Egitto

  • L’Egitto invia consiglieri militari al governo della Somalia

    Prende corpo l’accordo di cooperazione militare siglato ad agosto dai governi di Somalia ed Egitto per l’invio a Mogadiscio di 10mila unità egiziane, da destinare per metà a iniziative bilaterali di difesa, per l’altra alla nuova Missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia (Aussom), che dal primo gennaio 2025 subentrerà alla Missione di transizione dell’Ua in Somalia (Atmis). Secondo quanto scrive il quotidiano “Somali Guardian”, consiglieri militari egiziani sono stati già dispiegati a sostegno di unità dell’esercito somalo presso linee di rifornimento critiche utilizzate dalle truppe etiopi in Somalia – dove sono impegnate nell’ambito della missione Atmis – per ostacolare qualsiasi ulteriore schieramento di truppe prima del loro ritiro, previsto entro il 31 dicembre. L’invio dei primi consiglieri, dunque, anticipa l’imminente arrivo a Mogadiscio del primo contingente vero e proprio che l’Egitto dovrà dispiegare a Mogadiscio entro la scadenza del 31 dicembre. Gli ultimi sviluppi sono destinati ad acuire ulteriormente le tensioni con l’Etiopia, le cui relazioni con il governo di Mogadiscio sono ai ferri corti per via del controverso memorandum d’intesa siglato lo scorso primo gennaio tra le autorità di Addis Abeba e quelle dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland.

    L’invio dei militari egiziani in Somalia è stato approvato di recente dal governo somalo e sancito ufficialmente in occasione della recente visita ad Asmara del presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, che ha partecipato ad un vertice trilaterale con gli omologhi di Egitto ed Eritrea, rispettivamente Abdel Fattah al Sisi e Isaias Afwerki. In quell’occasione, i tre leader hanno inoltre stabilito la nascita di un’alleanza strategica che appare tesa ad arginare l’espansionismo etiope nel Mar Rosso. Nella dichiarazione congiunta diffusa al termine della riunione di Asmara, le tre parti hanno sottolineato “la necessità di rispettare assolutamente la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dei Paesi della regione e di contrastare le interferenze nei loro affari interni con qualsiasi pretesto o giustificazione”, oltre che di “aderire ai principi e ai pilastri fondamentali del diritto internazionale come base indispensabile per la stabilità e la cooperazione regionale”. Al centro dell’attenzione la sicurezza nel mar Rosso e nello Stretto di Bab el Mandeb, riconosciuto quale “corridoio marittimo vitale”: nel documento i leader hanno “accolto con favore gli sforzi compiuti dall’Eritrea e dall’Egitto per sostenere la stabilità in Somalia e rafforzare le capacità del governo federale somalo”, e hanno espresso parere positivo sull’offerta dell’Egitto “di contribuire con truppe nel quadro degli sforzi di mantenimento della pace in Somalia”.

    I colloqui tra Egitto ed Eritrea sono poi proseguiti in seguito alla visita a sorpresa effettuata ad Asmara dal capo dell’intelligence egiziana Kamal Abbas, molto vicino al presidente Abdel Fattah al Sisi ed accompagnato dal ministro degli Esteri Badr Abdelatty. Gli alti funzionari egiziani, riferisce un comunicato, “hanno anche ascoltato le opinioni del presidente Afwerki sugli sviluppi nel Mar Rosso in merito all’importanza di trovare le circostanze giuste per ripristinare la normale navigazione marittima e il commercio internazionale attraverso lo stretto di Bab el Mandeb”, che collega il Mar Rosso al Mar Arabico. Insieme, i territori di Egitto ed Eritrea coprono circa 5 mila chilometri di costa del Mar Rosso, comprese le coste egiziane dei golfi di Suez e Aqaba, nonché 355 isole sotto la sovranità eritrea. L’Egitto controlla le zone settentrionali del Mar Rosso, compreso il canale di Suez che collega al Mediterraneo, mentre l’Eritrea si trova vicino allo strategico stretto di Bab el Mandeb.

    Al centro delle tensioni tra Somalia ed Etiopia c’è la firma del controverso memorandum d’intesa siglato lo scorso primo gennaio tra il governo etiope e le autorità dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland, in base al quale Addis Abeba otterrebbe un accesso al Mar Rosso tramite il porto di Berbera, in cambio del riconoscimento dell’indipendenza dello Stato separatista. Il memorandum, come prevedibile, non è stato riconosciuto dalla Somalia, che lo considera una minaccia alla propria sovranità territoriale. Le tensioni tra Mogadiscio e Addis Abeba sono cresciute nelle ultime settimane e hanno raggiunto l’apice alla fine di settembre, quando il presidente Mohamud ha accusato l’esercito etiope di aver sequestrato aeroporti strategici nella regione somala di Ghedo – dove le truppe etiopi sono schierate nell’ambito della missione Atmis – e di aver iniziato ad armare le milizie dei clan in tutto il Paese, a causa delle tensioni derivanti dal memorandum.

    In un’intervista concessa all’edizione in arabo di “Al Jazeera”, Mohamud ha denunciato che l’Etiopia ha assunto il controllo totale della regione di Ghedo, dove continua ad armare le milizie dei clan per indebolire l’autorità del governo somalo. Interrogato sul memorandum d’intesa tra Etiopia e Somaliland, Mohamud ha ribadito che Addis Abeba non mira soltanto ad ottenere un accesso al Mar Rosso ma sta cercando di annettere parti del territorio somalo. “L’Etiopia non vuole solo un porto; mira a stabilire un potere militare nel Mar Rosso, il che è completamente inaccettabile”, ha dichiarato il presidente somalo, per il quale l’Etiopia punta soprattutto a stabilire una base navale per assicurarsi il dominio marittimo della zona. Nelle scorse settimane l’Etiopia ha schierato veicoli blindati e centinaia di uomini al confine con la Somalia, in seguito con il sequestro di alcuni aeroporti chiave nella regione somala di Ghedo, tra cui quelli di Luq, Dolow e Bardere, nel tentativo di impedire il possibile trasporto aereo di truppe egiziane nella zona. La mossa è arrivata in risposta all’arrivo a Mogadiscio dei primi militari egiziani che saranno dispiegati negli Stati regionali di Hirshabelle, del Sudovest e di Galmudug, nell’ambito di un accordo di cooperazione militare siglato ad agosto dai governi di Somalia ed Egitto.

    Da tempo ai ferri corti con l’Etiopia per via del complicato dossier della Grande diga della Rinascita etiope (Gerd), già dall’inizio del 2023 l’Egitto è un attore chiave per la sicurezza in Somalia, contribuendo all’addestramento delle reclute dell’esercito somalo e alla fornitura di armi e munizioni e alla cura di soldati somali feriti negli ospedali militari egiziani. Sempre lo scorso anno, inoltre, Mogadiscio e Il Cairo hanno avviato colloqui per una più stretta cooperazione strategica, e da tempo circolano indiscrezioni di stampa – finora mai confermate – secondo cui Mogadiscio starebbe pensando di concedere all’Egitto una base militare nel centro-sud del Paese. A riavvicinare le posizioni di Egitto e Somalia, oltre alla comune minaccia etiope, è stato anche il disgelo nelle relazioni tra Il Cairo e lo storico alleato di Mogadiscio: la Turchia. Un disgelo che è stato sancito dalla recente visita effettuata ad Ankara dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi (la prima dal 2014). Una visita che ha indicato in modo chiaro e inequivocabile la rinnovata vicinanza tra i due Paesi dopo gli anni di gelo vissuti a partire dal 2013 a causa di posizioni divergenti sull’islam politico, ma anche su questioni geopolitiche regionali. Negli anni successivi al 2013, esattamente nel 2021, il disgelo fra il Qatar – principale punto di riferimento della Fratellanza musulmana – e il blocco di Paesi del Golfo formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, insieme all’Egitto, ha infatti aperto nuovi spiragli alle relazioni fra Il Cairo e Ankara.

  • Ethiopia hits out at Egypt as Nile dam row escalates

    But for Ethiopia, the huge project, set to be the largest hydroelectric plant in Africa, is an integral part of its efforts to develop the country and get electricity to millions of households.

    The dam is nearing its completion, with the reservoir filling with water since 2020, and has already started generating power.

    Egypt, along with Sudan – through which the Nile also flows, have been raising concerns that their essential water supplies would be under threat, especially if there are successive years of drought.

    Multiple diplomatic efforts to reach a binding deal have not succeeded.

    The most recent efforts ended in December last year with both countries accusing the other of intransigence.

    In its letter to the Security Council, Ethiopia said Egypt was “only interested in perpetuating its self-claimed monopoly” over the river.

    In recent weeks, tensions across the Horn of Africa have grown, especially after a military pact was agreed between Egypt and Ethiopia’s eastern neighbour Somalia.

    Relations between Mogadishu and Addis Ababa deteriorated after landlocked Ethiopia signed a deal in January with the self-declared Republic of Somaliland over access to the sea and possible use of the coastline for a naval base.

    Somalia sees Somaliland as part of its territory and said the agreement was an act of aggression.

    This weekend, Ethiopia’s Prime Minister Abiy Ahmed warned against attacks on his country, saying anyone from “afar and nearby” daring to invade the country would be repelled.

    He did not specify which country he was talking about.

  • Gli Houti fanno crollare del 23% i proventi che l’Egitto trae dal canale di Suez

    I ricavi del Canale di Suez sono diminuiti di circa un quarto (23 per cento) nell’anno fiscale 2023/2024 rispetto a quello precedente, a seguito della situazione critica che sta vivendo l’area del Mar Rosso. Secondo il presidente dell’Autorità del Canale di Suez, Osama Rabie, dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024 sono transitate 20.148 navi per una stazza netta totale di un miliardo di tonnellate, generando ricavi pari a 7,2 miliardi di dollari. Il precedente anno fiscale (2022/2023) aveva invece visto il transito di 25.911 navi per 1,5 miliardi di tonnellate nette e ricavi di 9,4 miliardi di dollari. Durante un incontro con il comandante del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), Michael Kurilla, Rabie ha spiegato che le tensioni nel Mar Rosso hanno spinto molti armatori e operatori “a scegliere percorsi alternativi”, influenzando quindi negativamente il transito delle navi nel Canale di Suez, che “riveste un ruolo fondamentale per la stabilità e la sostenibilità delle catene di approvvigionamento globali”.

    In un discorso televisivo il 18 luglio, citato dall’agenzia di stampa yemenita “Saba”, Abdul Malik al Houthi, leader del gruppo filo-iraniano yemenita, ha dichiarato che da novembre scorso sono in totale 170 le navi prese di mira nel Mar Rosso, nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden. I miliziani Houthi hanno utilizzato 25 missili balistici e da crociera, droni aerei e un drone marino nelle operazioni dell’ultima settimana. “Se Dio vorrà, intensificheremo progressivamente e aumenteremo l’impatto delle nostre operazioni nell’Oceano Indiano e nel Mediterraneo”, ha affermato Al Houthi. Il leader ha anche lanciato un nuovo avvertimento all’Arabia Saudita, affermando che Riad sta mettendo a rischio il suo futuro allineandosi troppo strettamente con gli Stati Uniti e Israele. “Se il regime saudita è pronto a sacrificare il suo futuro e a vanificare i suoi piani economici per amore di Israele e degli Usa, allora non ha senso la Visione 2030 (programma strategico promosso da Riad per ridurre la propria dipendenza dal petrolio e diversificare l’economia del Paese), o i piani di sviluppo dell’aeroporto di Riad per farlo diventare uno dei più grandi al mondo”, ha sottolineato Al Houthi.

    Dalla metà di novembre scorso, gli Houthi hanno sferrato una serie di attacchi contro le navi commerciali e militari in transito nel Mar Rosso, nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden, a loro dire dirette o collegate in qualche modo a Israele. Gli Houthi hanno lanciato queste operazioni “in solidarietà con il popolo di Gaza” e hanno ripetutamente dichiarato che gli attacchi non finiranno fino a quando lo Stato ebraico non cesserà le operazioni militari contro la Striscia. I continui attacchi del gruppo yemenita hanno spinto il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, a lanciare a dicembre scorso l’operazione multinazionale “Prosperity Guardian” finalizzata a proteggere la navigazione nel Mar Rosso. Inoltre, le forze statunitensi e britanniche hanno condotto significativi attacchi contro le postazioni degli Houthi in Yemen, con l’obiettivo di ridurre la capacità dei miliziani di attaccare le navi commerciali

    Il Canale di Suez è la via d’acqua di maggior importanza strategico-commerciale internazionale perché permette la navigazione dall’Europa all’Asia (e viceversa) senza la necessità di circumnavigare l’Africa lungo la rotta del capo di Buona Speranza. Rabie ha affermato che l’Autorità del Canale di Suez continua a sostenere i propri clienti, adottando misure per mitigare l’impatto dell’attuale situazione “attraverso comunicazioni dirette e l’introduzione di nuovi servizi di navigazione”. “Nonostante le sfide, la strategia di sviluppo del Canale procede rapidamente per migliorarne capacità ed efficienza, mantenendo la competitività e rafforzando il ruolo di leadership nelle rotte marittime globali”, ha detto Rabie durante la visita del comandante del Centcom, aggiungendo che “non esiste un’alternativa realistica al Canale di Suez”.

    Ad oggi, l’uso di rotte alternative comporta tempi di viaggio più lunghi del 30-40 per cento, costi operativi superiori (il prezzo di spedizione dei container ha superato i 4.700 dollari a giugno) e impatti ambientali negativi con elevate emissioni di carbonio, oltre a congestionamenti portuali e ritardi nella consegna delle merci. Rabie ha sottolineato che il sistema di sicurezza marittima del Canale è “efficace”, in quanto “garantisce un supporto completo alle navi in transito tramite servizi di pilotaggio, salvataggio, manutenzione e altri servizi di navigazione, con il sostegno delle Forze armate egiziane”. Kurilla, da parte sua, ha espresso apprezzamento per gli sforzi dell’Autorità del Canale di Suez nella gestione della crisi e nell’affrontare le sfide alla sicurezza nella regione.

    Secondo Srm, Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, il traffico marittimo dell’Italia che transita per Suez è significativo: per il Canale passa ogni anno circa il 40 per cento dell’import/export marittimo generato dalle imprese italiane, 130 miliardi di euro. Ne deriva una particolare vulnerabilità del sistema produttivo alle interruzioni o ai rallentamenti di Suez. Secondo le elaborazioni Srm su dati Assoporti, tuttavia, la portualità italiana, in particolare quella con una forte vocazione al traffico container, sta affrontando la crisi con ottimi risultati. La performance complessiva sui container movimentati nei porti di Genova e Savona, Civitavecchia, Gioia Tauro, Bari, Ravenna, Trieste è aumentata del 10 per cento nei primi quattro mesi del 2024.

    Spicca il dato del principale porto di transhipment, ovvero Gioia Tauro, con un +26 per cento. La conseguenza più importante riguarda la necessità di dover riprogrammare arrivi, partenze e disponibilità di banchine a causa dei ritardi delle navi. Un altro importante effetto, specifico per l’Europa, riguarda la decarbonizzazione del settore marittimo: rotte più lunghe costringeranno le navi a maggiori emissioni di CO2 e quindi ad avere maggiori oneri connessi alla nuova normativa Ets (Emission Trading System). Aumentando il costo del viaggio (es. equipaggio e maggiore quantità di carburante) e restando le navi più tempo in mare, il prezzo di spedizione dei container è cresciuto e a giugno ha superato i 4.700 dollari, secondo il Drewry World Container Index.

  • Quattordici accordi tra Egitto e Cina riguardo a Suez

    La Zona economica del Canale di Suez ha firmato 14 accordi affinché le principali aziende cinesi stabiliscano numerosi progetti in Egitto, con la partecipazione del settore privato. Lo ha annunciato il responsabile del settore economico del Canale di Suez, Walid Gamal el Din, alla Conferenza di cooperazione e scambio tra Egitto e Cina. Walid ha annunciato il successo dell’esperienza di cooperazione egiziano-cinese nella Zona di cooperazione economica Teda Egitto, nella quale il volume degli investimenti ha finora raggiunto circa 2 miliardi di dollari attraverso la presenza di 150 aziende in molteplici settori industriali e logistici.

    La Zona economica del Canale di Suez è riuscita ad attrarre 128 progetti, in zone industriali e portuali, nel periodo da luglio 2023 a marzo 2024 (compresi progetti che hanno ottenuto l’approvazione finale e progetti che hanno ottenuto l’approvazione preliminare), con un costo di investimento superiore a 3 miliardi di dollari, di cui 40 per cento investimenti cinesi. Tra gli accordi più importanti siglati tra lo sviluppatore industriale Teda-Egitto c’è “un accordo per stabilire un progetto per la produzione di fibra di vetro e poliestere” con investimenti pari a 800 milioni di dollari e una capacità produttiva di circa un milione di tonnellate all’anno, su un’area di 600mila metri quadrati, nell’ambito dello sviluppatore industriale Teda-Egitto nella zona industriale integrata di Sokhna. La capacità produttiva nella prima fase del progetto dovrebbe raggiungere le 300mila tonnellate all’anno, con inizio della produzione nel 2026. L’accordo è stato firmato da Liu Aimin, presidente del consiglio di amministrazione di Teda-Egitto e Teda-Africa, e Ma Jianmiao, vicepresidente della Shin Company.

  • Egitto pronto ad aiutare l’Italia nella missione per mantenere l’ordine nel Mar Rosso

    Secondo quanto apprende l’agenzia di stampa Nova, Giorgia Meloni e il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, si sono sentiti almeno un paio di volte tra l’ultima settimana di gennaio e la prima di febbraio, per discutere della delicata situazione del Medio Oriente, incluso il fascicolo relativo al Mar Rosso. L’Italia, infatti, avrà il comando tattico della missione militare aeronavale europea Aspides (“scudo” in greco) volta a proteggere il traffico marittimo dalle incursioni dei ribelli yemeniti Houthi, che attaccano le navi commerciali occidentali nel tentativo di esercitare pressione su Israele per porre fine al conflitto a Gaza. Situato strategicamente sulle coste del Mar Rosso, l’Egitto ha oggettivamente un interesse nel porre fine agli attacchi alle navi che attraversano il vitale Canale di Suez, fonte di entrate valutarie annue per il Cairo stimabili intorno ai 10 miliardi di dollari. Nonostante il Cairo non abbia ancora annunciato ufficialmente la propria partecipazione alle operazioni militari contro gli Houthi, temendo di essere trascinato in conflitti prolungati nella regione e di urtare la sensibilità dell’opinione pubblica, fonti di “Agenzia Nova” suggeriscono che l’Egitto potrebbe fornire supporto logistico o consulenza ai suoi alleati. Negli ultimi anni, il Paese delle piramidi ha investito 1,2 miliardi di dollari per acquistare due fregate Fremm dell’ex Marina italiana, Ems Bernees (ex Emilio Bianchi) e Ens Al Galala (ex Spartaco Schergat) rispettivamente nell’aprile 2021 e nel dicembre 2020, per rafforzare la sicurezza delle proprie acque territoriali, contrastare l’emigrazione clandestina e proteggere le risorse energetiche offshore dove opera, tra gli altri, anche Eni.

  • Guinean cycles across six countries for spot at Egypt’s Al-Azhar University

    A student has cycled 4,000km (2,500 miles) across West Africa, enduring arrests and blazing heat, for a spot at his dream university.

    Mamadou Safayou Barry set off from Guinea for Egypt’s prestigious Al-Azhar in May, hoping he would be accepted.

    The 25-year-old cycled for four months through countries wracked by Islamist militants and coups.

    He told the BBC he was “very, very” happy to have been given a scholarship when he finally reached Cairo.

    The married father of one said although he could not afford the Islamic Studies course at Al-Azhar, or flights to Egypt, the university’s reputation spurred him to take his chances on the epic trek through Mali, Burkina Faso, Togo, Benin, Niger and Chad.

    Al-Azhar is one of the most influential centres for Sunni Islamic learning in the world. It’s also one of the oldest, having been founded in the year AD670.

    Mr Barry set off from his home “seeking Islamic knowledge” but experienced suspicion and adversity in some of the countries he biked through.

    In Mali, Burkina Faso and Niger, attacks by Islamist militants on civilians are frequent and recent coups have led to political instability.

    “To travel through these countries is very hard because they don’t have security at this time,” he said.

    “They have so many problems and people there are very scared – in Mali and Burkina Faso people were looking at me like I am a bad man. All over I was seeing the military with their big guns and cars,” Mr Barry said.

    He said that he was arrested and detained three times for no good reason – twice in Burkina Faso and once in Togo.

    However, Mr Barry’s luck took a turn when he reached Chad. A journalist interviewed Mr Barry and posted his story online, prompting some good Samaritans to fund a flight to Egypt for him.

    This meant he avoided cycling through Sudan, parts of which are currently war-zones.

    On 5 September, he finally arrived in Cairo. His determination earned him a meeting with the Dean of Islamic studies, Dr Nahla Elseidy. After speaking to Mr Barry, Dr Elseidy offered him a place on Al-Azhar’s Islamic Studies course, with a full scholarship.

    The dean said on her social media channels that the university was keen to offer its knowledge to students worldwide and that this philosophy “not only covers international students in Egypt but also extends abroad. Al-Azhar receives students from all countries, takes care of them, and offers them grants”.

    Mr Barry said he was “very, very happy” to have received the scholarship.

    “I cannot tell you how happy I was. I thanked God,” he said.

    Mr Barry added that the trials of his expedition are long forgotten – erased by the joy of being able to call himself an al-Azhar scholar.

  • Egyptians complain over Netflix depiction of Cleopatra as black

    A Netflix docudrama series that depicts Queen Cleopatra VII as a black African has sparked controversy in Egypt.

    A lawyer has filed a complaint that accuses African Queens: Queen Cleopatra of violating media laws and aiming to “erase the Egyptian identity”.

    A top archaeologist insisted Cleopatra was “light-skinned, not black”.

    But the producer said “her heritage is highly debated” and the actress playing her told critics: “If you don’t like the casting, don’t watch the show.”

    Adele James made the comment in a Twitter post that included screengrabs of abusive comments that included racist slurs.

    Cleopatra was born in the Egyptian city of Alexandria in 69 BC and became the last queen of a Greek-speaking dynasty founded by Alexander the Great’s Macedonian general Ptolemy.

    She succeeded her father Ptolemy XII in 51 BC and ruled until her death in 30 BC. Afterwards, Egypt fell under Roman domination.

    The identity of Cleopatra’s mother is not known, and historians say it is possible that she, or any other female ancestor, was an indigenous Egyptian or from elsewhere in Africa.

    Netflix’s companion website Tudum reported in February that the choice to cast Adele James, who is of mixed race, as Cleopatra in its new documentary series was “a nod to the centuries-long conversation about the ruler’s race”.

    Jada Pinkett Smith, the American actress who was executive producer and narrator, was meanwhile quoted as saying: “We don’t often get to see or hear stories about black queens, and that was really important for me, as well as for my daughter, and just for my community to be able to know those stories because there are tons of them!”

    But when the trailer was released last week many Egyptians condemned the depiction of Cleopatra.

    Zahi Hawass, a prominent Egyptologist and former antiquities minister, told the al-Masry al-Youm newspaper: “This is completely fake. Cleopatra was Greek, meaning that she was light-skinned, not black.”

    Mr Hawass said the only rulers of Egypt known to have been black were the Kushite kings of the 25th Dynasty (747-656 BC).

    “Netflix is trying to provoke confusion by spreading false and deceptive facts that the origin of the Egyptian civilisation is black,” he added and called on Egyptians to take a stand against the streaming giant.

    On Sunday, lawyer Mahmoud al-Semary filed a complaint with the public prosecutor demanding that he take “the necessary legal measures” and block access to Netflix’s services in Egypt.

    He alleged that the series included visual material and content that violated Egypt’s media laws and accused Netflix of trying to “promote the Afrocentric thinking… which includes slogans and writings aimed at distorting and erasing the Egyptian identity”.

    Three years ago, plans for a movie about Cleopatra starring the Israeli actress Gal Gadot triggered a heated debate on social media, with some people insisting that the role should instead go to an Arab or African actress.

    Gadot subsequently defended the casting decision, saying: “We were looking for a Macedonian actress that could fit Cleopatra. She wasn’t there, and I was very passionate about Cleopatra.”

  • L’Etiopia tira dritto sulla diga della discordia col Cairo

    L’Etiopia ha fatto un fondamentale passo in avanti sul fronte della sua maxi-diga ‘Gerd’ che rappresenta un dichiarato casus belli con l’Egitto: dalle prossime ore Addis Abeba inizierà a produrre elettricità nell’impianto destinato a ridurre la vitale portata d’acqua del Nilo a disposizione di Sudan ed soprattutto Egitto. Lo sviluppo, preannunciato sin dal luglio scorso, è stato reso noto da due anonimi funzionari governativi all’agenzia Afp senza per ora raccogliere reazioni dal Cairo: “Domani (il 20 febbraio, ndr) ci sarà la prima generazione di energia della diga”, ha detto un responsabile confermato da un secondo. La Gerd, acronimo inglese per Diga del Grande Rinascimento Etiope, è lunga 1.800 metri, alta 175 e rappresenta uno dei maggiori impianti idroelettrici in Africa. All’Ansa risulta che i lavori hanno raggiunto uno stato di avanzamento dell’84%. Le due centrali con 16 turbine sono situate sul Nilo azzurro, a una trentina di chilometri dalla frontiera col Sudan, dove l’Etiopia ha iniziato a costruire la struttura dal maggio 2011: l’obbiettivo dei 5.000 megawatt è aumentare del 60% la produzione elettrica a servizio dei suoi 115 milioni di abitanti. Un’opera considerata vitale dal premier etiopico Abiy Ahmed soprattutto in questa fase connotata da guerra civile in Tigrè, rincaro degli idrocarburi e pandemia, come ha notato Addisu Lashitew, un analista del Brookings Institution di Washington.

    Lo sbarramento è visto però come un pericolo esistenziale dall’Egitto, uno dei paesi più aridi al mondo e che dal Nilo trae il 97% dell’acqua di cui ha bisogno per i suoi oltre 100 milioni di abitanti in città e agricoltura. Il Cairo vuole un accordo vincolante su velocità di riempimento del bacino da 74 miliardi di metri cubi d’acqua iniziato nel 2020 e sulla sua futura gestione, soprattutto in periodi di siccità. I negoziati iniziati nel marzo 2015 e condotti dall’anno scorso sotto l’egida dell’Unione africana sono però in un pericoloso stallo: il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ricordando che per l’Egitto “l’acqua è questione di vita o di morte”, ha usato toni bellicosi mettendo in guardia sul fatto che “nessuno è fuori dalla nostra portata». Il Cairo reclama diritti storici sul grande fiume in base a un trattato firmato dalla Gran Bretagna nel 1929 mentre Addis Abeba si appella a un accordo raggiunto nel 2010 dai Paesi del bacino del Nilo nonostante l’opposizione di Egitto e Sudan. Della disputa è spettatore interessato un gruppo italiano: Webuild (ex Salini Impregilo), che è “Main Contractor» dell’opera. Come consulente tecnico è stata utilizzata una joint venture formata tra la francese Tractbel Engineering e la milanese ELC Electroconsult.

    La possibilità tecnica di iniziare a produrre energia dalla Gerd si era creata dal luglio scorso, quando l’Etiopia aveva annunciato in maniera controversa di aver raggiunto l’obbiettivo del secondo riempimento annuale dell’invaso: 13,5 miliardi di metri cubi d’acqua dopo i 4,9 del primo.

  • In Egitto riemerge la ‘Città d’oro perduta’

    Dalle sabbie del sud dell’Egitto, a Luxor, è emerso per caso un nuovo affascinante pezzo di archeologia: un insediamento di oltre 3.000 anni fa asseritamente senza precedenti a livello di dimensioni e soprattutto con una fama tra gli specialisti che ha consentito di ribattezzarlo subito “la città d’oro perduta”. E connotarlo con almeno tre misteri archeologici.

    Il ritrovamento di “Aten” sulla sponda occidentale del Nilo è stata fatta da una missione egiziana guidata da Zahi Hawass, ex ministro delle Antichità e archeologo superstar. In linea con una dichiarata politica di rilancio del languente turismo egiziano attraverso l’archeologia, l’insediamento è stato presentato in maniera oltremodo evocativa con il nome di “città d’oro perduta” anche se per ora non sono stati rinvenuti oggetti preziosi. In ulteriori scavi la missione però “si aspetta di scoprire tombe inattinte piene di tesori”, segnala il ministero delle Antichità.

    Per una mediaticamente fortunata coincidenza, la fondazione della città risale al regno del grande faraone Amenhotep III: uno dei 22 regnanti egizi, tra cui quattro regine, le cui mummie sono state trasferite sabato scorso al Cairo con una spettacolare traslazione dallo storico Museo di piazza Tahrir a quello da poco inaugurato della Civilizzazione egiziana.

    “Molte missioni straniere hanno cercato questa città e non l’hanno mai trovata”, si è vantato Hawass giustificando implicitamente la legittimità dell’aggettivo “perduta” riferito all’antico centro abitato scoperto dichiaratamente per caso: “abbiamo cominciato il nostro lavoro cercando il tempio funerario di Tutankhamon”, ha ricordato l’archeologo evocando il faraone-icona dell’Egittologia.

    Il rilievo del ritrovamento è stato sottolineato da una docente di egittologia all’Università John Hopkins di Baltimora, Betsy Brian, la quale ha sostenuto che si tratta della “seconda scoperta archeologica più importante” dopo il rinvenimento della tomba di Tutankhamon del 1922.

    “Il Sorgere di Aten”, questo il nome completo dell’insediamento secondo un comunicato del ministero delle Antichità egiziano, inoltre sarebbe la “più grande città mai trovata in Egitto”. Amenhotep III, il nono re della XVIII dinastia, regnò dal 1391 al 1353, e la città fu attiva durante la coreggenza con suo figlio, il famoso Amenhotep IV/Akhenaton.

    Lo studio della “Città perduta”, secondo Brian, “ci aiuterà a gettare luce su uno dei più grandi misteri della storia: perché Akhenaten e Nefertiti decisero di spostarsi” da Luxor, l’antica Tebe, ad Amarna. Oltre a questo enigma, il dicastero ne segnala altri due incontrati dagli archeologi di Hawass: la sepoltura “di una persona” trovata con “i resti di una corda legata ai ginocchi”, in un luogo e posizione “piuttosto bizzarri”; e quella “di una mucca o di un toro” in “una delle stanze” di un edificio. In entrambi in casi sono i corso studi per capirne di più.

    Alla datazione dell’insediamento si è giunti attraverso geroglifici su tappi di ceramica di contenitori di vino ma anche mattoni con il cartiglio di Amenhotep. Gli scavi di Aten erano iniziati solo nel settembre scorso e la città, rimasta inattinta per 3 millenni sotto la sabbia, viene descritta “in buone condizioni di conservazione, con muri quasi completi e stanze piene di strumenti di vita quotidiana”. Un muro a serpentina con un solo punto di accesso testimonia di un sistema di sicurezza in un distretto amministrativo e residenziale con ambienti più grandi e ben strutturati che è ancora in parte sotto terra.

  • La maxi-diga sul Nilo spinge al-Sisi a minacciare l’Etiopia

    “L’acqua dell’Egitto è una linea rossa” e “nessuno è fuori dalla nostra portata”. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha lanciato un bellicoso monito all’Etiopia, praticamente una minaccia di attacco militare, sul riempimento della maxi-diga etiopica “Gerd” che ridurrà la portata d’acqua del Nilo, vitale per l’Egitto.

    Il capo di Stato egiziano ha alzato la voce con Addis Abeba sfruttando il megafono di una conferenza stampa indetta a Ismailia per auto-celebrare il successo dell’Egitto nel rimettere in navigazione il portacontainer Ever Given e sbloccare il Canale di Suez, così importante per il commercio mondiale. “Non abbiamo mai minacciato e non sto minacciando”, ha frenato Sisi in palese contraddizione con le sue stesse parole: “A nessuno sarà permesso di prendere una singola goccia dell’acqua dell’Egitto, altrimenti la regione cadrà in un’inimmaginabile instabilità”, ha detto. Il leader egiziano ha ammesso di non essere mai stato così duro (“Non ho mai parlato così”), anche se in passato aveva avvertito che per l’aridissimo Egitto l’acqua del Nilo “è questione di vita o di morte”.

    Dal grande fiume africano l’Egitto trae circa il 97% dell’acqua usata per irrigare e bere: una risorsa esistenziale che viene intaccata dalla “Gerd”, l’acronimo inglese che sta per “Diga del Grande Rinascimento Etiope”. La maxi-opera sul Nilo azzurro, di cui il gruppo Salini Impregilo (ora Webuild) è uno dei due “main contractors”, è la più grande diga d’Africa: lunga 1.800 metri, alta 175 e con un volume complessivo di 10 milioni di metri cubi d’acqua. La sua centrale idroelettrica è considerata vitale dall’Etiopia per dare elettricità ai suoi 110 milioni di abitanti.

    Da anni sono in sostanziale stallo negoziati soprattutto sulla velocità del riempimento dell’invaso, da cui dipende la riduzione della portata d’acqua a disposizione dell’Egitto e dell’altro Paese a valle, il Sudan. Con un politica dei fatti compiuti che irrita l’Egitto, Addis Abeba nel luglio scorso aveva annunciato di aver centrato il proprio obbiettivo di riempimento per il primo anno e di voler andare avanti con la seconda fase anche senza un accordo a 3 con il Cairo e Khartoum. Come ribadito dal premier etiope Abiy Ahmed la settimana scorsa, l’Etiopia non vuole danneggiare gli altri due Paesi e il suo ministero degli Esteri ha appena confermato che Addis Abeba rimane impegnata a colloqui che coinvolgono l’Unione africana.

     

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