Energia

  • Eni fa il pieno in Africa di materie prime per produrre biofuel in Italia

    Il Piano Mattei dà una spinta ai biofuel dell’Eni, che proprio in Africa avrà una fonte imprescindibile di materie prime per sviluppare i biocarburanti destinati alla decarbonizzazione dei trasporti.

    Il 17 maggio, riporta il Corriere della Sera, è stato dato l’annuncio del finanziamento, da 210 milioni di dollari, ricevuto per espandere la produzione e la lavorazione della controllata in Kenya da parte di due istituzioni: l’International Finance Corporation, l’agenzia della Banca Mondiale nata per promuovere lo sviluppo delle industrie private nei Paesi in via di sviluppo, e il Fondo Italiano per il Clima del governo italiano gestito da Cdp e creato per finanziare progetti che contribuiscono a raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali. Il prestito consentirà di aumentare sia la produzione di materie prime avanzate (agrifeedstock) coltivate in Kenya sia la capacità di lavorazione attraverso la costruzione di nuovi impianti di spremitura. La produzione di semi oleaginosi, che è la materia prima principale, dovrebbe aumentare da 44mila tonnellate all’anno a 500mila tonnellate nei prossimi anni.

    Il progetto sarà replicato in altri Paesi tra cui Angola, Congo, Costa d’Avorio, Mozambico, Ruanda, Kazakistan e Vietnam, che sta già dando parte della materia prima. L’obiettivo di Eni è creare una filiera integrata in grado di offrire oltre settecentomila tonnellate l’anno di olio vegetale nel 2027, che corrisponderanno a oltre il 35% del feedstock processato nelle bioraffinerie italiane. L’attività di lavorazione si svolgerà delle materie prime in Italia nelle raffinerie petrolifere che Eni ha riconvertito o sta riconvertendo. Gela sarà operativo entro fine anno, Venezia dall’anno prossimo.

    Le prospettive sono rosee, forse anche troppo, tanto che si ipotizza un eccesso di domanda rispetto all’offerta. In uno scenario di zero emissioni nette entro il 2050, si prevede che l’uso di biocarburanti nei trasporti raddoppierà, raggiungendo il 9% entro il 2030.

  • I costi energetici della “democrazia”

    Non passa giorno nel quale le più alte cariche istituzionali nazionali ed europee non intervengano sul pericolo derivante dalle fake news considerate in grado, attraverso la forza dei social media, di condizionare l’opinione pubblica e, di conseguenza, sembrerebbe addirittura le elezioni.

    A questo appello comune tanto alla maggioranza che all’opposizione ovviamente fa riscontro una volontà di creare una sorta di controllo dell’universo mediatico attraverso istituti che applicherebbero un protocollo creando un controllo molto simile ad una sorta di censura.

    All’interno di questo contesto, quindi, con un presunto attacco alla democrazia, l’Italia si sta dilaniando a causa della contrapposizione squisitamente ideologica sulla riforma del Premierato e dell’Autonomia differenziata. Due involucri ancora vuoti al loro interno in quanto la prima non indica neppure il sistema elettorale attraverso il quale i cittadini potrebbero esprimere il proprio eventuale consenso, mentre la seconda rappresenta solo una cornice all’interno della quale non sono ancora chiaramente definiti non solo gli attori che dipingeranno la tela ma neppure i colori.

    Facendo un passo indietro rispetto all’attuale confusione istituzionale, nel maggio 2023 feci presente i pericoli ai quali sarebbe andato incontro il nostro Paese in relazione alla politica energetica adottata dal governo in carica, confrontandola con quella francese (*).

    Dopo poco più di un solo anno, nel giugno 2024, emergono evidenti gli effetti di quella disastrosa strategia energetica, confermata ancora oggi dall’intenzione di cedere altre quota delle principali società energetiche partecipate dal governo (**).

    In buona sostanza, dal 2023 al 2024 il differenziale pagato in più per l’energia elettrica dalle imprese quanto dalle famiglie italiane è passato, rispetto alla Francia, da un +27% (2023) ad un +71% (2024). Contemporaneamente lo stesso differenziale con la Spagna si è innalzato da un + 30% (2023) ad un +68% (2024) e con la Germania si passa da un +23% ad un +29% tra il 2023/24.

    Andrebbe, poi, ricordato come nel medesimo anno il costo dell’energia elettrica sia scesa in Italia del -10%, mentre in Germania si è ridotta del -18%, in Spagna del -59%, infine in Francia del -69%.

    All’interno di un contesto internazionale difficile e articolato, caratterizzato ancora dagli effetti della pandemia e da due conflitti in corso, questi numeri dimostrano come il futuro del nostro Paese sia fortemente compromesso da una scellerata politica energetica, basata sul principio speculativo nel quale i fondi privati esercitano un ruolo attivo acquisendo sempre maggiori quote delle principali società energetiche italiane.

    Risulta inevitabile e giustificata, allora, la flessione di 15 mesi consecutivi della produzione industriale e soprattutto la mancanza di uno scenario futuro proprio a causa di simili costi energetici rispetto alla stessa concorrenza europea.

    Mentre la politica si fronteggia su embrionali riforme costituzionali, contemporaneamente dimostra il proprio disinteresse rispetto ai disastrosi effetti causati dalla propria politica energetica, perfettamente in linea con quella dei governi precedenti, dimostrando, ancora una volta, di operare per il solo  rafforzamento del proprio potere i cui oneri ricadranno sulle spalle dei cittadini come costi aggiuntivi nelle bollette, i quali indeboliranno ancora di più il potere d’acquisto e, di conseguenza, la domanda interna, diventando così  la stessa politica energetica un elemento di stagnazione economica. Mentre le imprese italiane dovranno subire un ulteriore indebolimento della propria capacità competitiva all’interno di un mercato globale ed ovviamente una minore attrattività per gli investimenti esteri nel territorio italiano.

    Questo è il modello di “fake democracy”, intesa come una sorta di moto perpetuo, all’interno della quale la classe politica opera solo ed esclusivamente per il mantenimento delle proprie posizioni con costi sempre più insostenibili.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

    (**) https://www.ilnordestquotidiano.it/2024/06/19/energia-elettrica-il-costo-italiano-tra-i-piu-alti-deuropa/

  • La Commissione approva un regime italiano di aiuti di Stato per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano volto a sostenere la produzione di un totale di 4 590 MW di nuova capacità di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili.

    L’Italia ha notificato alla Commissione l’intenzione di avviare un regime per sostenere la produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili. La misura, che rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2028, sarà finanziata mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali.

    Il regime sosterrà la costruzione di nuove centrali utilizzando tecnologie innovative e non ancora mature, quali l’energia geotermica, l’energia eolica offshore (galleggiante o fissa), l’energia solare termodinamica, l’energia solare galleggiante, le maree, il moto ondoso e altre energie marine oltre al biogas e alla biomassa. Si prevede che le centrali immetteranno nel sistema elettrico italiano un totale di 4 590 MW di capacità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. A seconda della tecnologia, il termine per l’entrata in funzione delle centrali varia da 31 a 60 mesi.

    I progetti saranno selezionati mediante una procedura di gara trasparente e non discriminatoria, in cui i beneficiari presenteranno un’offerta relativa alla tariffa incentivante (il prezzo di esercizio) necessaria per realizzare ogni singolo progetto.

  • L’UE adotta un nuovo regolamento sul metano per monitorare e ridurre le emissioni nocive di combustibili fossili all’interno e al di fuori dell’Europa

    La Commissione adotta la prima normativa europea volta a monitorare e ridurre efficacemente le emissioni di metano prodotte dal settore energetico in Europa e nel mondo.

    Il nuovo regolamento obbliga l’industria europea del gas fossile, del petrolio e del carbone a misurare, monitorare, comunicare e verificare correttamente le proprie emissioni di metano, conformemente alle più stringenti norme di monitoraggio, e ad adottare misure per ridurle. Vieta inoltre il rilascio in atmosfera e la combustione in torcia nei settori del petrolio e del gas, salvo in circostanze inevitabili, specie per motivi di sicurezza.

    Poiché l’Europa continua a importare la maggior parte dell’energia fossile che consuma, il regolamento riguarderà anche le emissioni di metano prodotte dai combustibili fossili importati e introdurrà progressivamente requisiti più rigorosi per garantire che agli esportatori si applichino gradualmente gli stessi obblighi di monitoraggio, comunicazione e verifica degli operatori dell’UE.

    La Commissione istituirà inoltre uno strumento di monitoraggio mondiale degli emettitori di metano e un meccanismo di allarme rapido per gli eventi a super emissione al fine di condividere informazioni sull’entità, sulla ricorrenza e sull’ubicazione delle fonti con elevate emissioni di metano all’interno e all’esterno dell’UE. Grazie a questo strumento, la Commissione potrà chiedere informazioni rapide sulle misure adottate dai paesi interessati per contrastare tali fughe.

  • Ok all’elettrodotto per l’approvvigionamento di energia dalla Tunisia

    Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha autorizzato, con decreto del 10 maggio, Elmed, l’interconnessione elettrica tra Italia e Tunisia che sarà realizzata da Terna e Steg, il gestore della rete tunisina. L’elettrodotto – si legge in una nota – per il quale è previsto un investimento complessivo di circa 850 milioni di euro, avrà una lunghezza complessiva di circa 220 km, di cui la maggior parte in cavo sottomarino. Il collegamento in corrente continua da 600 Mw raggiungerà una profondità massima di circa 800 metri lungo il Canale di Sicilia. “L’autorizzazione della nuova interconnessione tra Italia e Tunisia – ha dichiarato il ministro Gilberto Pichetto – oltre ad essere un importante traguardo all’interno degli obiettivi sfidanti di transizione energetica fissati nel Pniec, consentirà al Paese, in virtù della sua posizione geografica strategica, di rafforzare il ruolo di ‘hub’ elettrico in Europa e nell’area mediterranea, diventando protagonista a livello internazionale”.

    “Reti interconnesse e tecnologicamente avanzate sono alla base di un sistema elettrico sicuro e sostenibile – ha dichiarato Giuseppina Di Foggia, Amministratore delegato e direttore generale di Terna -. Elmed è uno dei progetti più significativi del Piano Industriale 2024-2028 di Terna, e l’autorizzazione ottenuta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è un importante passo avanti verso la sua realizzazione. Una volta in esercizio, l’opera darà un rilevante contributo al percorso di decarbonizzazione del sistema. In tal senso, le interconnessioni rappresentano uno strumento necessario per incrementare il livello di indipendenza energetica del nostro Paese e per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. L’Africa oggi rappresenta una terra di opportunità: investimenti, infrastrutture e trasferimento di competenze sono i fattori chiave per collaborazioni solide e durature”, ha aggiunto. “L’autorizzazione definitiva al nuovo elettrodotto che collegherà Italia e Tunisia è un grande risultato nel processo di transizione energetica che vede il nostro Paese in prima linea”, ha commentato il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani. “Un traguardo per il quale la Sicilia ha rivestito un ruolo da protagonista e che rappresenta una grande opportunità strategica per le nuove sfide che vedono sempre più legate Europa e Africa. Grazie alla sua collocazione geografica e alle sue caratteristiche ambientali, l’Isola infatti è candidata a diventare un importante hub energetico nazionale, con notevoli ricadute in termini di sviluppo economico”, ha spiegato.

    Per quanto riguarda il lato italiano dell’opera autorizzato dal Mase, il cavo terrestre si svilupperà per 18 chilometri dall’approdo di Castelvetrano (Trapani), fino alla stazione di conversione che verrà realizzata a Partanna (Trapani), in prossimità dell’esistente stazione elettrica. In Tunisia, la stazione elettrica sarà realizzata a Mlaabi, nella penisola di Capo Bon. L’interconnessione autorizzata è uno dei progetti del Piano Mattei. Il ponte elettrico Italia–Tunisia è un’opera strategica per il sistema elettrico italiano nell’ambito degli obiettivi di transizione energetica fissati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), in quanto mira a migliorare l’integrazione dei mercati dell’Unione Europea e dei Paesi Nord Africani. Elmed garantisce, inoltre, un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili e il miglioramento della sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Dell’investimento complessivo per l’opera, 307 milioni sono stati stanziati dalla Commissione europea tramite il programma di finanziamento Connecting Europe Facility (“Cef”), destinato allo sviluppo di progetti chiave che mirano al potenziamento delle infrastrutture energetiche comunitarie. È la prima volta che l’Unione Europea finanzia un progetto in cui uno dei paesi coinvolti non fa parte dell’Unione

  • Le pale eoliche cinesi finiscono nel mirino dell’Antitrust europeo

    La vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager ha annunciato l’apertura di un’indagine sui sussidi cinesi all’aziende dell’eolico, sulla falsariga di quanto l’Antitrust europeo ha già fatto per le auto elettriche made in China.

    “La strategia di Pechino sui maxi-sussidi statali e le esportazioni è attuata in tutte le aree delle tecnologie pulite, dei microchip e oltre. Le nostre economie non possono assorbirla. Non è solo pericolosa per la nostra competitività: mette a repentaglio anche la nostra sicurezza economica”, ha sottolineato Vestager, prospettando come eventualità in cui non incorrere una dipendenza dell’Europa rispetto a quei prodotti cinesi: “Non possiamo permetterci di vedere accadere ad auto elettriche, energia eolica o chip essenziali quello che è successo ai pannelli solari”.

    Senza un cambio di rotta, questo il timore di Bruxelles, l’Ue rischia di sviluppare una dipendenza dalla Cina entro il 2030 per l’eolico simile a quella che aveva dalla Russia per il gas prima dell’invasione dell’Ucraina. Mentre le aziende europee dell’energia eolica, da Orsted a Siemens Energy a Vestas, sono in difficoltà i costruttori cinesi sono molto solidi. Le tre principali aziende cinesi del settore – Goldwind, Envision e Windey – hanno installato più della metà delle turbine eoliche in patria. Da sola la Cina rappresenta il 58% delle installazioni di energia solare e il 60% delle installazioni di energia eolica a livello globale.

    La crescita delle aziende cinesi, oltre alle tre grandi ci sono un’altra dozzina di realtà, è una consistente minaccia all’industria eolica europea, dato che le turbine made in China costano la metà di quelle occidentali e che potrebbero sempre più venire esportate all’estero. Nel 2018 le società europee controllavano il 55% del mercato eolico globale, ma nel 2022 sono calate al 42%; nello stesso periodo, quelle cinesi sono cresciute dal 37 al 56%.

  • Il triste esito del “socialismo liberale”

    Le due ideologie politiche socialista e liberale si dimostrano sempre più convergenti nella realtà. Da sempre, infatti, all’interno del nostro Paese si confrontano sostanzialmente due schieramenti ideologici in campo politico ma soprattutto economico.

    Il primo si definisce espressione di un ipotetico mondo liberale in contrapposizione a quello legato alla ideologia socialista. Il confronto, anche cruento sotto il profilo dialettico, tuttavia alla fine si conclude con il compiaciuto conseguimento di un unico risultato, cioè la nefasta sintesi di entrambi gli approcci ideologici, liberale quanto socialista.

    Basti rilevare come la pressione fiscale sia arrivata ad oltre il 50,3% e rappresenti la massima declinazione di una centralità dello Stato e soprattutto di una propria funzione “fondamentale”, come ogni ideologia socialista da sempre propone ed ora applicabile anche nell’ambito dell’Unione Europea.

    In questo contesto, già di per sé negativo per le attività economiche quanto per la vita degli stessi cittadini, anche una timida applicazione della teoria liberale potrebbe fungere da contrappeso.

    In Italia, però, invece di creare le condizioni per un più agevole accesso ai servizi generati da una sana concorrenza tra monopolisti, la sua applicazione ha permesso la creazione di posizioni di pura speculazione in campo energetico, esercitate a sfavore ovviamente degli utenti.

    L’effetto disastroso di questa pseudo economia liberale, la quale in Italia altro non rappresenta se non interessi monopolisti, viene rappresentato dalle tariffe elettriche pagate dalle imprese e dai cittadini nel mese di aprile con i concorrenti europei.

    Il confronto impietoso dimostra quanto inaccettabile si sia dimostrata la disonestà intellettuale di tutti i governi che hanno gestito la strategia energetica negli ultimi anni. Il governo Draghi ha atteso vanamente la definizione di un Price Cap a livello europeo mentre la Spagna lo ha adottato fin dall’inizio fissandolo a 40 euro ed il differenziale tra le tariffe praticate risulta imbarazzante.

    Successivamente il governo Meloni ha abolito le tariffe tutelate inneggiando ad un fasullo mercato libero come opportunità per gli utenti, aumentando contemporaneamente l’IVA dal 5 al 22%, precedentemente abbassato al governo Draghi.

    In altre parole, la sintesi di queste due ideologie teoricamente contrastanti, le quali sono state applicate da tutti i governi che si sono susseguiti alla guida dell’Italia negli ultimi trent’anni, ha creato le condizioni di un mercato energetico privo della funzione calmieratrice dello Stato come di una qualsiasi forma di concorrenza tra monopolisti.

    Un disastro strategico epocale il quale condanna il nostro Paese ad una progressiva marginalità all’interno di qualsiasi contesto economico globale, già di per sé appesantito da una folle transizione energetica voluta dall’Unione Europea.

  • I Paesi del sud-est asiatico frenano gli investimenti sulle rinnovabili

    Diversi Paesi del Sud-est asiatico stanno frenando gli investimenti sulle energie rinnovabili e le altre tecnologie “verdi”, a causa delle pesanti ricadute di queste ultime sui prezzi di energia e beni, un fenomeno noto come “greenflation” (“inflazione verde”).

    Uno tra gli esempi più significativi di questa tendenza, segnalata dal quotidiano “Nikkei”, è la recente decisione dell’Indonesia di abbassare gli obiettivi nazionali di adozione delle energie rinnovabili. Il Consiglio energetico nazionale del Paese ha abbassato a gennaio la quota delle rinnovabili nel mix energetico nazionale al 19-21% entro il 2030, mentre l’obiettivo originale era del 23%. Ad oggi le rinnovabili rappresentano solo il 13% delle fonti energetiche del Paese. Il ministero dell’Energia, inoltre, ha rinviato a non prima del 2026 l’introduzione di una carbon tax nel Paese.

    Inflazione e timori legati alla sostenibilità dei finanziamenti gravano sugli sforzi di decarbonizzazione di altri Paesi regionali, come Malesia e Vietnam. Il vicepremier malesiano Fadillah Yusof ha dichiarato a “Nikkei” che l’indebolimento del ringgit degli ultimi mesi minaccia gli sforzi nazionali di decarbonizzazione, dipendenti in larga parte da componenti e tecnologie d’importazione. Il Paese si è dato obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione, lanciando 10 progetti nazionali con un investimenti stimato in 5,5 miliardi di dollari entro il 2030 e la realizzazione di zone a energia rinnovabile. Fadillah, responsabile del portafoglio della transizione energetica, ha avvertito però che finanziare le tecnologie verdi diventerà “sempre più difficile”, anche a causa del crescente scetticismo degli investitori in merito alla sostenibilità economica di queste tecnologie.

  • Dal Covid ad oggi la speculazione trova nuova forza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    L’anno successivo al covid gli utenti hanno conosciuto la speculazione energetica basata sulle quotazioni del gas (materia prima oggetto delle sanzioni europee contro la Russia di Putin) alla borsa olandese nata, secondo la “dotta” strategia della UE, per offrire un maggiore peso all’euro nelle transazioni energetiche.

    Questa situazione prettamente finanziaria ha determinato per le imprese fornirci di energia l’esplosione di fatturato ed utili senza precedenti. Prova ne è che la Spagna ha fissato il price cap a quaranta euro ed introdotto con successo una extra tassazione straordinaria in ragione degli effetti della speculazione energetica sui fatturati delle imprese erogatrici.

    Da allora in Italia, pur essendo passati quasi quattro anni, un’altra volta i medesimi consumatori si trovano all’interno di una ulteriore speculazione ancora più ingiustificata. A fronte di una strutturale diminuzione del prezzo del gas, ora quotato circa 23 euro a megawattora contro i 340 del periodo successivo al covid ed in piena crisi russo-ucraina, le bollette arrivate in tutta Italia rappresentano l’espressione cristallina di un oligopolio di matrice sudamericana con rincari che arrivano al 300%.

    Questa gestione eversiva nell’approvvigionamento per le famiglie italiane trova oggi, come in passato, l’approvazione di tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese, nessuno escluso, negli ultimi decenni. Ogni compagine governativa ha omesso di operare a favore delle imprese e delle famiglie italiane mantenendo una posizione servile e mercenaria nei confronti delle grandi aziende fornitrici di energia in mano ormai a fondi privati stranieri. Lo scenario, infatti, era già chiaro nel maggio 2023 ed evidenzia il diverso destino industriale e delle famiglie tra gli stessi partner dell’Unione Europea (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/).

    Non soddisfatti, poi, si è pensato bene nel 2024 di aumentare di 17 punti l’Iva applicata nelle bollette (togliendo lo sconto introdotto dal governo Draghi) e, per chiudere il cerchio, con l’approvazione di una imbarazzante interpretazione della dottrina liberale, sono state eliminate le tariffe tutelate.

    Ricapitolando, grazie all’azione combinata di tutti i governi negli ultimi trent’anni la situazione risulta ormai decisamente insostenibile anche sotto il profilo della credibilità istituzionale oltre che della tenuta istituzionale. Non trova alcuna giustificazione, infatti, il fatto che nessun governo e partito si sia adoperato per introdurre, a fronte della scadenza del contratto di fornitura energetica, l’obbligo di proporne il rinnovo la cui operatività scattasse con l’ottenimento del consenso del consumatore. Si è preferito lasciare mano libera alle aziende di praticare la tariffa più alta possibile non appena il contratto di fornitura avesse raggiunto la scadenza.

    In più, quando scade un contratto tra due contraenti ed in attesa della stipula di un secondo da rendere operativo, dovrebbero nel frattempo rimanere in vigore le condizioni precedenti con la possibilità di aumenti legati all’andamento delle quotazioni internazionali.

    Desta, poi, un certo ribrezzo sentire ancora oggi qualche esperto di dottrina liberale giustificare questa apocalisse energetica come la applicazione del concetto il libero mercato. Una tesi talmente insostenibile e che esprime competenze precedenti alla caduta del muro di Berlino in quanto all’interno di un reale libero mercato tutti i soggetti dovrebbero venire sottoposti ai medesimi obblighi contrattuali.

    In Italia, viceversa, la politica, nella sua più variegata espressione, ha sempre favorito in modo indecente le società energetiche rendendo i cittadini a quel “parco buoi” con i quali la speculazione finanziaria indica i piccoli risparmiatori.

    La paura di una degenerazione atomica del conflitto russo ucraino trova la sua prima applicazione nel mercato energetico nazionale le cui vittime sono rappresentate dai consumatori italiani.

  • Inverno 1963/64

    Nessuno contesta come il cambiamento climatico rappresenti l’essenza stessa di un universo in continua evoluzione mentre in questo periodo si cerca di individuare tale processo nella causa dell’attività umana.

    Già sessant’anni fa però si manifestarono degli inverni con poca neve alla quale ovviamente non si poteva ovviare con gli impianti di innevamento programmato…

    L’innovazione tecnologica, nella sua continua evoluzione, offre oggi  il  grande merito di far fronte a situazioni meteorologiche avverse, sia nella stagione invernale che in una estate torrida con l’utilizzo dell’aria condizionata.

    In questo contesto tuttavia andrebbe ricordato quanto diceva Milton Friedman, e cioè che “nessun pasto è gratis”, quindi qualsiasi aspetto del progresso, come ogni innovazione, genera costi la cui sostenibilità è identificabile nel  rapporto vantaggioso tra benefici e appunto costi.

    La caduta del muro di Berlino di fatto ha tolto la base istituzionale politica a tutte quelle  forze di sinistra che si erano illuse di portare il regime socialista all’interno del mondo occidentale, dopo questa sconfitta epocale del pensiero socialista l’unico modo per ricreare le condizioni per una rivoluzione era rappresentato dalla possibilità di annullare qualsiasi vantaggio economico, politico e sociale che l’occidente detiene ancora oggi nei confronti dell’est e dei paesi dell’estremo Oriente, ovvero attraverso l’annientamento di tutti i primati tecnologici industriali e professionali espressione di decenni di investimenti finanziari e professionali.

    In altre parole, negare il progresso verso un minore impatto ambientale dello stile di vita occidentale rappresenta la premessa ideologica finalizzata alla adozione di  una disciplina repressiva, come quella relativa al divieto di vendita applicato alle automobili con motore endotermico.

    Questa forma di repressione rappresenta l’atto politico e normativo che  assicura una  vita politica e la stessa giustificazione della esistenza in vita di partiti e persone che altrimenti non rappresenterebbero più nulla.

    L’attenzione verso l’ambiente risulta essere un approccio progressivo ed economicamente vantaggioso, in quanto produce la stessa quantità con minore energia, e determina un minore impegno patrimoniale e finanziario indicandolo come un processo assolutamente ineludibile oltre che vantaggioso non solo per l’ambiente ma anche per gli operatori economici.

    Il risparmio energetico rappresenta un processo virtuoso di rispetto ambientale le cui tappe vengono negate dal mondo ambientalista, basti pensare alle automobili che hanno ridotto del 92% negli ultimi vent’anni le emissioni, negato da un movimento divenuto  puramente ideologico e che ha la caratteristica di diventare sostanzialmente sovversivo, un obiettivo molto simile a quello della rivoluzione Socialista.

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