Energia

  • Edison e Sea costruiranno una stazione di idrogeno verde per i voli cargo a Malpensa

    Edison Next, società del Gruppo Edison che accompagna clienti e territori nel loro percorso di decarbonizzazione e transizione ecologica, e Sea, Aeroporti di Milano, hanno annunciato lo sviluppo di una stazione di rifornimento a idrogeno verde all’interno dell’aeroporto internazionale di Milano Malpensa per la decarbonizzazione della logistica aeroportuale. Il progetto è un tassello importante nel percorso di riconversione green dello scalo di Milano Malpensa, punto di riferimento per l’air-cargo nel centro-sud Europa, tra i primi cinque scali europei e il primo in Italia per traffico merci, con oltre 720.000 tonnellate di merce gestite nel 2022, pari a una quota di mercato di circa il 65% rispetto al totale transitato negli aeroporti italiani.

    Il progetto Malpensa H2, finanziato dal Pnrr, sarà sviluppato in collaborazione con Sea, Aeroporti di Milano, nei pressi dell’area di Malpensa Cargo City in sinergia con Olga (hOListic Green Airport), programma finanziato dalla Commissione europea (Horizon 2020) che si inserisce in un più ampio percorso di decarbonizzazione intrapreso da Sea per ridurre l’impatto ambientale del settore dell’aviazione. Nell’ambito del progetto Malpensa H2, Edison Next realizzerà una stazione di rifornimento a idrogeno verde, alimentata da un elettrolizzatore installato in loco, che rifornirà i veicoli pesanti della logistica aeroportuale dell’area Malpensa Cargo City. La mobilità a idrogeno è “zero-emission”, ciò significa che la sostituzione potenzialmente totale del parco mezzi presente nella cargo city permetterà un importante abbattimento delle emissioni inquinanti della zona.

    “Il settore aeroportuale è uno dei più sfidanti dal punto di vista della transizione energetica. Gli aeroporti sono ecosistemi complessi che coinvolgono numerosi attori e che stanno cominciando un percorso di trasformazione profonda con l’obiettivo di diventare veri e propri hub energetici in grado di autoprodurre, accumulare e condividere energia green – dichiara Gabriele Lucchesi Direttore Idrogeno di Edison Next. – L’idrogeno è un vettore energetico chiave nella transizione energetica e può giocare un ruolo importante anche nella decarbonizzazione del mondo dell’aviazione, non solo a livello dei velivoli, ma anche delle infrastrutture aereoportuali. Lo sviluppo di una stazione di rifornimento a idrogeno all’interno dell’aeroporto di Milano Malpensa rappresenta un importante passo in questo percorso di trasformazione, contribuendo alla decarbonizzazione della logistica aeroportuale di uno degli scali più trafficati d’Europa.”

    “Gli aeroporti di Milano sono impegnati nella riduzione delle emissioni di CO2, con un ruolo trainante verso la decarbonizzazione del trasporto aereo – afferma Alessandro Fidato, Chief Operating Officer di Sea Aeroporti di Milano. – Ci siamo impegnati a raggiungere zero emissioni entro il 2030 nei nostri scali. Lavoriamo su più fronti nel breve periodo ci siamo concentrati sui SAF, ma vogliamo essere pronti all’utilizzo dell’idrogeno come rifornimento: partiamo dalla mobilità su gomma, preparandoci ad accogliere in futuro anche gli aerei con motori a idrogeno”. Si prevede che l’impianto entrerà in servizio tra dicembre 2025 e febbraio 2026, in modo da essere operativo in occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026, che si terranno dal 6 al 22 febbraio 2026. La stazione di rifornimento a idrogeno verde del progetto Malpensa H2 si estenderà su un’area di circa 12 mila metri quadrati e ospiterà sia tecnologie e attrezzature all’avanguardia per la produzione e la fornitura di idrogeno verde, sia spazi per i servizi destinati al pubblico. L’impianto potrà erogare a doppia pressione, 350 e 700 bar, al fine di asservire tutte le tipologie di mezzi presenti nell’area Malpensa Cargo City.

    L’impianto di produzione di idrogeno verde di Malpensa H2 sarà realizzato in modo da consentire il raddoppio della sua potenza così da essere in grado di sostenere lo sviluppo di ulteriori passi nel percorso di decarbonizzazione del parco mezzi dell’aeroporto. Quella con Sea Aeroporti di Milano non è l’unica stazione di rifornimento a idrogeno nella cui realizzazione è impegnata Edison Next; sono in sviluppo ulteriori sei stazioni di rifornimento, tre nei pressi di Venezia, Verona e Piacenza e tre nei dintorni di Vercelli, Frosinone e Foggia che serviranno principalmente mezzi pesanti e autobus in aree altamente trafficate e posizionate lungo corridoi TEN-T – Trans-European Networks Transport, (Rete transeuropea dei trasporti) – che attraversano l’Italia collegandola con il resto dell’Europa. Gli impianti di Venezia, Verona e Piacenza, che hanno ottenuto i finanziamenti già a marzo 2023, entreranno in servizio nel corso del 2025, mentre quelli di Vercelli, Frosinone e Foggia, appena finanziati, saranno operativi nel primo semestre del 2026.

  • Ambiente tema centrale delle elezioni del 2024 nel mondo. Incognita intelligenza artificiale sulle campagne elettorali

    Nel 2024 metà della popolazione mondiale andrà alle urne e a quanto pare la questione ambientale sarà una delle issue più rilevanti in tutte le consultazioni.

    Nella più popolosa democrazia del mondo, l’India, il premier uscente (e favorito nei pronostici) Narendra Modi si barcamena tra la spinta verso le fonti energetiche rinnovabili e l’accelerazione nell’estrazione di carbone, mentre lì accanto, nel Pakistan, la contesa elettorale si gioca anche sui problemi del cambiamento climatico resi evidenti dalle piogge torrenziali che nel 2022 hanno provocato 8 milioni di senza casa. L’Indonesia nell’eleggere il suo prossimo presidente dovrà scegliere se proseguire lungo la diminuzione della deforestazione, la sua foresta pluviale è tra le più grandi al mondo, oppure no: Prabowo Subianto, ex genero del dittatore Suharto e uno dei candidati con maggiori chances di spuntarla, è contrario alle politiche in difesa dalla deforestazione. C’è poi la possibilità che negli Usa Donald Trump riesca a guadagnarsi l’epiteto che a suo tempo Indro Montanelli affibbiò ad Amintore Fanfani – «rieccolo!» – e riproponga quelle politiche che il suo successore e rivale Joe Biden ha sconfessato, come il ritiro dell’adesione statunitense dagli accordi di Parigi decisa da Obama nel 2015, col conseguente impegno cioè ad agire per contenere l’aumento di temperatura entro +1,5° rispetto all’epoca pre-industriale.

    Sulle elezioni pesano sempre più, peraltro, i timori di registi occulti che tramite i social media diffondano fake news. Negli Usa già durante le primarie per il Partito repubblicano sono partite telefonate in cui una voce che sembrava della di Biden ma era invece opera dell’intelligenza artificiale invitava gli elettori a disertare la votazione per scegliere chi tra Trump e i suoi competitors debba rappresentare il Gop nella corsa alla Casa Bianca. Un report dell’americana Advance Democracy segnala il possibile utilizzo diffuso dell’intelligenza artificiale anche per orientare gli elettori, in un senso o nell’altro, facendo leva su tematiche ambientali. Sander van der Linden, docente di Psicologia sociale a Cambridge, creatore del primo strumento psicometrico che verifica se sia possibile che le reti neurali generino disinformazione, ha confermato su Wired quanto sostenuto un’altro studio pubblicato su Science. L’algoritmo GPT-3 produce notizie false più convincenti rispetto agli umani: «Nel 2024 vedremo più deepfake, clonazione vocale e manipolazioni prodotte dall’AI. La disinformazione generata dall’intelligenza artificiale arriverà alle elezioni vicino a noi e probabilmente non ce ne renderemo nemmeno conto».

  • Le difficoltà del 2023 non scalfiscono i conti dell’Eni

    Eni ha chiuso il 2023 con “risultati eccellenti”, nonostante uno scenario “incerto e volatile”. Con queste parole l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha commentato i conti finanziari del 2023 e del quarto trimestre resi noti qualche giorno fa. I risultati finanziari di Eni sono stati “eccellenti” con un Ebit proforma di circa 18 miliardi di euro e un utile netto adjusted pari a 8,29 miliardi di euro, nonostante un calo del 38% rispetto allo scorso anno. La generazione di cassa operativa con 16,5 miliardi di euro su base adjusted “prima dell’assorbimento del circolante ha assicurato un significativo surplus in aggiunta al sostanziale ritorno di cassa agli azionisti di 4,8 miliardi di euro, mantenendo un rapporto di indebitamento di 0,2” ha sottolineato Descalzi. I risultati confermano che nel 2023 “abbiamo superato tutti i nostri obiettivi” e soprattutto, “abbiamo continuato a lavorare nel percorso di transizione”. Nonostante la volatilita’ dello scenario caratterizzato dalla flessione dei prezzi del petrolio Brent (-5% rispetto al quarto trimestre 2022) e del gas (diminuiti del 57% nel mercato europeo), l’utile ante imposte adjusted del quarto trimestre 2023 di 3,2 miliardi di euro, pari a 15,1 miliardi di euro su base annua, “evidenzia la robusta performance conseguita dal Gruppo grazie alla efficace gestione industriale e alla disciplina finanziaria”. L’utile netto adjusted sul trimestre si attesta a 1,6 miliardi a fronte dei 2,5 miliardi dello stesso periodo del 2022 (-34%). L’utile netto è pari a 4,7 miliardi (-66%), sul quarto trimestre il dato è di 149 milioni (in diminuzione del 76%).

    Su base annua, Eni ha conseguito un utile operativo adjusted di 13,8 miliardi di euro, in riduzione del 32% rispetto al 2022, che “riflette il minor contributo dei business E&P, anche per effetto del deconsolidamento delle società operative angolane conferite alla JV Azule nel terzo trimestre del 2022, e dei business della Raffinazione e della Chimica, in parte compensati dalla performance del settore GGP e dai risultati positivi dei business Enilive e Plenitude & Power” ha osservato il Gruppo. Il settore Ggp, ha spiegato Descalzi, “ha realizzato risultati record facendo leva sulla qualità del portafoglio, azioni di ottimizzazione e favorevoli accordi contrattuali”. Mentre Enilive, attiva nei business dei biocarburanti e dei servizi di mobilità, “ha ampliato la propria presenza internazionale attraverso l’acquisizione della partecipazione del 50 per cento nella bioraffineria di Chalmette negli Stati Uniti e l’accordo di joint venture con LG Chem per la realizzazione di un nuovo impianto in Corea del Sud” ha continuato ancora l’Ad. Intorno al tassello di Plenitude, in particolare, nelle giuste condizioni di mercato, l’Ipo di Plenitude “resta per Eni un’opzione anche dopo la cessione di una quota di circa il 9% al fondo Eip”. Lo ha detto il cfo Francesco Gattei, durante la conference call con gli analisti commentando i risultati del 2023 e del quarto trimestre, osservando che “continueremo a monitorare le condizioni di mercato nel 2024 e 2025”.

    Passando invece al quarto trimestre 2023, Eni ha conseguito l’utile operativo adjusted di 2,7 miliardi di euro con una riduzione del 23% rispetto al quarto trimestre 2022 dovuta principalmente al settore E&P (-17% a 2.431 milioni di euro) per “effetto della flessione del prezzo del petrolio e delle quotazioni del gas naturale, alla debole performance del business della Chimica”, ha sottolineato una nota del Gruppo, che ha registrato una perdita operativa adjusted di 237 milioni di euro, -172% rispetto al quarto trimestre 2022, a causa della flessione della domanda e dell’incremento della pressione competitiva da parte di prodotti più economici, nonché al significativo deterioramento dello scenario della raffinazione che ha determinato una sensibile riduzione dell’utile operativo della Raffinazione (-322 milioni di euro). Descalzi ha commentato a riguardo, infatti, che “siamo consapevoli della situazione della chimica e abbiamo fatto molto per cambiare ma ora sono necessarie radicali iniziative che vadano verso il cambiamento. Dobbiamo trasformare i nostri impianti. Dobbiamo fare qualche azione più forte perchè è un’area dove possiamo creare valore”. Tale trend è stato in parte compensato dai risultati record di Ggp (+614 milioni di euro il risultato operativo adjusted).

    Nel quarto trimestre 2023 la produzione di idrocarburi è stata in media di 1,71 milioni di boe/giorno pari a 1,66 milioni di boe/giorno nell’anno 2023, in aumento del 6 per cento rispetto al quarto trimestre 2022, +3% rispetto all’anno precedente. La produzione è stata sostenuta dal ramp-up in Mozambico, dallo start-up del progetto Baleine in Costa d’Avorio, dalla maggiore attività in Algeria che beneficia anche delle acquisizioni, in Kazakhstan a causa di eventi non pianificati verificatisi nello stesso periodo del ’22, nonché in Libia e Indonesia. Questi aumenti sono stati compensati dalla minore produzione dovuta al declino dei campi maturi. Nel confronto sequenziale, la produzione è in aumento di circa il 5% per gli stessi driver descritti in precedenza. A tal proposito l’ad ha commentato: “Abbiamo recentemente finalizzato l’acquisizione di Neptune che, con il suo portafoglio prevalentemente a gas, e sinergico ai nostri asset in Nord Europa, Indonesia e Nord Africa, costituirà un elemento chiave per i nostri piani di sviluppo. Nel 2023 abbiamo avviato nel rispetto dei tempi e dei budget i due rilevanti progetti Baleine in Costa d’Avorio e Floating Gnl Congo. Grazie agli straordinari successi esplorativi in Indonesia e in altre geografie abbiamo confermato la nostra leadership nel settore; al tempo stesso abbiamo conseguito il massimo livello di produzione rispetto all’intervallo obiettivo annunciato”.

  • Ok a Terna: si farà l’elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo

    Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha autorizzato con decreto del 31 gennaio 2024 la realizzazione dell’Adriatic link, l’elettrodotto sottomarino di Terna che unirà le Marche e l’Abruzzo. E’ quanto si legge in una nota. L’opera di sviluppo, inserita tra gli interventi previsti dal Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) e riconosciuta come strategica per il sistema Paese anche dall’Autorità di regolazione, rafforzerà lo scambio di energia nella parte centrale della Penisola rispondendo alle esigenze di sicurezza e flessibilità del sistema elettrico nazionale e agli obiettivi di incremento di energia da fonti rinnovabili.

    Il collegamento elettrico, all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e ambientale, sarà costituito da 2 cavi sottomarini di circa 210 chilometri, posati a una profondità massima di 100 metri, e da 2 cavi terrestri di 40 chilometri. Le stazioni di conversione saranno realizzate nelle vicinanze delle esistenti stazioni elettriche di Cepagatti Pescara, in Abruzzo, e di Fano (Pesaro-Urbino), nelle Marche. Il collegamento consentirà di incrementare di circa mille megawatt la capacità di scambio tra le zone Centro-Sud e Centro-Nord del Paese abilitando l’integrazione e il trasferimento dell’energia prodotta dagli impianti eolici e fotovoltaici del Mezzogiorno verso i centri di consumo del Nord.

    Tramite tale opera strategica – continua la nota – sarà garantito non solo un miglioramento dei requisiti di affidabilità e sicurezza del servizio di trasmissione lungo la dorsale adriatica, ad oggi costituita da un’unica direttrice a 400 chilovolt tra Marche e Abruzzo, ma anche un migliore sfruttamento del parco di generazione nazionale ed una crescente integrazione della generazione rinnovabile.

    Su tale opera, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Con l’autorizzazione ministeriale dell’Adriatic link si pone un altro tassello del percorso intrapreso dallo Stato con Terna per raggiungere gli obiettivi eurounitari di decarbonizzazione del sistema energetico italiano in coerenza con gli obiettivi delineati dal Piano nazionale integrato energia e clima”. “Siamo molto soddisfatti del via libera ottenuto dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica per l’Adriatic link, una delle opere fondamentali del Piano di sviluppo decennale di Terna – ha dichiarato Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e direttore generale di Terna -. L’infrastruttura, per la quale investiremo circa 1,3 miliardi di euro, aumenterà la sicurezza e la resilienza della rete elettrica di trasmissione nazionale e contribuirà al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, a conferma del ruolo dell’Italia di hub energetico europeo e del Mediterraneo”. L’autorizzazione – si legge nella nota – è il risultato della costante interlocuzione tra il ministero e Terna e del lungo percorso di confronto avviato dall’azienda con il territorio. Dal dicembre 2020, infatti, il dialogo nelle fasi di progettazione e di consultazione pubblica si è concretizzato in oltre 120 incontri svolti con amministrazioni regionali e comunali, associazioni e cittadini.

  • Parte nel ferrarese il progetto Pangea per diffondere il teleriscaldamento nella pianura padana

    Il progetto Pangea per sfruttare il calore della terra (150 gradi a 5-6 km di profondità) e dotare la pianura padana di teleriscaldamento diffuso ha preso avvio in Provincia di Ferrara. Il primo pozzo marchiato Fri-El Geo è in costruzione a Ostellato, tra Ferrara e il mare e tra due anni consentirà di avere il primo impianto geotermico a media entalpia in Italia, in grado di generare 240 Mw di energia termica – quanto basta a scaldare 120mila case – e 30 Mw elettrici su appena un ettaro e mezzo di terreno.

    «Sarà il primo di altri 15 impianti. Il prossimo partirà nell’area di Milano nel 2024. Ma sono almeno 100 i siti idonei che abbiamo individuato nella Pianura Padana. Con la tecnologia geotermica potremmo eliminare il 50% delle caldaie domestiche, ridurre del 15% il consumo nazionale di gas (10 miliardi di mc in meno). Ed eliminare oltre 17 milioni di tonnellate di CO2 dall’aria inquinata del Nord Italia» ha dichiarato al Sole 24 Ore Ernst Gostner, cofondatore con i fratelli Thomas e Josef del gruppo bolzanino Fri-El Green Power (tra i principali produttori italiani di energia rinnovabile da eolico, biomassa e biogas, 623 milioni di euro di fatturato 2022 e 286 milioni di Ebitda) e presidente della newco Fri-El Geo, spiega le potenzialità inesplorate della geotermia come alternativa per la transizione green.

  • 2024 ed il mancato adeguamento liberale

    L’ emergenza energetica sembra quasi ormai alle spalle, nel senso che buona parte delle nazioni europee sta adottando delle politiche energetiche che permettano loro di affrontare il futuro (inteso come i prossimi decenni a venire) con l’obiettivo di aumentare la competitività del sistema industriale e la qualità della vita delle proprie famiglie.

    La Germania e la  Francia rappresentano due esempi di lungimiranza in questo senso.

    La prima, attraverso l’ente pubblico tedesco dell’energia, ha appena firmato un accordo per i prossimi quarant’anni di fornitura di gas con la Norvegia per il valore complessivo di cinquanta miliardi, la seconda, invece, sta nazionalizzando EDF, l’ente nazionale di produzione e distribuzione di energia francese, con l’obiettivo dichiarato di assicurare la più bassa tariffa possibile per le imprese e le famiglie francesi.

    L’investimento francese ammonta a nove miliardi e settecento milioni (9,7 miliardi), poco più del doppio dell’utile semestrale (4,8 miliardi) dell’Eni partecipata dai private equity, dimostrando così, ancora una volta, come un asset pubblico indivisibile (monopolio) come quello energetico dovrebbe essere gestito con il principale compito di fornire i servizi alla nazione e non diventare un’opportunità di speculazione come invece dimostra la privatizzata Eni italiana con sede fiscale in Olanda. In fondo questo era anche  il pensiero di Mattei che troppo spesso viene indicato come ispiratore di strategie economiche che vanno invece nella direzione opposta e coprono solo intenzioni speculative.

    Risulta  infatti, ora più che mai, ingiustificabile il silenzio del mondo che si definisce “liberale”, solo perche cita a memoria qualche frase dell’ex Presidente della Repubblica Einaudi ma che si dimostra incapace di ogni attualizzazione del proprio pensiero.

    Invece dei soliti manichei richiami alle opportunità del mercato, individuata come unica figura suprema e sola regolatrice, che l’italico mondo liberale ancora adesso pedissequamente osanna, si  dovrebbe invece dimostrare la capacità di valutare l’importanza ed il ruolo sempre più importante di  istituzioni finanziarie sconosciute nei decenni precedenti come i private Equity in relazione all’evoluzione del mercato.

    La maggiore responsabilità della mancata crescita del nostro Paese nel prossimo futuro va attribuita già da oggi a quelle élite (così si considerano) politiche il cui pensiero non riesce ad andare oltre le solite citazioni einaudiane, che rappresenta ovviamente un punto di riferimento, ma  assolutamente incapaci di una qualsiasi elaborazione ed attualizzazione del medesimo pensiero rispetto alla complessità finanziaria del  mondo contemporaneo.

    Basta ricordare in questo senso come con il totale appoggio del mondo liberale si stiano avviando delle ulteriori privatizzazioni relative alle multiutility dell’energia, mentre contemporaneamente, con grande lungimiranza, la classe politica sta ragionando in relazione alla proroga delle tariffe tutelate .

    Le difficoltà dei prossimi decenni che le imprese affronteranno nel mantenere la propria competitività a causa dei piani tariffari assolutamente fuori mercato rispetto ai concorrenti francesi, così come il drenaggio che le bollette elettriche procureranno al reddito disponibile delle famiglie italiane saranno inevitabili e rappresenteranno un volano negativo per l’economia e la domanda interna italiana.

  • Una app per scoprire quanto si può risparmiare sulla bolletta installando pannelli fotovoltaici a casa

    Dal 1990 ad oggi le attività economiche sono cresciute del 60% mentre le emissioni inquinanti sono calate del 30% e quindi gli scenari disastrosi sulle sorti del pianeta si sono già fatti meno probabili. A dirlo sono i ricercatori del JPR di Ispra, uno dei sei centri di ricerca dell’Unione europea che fanno capo direttamente alla Commissione europea e che forniscono all’esecutivo dell’Ue l’expertise tecnico-scientifica (non solo in tema ambientale) sulla base della quale vengono implementate le politiche comunitarie ed emanati regolamenti e direttive perché gli Stati vi diano seguito.

    L’obiettivo della neutralità climatica che la Ue si è posta per il 2050 resta però, a detta degli stessi ricercatori, estremamente ambizioso (e infatti la Cina l’ha fissato per il 2060 e l’India per il 2070), perché le misure per conseguirlo devono fare i conti con la realtà delle cose. Le emissioni legate alla produzione industriali hanno subito un deciso calo in seguito alla crisi economico-finanziaria del 2008, ma la maggior aleatorietà delle prospettive che il comparto produttivo vive da allora disincentiva chiaramente investimenti in maggior efficienza energetiche delle apparecchiature produttive, mentre il trasporto pubblico paga il suo stesso successo come alternativa meno inquinante per la mobilità: la maggior efficienza dei consumi conseguita è stata infatti tutta consumata dall’incremento della domanda di trasporto collettivo, Come dire che le singole corse consumano meno energia e dunque comportano meno emissioni, ma poiché le corse stesse sono aumentate per far fronte alla maggior richiesta il risultato finale in termini di impatto sull’ambiente non è sostanzialmente mutato.

    Discorso analogo vale anche per le abitazioni: la maggior efficienza dei consumi energetici per riscaldare ed illuminare gli spazi abitati (siano case piuttosto che uffici) è aumentata, ma nel contempo sono aumentati anche gli immobili. Diversamente che nel caso dei trasporti, però, per gli immobili l’incremento dei volumi abitati non ha ancora assorbito completamente le migliorie sul fronte dei consumi energetici e dunque il saldo è positivo: a fronte di un maggior numero di case e uffici, oggi, il loro impatto ambientale complessivo è inferiore a quanto si registrava in passato.

    Aiutano, su questo fronte, le migliorie dei pannelli fotovoltaici: più potenti e meno costosi man mano che la tecnologia progredisce, oggi sono venduti dai produttori con una garanzia di funzionamento di 30 anni e anche dopo 30 anni sono di norma in grado di avere un’efficienza pari all’80% di quella di un pannello appena uscito dalla fabbrica.

    Il Joint Research Center ha peraltro messo a punto un’applicazione, PVGIS (la si trova all’indirizzo web https://joint-research-centre.ec.europa.eu/photovoltaic-geographical-information-system-pvgis_it o semplicemente facendo una ricerca su Google digitando PVGIS) che consente di verificare quale è l’esposizione al sole di ogni singolo immobile, in base a dove esso si trova, e calcolare di conseguenza quanta energia si possa ricavare tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici. Il calcolo tiene conto della radiazione solare, della temperatura, della velocità del vento, e del tipo di impianto fotovoltaico usato; l’utente può inoltre scegliere come sono montati i moduli (su un telaio a terra oppure integrati nella superficie di un edificio) e PVGIS può anche calcolare l’angolo e l’orientamento ottimale con le quali l’energia prodotta è il massimo su base annuale.

  • La Germania e le politiche energetiche

    Il governo della Germania ha deciso di adottare un taglio delle tasse sull’energia per oltre 12 miliardi di euro all’anno. Questa strategia nasce dalla volontà governativa di garantire alle imprese tedesche di poter contare su un costo di 70 euro a MWh (contro i 129 euro in Italia).

    In Italia le due ultime manovre sul presunto taglio del cuneo fiscale (governo Draghi 8.7 miliardi e governo Meloni 11 miliardi circa) hanno ottenuto un vantaggio netto in busta paga di circa 27 euro il primo e poco meno di 30 il secondo, in più a crescere in rapporto alle fasce di reddito (600 lordi), quasi 19 miliardi che otterranno per un vantaggio reale irrisorio, basti pensare come lo sconto sulle accise del governo Draghi costasse circa quattro (4) miliardi.

    La decisione tedesca avvia il processo di azzeramento della stessa Unione Europea azzerando l’applicazione del principio della “concorrenza come fattore di sviluppo economico” applicato a garanzia dell’utenza e contemporaneamente evapora lo stesso concetto istitutivo della stessa Unione Europea, sia economica che politica. Inoltre il concetto di aiuti di Stato diventa una leva politica valida solo se pensata in italiano.

    Nel frattempo in Italia Eni presenta la migliore trimestrale della propria storia grazie alla propria attività speculativa nella erogazione del proprio servizio e soprattutto come espressione di una volontà di garantire gli investimenti del proprio azionariato composto in maggioranza da fondi privati.

    La risultante di questo disastro strategico determinerà per il sistema manifatturiero italiano una ulteriore riduzione della propria competitività rispetto a quello tedesco ma anche rispetto a tutti gli altri europei in quanto l’Italia è l’unico Paese che già nella finanziaria in corso di approvazione eliminerà ogni sostegno agli esorbitanti costi energetici per imprese e famiglie: basti pensare all’azzeramento delle clausole del mercato energetico tutelato.

    La decisione tedesca dovrebbe determinare delle precise reazioni del mondo politico europeo anche in relazione al contraddittorio mantenimento in vita di una Istituzione Europea priva ormai degli stessi principi fondativi o quantomeno della semplice applicazione di principi liberali (gli aiuti di Stato) validi solo e sempre a scapito dall’Italia. Ma soprattutto dovrebbe suscitare ed avviare un dibattito nel nostro Paese nel quale il ceto politico italiano, che dovrebbe tutelare innanzitutto interessi nazionali, risulta ancora oggi troppo distratto dalle varie transizioni ecologiche ed ideologiche.

    Contemporaneamente la classe politica nazionale si preoccupa, ancora oggi, di bonus di ogni foggia come della sempre più difficile quadratura del sistema pensionistico invece di occuparsi del futuro del sistema economico ed Industriale attraverso l’adozione di una seria politica energetica.

    Un atteggiamento confermato dalla indifferenza con la quale Stellantis chiude e mette in vendita lo stabilimento Maserati voluto da Marchionne, mandando già i macchinari in Marocco, non suscitando alcuna reazione del ministro “delle imprese e del Made in Italy” e del governo.

  • Il dilemma africano tra fossili e rinnovabili

    L’Africa paradiso mondiale delle energie rinnovabili, che attraverso i “crediti di carbonio” si fa finanziare i suoi progetti green dai paesi più ricchi. Oppure l’Africa nuova frontiera delle fonti fossili, petrolio e gas, sempre più ricercate da un mondo in crisi energetica. Quindi, puntare sulle rinnovabili o sulle fossili per sostenere lo sviluppo del continente? E’ questo il dilemma intorno al quale ruota il primo Africa Climate Summit, che si è aperto a Nairobi. Un vertice sul clima al quale partecipano gli stati africani, ma anche leader dei Paesi ricchi che nel continente possono e vogliono investire.

    Al summit di Nairobi va in scena lo scontro fra i Paesi che non hanno grossi giacimenti di idrocarburi, e quindi puntano sulle rinnovabili, come Kenya, Sudafrica, Egitto ed Etiopia, e quelli che invece hanno ricche riserve di gas e petrolio, e vogliono sfruttarle per sostenere il loro sviluppo, come Nigeria, Senegal, Angola e Mozambico. I primi vogliono sviluppare in Africa il mercato dei Carbon Credit, cioè il finanziamento di progetti green nel continente per compensare le emissioni dei paesi ricchi, e vogliono imporre una carbon tax a livello globale, per sostenere la finanza verde. Gli stati africani ricchi di oil&gas invece non vogliono perdere questa bonanza, e chiedono vincoli meno stringenti sulle emissioni e nessuna carbon tax.

    I Paesi africani producono solo il 4% della CO2 mondiale, ma sono i più colpiti dagli effetti del riscaldamento globale, cioè desertificazione ed eventi climatici estremi. Fenomeni che in quei paesi provocano morte, miseria, guerre, e migrazioni. L’Africa, continente assolato e ricco di foreste, ha enormi potenziali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che potrebbero dare energia a buon mercato e milioni di posti di lavoro ai suoi abitanti. Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh dell’anno scorso, Paesi africani e istituzioni finanziarie hanno lanciato la Africa Carbon Markets Initiative: un’alleanza per arrivare nel 2030 all’emissione nel continente di 300 milioni di crediti di carbonio all’anno, per generare 6 miliardi di dollari di reddito annui. Ma al tempo stesso, molti Paesi africani galleggiano su gas e petrolio, ricercatissimi dai paesi ricchi, e ancora più da quelli emergenti. Fonti fossili che peggiorano l’effetto serra, ma che generano ricchezza immediata. Una ricchezza che permette di far uscire dalla miseria larghi strati della popolazione africana, e quindi generare consenso politico ai governanti.

  • Le riserve autoctone dell’Italia per ridurre la dipendenza dalla Cina per le materie prime

    Le materie prime strategiche – in inglese Critical Raw Materials (CRMs) – sono ormai parte del dibattito pubblico che investe i temi dell’indipendenza tecnologica e strategica ma anche della transizione energetica e digitale. Se ne parla diffusamente dal 2011, quando la Commissione europea pubblicò la prima lista che ne elencava 14. Queste materie sono infatti di estrema rilevanza per molteplici ecosistemi industriali: l’industria ad alta intensità energetica, le tecnologie chiave per la politica energetica, economica, industriale, digitale, per la difesa e l’aerospazio. Per questo motivo il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha tracciato la strategia del governo che contempla, tra le altre cose, la riaperture delle miniere italiane di terre rare abbandonate nei decenni scorsi per esaurimento o perché non più convenienti rispetto ai costi di importazione. Capire cosa si può trovare nel territorio nazionale non è cosa semplice perché la presenza di un giacimento, cioè di un quantitativo di minerali tale da poter essere sfruttato, è da valutare tramite nuove ricerche ed analisi. L’ultimo aggiornamento della lista della Commissione elenca 34 CRMs di cui fanno parte le Terre Rare, utilizzate nei principali settori industriali, quali l’eolico, la robotica, l’Ict ma anche nella costruzione di droni, motori a trazione, pannelli fotovoltaici e celle a combustibile. Il problema? Semplice: sono materiali rari e a volte di difficile estrazione (con effetti collaterali dal punto di vista ambientale), per i quali dipendiamo dal nostro competitore più temibile, la Cina. Pechino è il principale fornitore europeo per il 56 per cento delle materie prime critiche, con implicazioni rilevanti per i target energetici al 2030. Se ad esempio interrompesse la fornitura di terre rare all’Europa, da qui al 2030 sarebbero a rischio 241 GW di eolico (47 per cento del totale) e 33,8 milioni di veicoli elettrici (66 per cento del totale), rendendo impossibile il raggiungimento degli obiettivi legati alle linee guida europee. Inoltre la Cina ha investito in giacimenti minerari in Paesi terzi (oltre 80 miliardi di euro dal 2005 al 2021) e in capacità di raffinazione.

    In Italia il fabbisogno di materie prime strategiche per la produzione delle tecnologie chiave è stato di circa 2.782 tonnellate nel 2020. Inoltre, noi utilizziamo 17 delle materie prime critiche considerate come strategiche dall’Unione Europea. Circa il 44% del fabbisogno italiano di materie prime strategiche nel 2020 è rappresentato dal rame, utilizzato in maniera significativa in ognuna delle tecnologie chiave. E nel futuro la nostra domanda salirà in modo esponenziale: di cinque volte in uno scenario spinto, di 2,7 volte in quello a bassa intensità. Ovviamente il Paese è sprovvisto di queste risorse. Secondo gli ultimi dati dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, “per i CRMs metallici l’Italia è totalmente dipendente dai mercati esteri, ma diversi di loro sono stati sfruttati in passato sul territorio nazionale in circa 1000 siti localizzati nell’arco alpino ed in Liguria, nella fascia costiera tirrenica tosco-campana, in Calabria ed in Sardegna”. Nonostante le concessioni vigenti, a fronte di sole 94 concessioni minerarie ancora in vigore, 76 sono realmente in produzione soprattutto in Toscana, Piemonte e Sardegna mentre è nulla l’estrazione di materie prime critiche. Delle 17 le materie prime critiche definite strategiche dalla Commissione Ue, nel nostro Paese sono presenti rame, magnesio, manganese, tungsteno, cobalto e titanio. Per lo più le regioni dell’arco alpino, la Toscana, il Veneto, la Liguria e la Sardegna. Inoltre, il litio, preziosissimo per la riconversione energetica (batterie), si troverebbe in aree vulcaniche come il Lago di Bracciano nel Lazio e i Campi Flegrei in Campania. Una situazione che ha spinto il governo ad attivare a febbraio il Tavolo nazionale per le materie critiche, promosso dal ministero delle Imprese e del Made in Italy e dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Il problema è che la ripresa dell’attività estrattiva in Europa prevede tempi autorizzativi molto lunghi. E nel confronto con i nostri competitori non c’è partita. Il tempo necessario per passare dalla scoperta di un nuovo sito minerario all’estrazione vera e propria raggiunge i 15/17 anni, contro i tre mesi della Cina. Per rimettere in funzione i siti estrattivi in Europa occorrono tempi lunghi, in quanto sono necessarie valutazioni economiche e ambientali che possono essere soggette a sospensione o revoca per motivi di interesse pubblico. Per fare un esempio, a Sakatti, in Finlandia, nel febbraio 2018 è stato richiesto un permesso di estrazione dei metalli del gruppo del platino; ad oggi la decisione è ancora pendente e sono già stati accumulati quattro anni di ritardo.

    Accanto alla ripresa delle estrazioni un’altra risorsa sulla quale puntare è quella dell’economia circolare e del riciclo, con la filiera dei Raee – i rifiuti elettrici ed elettronici – che è quella con maggiori opportunità. A fronte dell’incremento dei fabbisogni di materie prime strategiche, lo studio di The European House–Ambrosetti ha identificato e approfondito tre leve per ridurre la dipendenza dell’Italia da Paesi terzi: la prima è ridurre il consumo e sostituire le materie prime strategiche, certamente una strada percorribile nel medio-lungo termine, considerando però che l’innovazione tecnologica non può comunque essere “programmata”; aumentare le estrazioni minerarie europee, una criticità in termini di dipendenza dell’Italia dalle risorse minerarie europee, di costi di estrazione e raffinazione elevati, di impatti negativi sull’ambiente; la terza leva è lo sfruttamento del riciclo come soluzione alternativa, un obiettivo implementabile a brevissimo termine con investimenti iniziali inferiori rispetto a quelli dell’estrazione, con benefici economici derivanti dalla riduzione delle importazioni ed effetti positivi sull’ambiente. È infatti incredibile – ma vero – che l’Italia mandi all’estero il 90 per cento dei nostri rifiuti che vengono lavorati e da cui vengono estratti oro, palladio rame e poi vengono rivenduti. L’analisi di The European House–Ambrosetti conferma la risorsa del riciclo nel contribuire al problema dell’approvvigionamento. In particolare, l’economia circolare ha il potenziale di raggiungere il target europei del 15 per cento del fabbisogno soddisfatto dal riciclo entro il 2030 nello scenario accelerato. Il target è raggiunto solamente nel 2035 nello scenario prudenziale. Raggiungere gli obiettivi nei tempi previsti necessita di investimenti significativi in dotazioni impiantistiche. Gli investimenti comporterebbero un ritorno importante dal punto di vista del valore dell’economia circolare. Le stime dimostrano come nello scenario accelerato, il 32% del fabbisogno italiano di materie prime strategiche può essere soddisfatto dal riciclo. In confronto, il valore rispettivo per lo scenario prudenziale si attesta al 20 per cento. Il tesoro c’è e va sfruttato senza perdere altro tempo.

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