. Invece continuiamo, in troppi, ad essere distratti dalle risse politiche e quanto ci accade intorno lo viviamo spesso in modo superficiale.

    La recente tragedia di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato, due ragazzi dalle facce pulite ma con due storie che oggi sappiamo ben diverse, ripropone la tragedia delle tante donne uccise dai propri compagni o ex compagni ma anche la necessità, per i genitori e per gli insegnanti, di essere più attenti a quanto, in apparenza, può sembrare un problema da poco e che invece si rivela poi, negli anni, una distorsione caratteriale che porta a tragiche conseguenze.

    Molte volte, negli ultimi anni, peccato non ne abbiano parlato prima, analisti, medici e scienziati stigmatizzano come il virtuale sia stato e sia per i giovani un fenomeno molto pericoloso, che spesso porta all’incapacità di vivere normalmente la realtà è che induce, in troppi casi, all’autoisolamento, all’incapacità di vedere il futuro, a credere che il presente sia quello della rete, o alla la rabbia e alla violenza che portano a gesti estremi.

    Nello stesso tempo un uso ed abuso, in giovane età, di sostanze chimiche, o di droghe pseudonaturali, e di alcol ha seri influssi sulle capacità di ragionamento e di percezione della gravità di azioni che, sotto la spinta dell’ira o del senso di abbandono, portano a conseguenze irreparabili.

    Lo psichiatra e saggista Paolo Crepet, in una intervista, si rifà anche ad eventi e problemi degli anni 70-’80: i figli di ex contestatori, diventati a loro volta genitori, non hanno spesso gli strumenti per educare i loro figli perché all’interno della famiglia di origine non è stato affrontato come risolvere le angosce, le insicurezze o le rivalse che nascono da quell’inquietudine che appartiene naturalmente all’adolescenza.

    Quando i giovani non riescono a dialogare tra di loro, se non attraverso un sistema informatico, e si perde sempre più la capacità di relazionarsi con gli altri, di accettare i propri difetti e di comprendere le ragioni altrui, diventa quasi impossibile integrarsi con il resto della società.

    Troppe volte i genitori vogliono essere amici dei figli, vogliono continuare a sentirsi giovani, non sanno trovare gli strumenti per dire ai figli quei no necessari a far crescere prima un bambino e poi un ragazzo.

    Non saper affrontare i no, che la vita comunque ti propone e proporrà sempre, non avere gli strumenti per affrontare la frustrazione di un divieto o di una sconfitta porta troppi giovani a pensare  di essere stati privati di un diritto e a vedere la società come un luogo ostile a ritenere un nemico chiunque opporrà un rifiuto a loro desideri, amorosi o di qualunque genere.

    Se la capacità educativa manca in troppe famiglie, manca anche nella scuola, dove troppi insegnanti hanno gli stessi difetti dei genitori dei loro studenti o le stesse incapacità di comprendere quei segnali che, captati per tempo, potrebbero impedire quelle tragedie che si sono verificate e che purtroppo si verificheranno ancora.

    L’incapacità della scuola di affrontare questi temi va di pari passo con il timore, la paura in alcuni casi, che alcuni insegnanti ormai hanno dei loro allievi, quando addirittura non delle famiglie degli stessi allievi.

    Sarebbe il momento di immaginare una presenza fissa, all’interno delle strutture educative, di figure in grado di affrontare le difficoltà psicologiche che hanno molti studenti, analizzando nel contesto anche la realtà familiare nella quale vivono.

  • Eredità

    Caro signore, non ricordo di avere letto il suo nome nelle recenti cronache che la descrivono autore di un pestaggio ai danni di un uomo gravemente infermo e incapace di difendersi.

    Tuttavia le va dato atto di avere agito con una certa nobiltà e senso della misura procurando, al mal capitato, solo un trauma cranico e varie lesioni.

    Davvero poca cosa se consideriamo che le era stato addirittura chiesto di allontanarsi da un luogo riservato.

    Il fatto poi che la sua vittima si aggrappasse, per stare in piedi, alla rete del campetto di calcio è un particolare che può facilmente e comprensibilmente esserle sfuggito nello stato di tensione cagionatole dalle forti aspettative legate alla presenza in campo del suo amatissimo figliuolo.

    Come vede mi sforzo di comprenderla inquadrando la sua condotta nel contesto di quella che definirei la banalità del nostro male quotidiano.

    E però mi prende un moto di disagio, il senso di una profonda ingiustizia e la sensazione di un doloroso rivissuto.

    Ora soccorrono antiche letture e so che, finalmente, posso almeno darle un nome: Maramaldo.

    Le riconosco, vede, un nobile casato e so che farà di tutto per mantenerlo e rafforzarlo.

    Temo però che, grazie al suo esempio ed alle sue cure, il suo giovane erede potrà’ essere un Maramaldo come lei, dentro e fuori il campetto di calcio.

    Spero di no. Auguri campioncino

  • L’umiliazione “educativa”?

    Il bullismo rappresenta sicuramente un aspetto problematico dell’area adolescenziale. Una complessità che nasce proprio in ragione della difficoltà di crescita dei giovani, all’interno della quale, oltre alla famiglia, la scuola dovrebbe proporre un quadro valoriale aggiuntivo di riferimento. In questo contesto, poi, sicuramente la maggiore tutela andrebbe assicurata alle vittime di queste violenze, fisiche e psicologiche, delle quali purtroppo molto spesso porteranno per tutta la vita i segni.

    Come in ambito penale, così anche in quello scolastico, dovrebbe valere il principio della certezza di una sanzione adeguata all’atto di bullismo come espressione, per quanto possibile, di una tutela a favore della vittima. Contemporaneamente si dovrebbe permettere all’autore del gesto non solo di pagare, ma anche magari di comprenderne la gravità e gli effetti del proprio comportamento.

    In questo contesto, quindi, anche l’introduzione dell’obbligo di aderire da parte del “bullo” a dei programmi di lavori socialmente utili potrebbe rappresentare una sanzione adeguata rispetto alle classiche sospensioni dalla frequentazione dell’istituto scolastico. In più si potrebbe interpretare soprattutto un primo atto “educativo” in grado di riconnettere il soggetto all’ambito sociale. Nello specifico, però, il Ministro dell’Istruzione indica la scelta dei lavori socialmente utili come una forma di deterrente per il compimento di altri atti di bullismo in quanto questi determinano una umiliazione per i soggetti aderenti a questo programma di pena alternativa.

    In un sol colpo non solo viene snaturata completamente la funzione stessa dei lavori socialmente utili, i quali rappresentano un’alternativa ad altre pene, ma offrono contemporaneamente la possibilità ai soggetti di riconnettersi con il contesto sociale proprio attraverso la consapevolezza del proprio operato.

    A maggior ragione nel caso dei ragazzi colpevoli di spregevoli atti di bullismo i lavori socialmente utili, proprio per la loro essenza, dovrebbero rappresentare un modo per riposizionarsi nella realtà circostante anche in considerazione della percezione della propria azione nell’attività alla quale verrebbero inviati.

    Viceversa, se questi vengono considerati semplicemente come uno strumento finalizzato ad umiliare uno studente, anche se colpevole di atti di bullismo, non solo vengono snaturati nella loro essenza ma in più determinano una crescita del distanziamento tra la realtà circostante ed il ragazzo, rendendo vana ogni speranza di un possibile o anche parziale recupero.

    Un sistema educativo può e deve proporre i più diversi valori educativi di riferimento, anche come espressione delle diverse ideologie declinate nell’ambito formativo.

    Viceversa nessuna “umiliazione educativa” di un giovane studente, anche se reo di gravi atti di bullismo, potrà mai rappresentare l’espressione di un modello educativo e tanto meno valoriale quando manifesta, in modo inequivocabile, la povertà intellettuale di una società e del ministro della Pubblica Istruzione che la propone.

  • Chi sevizia od uccide un animale è già un criminale e presto potrà diventare un assassino

    Ormai da tempo anche gli studi scientifici hanno rilevato come la maggior parte delle persone che commettono gravi violenze contro altri esseri umani abbiano, in precedenza, commesso atti violenti e crudeltà verso gli animali. Già dal 1996 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva inserito, tra i disturbi comportamentali, il maltrattamento degli animali.

    In Italia l’associazione link-Italia si occupa di monitorare il legame tra devianze, violenze verso gli animali e violenza verso gli umani, spesso le violenze contro le donne ed i femminicidi sono preceduti da violenze contro gli animali, anche quelli di casa.

    Chi sevizia od uccide un animale è già un criminale e presto potrà diventare un violentatore e un assassino in una escalation di violenza verso chi è più debole ed indifeso. Per questo è molto importante che ciascuno di noi impari a non voltarsi da un’altra parte quando vede qualcuno che commette violenza contro un animale, ogni violenza va denunciata anche nella speranza di impedire un futuro delitto contro un essere umano.

    È molto importante che in famiglia e nella scuola si insegni il rispetto per tutto quello che è vivo intorno a noi, si ricreino le condizioni perché tutti tornino a provare sentimenti di empatia affinché nessuno ignori la sofferenza altrui.

    Siamo in una società difficile, spesso violenta e perciò proprio i bambini e gli adolescenti devono essere guidati, indirizzati sulla strada del rispetto dell’altro, in questi anni anche l’aumento del bullismo nelle scuole dimostra purtroppo come ci sia molto da ricostruire e costruire per arrivare ad una società meno permissiva e tollerante di fronte a tante violenze e tanti soprusi.

  • Sport, Salute e Sanità

    Qualsiasi attività sportiva offre sempre un quadro valoriale aggiuntivo, familiare e scolastico, a quello proposto alle giovani generazioni. Nella vita di un ragazzo, inoltre, concorre in maniera fondamentale ad un corretto sviluppo armonico del fisico in crescita. L’agonismo, in più, sublima l’impegno del singolo e della squadra finalizzato  al conseguimento di un risultato e ad una supremazia sportiva sui concorrenti.

    In un simile contesto l’effetto di questo way of life (stile di vita) inevitabilmente si ripercuote positivamente sullo stato generale della salute, specialmente nelle decadi successive. Di conseguenza, all’interno della complessa gestione delle risorse pubbliche, anche in ambito sanitario, questo “stile di vita sportivo” si potrà tradurre in una minore spesa sanitaria (come risparmio) grazie alla minore incidenza delle malattie cardiocircolatorie, solo per fare un esempio. Una relazione causa effetto che nasce da una precisa strategia imperniata sulla doppia valenza, sportiva e sanitaria, i cui effetti si manifesteranno nel medio e lungo termine, molto diversa perciò dal  semplice dirottamento di risorse pubbliche dalla sanità al settore sportivo.

  • Non serve l’omologazione dei genitori, serve piuttosto l’uniformità tra i banchi di scuola

    Nelle scorse settimane si è creata la solita bagarre sulla dichiarazione di Matteo Salvini «Sulla carta d’identità tornano mamma e papà, via genitore 1 e genitore 2». Contro questa iniziativa si è anche espressa la sindaco Chiara Appendino, sostenendo che Torino  «è a fianco delle famiglie omogenitoriali» e che «sarebbe un passo indietro in tema di diritti». Ovviamente anche l’Arcigay ha detto la sua sostenendo sempre i diritti delle famiglie omogenitoriali, le quali, per quanto ne sappiamo tutti, esistono da tempo e continueranno ad esistere senza che ci sia necessità di identificare madre e padre col nome di genitore 1 e genitore 2. Infatti, se mettiamo genitore 1 e genitore 2 le famiglie omogenitoriali hanno lo stesso problema! Nessuno peraltro si è mai posto il problema di chi sia il genitore 1 e il genitore 2, rispettata la parità dei sessi chi è l’1 e chi il 2, visto che il 2 è sempre secondo all’1. Moltissime note coppie gay quando si sposano, nei Paesi dove è consentito, definiscono il proprio coniuge o moglie o marito, pertanto i termini genitore 1 e genitore 2 sono soltanto un modo per scardinare ulteriormente la famiglia tradizionale e soprattutto per creare ulteriore confusione nei bambini. Ci sono coppie tradizionali, ci sono coppie gay, ci sono famiglie unigenitoriali, ci sono famiglie che lodevolmente adottano bambini: quando le norme sono chiare e la società è sana non c’è bisogno di fare la guerra alle parole, come hanno fatto e fanno coloro che vogliono eliminare il concetto di padre e di madre. E perciò in questa occasione, e non sono molte, siamo d’accordo con Salvini, sperando che questo ritorno sulla carta d’identità non sia stato solo un annuncio.

    Siamo anche d’accordo sulla proposta di riportare nelle scuole un grembiule o una divisa che eviti sia la messa in competizione tra chi ha più o meno denaro da spendere per acquistare capi firmati, sia per evitare anche abbigliamenti che nulla hanno a che vedere con il sistema scolastico e l’istruzione. La scuola dovrebbe aiutare a far sentire tutti uguali, possibilmente con le stesse chances di apprendimento, per dare alla fine un giudizio sulla voglia di applicazione e sull’impegno e non su altro. Forse anche tanto bullismo nasce, oltre che dall’uso sbagliato dei social, dalle ‘sicurezze’ che danno certi abbigliamenti. Già qualche anno fa, recandomi a Madrid in alcuni ministeri del governo spagnolo, avevo apprezzato come i dipendenti non usassero gli abiti scollacciati che invece avevo visto nei ministeri italiani. Un vecchio detto dice che l’abito non fa il monaco ma spesso il cardinale e bisogna rispettare anche nella forme le istituzioni che rappresentiamo. Non è una diminuito della nostra personalità e libertà che semmai sono minate proprio dalle travolgente e insana voglia di apparire e di farsi notare a tutti i costi.

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