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  • Meta: sanzione di 797,72 milioni di euro per pratiche abusive a vantaggio di Facebook Marketplace

    La Commissione europea ha sanzionato Meta con una multa di 797,72 milioni di € per aver violato le norme antitrust dell’UE collegando il suo servizio di annunci classificati online, Facebook Marketplace, con il suo social network personale, Facebook, e imponendo condizioni di transazione non eque ad altri fornitori di servizi di annunci online.

    Dall’indagine della Commissione è emerso che Meta è dominante nel mercato dei social network personali, grande almeno quanto lo Spazio economico europeo (SEE), e anche nei mercati nazionali della pubblicità online sui social media. In particolare, la Commissione ha constatato che Meta ha abusato delle sue posizioni dominanti violando l’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Ha collegato infatti Facebook Marketplace, il servizio di annunci classificati online, con il social network personale Facebook, e ha imposto unilateralmente condizioni di transazione non eque ad altri fornitori di servizi di annunci pubblicitari online che pubblicizzano sulle piattaforme di Meta, in particolare sui suoi popolarissimi social network Facebook e Instagram.

    La Commissione ha ordinato a Meta di porre fine a detta condotta e di astenersi dal ripetere l’infrazione o dall’adottare pratiche con oggetto o effetto analogo in futuro.

  • Preavviso di contestazione della Commissione Ue a Meta

    La Commissione europea ha inviato a Meta le conclusioni preliminari della sua indagine, secondo cui il suo modello pubblicitario “Pay or Consent” non è conforme al regolamento sui mercati digitali. Secondo il parere preliminare della Commissione, la scelta binaria prevista dal modello obbliga gli utenti ad acconsentire alla combinazione dei loro dati personali e non prevede la possibilità di una versione meno personalizzata ma equivalente dei social network di Meta.

    Le piattaforme online spesso raccolgono dati personali attraverso servizi propri e di terzi al fine di fornire servizi pubblicitari online. In considerazione della posizione significativa che occupano sui mercati digitali, i gatekeeper sono riusciti ad imporre alla loro ampia base di utenti condizioni di servizio che hanno permesso loro di raccogliere enormi quantità di dati personali. Ciò ha conferito loro potenziali vantaggi rispetto ai concorrenti che non hanno accesso a una quantità così ampia di dati, creando in tal modo notevoli ostacoli alla fornitura di servizi pubblicitari online e di servizi di social network.

    A norma dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento sui mercati digitali, i gatekeeper devono chiedere il consenso degli utenti alla combinazione dei loro dati personali provenienti dai servizi di piattaforma di base designati e da altri servizi e, se un utente rifiuta tale consenso, dovrebbe essere disponibile un’alternativa meno personalizzata ma equivalente. I gatekeeper non possono subordinare l’uso del servizio o di determinate funzionalità al consenso degli utenti.

    In risposta alle modifiche normative adottate dall’UE, nel novembre 2023 Meta ha introdotto un’offerta binaria “Pay or Consent”, in base alla quale gli utenti dell’UE di Facebook e Instagram devono scegliere tra: i) l’abbonamento, a fronte di un canone mensile, a una versione di tali social network priva di annunci pubblicitari o ii) l’accesso gratuito a una versione di tali social network con annunci pubblicitari personalizzati.

    La Commissione ritiene in via preliminare che il modello pubblicitario “Pay or Consent” di Meta non sia conforme al regolamento sui mercati digitali in quanto non soddisfa i requisiti necessari di cui all’articolo 5, paragrafo 2. In particolare, il modello di Meta: non permette agli utenti di optare per un servizio che utilizzi un quantitativo inferiore dei loro dati personali ma che sia comunque equivalente al servizio che prevede gli annunci pubblicitari personalizzati; non permette agli utenti di esercitare il loro diritto di acconsentire liberamente alla combinazione dei loro dati personali.

    Per garantire il rispetto del regolamento sui mercati digitali, gli utenti che non danno il loro consenso dovrebbero comunque avere accesso a un servizio equivalente che utilizza un quantitativo inferiore dei loro dati personali, in questo caso ai fini della personalizzazione degli annunci pubblicitari.

    Nel corso della sua indagine, la Commissione si è coordinata con le autorità competenti per la protezione dei dati.

    Inviando le sue conclusioni preliminari, la Commissione informa Meta del suo parere preliminare secondo cui l’impresa viola il regolamento sui mercati digitali, senza che con questo venga pregiudicato l’esito dell’indagine. Meta ha ora la possibilità di esercitare i propri diritti di difesa esaminando i documenti contenuti nel fascicolo d’indagine della Commissione e rispondendo per iscritto alle conclusioni preliminari della Commissione. La Commissione concluderà la sua indagine entro 12 mesi dall’apertura del procedimento, che è avvenuta il 25 marzo 2024.

    Se il parere preliminare della Commissione dovesse essere confermato, la Commissione adotterebbe una decisione secondo la quale il modello di Meta non è conforme all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento sui mercati digitali.

    In caso di inosservanza, la Commissione può infliggere ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale del gatekeeper. In caso di recidiva, tali ammende possono arrivare fino al 20%. Nell’eventualità di violazioni sistematiche, alla Commissione è conferito anche il potere di imporre rimedi aggiuntivi, quali l’obbligo per un gatekeeper di vendere un’impresa o parti di essa o il divieto di acquisire altri servizi connessi all’inosservanza sistemica.

  • La Commissione europea avvia un procedimento formale nei confronti di Meta sulla violazione dei servizi digitali

    La Commissione ha avviato un procedimento formale per valutare se Meta, fornitore di Facebook e Instagram, abbia violato il regolamento sui servizi digitali in relazione alla tutela dei minori. A Bruxelles si teme infatti che i sistemi di Facebook e Instagram, compresi i loro algoritmi, possano stimolare dipendenze comportamentali nei minori generando il cosiddetto effetto “rabbit-hole” e c’è preoccupazione sui metodi di garanzia e verifica dell’età messi in atto da Meta.

    L’apertura del procedimento si basa su un’analisi preliminare della relazione di valutazione dei rischi presentata da Meta nel settembre 2023, sulle risposte di Meta alle richieste formali di informazioni da parte della Commissione (sulla tutela dei minori e sulla metodologia della valutazione dei rischi), sulle relazioni accessibili al pubblico e su analisi della Commissione stessa.

    Il 30 aprile 2024 la Commissione aveva già avviato un procedimento formale nei confronti di Meta, in relazione sia a Facebook sia a Instagram, per pubblicità ingannevole, contenuti politici, meccanismi di notifica e azione, accesso ai dati da parte dei ricercatori e per la mancanza di uno strumento efficace di monitoraggio in tempo reale del dibattito civico e delle elezioni fornito da terzi in vista delle elezioni del Parlamento europeo.

  • Chinese hackers used Facebook to target Uighurs abroad, company says

    (Reuters) – Facebook Inc said on Wednesday it had blocked a group of hackers in China who used the platform to target Uighurs living abroad with links to malware that would infect their devices and enable surveillance.

    The social media company said the hackers, known as Earth Empusa or Evil Eye in the security industry, targeted activists, journalists and dissidents who were predominantly Uighurs, a largely Muslim ethnic group facing persecution in China.

    Facebook said there were less than 500 targets, who were largely from the Xinjiang region but were primarily living abroad in countries including Turkey, Kazakhstan, the United States, Syria, Australia and Canada.

    It said the majority of the hackers’ activity occurred away from Facebook and that they used the site to share links to malicious websites rather than directly sharing the malware on the platform.

    “This activity had the hallmarks of a well-resourced and persistent operation, while obfuscating who’s behind it,” Facebook cybersecurity investigators said in a blog post. (bit.ly/3lLi8wY)

    Facebook said the hacking group used fake Facebook accounts to pose as fictitious journalists, students, human rights advocates or members of the Uighur community to build trust with their targets and trick them into clicking malicious links.

    It said hackers both set up malicious websites using look-alike domains for popular Uighur and Turkish news sites and compromised legitimate websites visited by the targets. Facebook also found websites created by the group to mimic third-party Android app stores with Uighur-themed apps, like a prayer app and dictionary app, containing malware.

    Facebook said its investigation found two Chinese companies, Beijing Best United Technology Co Ltd (Best Lh) and Dalian 9Rush Technology Co Ltd (9Rush) had developed the Android tooling deployed by the group.

    The Chinese Embassy in Washington did not immediately return a message seeking comment on Facebook’s report. Beijing routinely denies allegations of cyber espionage.

    Reuters was not immediately able to locate contact information for Dalian 9Rush Technology Co Ltd. A man who answered the number listed for Beijing Best United Technology Co Ltd hung up.

    Facebook said it had removed the group’s accounts, which numbered less than 100, and had blocked the sharing of the malicious domains and was notifying people it believed were targets.

    Reporting by Elizabeth Culliford in New York and Raphael Satter in Washington; Editing by Lisa Shumaker

    Our Standards: The Thomson Reuters Trust Principles.

  • Il potere dei social media

    Cosa pensereste se, entrando in un negozio ove eravate abituati a fare acquisti il proprietario ve lo impedisse e vi cacciasse fuori dicendo che gli siete antipatico perché vi vestite non secondo il suo gusto? E cosa pensereste se nel democratico Paese di cui siete cittadino qualcuno vi dicesse che tutti avranno libertà di parola ma non voi e chi la pensasse come voi?

    È ovvio che reagireste indignati gridando alla dittatura e alla violazione dei più elementari diritti di libertà che credevate garantiti dalle leggi che i vostri rappresentanti avevano votato.

    Ebbene, negli Stati Uniti di oggi accade di peggio.

    Un gruppo di società private si è arrogato il diritto di decidere chi può proporre agli altri le proprie idee e chi ne verrà impedito.  Twitter, Instagram, Facebook, YouTube, Snapchat e altri “social” più o meno connessi hanno deciso che il signor Donald Trump e tutti i suoi simpatizzanti non potranno più avere accesso ai loro servigi. In altre parole non sarà loro concesso di usare questi strumenti per comunicare tra loro o con terze persone.

    Occorre notare che non abbiamo a che fare con un tipo qualunque di società, bensì di strumenti di comunicazione talmente diffusi in tutti gli strati della popolazione da poter essere oramai considerati un vero e proprio sevizio pubblico. Un po’ come il servizio postale. Vi immaginate se qualcuno decidesse che voi non potrete più ricevere o spedire alcuna forma di corrispondenza?

    Il fatto diventa di una enorme gravità quando si considerano tutti i fattori coinvolti:

    1. Il mercato dei social è praticamente oggetto di un oligopolio che può mettere fuori gioco (e lo sta facendo tramite boicottaggi o acquisizioni) ogni tentativo di creare lo spazio per un’alternativa. Per definizione, non possono esserci molti social network poiché il loro scopo è di connettere molti utenti, ognuno dei quali può “consumare” solo un numero limitato di servizi internet di questo tipo.
    2. Donald Trump fino al 20 di Gennaio è ancora il Presidente in carica degli Stati Uniti
    3. Limitandoci solamente a Twitter, i “lanci” di Donald Trump erano seguiti da 80 milioni di persone che, da pochi giorni orsono, non potranno più farlo.
    4. Donald Trump, Presidente o non Presidente, è un uomo politico che aveva deciso (affar suo!) di comunicare con i suoi elettori o simpatizzanti soprattutto attraverso quei servizi di comunicazione.

    Di fatto, dei privati cittadini hanno autonomamente deciso che Donald Trump non ha, e non avrà più, gli stessi diritti di espressione e di libertà di parola di tutti gli altri.

    Rientra tutto questo nell’idea che ci eravamo fatto della democrazia e dello Stato di diritto?

    Le risposte avanzate dai sostenitori di quello che a me sembra un misfatto sono di due tipi:

    1. le parole di Trump sono un invito alla violenza e quindi vanno zittite preventivamente in nome della pace sociale.
    2. anche Twitter e tutti gli altri, così come qualunque testata giornalistica, hanno il diritto di pubblicare o meno interviste, dichiarazioni o commenti che, per qualunque loro insindacabile motivo, giudichino non opportuni.

    Per quanto riguarda il punto b), la differenza per nulla insignificante è che, almeno fino ad ora, anche negli Stati Uniti le testate giornalistiche sono numerose e il loro pubblico conosce sin dall’inizio quale preferire in base alla loro più o meno marcata tendenza politica. Il caso di Twitter e i social network che si presentano come indipendenti e senza vocazione politica è ben diverso poiché, lo si voglia o non lo si voglia, tutti insieme coprono pressoché la totalità del mercato della comunicazione “social”.

    Il punto a) è ancora più delicato. In uno Stato di diritto esiste una magistratura che si presume indipendente e che è titolata, come unica fonte giuridica, a censurare dopo adeguata istruttoria atti compiuti o dichiarazioni rilasciate da un qualunque cittadino. La stessa magistratura è l’unica che, eccezionalmente, può intervenire in modo preventivo al fine di evitare reati. Nessuna legge democratica prevede la concessione di tale diritto a chi non è legalmente autorizzato.

    La magistratura americana a questo proposito è sempre stata molto precisa: la censura è una restrizione alla libertà di parola ed il primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, adottato nel 1791, la garantisce. Perfino il Governo Federale e i Governi dei vari Stati non hanno il diritto di censurare l’espressione dei singoli cittadini. Quando, nel 2019, Trump chiese di bloccare l’accesso ai commenti sul suo account Twitter, una Corte d’Appello Federale gli negò il diritto di farlo, proprio invocando la libertà di espressione prevista dal primo emendamento. È pur vero che In un atto del 1996 (Communication Decency Act, paragrafo 230) la legge stabilì che i social network sono autorizzati a limitare l’accesso a contenuti che loro stessi considerano osceni o offensivi ma in un “Counteracting Internet Censorship” del maggio 2020 tale autorizzazione viene limitata a pubblicazioni piratate o se relative ad abusi sessuali sui minori. Inoltre, gli stessi network sono esentati dalla responsabilità civile per i contenuti che gli utenti vi pubblicano limitando proprio a costoro le conseguenze civili e penali dei loro atti.

    La questione riguardante la censura preventiva e la difesa della libertà d’espressione è stata, negli ultimi mesi, oggetto di una diatriba tra Repubblicani ed i Democratici. Questi ultimi, in spregio al loro stesso nome, chiedono di aumentare la responsabilità dei social network verso ciò che pubblicano e quindi di concedere loro un diritto censorio perfino maggiore. Tuttavia, detto ciò, sia i Repubblicani che i Democratici hanno sostenuto al Congresso e al Senato che i più grandi social network sono “oggettivamente” un oligopolio ed è cominciata la discussione sulla possibilità di obbligare le società più grandi a spezzettarsi, così come fu fatto agli inizi del ‘900 nei confronti dei giganti del petrolio. L’accusa bipartisan è di manipolare, con accordi sotterranei, i prezzi della pubblicità, confermando così la mancanza di libera concorrenza in quel tipo di mercato.

    Considerando la loro posizione dominante, se fosse confermato il diritto dei social network a decidere autonomamente cosa sia legittimo e cosa no, chi autorizzare e chi censurare, si realizzerebbe di fatto qualcosa di molto simile a quel controllo totalizzante ipotizzato in modo preveggente da George Orwell nel suo famoso “1984”. La sola differenza, che rende la cosa perfino peggiore, è che in quella anti-utopia chi controllava i cittadini era un Governo. In questo caso il potere apparterrebbe invece e solamente a un piccolo gruppo di arricchiti che potrà così controllare il mondo.

  • Facebook testa in Brasile i pagamenti via Whatsapp

    WhatsApp ha lanciato ufficialmente il suo sistema di pagamenti tramite app. Si comincia dal Brasile ma presto il sistema verrà esteso ad altri Paesi, ha annunciato Mark Zuckerberg. Dal 15 giugno il servizio di messaggistica di proprietà di Facebook mette a disposizione degli utenti brasiliani un servizio di pagamenti e scambio di denaro. Saranno loro quindi i primi tester della nuova tecnologia. “Stiamo rendendo l’invio e la ricezione di denaro facile come la condivisione delle foto”, ha scritto il fondatore di Facebook sul suo profilo ufficiale. “Stiamo anche consentendo alle piccole imprese di effettuare le vendite direttamente all’interno di Whatsapp”, ha aggiunto.

    Lo scambio di denaro su Whatsapp, che attualmente conta circa 2 miliardi di utenti nel mondo, userà la tecnologia già sviluppata da Facebook Pay, in uso dallo scorso novembre in alcuni Paesi tra cui Stati Uniti e Gran Bretagna. “Voglio ringraziare tutti i nostri partner per aver reso possibile tutto questo”, ha aggiunto Zuckerberg. “Stiamo lavorando con le banche locali, tra cui Banco do Brasil, Nubank, Sicredi e Cielo, il principale processore di pagamenti per i commercianti in Brasile. Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti in WhatsApp. Ne arriveranno presto altri”, ha annunciato nel post.

    In un blogpost sul proprio sito ufficiale, Whatsapp precisa inoltre che il servizio di pagamento sarà gratuito per i consumatori (non richiederà quindi commissioni), ma le aziende pagheranno una tassa pari al 3,99 percento di ogni pagamento ricevuto. Prima di lanciare ufficialmente in Brasile, Facebook ha provato a testare Whatsapp pay in India, ricevendo però diversi freni dalle autorità locali.

  • L’UE intensifica la lotta alla disinformazione ma per Facebook è un limite alla libertà di espressione

    Facebook mette in guardia utenti e non solo sul rischio di libertà di espressione perché l’Unione Europea sta attuando misure per fermare le campagne di disinformazione sulle piattaforme online.

    Secondo Nick Clegg, vicepresidente per gli Affari generali di Facebook, nel mondo online quello che poteva essere considerato un discorso accettabile si è ristretto negli ultimi anni erodendo la libertà di espressione.

    Facebook, stando sempre alle parole del manager, sta facendo attenzione a non oltrepassare la linea sottile tra il divieto di disinformazione e la soppressione della libertà di espressione.

    Le altre piattaforme social si sono già impegnate a vietare la pubblicità politica, tuttavia, Facebook ha finora resistito.

    Si prevede che l’UE, che ha istituito un gruppo sulla libertà dei media per valutare il problema, delineerà il suo piano d’azione per la democrazia con misure per la lotta alla disinformazione, consentendo nel contempo elezioni libere ed eque.

    All’inizio di questo mese, intanto, Facebook ed eBay si sono impegnate a rimuovere account, pagine e gruppi coinvolti nel commercio di recensioni false.

  • Facebook metterà il suo nome accanto a WhatsApp e Instagram

    Presto i nomi ufficiali di Instagram e Whatsapp, entrambi posseduti da Facebbok, diventeranno Instagram from Facebook e WhatsApp from Facebook, affinché chiunque capisca chi ne è il titolre.

    «Vogliamo essere più chiari per quanto riguarda i prodotti e i servizi che fanno parte di Facebook» ha spiegato l’azienda, ma la scelta di cambiare la denominazione pare aver creato sorpresa e confusione nei dipendenti. Perché infatti cambiare il marchio di un servizio molto noto e popolare, col rischio che cambi anche la percezione degli utenti (magari in peggio)?

    Facebook non gode di ottima fama per quanto riguarda il rispetto della privacy degli utenti e menzionarne il nome rischia di risultare non troppo gradito a quanti finora non sapevano che  Instagram e WhatsApp fanno capo ad esso. Secondo alcuni commentatori, potrebbero essere però proprio motivi legati alla privacy la base per questa mossa: Facebook, in questo modo, starebbe cercando di mostrare alle varie autorità che si occupano di tutelare i dati degli utenti che non ha alcuna intenzione di nascondersi dietro marchi certamente noti ma apparentemente non legati al social network in blu. D’altra parte, è anche possibile che si tratti semplicemente di un’ulteriore parte del piano che porterà gli account Facebook, Instagram e WhatsApp a essere sempre più integrati tra loro, un’operazione sulla quale Facebook non ama sbilanciarsi troppo, almeno pubblicamente.

  • I like via facebook devono rispettare le norme della Ue sulla privacy

    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso che chi gestisce siti web nei quali si possano utilizzare funzioni tipo il Like di Facebook «può essere congiuntamente responsabile con Facebook della raccolta e della trasmissione dei dati personali dei visitatori del suo sito». Anche se è Facebook a fornire il codice de pulsante ed è ancora Facebook che alla fine gestisce i dati, il gestore del sito che ospita il pulsante viene considerato corresponsabile del trattamento dei dati e della tutela della privacy di chi utilizza quel pulsante.

    La sentenza è giunta in seguito all’azione intrapresa dall’associazione tedesca di consumatori Verbrauchenzentrale NRW nei confronti dell’impresa di abbigliamento Fashion ID. Oggetto del contendere era proprio il pulsante Mi piace presente sul sito di Fashion ID tramite il quale, secondo l’associazione, venivano trasmessi a Facebook i dati personali dei visitatori «da un lato – ha stabilito la Corte – senza il consenso di questi ultimi e, dall’altro, in violazione degli obblighi d’informazione previsti dalle disposizioni relative alla protezione dei dati personali».«Risulta – si legge ancora nella sentenza – che tale trasmissione avviene senza che il visitatore di cui trattasi ne sia consapevole e indipendentemente dal fatto che egli sia iscritto al social network Facebook o che abbia cliccato sul pulsante “Mi piace”».

    Per i proprietari dei siti si prospetta ora un nuovo obbligo, seppure la Corte riconosca che, dopo che i dati sono stati trasmessi a Facebook, il sito di partenza non ha più alcuna responsabilità.

    Commentando la vicenda, Facebook ha fatto sapere che studierà la sentenza e farà in modo che i suoi plugin non ledano i diritti degli utenti, preservando al tempo stesso le funzionalità care ai siti, ossia ottenere visibilità sulla piazza più frequentata del web.

  • Cervello umano e computer potranno interagire

    La telepatia tra uomo e computer potrebbe divenire realtà e il secondo potrebbe scrivere le parole che il primo vuole scrivere senza bisogno di pronunciarle, ma solo pensandole. Facebook e prima ancora Elon Musk si erano prefissi da tempo l’obiettivo di consentire a chi non può più esprimersi attraverso la voce di poter trasformare il proprio pensiero in un testo scritto, ora uno studio dell’Università della California ha dimostrato che progetto è realizzabile.

    Una ricerca condotta con l’aiuto di tre persone affette da epilessia, cui erano già stata impiantati nel cervello alcuni elettrodi per monitorare l’attività cerebrale ha consentito ai ricercatori di visualizzare le parole pensate dai tre soggetti.

    La ricerca si è avvalsa di elettrodi sui tre soggetti e anche il progetto di Elon Musk prevedeva un intervento chirurgico, Facebook punta invece a connettere cervello e computer senza interventi invasivi. Mark Chevillet, dei Facebook Reality Labs, prevede che serviranno almeno altri 10 anni per completare il lavoro: “E’ un programma a lungo termine”.

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