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  • La Cina cede due ferrovie a Etiopia, Gibuti e Kenya, la Germania privatizza per rinnovarle

    Il governo della Cina sta cedendo il controllo di due importanti linee ferroviarie africane, realizzate nell’ambito della Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri), ai governi di Etiopia, Gibuti e Kenya. La prima ferrovia ad essere stata ceduta di recente è stata quella tra Etiopia e Gibuti, lunga complessivamente 752 chilometri. Secondo quanto riportato dal quotidiano edito a Hong Kong “South China Morning Post”, gli operatori cinesi hanno rinunciato all’infrastruttura dopo sei anni di attività, così come avrebbero fatto in Kenya, dove oltre il 90 per cento delle operazioni della ferrovia a scartamento standard Mombasa-Nairobi sono state trasferite da China Road and Bridge Corporation (Crbc) alla statale Kenya Railways Corporation (Krc). In vista delle cessioni, le aziende cinesi coinvolte nei progetti Bri stanno formando migliaia di lavoratori in tutta l’Africa, in quello che viene considerato dagli osservatori come un tentativo di Pechino di esportare il suo modello di sviluppo.

    Nel vecchio continente invece lo Stato tedesco, attraverso la banca pubblica Kfw, ha ricavato 2,43 miliardi di euro vendendo azioni della società di telefonia Telekom e vuole investire il denaro nel rinnovamento della rete ferroviaria.

    “Con il ricavato netto lo Stato tedesco rafforzerà il capitale proprio della Deutsche Bahn Ag e amplierà in modo orientato al futuro l’infrastruttura ferroviaria in Germania”, ha dichiarato in una nota il ministero delle Finanze federale.

    La vendita delle azioni ridurrà la quota statale nella Telekom al 27,8 per cento ma, nonostante ciò, anche in futuro il governo federale continuerà ad essere il maggiore azionista dell’azienda.

  • Settecento milioni dal ministero delle Infrastrutture per rinnovare la flotta dei treni italiani

    Settecento milioni per il potenziamento del parco ferroviario regionale: è quanto previsto dallo schema di decreto di riparto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Matteo Salvini. Nello specifico, fa sapere il Mit, si tratta di risorse destinate all’acquisto di treni ad alimentazione elettrica o a idrogeno. Rispetto allo stanziamento totale, 139,3 milioni sono destinati a convogli ad alimentazione di idrogeno, 525 milioni per treni ad alimentazione elettrica e a idrogeno per il potenziamento del parco rotabile per il servizio pubblico regionale ferroviario e 35,7 milioni di euro per materiale rotabile ad alimentazione elettrica per la linea ferroviaria che collega Domodossola al confine svizzero. In particolare, si tratta di 11 treni a idrogeno per un valore di 139.300.000 euro: due in Campania per una spesa di 27,4 milioni, sette in Lombardia per 84,5 milioni, due in Puglia per 27,4 milioni. I 525 milioni di euro serviti per il potenziamento del parco rotabile per il servizio pubblico regionale ferroviario, sono stati equamente distribuiti tra Mezzogiorno e Centro-Nord.

    Nel Sud c’è un investimento di 262,5 milioni per 32 treni. In particolare: in Abruzzo 6 treni per un valore complessivo di 37,19 milioni, per la Basilicata due treni da 18 milioni, per la Campania sette treni da 84,3 milioni, per il Molise 5 treni da 33,5 milioni, per la Puglia 6 treni da 36,2 milioni, per la Sardegna 2 treni da 13 milioni, per La Sicilia 4 treni da 40 milioni. Nel Centro-Nord confermati i 262,5 milioni per 28 treni. In particolare: in Emilia-Romagna 2 treni per 12 milioni, per il Friuli Venezia Giulia 2 treni da 32,1 milioni, per il Lazio 3 treni da 34 milioni, per la Liguria 2 treni da 22,3 milioni, per la Lombardia 5 treni da 32,8 milioni, per le Marche 3 treni da 18,3 milioni, per il Piemonte 2 treni da 17, 6 milioni, per la Toscana 3 treni da 22,4 milioni, per l’Umbria un treno da 14 milioni, per la Valle d’Aosta 2 treni da 25,2 milioni, per il Veneto un treno da 9,3 milioni, per la provincia autonoma di Bolzano 2 treni da 21,7 milioni. C’è anche un investimento da 35,7 milioni per la società subalpina di imprese ferroviarie per due elettrotreni. Grande soddisfazione da parte del vicepremier e ministro Matteo Salvini: “Confermiamo la determinazione ad ammodernare il Paese, con scelte che rispettano l’ambiente senza forzature ideologiche e con buonsenso”.

  • Comincia dalle ferrovie il default della Russia

    Le Ferrovie russe sono ufficialmente in default, la prima vera insolvenza ‘a tavolino’ cui minacciano di seguire altre società e, fra poche settimane, l’intera Russia. Un precedente importante per capire come si comporteranno i mercati – il default più che da mancanza di fondi è causato dall’esclusione dal ‘sistema circolatorio’ della finanza globale – e che ha ramificazioni anche in Italia, visto che fra i creditori di Russian Railways c’è anche Unicredit, con una linea di credito legata alla sostenibilità da 545 milioni di euro.

    Il default, il primo dopo quello, in realtà circoscritto, di fine anni ’90, è ormai quasi dato per certo dopo che alcuni giorni fa l’agenzia S&P Global Rating aveva ufficialmente tagliato il rating a ‘SD’, default selettivo. Anton Siluanov, il ministro delle Finanze di Putin, stamani ha promesso che contro l’insolvenza dello Stato russo “andremo in tribunale, perché abbiamo preso tutte le misure necessarie per garantire che gli investitori ricevano i loro pagamenti”, e ha anticipato che Mosca, dati i tassi ormai proibitivi, rinuncia ad emettere nuovi bond quest’anno. L’insolvenza, più che dalla mancanza di fondi, è causata dall’esclusione di Mosca dalle transazioni in dollari attraverso le banche internazionali, che già nei giorni scorsi aveva intralciato i pagamenti di obbligazioni da parte di Severstal, Chelyabinsk ed EuroChem.

    Le sanzioni occidentali, stavolta, hanno bloccato il pagamento di cedole su un bond in franchi svizzeri di Russian Raiways, che sarebbero dovute arrivare ai creditori il 14 marzo: essendo passati i 10 giorni del ‘periodo di grazia’ il Credit Derivatives Determinations Committee ha fatto scattare i contratti di assicurazione dal rischio insolvenza, con la conseguenza che i creditori dovranno mettersi in coda. I credit-default swap, se misurati sul rischio default della Russia, danno ormai il 99% di probabilità. Un alto funzionario europeo conferma che, dato l’inasprimento delle sanzioni occidentali, “l’effetto sarà quasi sicuramente il default: Mosca non sarà in grado di movimentare i suoi fondi”. La procedura vuole che sia trascorso il periodo di grazia (di un mese) dall’insolvenza, il cui innesco sarebbe il pagamento in rubli di 2 miliardi di dollari su eurobond dovuti mercoledì scorso.

    Un capitolo della guerra scatenata in Ucraina che finora è stato preso con una punta di scetticismo dai mercati: la Borsa di Mosca chiude in calo (-1,37%) in linea con petrolio (3.5%), gas (-3,6% a 100 euro) e acciaio, ma è già tanto che sia aperta. Il rublo cede a 83,25 sul dollaro, ma è lontano dal crollo di marzo, la Borsa di Milano segna -0,28% in un clima di debolezza delle Borse europee. Unicredit (+1,8%) quasi non si accorge delle notizie da Mosca. Ma la probabile sequenza di default aziendali, con sullo sfondo un default sovrano, senza una svolta avrà un impatto. Lo sta già avendo sul piano economico per un Paese che, secondo la Banca mondiale, quest’anno vedrà una recessione dell’ordine di oltre -11%. La Governatrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina, oggi si è affrettata a rassicurare che la Russia ha “sufficienti” riserve in oro e yuan (quelle in dollari ed euro sono in gran parte ‘congelate’ dalla sanzioni) e sarà in grado di tornare a crescere. L’obiettivo è staccarsi progressivamente dalla finanza e dalle riserve in valute occidentali guardando a Est, ma navigare fra le acque di un default, anche se ‘pilotato’ dalle sanzioni, non sarà una passeggiata.

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