Energia

  • Il mercato immobiliare cresce e premia le soluzioni green

    Nel 2021 cresce il mercato immobiliare e parallelamente anche l’interesse per l’efficienza energetica delle case e le dotazioni in tema di climatizzazione e infissi compatibili con il risparmio energetico. Nel settore residenziale sono aumentate sia le compravendite (circa 750.000, +34% sul 2020 e +24% sul 2019), sia i valori di mercato (+3% sul 2020). Per negozi, uffici e capannoni aumentano le compravendite ma diminuiscono invece i prezzi.

    I dati emergono dall’Osservatorio Immobiliare Nazionale Fiaip, in un rapporto realizzato in collaborazione con Enea e I-Com. Il mercato è stato trainato anche dalle compravendite di seconde case, salite a circa 190.000 unitàv(+52% sul 2020 e +36% sul 2019). Anche gli acquisti diversi dal residenziale crescono: +4,5% per i negozi, +2,3% per gli uffici e +1,9% per i capannoni. Lo stesso non si può dire per l’andamento medio dei prezzi, dove si registra una riduzione media del -3,2% per i comparti commerciale, direzionale (-4,5%) e produttivo (-5,6%).

    Milano, Bologna e Firenze sono le città più attrattive. A Milano le compravendite crescono dell’8,8%, seguita da Bologna (+6,8%), Firenze (+3,2%) e più distaccate Genova (+2,7%), Torino (+2,3%), Venezia (+2,5%) e più indietro Roma (+1,1%).

    Cresce tra gli acquirenti anche la voglia di acquistare nei Borghi, dettata dalla volontà di lavorare in luoghi meno affollati, più tranquilli e con una qualità della vita superiore anche dal punto di vista ambientale: aumentano del 30% le richieste anche se solo un quarto si concretizza poi in passaggi di proprietà. Cambiano anche le richieste degli italiani che guardano sempre più alla qualità energetica nella scelta della casa.

    Nel 2021 il numero di immobili oggetto di transazione nelle classi energetiche più performanti è cresciuto e registra il 30% di acquisti di nuove costruzioni in classe A1 a fronte di una stabilità della qualità energetica degli edifici e abitazioni sebbene ancora ben distanti dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il 2030. Gli italiani si dimostrano informati sull’efficienza energetica. Il 60% degli acquirenti di immobili ha una consapevolezza sufficiente, e solo il 22% conosce poco o nulla sull’argomento. Il 40% di chi vende ha una buona o molto buona capacità di valorizzazione dell’efficienza energetica degli immobili residenziali. Tra le caratteristiche connesse alla qualità energetica dell’immobile, i compratori sono più sensibili alla presenza di impianti di climatizzazione ad alta efficienza (23,3%), a un buon isolamento termico delle strutture (21%) e degli infissi (20,9%) e a impianti di generazione a fonti rinnovabili (17,6%).

  • In Italia funzionano 37 termovalorizzatori, ma ne servono altri 30

    In Italia ci sono 37 termovalorizzatori, in prevalenza al nord, un dato che a livello europeo si confronta ad esempio con i 126 impianti della Francia e con i 96 della Germania, secondo una mappa di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente) su dati Ispra (l’istituto per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero della Transizione ecologica).

    Nel 2019, spiega Utilitalia nel “Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani” (realizzato dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma Tor Vergata) al loro interno sono state trattate 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani, producendo 4,6 milioni di Mwh di energia elettrica e 2,2 milioni di Mwh di energia termica; questa energia (rinnovabile al 51%) è in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie. A Brescia l’impianto di A2A attivo dal 1998 fornisce teleriscaldamento a più del 50% delle abitazioni ed il gradimento degli abitanti sale: quello complessivo è salito al 64% e il 91% dei bresciani lo ritiene un impianto “sempre più efficiente” e per l’85% è “all’avanguardia” e “sicuro”.

    Secondo il Libro bianco di Utilitalia infatti, la preoccupazione relativa alle emissioni di polveri sottili sarebbe sfatata in quanto la discarica ha un impatto otto volte superiore a quello del recupero energetico negli inceneritori. Ci sono, infatti, limiti molto stringenti, che non hanno eguali nel panorama delle istallazioni industriali, assicura Utilitalia. Relativamente alle Pm10, lo studio evidenzia che il contributo degli inceneritori è pari solo allo 0,03% (contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali), per gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa) è pari allo 0,007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine ed i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali). L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione, inoltre, sono ormai interamente avviate a processi di riciclaggio, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attività quali la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali.

    All’Italia, secondo Utilitalia, mancano impianti per trattare 5,7 milioni di tonnellate di spazzatura all’anno e al Centro e al Sud c’è dunque “una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al 20% e dobbiamo dimezzare il dato nei prossimi 13 anni”, rileva la Federazione ricordando che l’Ue ha fissato al 2035 gli obiettivi del riciclaggio effettivo pari al 65% e della riduzione del ricorso alla discarica al di sotto del 10% e che all’Italia servono oltre 30 impianti per il trattamento dei rifiuti fra termovalorizzatori (per bruciare la spazzatura non riciclabile e produrre energia) e impianti di compostaggio (per trasformare i rifiuti organici in fertilizzante compost).

  • L’Enel rilancia l’ex centrale di Montalto di Castro: ne farà un museo

    Lì dove doveva nascere una delle prime centrali nucleari italiane ma la cui costruzione è stata interrotta dopo l’incidente di Chernobyl del 1986: nei due “sarcofagi” che dovevano ospitare l’impianto atomico a Montalto di Castro, nel Viterbese, nascerà ora un Museo dell’energia. Una valorizzazione e riconversione culturale da primato mondiale che rientra nella rinascita del sito della centrale elettrica dell’Enel destinato a diventare un distretto dell’innovazione energetica, con nuovi impianti di produzione rinnovabile e sistemi di accumulo di energia. Nel frattempo, per favorire l’uscita dell’Italia dal carbone, resteranno attivi impianti turbogas rinnovati e resi più efficienti.

    La “nuova vita” della centrale “Alessandro Volta” della multinazionale italiana, che quest’anno festeggia il 60esimo anniversario, in un polo energetico integrato e il progetto del museo sono stati presentati nel sito che oggi ospita l’impianto termoelettrico dal direttore Enel Italia Nicola Lanzetta e dall’architetto Patricia Viel. Il Teccc – Centro di Cultura e Conoscenza della Transizione Energetica di 5mila metri quadrati conterrà il Museo e spazi dedicati ad attività di formazione. Su altri circa 15.000 metri quadrati ci saranno installazioni d’arte, sale di esposizione e una terrazza panoramica. “Il progetto prevede anche un percorso di visita sopraelevato – ha spiegato l’architetto Viel, co-fondatrice dello studio Acpv con Antonio Citterio – che circonda l’area consentendo al visitatore l’accesso a manufatti dallo straordinario valore storico e architettonico unici al mondo”.

    Nel ricordare che “la transizione energetica sta cambiando l’intero settore, spingendo verso un modello più sostenibile». Lanzetta ha osservato che quello di Montalto “è modello da replicare per l’Italia” perché il polo energetico integrato è una sorta di concentrato di economia circolare, creazione di nuove attività e posti di lavoro, acceleratore culturale e bellezza.

    “L’attività di un’amministrazione comunale è più efficace se al centro della sua azione politica pone lo sviluppo culturale», ha spiegato il sindaco di Montalto Sergio Caci mentre Massimo Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura ha auspicato che il nuovo Museo possa essere “presto accolto nel nostro Sistema Museale Nazionale”. Per il sottosegretario alle Politiche agricole Francesco Battistoni questo progetto è “un fiore all’occhiello per l’Italia”. Plauso dal presidente di Unindustria Civitavecchia Cristiano Dionisi perché il progetto “garantisce la sicurezza energetica della nazione e guarda al futuro in una chiave di sostenibilità e di innovazione” mentre l’assessora del Lazio alla Transizione ecologica Roberta Lombardi ha osservato che “progetti come questi sono una cintura tra passato, presente e futuro e se avessimo avuto un altro approccio negli ultimi 30 anni sarebbe il nostro attuale presente».

  • L’Italia punta sull’Africa per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo

    La “campagna del gas” avviata dal governo italiano per ridurre la dipendenza energetica da Mosca procede a ritmo sostenuto, e dopo l’Algeria e l’Egitto, è stata la volta dell’Angola e del Congo. Costretto a casa dal Covid-19, il premier Mario Draghi ha dovuto dare forfait alla missione e così la delegazione è stata guidata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal titolare della Transizione ecologica Roberto Cingolani, accompagnati dall’ad di Eni Claudio Descalzi. Il 20 aprile firma a Luanda di una joint-venture ad ampio raggio nel settore energetico per la produzione di materie prime (petrolio, gas naturale e gas naturale liquefatto) spingendo anche sulle fonti rinnovabili. Successivamente la lettera d’intenti per rafforzare la cooperazione energetica tra Roma e Brazzaville cui si aggiunge anche un accordo ad hoc firmato da Eni con il ministro congolese degli Idrocarburi che dà ufficialmente il via all’estrazione di Gnl nel 2023. Proprio nell’ottica di rafforzare la cooperazione nel settore energetico, Roma sta usando le ottime relazioni che il gruppo energetico italiano ha costruito in circa 70 anni di presenza in Africa, dove è leader sia in termini di produzione che di riserve.

    L’intenzione del governo italiano è di sviluppare un progetto già avviato da Eni nel paese africano, provando così a rendere indipendente il nostro Paese dalle forniture di Gazprom prima ancora che in sede europea si trovi una posizione unica sul pagamento delle forniture. L’anno scorso il gigante russo energetico ha garantito oltre 29 miliardi di metri cubi di metano. Il gas aggiuntivo dei giacimenti angolani e congolesi arriverebbe sotto forma di Gnl, gas naturale liquefatto, e proprio per questo il Governo italiano sta lavorando anche a un maggior utilizzo dei terminali di gassificazione, che in Italia attualmente sono tre. Peraltro i piani di Eni prevedono una crescita di investimenti e attività nei Paesi africani nei prossimi anni: a sud del Sahara i principali hub dell’Eni si trovano in Congo, Angola, Nigeria e Mozambico, aree in cui le attività estrattive sono aumentate in modo considerevole.

    Nel 2020, la produzione annuale di gas della società guidata da Descalzi è ammontata a 1,4 miliardi di metri cubi mentre quella complessiva di idrocarburi è stata pari a 27 milioni di boe. Con l’accordo siglato ora, viene impresso un sensibile colpo d’accelerazione alla produzione di gas in Congo: tramite lo sviluppo del progetto di gas naturale il cui avvio è previsto nel 2023, si punta a ottenere una capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate/anno (oltre 4,5 miliardi di metri cubi/anno). L’export di gnl permetterà così di valorizzare la produzione di gas eccedente la domanda interna congolese. La Repubblica del Congo ed Eni hanno anche concordato la definizione di iniziative di decarbonizzazione per la promozione della transizione energetica sostenibile nel Paese. L’ad di Eni ha spiegato che così facendo il Congo è diventato “un laboratorio di energie future con tecnologia italiana. Per questo – ha aggiunto – è un momento importante per entrambi i Paesi e anche per la nostra società”. Descalzi ha ricordato che Eni è l’unico produttore di gas ma che ora “stiamo ampliando la nostra attività a tutta la parte agricola per creare biocarburanti, al solare, all’economia circolare”.

    Soddisfatto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, in conferenza stampa, ha sottolineato come l’operazione di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia rappresenti per l’Italia una “priorità”. Non solo, ma il governo italiano sta lavorando “duramente” anche sull’istituzione di un tetto al prezzo del gas europeo, su cui alcuni Paesi dell’Eurozona hanno espresso perplessità. E invece, ha sottolineato, “per noi rappresenta una priorità – ha aggiunto – e ci aspettiamo sostegno su questo”. Anche il titolare del dicastero della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha rilevato l’importanza dell’accordo in Congo in questo senso e “l’Italia è uno dei paesi più virtuosi” in questo percorso. Parole di apprezzamento per l’intesa in Congo sono state espresse dal ministro congolese degli Affari esteri, della francofonia e dei congolesi all’estero Jean-Claude Gakosso che ha così commentato: “Si dice che tutto il mondo passa attraverso l’energia. Siamo felici di concludere accordo con l’Italia, e anche con Eni che qui si è dedicata anche in altri campi come la ricerca. Ma oggi si apre una strada nuova, quella della transizione energetica, una sfida che Eni è riuscita a cogliere”. Dopo la firma al ministero degli Affari Esteri, la delegazione italiana è stata ricevuta dal presidente della repubblica del Congo, Denis Sassou N’Guesso.

  • Comincia dalle ferrovie il default della Russia

    Le Ferrovie russe sono ufficialmente in default, la prima vera insolvenza ‘a tavolino’ cui minacciano di seguire altre società e, fra poche settimane, l’intera Russia. Un precedente importante per capire come si comporteranno i mercati – il default più che da mancanza di fondi è causato dall’esclusione dal ‘sistema circolatorio’ della finanza globale – e che ha ramificazioni anche in Italia, visto che fra i creditori di Russian Railways c’è anche Unicredit, con una linea di credito legata alla sostenibilità da 545 milioni di euro.

    Il default, il primo dopo quello, in realtà circoscritto, di fine anni ’90, è ormai quasi dato per certo dopo che alcuni giorni fa l’agenzia S&P Global Rating aveva ufficialmente tagliato il rating a ‘SD’, default selettivo. Anton Siluanov, il ministro delle Finanze di Putin, stamani ha promesso che contro l’insolvenza dello Stato russo “andremo in tribunale, perché abbiamo preso tutte le misure necessarie per garantire che gli investitori ricevano i loro pagamenti”, e ha anticipato che Mosca, dati i tassi ormai proibitivi, rinuncia ad emettere nuovi bond quest’anno. L’insolvenza, più che dalla mancanza di fondi, è causata dall’esclusione di Mosca dalle transazioni in dollari attraverso le banche internazionali, che già nei giorni scorsi aveva intralciato i pagamenti di obbligazioni da parte di Severstal, Chelyabinsk ed EuroChem.

    Le sanzioni occidentali, stavolta, hanno bloccato il pagamento di cedole su un bond in franchi svizzeri di Russian Raiways, che sarebbero dovute arrivare ai creditori il 14 marzo: essendo passati i 10 giorni del ‘periodo di grazia’ il Credit Derivatives Determinations Committee ha fatto scattare i contratti di assicurazione dal rischio insolvenza, con la conseguenza che i creditori dovranno mettersi in coda. I credit-default swap, se misurati sul rischio default della Russia, danno ormai il 99% di probabilità. Un alto funzionario europeo conferma che, dato l’inasprimento delle sanzioni occidentali, “l’effetto sarà quasi sicuramente il default: Mosca non sarà in grado di movimentare i suoi fondi”. La procedura vuole che sia trascorso il periodo di grazia (di un mese) dall’insolvenza, il cui innesco sarebbe il pagamento in rubli di 2 miliardi di dollari su eurobond dovuti mercoledì scorso.

    Un capitolo della guerra scatenata in Ucraina che finora è stato preso con una punta di scetticismo dai mercati: la Borsa di Mosca chiude in calo (-1,37%) in linea con petrolio (3.5%), gas (-3,6% a 100 euro) e acciaio, ma è già tanto che sia aperta. Il rublo cede a 83,25 sul dollaro, ma è lontano dal crollo di marzo, la Borsa di Milano segna -0,28% in un clima di debolezza delle Borse europee. Unicredit (+1,8%) quasi non si accorge delle notizie da Mosca. Ma la probabile sequenza di default aziendali, con sullo sfondo un default sovrano, senza una svolta avrà un impatto. Lo sta già avendo sul piano economico per un Paese che, secondo la Banca mondiale, quest’anno vedrà una recessione dell’ordine di oltre -11%. La Governatrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina, oggi si è affrettata a rassicurare che la Russia ha “sufficienti” riserve in oro e yuan (quelle in dollari ed euro sono in gran parte ‘congelate’ dalla sanzioni) e sarà in grado di tornare a crescere. L’obiettivo è staccarsi progressivamente dalla finanza e dalle riserve in valute occidentali guardando a Est, ma navigare fra le acque di un default, anche se ‘pilotato’ dalle sanzioni, non sarà una passeggiata.

  • Bruxelles rimane scettica sull’idea di un prezzo amministrato per il gas

    La proposta di fissare un tetto al prezzo del gas potrebbe rompere il mercato unico. Il dubbio, difficile da dissipare, frena Bruxelles dal concedere a Spagna e Portogallo il via libera a procedere con la loro ‘eccezione iberica’ di limitare il prezzo del gas in via temporanea e straordinaria. Tenendo con il fiato sospeso anche l’Italia che vorrebbe procedere sulla strada aperta da Madrid e Lisbona per intervenire contro il caro-energia acutizzato dalla guerra in Ucraina. E, nel frattempo, ha chiuso l’intesa sul gas con l’Algeria e procede a grande velocità per ridurre la dipendenza dalla Russia.

    Ferma ormai da due settimane sul tavolo dei tecnici della Commissione europea, la richiesta dei due premier Pedro Sanchez e Antonio Costa – vinte al tavolo del vertice europeo di fine marzo le resistenze politiche dei Paesi che difendono il libero mercato capeggiati dall’Olanda – si deve confrontare con le perplessità dell’esecutivo comunitario. Che non nega la legittimità dell’istanza e l’eccezionalità della condizione dei due Paesi mediterranei, ma vorrebbe più chiarezza sulle modalità di finanziamento. E si chiede se il meccanismo non apra un precedente pericoloso per il mercato unico. Se regolare il prezzo del gas nella sola Penisola iberica poco connessa con il resto dell’Ue, è il ragionamento, potrebbe già comportare ricadute sulla vicina Francia, che cosa succederebbe se a richiederlo fosse un Paese più interconnesso? Una questione su cui Bruxelles sta cercando di ragionare, stretta tra la sacralità della libera concorrenza, i costi da sostenere per la transizione climatica e la situazione di massima tensione con la Russia. L’urgenza dei rincari sempre più pesanti per le bollette di imprese e cittadini fa comunque aumentare il pressing anche da parte dell’Italia che, per bocca della vice ministra agli Affari esteri, Marina Sereni, dal Lussemburgo è tornata a spingere per un impegno dell’Europa su “misure regolatorie immediate anche temporanee”. Vale a dire il tetto temporaneo al prezzo del gas all’ingrosso – che potrebbe aggirarsi intorno agli 80 euro per megawattora per almeno tre mesi – e la riforma, voluta a gran voce anche dalla Francia, per disaccoppiare il prezzo del gas e quello dell’energia.

    Le proposte dell’Ue dovrà in ogni caso arrivare entro la fine del mese, dopo un’attenta lettura del rapporto tecnico dell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer). Il dossier resta complesso e a frenare sono soprattutto la Germania e l’Olanda, che controlla il mercato internazionale Ttf. Quello che in gergo tecnico si chiama ‘decoupling’ per evitare il ‘contagio’ del caro-gas alle bollette dell’elettricità, potrebbe essere un ‘boomerang’ che, secondo L’Aja, potrebbe causare una distorsione della concorrenza e una riduzione degli investimenti nelle rinnovabili, facendo naufragare gli obiettivi climatici dell’Ue. Nel suo faccia a faccia con Mark Rutte, Mario Draghi ha cercato di fargli cambiare idea incassando un’apertura a studiare tutte le possibilità e a usare il ‘pragmatismo’. Il resto potrebbero farlo gli sviluppi sui prezzi provocati dalla guerra.

  • Solo chiacchiere e distintivo

    L’emergenza legata all’evento bellico sta ormai arrivando alla soglia dei due mesi mentre quella relativa all’approvvigionamento energetico ormai ha già raggiunto gli  oltre 365 giorni in quanto, pur con un crescendo rossiniano, la problematica incombe sulle imprese e i cittadini dall’anno scorso.

    Già nel 2021, infatti, l’esplosione dei conti energetici e la conseguente esplosione dell’inflazione rappresentava, assieme alle conseguenze sanitarie, la principale questione da affrontare secondo gli imprenditori e  i consumatori.

    Basti ricordare come se nel 2021 l’aumento dell’energia fu del 100%, negli Stati Uniti venne attenuato ad un +70%,, nell’Unione Europea segnò un +124% ed in Germania si attestò ad un +140%, mentre in Italia la crescita si rivelò del +180%, una valore insostenibile tale da mettere in forse  la stessa sopravvivenza di circa il 70% delle imprese manifatturiere.

    L’eccezionalità attuale del 2022, che si manifesta come la sintesi di queste due emergenze, pandemica e confronto bellico, ha sicuramente amplificato ad un livello esponenziale la criticità sistemica rendendo perciò ulteriormente insostenibili quella relativa all’approvvigionamento energetico ed evidenziando contemporaneamente il mancato intervento governativo, nonostante la conoscenza sostanzialmente ignorata e sottostimata nella sua gravità (*) da oltre dodici mesi: un tempo sufficiente quantomeno per avviare delle misure emergenziali immediate.

    A conferma della sottovalutazione della problematica energetica del governo Draghi a titolo di cronaca si ricorda come l’estrazione di gas dai giacimenti italiani sia diminuita del -18% durante il 2021 a fronte di continue assicurazioni relative alla loro importanza strategica da parte di esponenti del governo e del loro rilancio attraverso atti operativi. Ecco come nel febbraio 2022 le estrazioni di gas siano ancora diminuite di un ulteriore -24%, dimostrando di non essere neppure in grado di mantenere la produzione attiva, considerando anche le impegnative tempistiche necessarie per riavviare le estrazioni.

    Risulta così evidente come di fronte a questa ulteriore flessione delle estrazioni si manifesti una insufficiente competenza politica ed operativa o quantomeno una inerzia governativa e burocratica inaccettabili in quanto la tempestività delle iniziative rappresenta in questo contesto il fattore centrale per assicurarsi l’esito positivo sperato.

    A conferma di questa inerzia burocratica basti ricordare come la durata media tra la richiesta di allestimento di un impianto eolico e la sua approvazione sia di 5,4 anni, a dimostrazione, ancora una volta, di come la produttività della pubblica amministrazione e soprattutto delle amministrazioni ministeriali rappresenti uno dei principali freni al rilancio del nostro Paese, nonostante le continue promesse di adeguamento ad uno standard ‘più sexy’ fatte da un imbarazzante ministro.

    Last but not least (ultimo ma non meno importante) si aggiunga, poi, il fatto che buona parte dei paesi europei come Olanda, Lettonia, Croazia, Francia, Germania, Portogallo, Romania, Slovacchia, Ungheria stiano operando sui mercati energetici internazionali per assicurarsi il massimo di stock di gas mentre l’unico Paese ancora oggi in grado di ridurlo sia l’Italia (**).

    Mai come adesso le buone intenzioni oggetto delle sempre puntuali dichiarazioni governative si riducono ad una semplice recita “solo chiacchiere e distintivo” ma nel contesto attuale risultano assolutamente inaccettabili ed anche offensive verso il complesso sistema economico e sociale, ponendo in serio dubbio la prossima stagione invernale e, nell’immediato, la stessa continuazione dell’attività produttiva.

    (*) Si è data priorità alla riforma delle aliquote Irpef con un costo di 8.5 miliardi e vantaggi inesistenti per le fasce medie di reddito (262 euro/anno).

    (**) Fonte Il Sole 24 Ore

  • La crisi del gas avvicina la Turchia all’Europa

    “Trovare alternative al gas russo  non e’ un problema che si risolve in una notte”. Parole del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, pronunciate dal cuore dell’Unione Europea dopo l’annuncio della Casa Bianca di un embargo sul petrolio russo. Parole che potrebbero rilanciare il ruolo della Turchia nell’approvvigionamento di gas da parte dell’Europa e forse avvicinare Ankara all’Ue, se davvero sarà la posizione strategica del Paese a risolvere il dilemma dell’Europa.

    La Germania, potenza economica dell’Europa aveva inizialmente tentennato dinanzi alla possibilità di sanzionare Mosca, salvo poi cedere dinanzi all’avanzata russa verso Kiev, senza però estendere l’embargo alle forniture energetiche. La ragione sta nel fatto che la Germania, come tutta l’Europa, dipende in larga parte delle forniture russe, che soddisfano il 55% del fabbisogno interno di gas, il 50% di carbone e il 30% di petrolio.

    Allargando lo sguardo a tutta Europa emerge che la Russia copre il 40% del fabbisogno annuale di gas esportando 150 miliardi di metri cubi di gas l’anno e circa il 30% del fabbisogno di petrolio. Numeri che rendono l’idea del perché la pioggia di sanzioni che ha colpito la Russia non abbia investito l’import dell’energia, anche dopo la decisione della Casa Bianca di porre un embargo su gas e petrolio russo, seguita dalle dichiarazioni di Londra, che promette di sanzionare petrolio e derivati russi entro la fine dell’anno. Con l’avanzare dei carri armati russi l’Europa si trova dinanzi al dilemma se rinnovare o meno i contratti di fornitura con Gazprom, alla luce del fatto che quest’anno scadono accordi che riguardano il flusso di 15 milioni di metri cubi di gas l’anno, mentre prima del 2030 scadranno contratti che garantiscono un flusso annuo di 40  milioni di metri cubi di gas. Alle dichiarazioni di Scholz è seguita una road map dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aiea), basata essenzialmente sulla riduzione dei consumi e sulla ricerca di alternative a partire dal gas liquido (Lng).

    Una road map che lascia l’Ue perplessa, perché garantirebbe 50 milioni di metri cubi, destinati a diventare 70 entro il 2030, riducendo la dipendenza  dal gas russo di appena il 50%.  Uno scenario critico, che ha spinto Bruxelles ad accelerare la ricerca e aumentare investimenti sulle energie rinnovabili; un processo già in corso grazie al quale circa il 30% del fabbisogno di elettricità dell’Ue è coperto da energia solare ed eolico. Tuttavia le rinnovabili al momento hanno mostrato di soffrire fattori esterni ed essere condizionate da andamenti climatici, così come Lng non ha garantito un mercato stabile. Motivi che spingono i leader europei a valutare gasdotti alternativi per convogliare il gas del giacimento di ‘Shah Deniz’, in Azerbaigian e delle enormi riserve del ‘Leviatano’, al largo delle acque di Israele. Due giacimenti il cui gas, nel viaggio verso l’Europa, deve passare attraverso la Turchia, che possiede oltre alla posizione perfetta anche le infrastrutture necessarie. Al momento l’Azerbaigian e’ alle spalle di Norvegia e Algeria per forniture di gas verso l’Europa,ma come anche la Aiea sottolinea, Shah Deniz è un giacimento il cui sfruttamento è iniziato da poco e l’Azerbaigian ha tutto per incrementare il proprio export. Il gas azero, circa 4 miliardi di metri cubi l’anno, giunge in Europa attraverso il gasdotto Trans Anatolico Tanap, che passa attraverso la Turchia dove si fermano 6 miliardi di metri cubi di gas azero l’anno. Forniture destinate ad aumentare nei prossimi anni, considerando che il gasdotto è diventato operativo a giugno 2018 e non è ancora a pieno regime. La rotta del gas azero potrebbe incrociarsi con quella del gas estratto in Turkmenistan, solo un’ipotesi al momento,  considerando che il Paese utilizza la metà dei 62 miliardi di metri cubi prodotti ogni anno e vende alla Cina la seconda metà.

    Decisamente più concreta la  prospettiva di poter sfruttare il gas israeliano. Lo scorso 9  marzo il presidente israeliano Isaac Herzog ha incontrato ad Ankara il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Primo incontro tra leader dei due Paesi in 13 anni alla ricerca di una normalizzazione per giungere alla quale la chiave è l’interesse comune a far passare attraverso le infrastrutture turche, la centrale di Ceyhan, il gas dell’enorme giacimento ‘Leviatano’ (600 miliardi di metri cubi almeno) nel suo viaggio fino in Europa. Gli Usa hanno abbandonato il progetto del gasdotto Eastmed che, passando dalla Grecia, avrebbe escluso la Turchia, favorendo cosi’ il dialogo tra Israele e Turchia. Negli scorsi mesi Erdogan aveva avviato un processo di normalizzazione anche con l’Egitto, con cui Ankara aveva sospeso i rapporti in seguito al golpe del 2013 che ha portato al potere Abdelfettah Al-Sisi. Proprio l’Egitto, che già esporta Lng e gas, potrebbe essere il terzo polo di un futuro possibile hub energetico con il centro a Cipro. L’isola del mediterraneo orientale è il nodo del progetto perché oltre alla posizione possiede riserve di gas rispetto al cui sfruttamento Turchia ed Europa hanno però idee diverse, divergenze che hanno creato uno stallo anche nei negoziati per trovare una soluzione alla divisione dell’isola.

    La realizzazione di un hub energetico che coinvolga Egitto, Israele, Turchia e Cipro richiede uno sforzo diplomatico notevole, che può però essere facilitato dal comune interesse delle parti in causa, Ue inclusa, e dal processo di normalizzazione che Erdogan ha avviato con molti Paesi nell’ultimo anno. L’energia costituisce una ulteriore carta che Erdogan non perderà l’occasione di giocare nei suoi rapporti con l’Europa, consapevole che un rafforzamento della cooperazione in ambito energetico potrebbe rendere Ankara indispensabile per l’Europa.

  • Bruxelles blocca gli investimenti energetici in Russia

    Introducendo ulteriori sanzioni verso la Russia, la Ue ha vietato qualsiasi nuovo investimento europeo nell’energia russa o comunque legato all’esplorazione e produzione di gas e petrolio. “Non possiamo continuare ad alimentare la nostra dipendenza energetica” da Mosca, è stata la sentenza di von der Leyen.

    L’impatto sull’Italia non sarebbe marginale. Sono circa 500 le imprese italiane che operano in Russia, e parte di queste è legata proprio con il settore energetico. Tanto che, secondo il quotidiano ‘La Stampa’, l’ambasciatore italiano a Mosca, Giorgio Starace, incontrando le aziende italiane, avrebbe chiesto prudenza nella fuga dalla Russia invitando a “non prendere decisioni affrettate”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, interpellato a riguardo a ‘Mezz’ora in più’ su Raitre, ha tuttavia escluso qualsiasi ambiguità dell’Italia, così come aveva fatto in precedenza una nota della Farnesina. “Roma e l’Ue hanno la stessa posizione sulle sanzioni, che devono indebolire l’economia russa. Continuiamo sulla linea di sconsigliare agli italiani di rimanere” in Russia, ha sottolinea Di Maio annunciando un altro passo verso l’indipendenza dell’Italia da Mosca: il rafforzamento della partnership energetica con l’Angola, dopo la missione in Congo con lo stesso obiettivo.

    Il nuovo pacchetto di misure europee vieterà l’import e l’export di beni di lusso e l’import del ferro e dell’acciaio russo. Bruxelles, inoltre, si unirà al G7 nel chiedere lo stop alla Russia come membro privilegiato del Wto e il blocco di possibili finanziamenti verso Mosca dell’Fmi e della Banca Mondiale. E le sanzioni andranno a colpire anche il sistema delle criptovalute, per evitare flussi di risorse alternativi al sistema Swift su cui Putin e gli oligarchi potrebbero contare. Il problema, per l’Ue e i suoi alleati Occidentali, è però il resto del mondo. Solo con una seria cooperazione della Cina e dei Paesi del Golfo la Russia potrà risultare globalmente isolata.

  • Anche se fosse solo un grado in meno

    Nel nostro Paese risulta paradossale come coloro che hanno creato la dipendenza nell’approvvigionamento energetico dalla Russia ora ci assicurino di essere in grado di porvi rimedio, ricordando, inoltre, come le responsabilità relative alla nostra situazione energetica vadano attribuite a tutti i governi degli ultimi decenni dimostratisi assolutamente incapaci di elaborare una strategia energetica nel medio e lungo termine ed intellettualmente privi di una dotazione minima per confrontarsi con le imbarazzanti visioni degli ambientalisti. A questa situazione si aggiunga come l’Italia sia l’unico Paese al mondo in grado di arrivare al 31 dicembre 2022 dopo trentacinque (35) mesi continuativi in stato di emergenza, espressione di una democrazia ormai disequilibrata a tutto vantaggio della componente governativa.

    In altre parole, oltre la metà della durata della legislatura prevista in cinque (5) anni risulterà trascorsa all’interno di uno stato di emergenza pregiudicando in questo modo anche un normale avvicendamento politico legato alla possibilità di nuove elezioni e congelando lo status quo generato dalle elezioni del 2018.

    In questa sostanziale sospensione della democrazia elettiva e delegata il nostro Paese ha dovuto affrontare l’emergenza covid e adesso l’economia di guerra con il corpo elettorale ridotto al ruolo di sostanziale spettatore.

    Tornando alla dipendenza nell’approvvigionamento energetico dallo Stato aggressore di questa guerra l’attuale situazione sta determinando una crisi energetica senza precedenti anche perché, rispetto ai tempi evocati dell’austerity degli anni 70, le imprese industriali italiane hanno allestito filiere internazionali intrecciate anche con gli stessi scenari di guerra i cui effetti moltiplicano le già pesanti conseguenze della crisi energetica.

    Da più parti i rappresentanti di questa maggioranza indicano come una delle soluzioni temporanee per ridurre il consumo energetico complessivo possa venire attraverso il semplice abbassamento di un grado del riscaldamento nelle case private.

    In questo contesto andrebbe ricordato come nel nostro Paese 5,7 milioni di persone vivano già al di sotto della soglia della povertà, quindi quasi il 10% dell’intera popolazione italiana, molti dei quali sono rappresentati dai pensionati i quali hanno già abbassato sua sponte il riscaldamento per risparmiare a causa del minimo budget a disposizione. Una ulteriore riduzione di un grado equivarrebbe quindi ad un inaccettabile peggioramento del loro già precario livello di vita. Un sacrificio che dovrebbe comunque essere successivo e conseguente solo ed esclusivamente ad una prova di sobrietà della classe politica successiva ad un impegno pubblico, e verificabile, rispetto agli sprechi della spesa pubblica quantificati in duecento (200) miliardi (fonte CGIA Mestre).

    Risulta, così, inaccettabile ed espressione di senso di disprezzo nei confronti della popolazione la proposta di chi intende questo abbassamento della temperatura nelle case private come una soluzione, anche se solo temporanea, con l’obiettivo di fronteggiare l’attuale emergenza energetica. Va ricordato, infatti, come attualmente nel nostro Paese il 22,7% delle persone abbia oltre 65 anni e purtroppo molti di loro rientrino anche in quel quasi 10% obbligato a vivere o meglio sopravvivere al di sotto della soglia di povertà.

    E’ perciò vergognoso non dimostrare, invece, delle maggiori attenzioni verso quelle persone che dovrebbero invece ottenerle proprio in ragione della propria età avanzata e meritarne di aggiuntive in questo periodo come una tutela aggiuntiva per la loro progressiva fragilità.

    Questa ridicola trovata di un “solo grado in meno” dimostra il livello decisamente basso in termini di sensibilità espresso da questa classe politica.

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