Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono
L’On. Giorgia Meloni, nel recente Question Time, ha ribadito la sua contrarietà all’utilizzo del Meccanismo di Stabilità Europeo ed ha lasciato nel vago i tempi di ratifica del Trattato, malgrado l’Italia sia rimasta l’unico Stato a non averlo ratificato.
Ma cosa si cela dietro questa scelta?
Non certo preoccupazioni di inesistenti conseguenze, se perfino Tremonti, del suo stesso partito, ha escluso l’esistenza di qualsivoglia rischi paventati nel passato per l’Italia, che sono stati totalmente rimossi con la radicale modifica del MES che, appunto, essendo oggi altra cosa, impone l’esigenza di una nuova ratifica.
E poi, basta leggere il dossier per verificare come funziona adesso il meccanismo di stabilità e per prendere atto della totale inesistenza di pericoli simil Grecia.
L’unica condizione è che i fondi concessi vengano usati per spese sanitarie dirette e indirette, rafforzare la sanità territoriale, ma anche la prevenzione sanitaria in altri campi, come la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole, e non sono previsti altri vincoli.
L’unico controllo è, prima della concessione del prestito, la valutazione del debito preesistente del Paese da finanziare, che deve essere sostenibile, cosa che l’Italia ha notoriamente avuto riconosciuto; in ogni caso, nella peggiore delle ipotesi, qualora non venisse riconosciuto, l’unica conseguenza sarebbe la mancata concessione del prestito, e la questione finirebbe lì.
Appare quindi evidente che il rifiuto dell’utilizzo del MES sia unicamente la scelta di una posizione ideologica, che è il problema di sempre di questo governo e cioè l’ossessione di caratterizzare ogni atto con il “bollino dell’identità”, anche quando viene meno la causale per invocarla.
Ma si può morire per il feticcio di una presunta posizione identitaria storicizzata, ed oggi sul MES mal riposta? La posizione di contrasto al MES è sempre stata esagerata e strumentale a sostegno della postura euroscettica che caratterizzava il partito del Premier ai tempi dell’opposizione, ma che, almeno in apparenza, sembrava essere stata archiviata in questi mesi di governo.
Vale davvero la pena sostenere un comportamento non certo consono ad un Paese fondatore dell’Unione Europea, che rischia di fare riemergere i dubbi e le preoccupazioni sul reale sentimento di sincera adesione alle logiche europeiste del principale partito di governo, atteso che il grido “mai al MES”, non a caso, in parlamento ha registrato l’unica adesione da parte del Movimento 5 Stelle, che è certamente la compagine politica italiana più euroscettica?
Come si concilia tale posizione e il gravissimo ritardo della ratifica, con l’andare a Bruxelles per la riunione del Consiglio Europeo e chiedere aiuto immediato per la crisi dei flussi migratori, o per insistere sull’esigenza del debito comune per il sostegno delle imprese europee in concorrenza con il resto del mondo?
Il ritardo della ratifica è un atto di ostilità gratuito a tutti gli altri Paesi del Trattato MES, anche perché l’adozione dell’Italia consentirebbe agli altri l’utilizzo immediato, senza alcun obbligo per noi di fruirne.
Ed invece è proprio questo il punto e cioè, davvero l’Italia potrebbe fare a meno delle risorse del MES, almeno come ama ripetere il Premier, fino a quando resterà al governo?
Il punto politico infatti, in base al disastro della nostra sanità, non è tanto la ratifica, ma piuttosto l’utilizzo dei 37-40 Mld di euro, che oggi potrebbero se richiesti e spesi con velocità e intelligenza, riuscire a recuperare le falle mostruose del nostro sistema e consentire di riportare il rapporto dell’assistenza medica e ospedaliera in Italia di nuovo a livelli di civiltà, salvando migliaia di vite umane, altrimenti a rischio.
Per questo il rifiuto di queste somme non è compatibile e sopportabile con lo stato in cui versa la sanità italiana, massacrata da oltre vent’anni da una politica sciagurata, che ha imposto tagli draconiani al settore, impoverito il personale con paghe più basse del 18% in termini di potere di acquisto, riducendo gli operatori sanitari italiani, ad una delle categorie meno pagate del settore d’Europa, al punto di perdere in 10 anni oltre 10.000 medici fuggiti all’estero, priva di programmazione e strategia, con enormi territori ridotti a “deserti sanitari”, con il collasso ormai generalizzato dei pronto soccorso, luoghi ormai ridotti ad inferno dantesco, di eterne attese e violente e continue aggressioni al personale, liste di attesa che tolgono ogni speranza e, di conseguenza, un clima di sconforto generale, ed una sensazione di imminente implosione dell’intero sistema.
Insomma una serie infinita di inadeguatezze che hanno ridotto il settore al punto da essere dichiarato dall’OCSE a rischio tenuta e quanto prima impossibilitato a garantire le cure a tutti.
A fronte di questo scenario, il governo ha fatto poco o nulla, non riuscendo neanche a regolare il problema gravissimo dei “medici a gettone”, che guadagnano molto di più dei medici di ruolo, fino a ben 100 euro lordi l’ora, contro i 52 dei medici di organico, a causa dei vuoti del personale, specie nei pronto soccorso, dove li sostituiscono e spesso senza offrire garanzie di competenza, ovviamente a scapito dei pazienti.
Ma anche con il PNRR il governo non è riuscito a dare granché alla sanità, specie alla medicina del territorio, avendo stanziato un finanziamento di 2 miliardi di euro per le case di comunità e 1 miliardo di euro per gli ospedali di comunità, e cioè ben poca cosa, chiaramente insufficiente a qualsivoglia inversione di tendenza.
E ciò anche alla luce dei rilievi dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha rilevato l’insufficienza dei fondi sia per riequilibrare le disomogeneità regionali, sia per garantire il pagamento del personale, presente e futuro.
Davanti a questo disastro biblico, ed al prezzo esagerato di vite umane pagate per la pandemia, ma anche per carenze della sanità in generale, ciò che c’è da fare è l’esatto contrario di ciò che si è fatto negli ultimi vent’anni, e quindi investire su un maggior numero di medici e infermieri, realizzare più presidi territoriali, organizzare la medicina dei territori, incoraggiare di nuovo i giovani a intraprendere le carriere sanitarie, anche con l’eliminazione dei numeri chiusi per l’accesso all’Università e fornire servizi sanitari veri ai cittadini e, quindi, la priorità è chiaramente uno sforzo eccezionale per il recupero del settore, utilizzando l’unica risorsa possibile che è esattamente il MES, con i suoi 37-40 miliardi a tasso zero per 10 anni, da utilizzare per qualsiasi necessità collegata al settore sanitario, comprese le spese per il personale, oltre che per le strutture, attrezzature e macchinari.
L’Italia lo merita e lo meritano gli italiani, ma soprattutto lo deve il governo che non deve mai dimenticare che la politica è l’arte della soluzione dei problemi di una società e che nessuno ha il diritto di mettere a repentaglio la salute e la vita dei cittadini, per privilegiare logiche strumentali, paventando pericoli inesistenti.
Per tali ragioni il Governo e la sua maggioranza, insieme alle opposizioni, facciano la cosa giusta, e ratifichino immediatamente il trattato del MES e ne utilizzino subito le fondamentali risorse per ricreare una Sanità degna della nostra tradizione, che possa con certezza garantire la salute e la vita degli italiani, in modo efficace, rapido ed equo in tutto il Paese.