Germania

  • Gli italiani guadagnano 15mila euro meno dei tedeschi

    Le retribuzioni italiane restano basse e, anzi, si amplia il divario salariale con altri grandi Paesi Ue, come la Francia e la Germania. Con i francesi la differenza in busta paga supera i 10 mila euro in un anno, ma è con i tedeschi che lo stacco è maggiore e raggiunge i 15 mila euro. A rilevare la stagnazione dei salari ed il gap retributivo in Italia è il rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil, in un confronto con le principali economie dell’Eurozona. Proprio nel giorno in cui la Germania dà il via libera definitivo ad un salario minimo da 12 euro all’ora. Milioni di lavoratori tedeschi ne avranno diritto a partire dall’1 ottobre. La legge è stata approvata dal Bundesrat, il Senato federale tedesco: si tratta di una delle misure cardine del programma di governo, voluta dai socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz. Mentre nel nostro Paese prosegue il dibattito dopo l’accordo sulla direttiva europea per il salario minimo, in attesa che vada avanti l’esame in commissione Lavoro del Senato del disegno di legge che propone i 9 euro l’ora, di cui è prima firmataria l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5s), che ora, dopo l’ok tedesco, sostiene non ci sia più alcun “alibi in Italia”.

    Un tema su cui certamente intervenire, come ribadito dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, secondo cui con la direttiva europea “siamo più forti”. L’obiettivo è “avvicinarci ai Paesi con salari più alti e contenere i fenomeni di dumping salariale”. Come farlo è il nodo da sciogliere tra le forze politiche e sociali, ma certamente la definizione di un salario minimo anche in Italia non potrà che passare per “il dialogo sociale”, ripete il ministro. Mentre le forze politiche restano divise: il M5s in primis insiste sulla necessità di approvare la legge, rimarca il presidente Giuseppe Conte. Obiettivo che il Pd, con il segretario Enrico Letta, auspica si possa raggiungere “prima della fine di legislatura”. Il centrodestra no. Altro tema da affrontare quello delle pensioni: la legge Fornero “va cambiata”, afferma Orlando, per costruire flessibilità in uscita, incidere sui lavori più gravosi e tenere conto del lavoro anche familiare che le donne sono costrette ad affrontare.

    Tra dinamiche occupazionali che vedono l’exploit dei contratti a termine, il proliferare dei contratti ‘pirata’ e i rinnovi da portare a casa cercando di recuperare l’inflazione alle stelle, le retribuzioni italiane segnano il passo. E restano sotto la media dell’Eurozona. In Italia, secondo il rapporto della Fondazione della Cgil, il salario lordo annuale medio, pur recuperando dai 27,9 mila euro del 2020 ai 29,4 mila euro del 2021, rimane ad un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%). Nel 2021, nell’Eurozona si attesta invece a 37,4 mila euro lordi annui (+2,4%), in Francia supera i 40,1 mila euro, in Germania i 44,5 mila euro. Il risultato è che i salari medi italiani segnano così una differenza di 10,7 mila euro in meno rispetto ai francesi e di -15 mila rispetto ai tedeschi. Un andamento negativo su cui influisce anche l’alta percentuale di lavoratori poveri: sono 5,2 milioni i dipendenti (il 26,7%) che nella dichiarazione dei redditi del 2021 denunciano meno di 10 mila euro annui, rileva ancora la Fondazione Di Vittorio. Una “piaga”, dice la Cgil, che va sconfitta combattendo il lavoro precario e rafforzando la contrattazione. Di qui, la posizione sul salario minimo da definire – rimarca – attraverso il Trattamento economico complessivo (Tec) dei Ccnl firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative (come sostenuto anche da Cisl e Uil). Il riferimento al centro della proposta di Orlando, su cui dovrà andare avanti il confronto. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ripete che i contratti dell’associazione “sono tutti superiori” ai 9 euro l’ora previsti dalla proposta di legge sul salario minimo. “Se il governo lo vuole fare, non depotenzi la contrattazione  nazionale”. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, torna invece a sottolineare come l’introduzione sarebbe “uno shock positivo” soprattutto per quei settori che soffrono di più la carenza di manodopera, come il turismo e la ristorazione.

  • Achtung, binational babies: il mercato dei diritti

    Nella maggior parte dei paesi europei sono previsti diritti naturali che vengono limitati o cancellati solo se il titolare di tale diritto ha commesso azioni che ne pregiudicano l’esercizio. Per esempio in una separazione si prevede che il bambino mantenga rapporti significativi con entrambi i rami genitoriali. Tutto ciò è considerato un diritto naturale e dunque non un diritto che debba prima essere acquisito. E’ un diritto che viene sempre riconosciuto e solo in presenza di fatti gravi viene limitato o tolto. In Germania, ancora una volta, la situazione è ribaltata. Il nonno non ha diritto ad un rapporto con il nipote per il semplice fatto di essere il nonno, deve invece dimostrare di essere una persona importante di riferimento per il bambino e soprattutto favorire il suo “bene” per poter acquisire tale diritto. A chiunque racconti che il diritto dei nonni ad avere contatti con i nipoti è fissato nel codice tedesco, chiedo di andarsi a rileggere il testo che presuntamente garantisce questo diritto, precisamente il §1685 del Codice civile tedesco che recita: “(1) I nonni e i fratelli hanno diritto al contatto con il bambino se questo corrisponde al bene del bambino [Wohl des Kindes].” Significativamente questo articolo si intitola “Contatto del bambino con altre persone di riferimento”. Non si parla dunque dei nonni in quanto tali, o in quanto persone facenti parte della stessa famiglia, ma solo di altre persone di riferimento. Tra queste potrebbero esserci anche i nonni, ma non necessariamente. Va poi ricordato che il concetto di bene del bambino [Wohl des Kindes, Kindeswohl] non è definito nei codici tedeschi e deve essere sempre interpretato. Di conseguenza, se già la presenza del genitore non-tedesco è nella quasi totalità dei casi considerata negativa o superflua nella vita e nell’educazione del figlio, a maggior ragione lo saranno i nonni non-tedeschi. Inoltre il fatto di vivere in un altro paese, per esempio in Italia, e di non parlare fluentemente la lingua tedesca costituisce un ulteriore fattore pregiudizievole. Tali nonni non sono “i nonni”, bensì “altre persone di riferimento” che non debbono avere nessun ruolo nella vita del nipote in quanto non favoriscono in nessun modo (lingua diversa dal tedesco e paese di residenza che non è la Germania) il suo bene, così come interpretato nei tribunali, nei codici e in una grande parte dell’opinione pubblica tedesca.

    Sarà utile ricordare che la parola famiglia non è praticamente mai evocata nei testi di legge, se non nei titoli delle varie sezioni del codice civile. I testi riportano espressioni come “altre persone di riferimento”, “comunità domestica”, ma non “famiglia”.

  • Achtung, binational babies: Kindeswohl, il bene del bambino, un film di Franco Angeli

    Questa rubrica si occupa da anni delle ingiustizie subite dai bambini binazionali in Germania e dai loro genitori. Il sistema familiare tedesco, controllato dallo Jugendamt e dai suoi collaboratori interni ed esterni (psicologi, controllore del procedimento, controllore delle viste, ecc…) arriva a cancellare il genitore non-tedesco dalla vita del bambino, privando quest’ultimo della sua parte di identità italiana, e non-tedesca in genere, e di ogni diritto fondamentale. Nel 2012 la casa editrice Rizzoli pubblicò un libro, Non vi lascerò soli, scritto da Marinella Colombo. Poiché la “giustizia” italiana non solo l’aveva arrestata e incarcerata su richiesta tedesca, ma le aveva anche comminato il divieto di comunicazione (ciò che non viene fatto nemmeno con i boss mafiosi), il libro non è arrivato come avrebbe dovuto al grande pubblico. Livia Bonifazi (attrice) e Franco Angeli (regista) lo hanno però letto e hanno contattato Marinella Colombo. E’ nata una collaborazione e un’amicizia che ha portato alla realizzazione prima di una pièce teatrale e poi di un film, quello di cui si vede qui il manifesto. Il film sarà presentato al Bifest di Bari il 28 marzo fuori concorso e speriamo di poterlo poi vedere in tutti i cinema d’Italia.

    A conclusione riportiamo le note di regia di Franco Angeli: “Kindeswohl, il bene del bambino vuole essere un film di impegno civile. Ma come mettere questo materiale in un film? Come per lo spettacolo teatrale, mi sono letteralmente aggrappato alle parole. Dovevamo raccontare, dovevo raccontare, affidandomi alle parole. È la vita di Marinella Colombo, quella che viene ricostruita, che prende forma, in questa stanza buia, chiusa e soffocante. È la spiegazione di un sistema che opprime, rinchiude e toglie il fiato. Al di là dell’incompatibilità delle diverse leggi riguardanti i diritti di famiglia degli Stati dell’Unione Europea, la domanda che mi sono sempre posto, e credo sia una parte drammaticamente interessante di questa storia, è: cosa sei disposto a fare, cosa sei disposto a rischiare, per riavere i tuoi figli?”

    Il trailer del film della Panama film è visibile cliccando su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=twhFERaWV0w&ab_channel=FrancoAngeli

  • Achtung, binational babies: il padre, il padre-sociale e il postino

    Riproponiamo un articolo pubblicato nel giugno del 2014, per comprendere la ragione di questa ripetizione, leggete fino alla fine.

    Succede ogni giorno decine di volte, nel cuore dell’Europa teoricamente senza frontiere, ma con una barriera attorno alla Germania, dove i bambini entrano, ma non ne escono mai.

    Ecco una delle tante vicende e dei tanti genitori al fianco dei quali mi sto battendo.

    Una donna tedesca si trasferisce in Italia, dove trova lavoro. Conosce un ragazzo italiano. Dopo un certo periodo di fidanzamento, quando hanno ormai deciso di sposarsi, lei resta incinta. Grande gioia di entrambi, acquisto della casa e progetti per il futuro. Lei dice di voler partorire in Germania, lui cerca di comprendere e asseconda. Il bambino nasce, ma lei ha intanto deciso che il padre di questo bambino non sarà italiano (peccato che è con un italiano che ha procreato) e dunque glielo lascia riconoscere perché così potrà chiedergli gli alimenti, ma non gli dà la possibilità di avere la potestà genitoriale sul figlio (in Germania è la madre tedesca non sposata che decide tutto ciò, dunque lei sta agendo in perfetta legalità). Poi chiede al padre-italiano-senza-diritti che si era recato in Germania per il parto di sparire.

    Preso atto della penosa situazione, dopo essere stato ingannato da diversi avvocati sia italiani che tedeschi, sia in buonafede (gli avvocati italiani non conoscono necessariamente il codice di famiglia tedesco) che in malafede (gli avvocati tedeschi sono sinceramente convinti che crescere senza contatti con l’Italia, un paese “problematico”, sia la soluzione migliore per il bambino), questo padre intraprende la via del tribunale per riuscire almeno ad incontrare ogni tanto suo figlio, per il quale comunque paga gli alimenti.

    Precisiamo che si tratta di una persona educata e pacifica e che non è né violenta, né affetta da disturbi.

    Mentre spende migliaia e migliaia di euro in avvocati, spese processuali e viaggi (ovviamente di far venire il bambino in Italia non se ne parla neanche), riesce a vedere suo figlio, nell’arco di sei anni, solo una manciata di ore, sempre sotto la supervisione di altre persone. Infatti, essendo lui italiano, potrebbe rapire il bambino, quindi meglio tenerlo d’occhio. Forse superfluo aggiungere che la famiglia italiana è completamente esclusa, così come l’utilizzo della lingua italiana è strettamente da evitare.

    Dopo anni di procedimenti, il suo caso è ancora in prima istanza (quindi molto lontano dal poter adire la Corte per i Diritti umani), sia perché ogni volta che la signora tedesca cambia casa, cambia la competenza territoriale del tribunale e si ricomincia daccapo, sia perché quando il giudice stabilisce un calendario di incontri (tipo un’ora ogni due mesi), una volta esaurite le data indicate, quest’uomo deve ricominciare un procedimento in tribunale per ottenere altre date. Per capirci, il giudice non sentenzia mai stabilendo una volta per tutte, o fino all’accadimento di fatti nuovi, l’intervallo degli incontri, ma scrive invece “dalle ore tot alle ore tot del giorno tale, del tal mese e del tal anno”. Passato quel giorno, si ricomincia da zero. Questo padre deve cioè ogni volta tornare a dimostrare di essere eccezionale affinché gli vengano concessi dei contatti con il figlio. In pratica il contrario del buon senso e della legge di natura: non sono eventuali accuse, vere o false, a togliergli la possibilità di vedere suo figlio; si parte dal principio che la possibilità di incontrare suo figlio lui non ce l’ha e solo se dimostra di essere fantastico, forse gentilmente gli concedono qualche ora.

    Poi la signora tedesca si sposa con un tedesco. A questo punto il bambino ha finalmente un padre (!) sociale, un padre tedesco. Allora il vero padre, per di più italiano, diventa del tutto superfluo. Ma lui insiste, dice di voler bene a suo figlio e il bambino, pur incontrandolo raramente, mostra di essergli affezionato. Soluzione: si dispone una perizia psicologica familiare.

    Non mi soffermo sull’impegno di tempo, risorse e denaro necessari allo svolgimento della perizia (siamo nell’ordine di importi a cinque cifre, ovviamente a carico del genitore non-tedesco), né sul fatto che la signora tedesca non ritenga di doversi sempre presentare, né di ottemperare a quanto disposto dal giudice, lei ha tutti i diritti in maniera esclusiva sul bambino e dunque le si perdona tutto. Passo direttamente all’esito di questa perizia di quasi 100 pagine:

    • il bambino percepisce che la madre non approva che lui instauri una relazione con suo padre [ndr. e d’altronde non gli ha mai permesso di chiamarlo papà]
    • per questo il bambino vive un conflitto di lealtà
    • il conflitto di lealtà crea stress nel bambino
    • per eliminare lo stress del bambino si annulla ogni contatto con il papà italiano per almeno un anno

    Il tribunale nomina allora un intermediario, un estraneo che durante questo anno dovrà parlare del padre al bambino e del bambino al padre, consegnando anche lettere, fotografie e regali;

    anche questo intermediario non ottempera e si rifiuta di conoscere il padre, mentre al padre dice di suo figlio banalità del tipo “pare gli piaccia il gelato”, lui stesso si definisce un semplice “postino”[1];

    avvisato il giudice di questo comportamento da parte dell’intermediario e delle sue non ottemperanze, così come di quelle della madre, il giudice ritiene che vada bene così.

    Ora l’anno è passato, il rapporto padre-figlio è stato finalmente reso inesistente; qualsiasi cosa pensi di volere questo genitore italiano deve ricominciare daccapo, con l’aggravante che, essendo il rapporto con il bambino ormai inesistente, sarà impossibile dimostrare che mantenere i contatti con il papà giovi al bambino.

    Ma deve pagare! Deve pagare gli alimenti, le spese processuali, gli psicologi, e tutti gli altri “personaggi” intervenuti ad allontanare suo figlio. Non è più in grado di far fronte a questi costi, così diventerà anche lui un “criminale” –come tutti coloro che hanno tentato di opporsi a queste ingiustizie- contro il quale verrà spiccato un mandato d’arresto?

    Cosa farà l’Italia a difesa di questi suoi due concittadini, un adulto e un minorenne?

    Questo è quello che succede in Germania ogni giorno centinaia di volte, contro i padri e le madri non tedesche, ma soprattutto a discapito dei bambini binazionali.

    Questo è quello che non posso e non possiamo più accettare, è la palese negazione dei diritti fondamentali e naturali, è l’arroganza fatta legge e sistema, è la distruzione dei valori sui quali -ci hanno fatto credere- avrebbe dovuto essere costruita l’Europa della pace.

    Non possiamo cambiare la Germania, ma possiamo tutelare gli Italiani. Chiedo un impegno ed un incontro a breve con i Ministri degli Esteri e della Giustizia. 

    8 marzo 2022 – Dopo otto anni nulla è cambiato. Il sistema tedesco ha affilato ancor più le unghie e quello italiano è sempre più confuso e cieco.

    Membro della European Press Federation
    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma
    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera
    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

     

    [1]What you still want to know in detail about your son? What should I ask him or his mother at the next meet? I do not think it makes sense that you come to Germany to talk to me. it would change nothing in the situation. I’m just the mailman”.

  • Achtung, binational babies: I segreti dello psicologo e le menzogne teutoniche

    La settimana scorsa abbiamo spiegato come in Germania nelle separazioni binazionali vengono usati alternativamente alcuni stratagemmi, a seconda che la madre o il padre sia il genitore italiano e straniero in genere (qui). In questo articolo desideriamo mostrare come anche l’ascolto del minore non sia un elemento che assicura l’imparzialità delle decisione, o meglio il raggiungimento di quella che dovrebbe essere la finalità nei procedimenti familiari, l’interesse superiore del bambino. L’ascolto, così come avviene in Germania, è un ulteriore strumento di quel sistema per allontanare il bambino dal suo genitore non tedesco. Attenzione dunque ad avvocati e psicologi italiani che pensano di potervi dare dei consigli in questo ambito, potrebbero mettervi in ulteriori difficoltà perché la prassi italiana è completamente diversa. Analizziamo il caso di una perizia disposta dal tribunale. In Italia, oltre al perito nominato dal giudice (CTU o Consulente Tecnico d’Ufficio), è permesso alle parti di nominare ognuna un consulente appunto detto di parte (CTP o Consulente Tecnico di Parte). Il bambino incontrerà i tre consulenti che potranno tra di loro interagire, suggerendo anche le domande da porre. Gli incontri vengono registrati (audio o video) e saranno a disposizione delle parti. In Germania la figura del Consulente di Parte non è prevista, mentre le registrazioni audio e video sono, nella maggior parte dei casi vietate, e comunque mai accessibili alle parti.

    Alleghiamo a riprova la risposta di un perito forense, nominato dal tribunale, che testualmente dice al genitore che chiede tali documenti: “Con riferimento al suo fax del 3 marzo 2020, desidero precisare quanto segue: Come già informato con mia lettera del 16 ottobre 2019, tutti i documenti relativi al suo caso familiare sono già stati distrutti – comprese le registrazioni video e audio.

    Pertanto non possono essere consegnati. Inoltre ogni professionista renderebbe tali registrazioni disponibili solo al tribunale in quanto committente, ma non alle parti coinvolte.

    I dati personali dei suoi figli sono stati trattati nel corso della perizia – lei aveva segnalato il suo consenso a questo proposito. Dopo la conclusione del procedimento peritale, come già detto, i dati sono stati cancellati e non sono stati raccolti altri dati.

    Cordiali saluti (segue timbro e firma)” – Il documento è l’immagine che pubblichiamo:

    In questo modo, con perizie e audizioni completamente segrete e praticamente sempre arbitrarie, si può dare parvenza di legalità a qualsiasi decisione. Se non è possibile motivare la decisione di allontanamento con la nazionalità del genitore è invece estremamente agevole costruire motivazioni apparenti manipolando il bambino con domande suggestive, o addirittura – caso per nulla raro – completare a piacimento le risposte del bambino. Poiché non esiste neppure la trascrizione di quanto è stato chiesto e risposto e solo un riassunto compare nel fascicolo (il riassunto esiste solo se l’audizione è fatta dal giudice stesso e non da un perito) è facile comprendere come, nel riassumere, si possa modificare il senso di ogni affermazione.

    Anche per questo non si può parlare in Germania di “interesse superiore del bambino” (in tedesco, beste Interesse des Kindes) così come tutelato dalle convenzioni internazionali, ma esclusivamente di bene della comunità dei tedeschi attraverso il bambino, ciò che nei documenti tedeschi viene indicato come Kindeswohl. Chiunque sia passato per un tribunale di famiglia tedesco potrà ritrovare questa parola nei suoi documenti, purtroppo quasi sempre tradotta erroneamente in italiano.

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  • Achtung, binational babies: i due pesi del sistema familiare tedesco

    Questa settimana cerchiamo di dare ai nostri lettori un paio di esempi pratici di ciò che succede in Germania ai bambini binazionali, per esempio italo-tedeschi (ma non solo), quando i genitori si separano. Le due categorie da prendere in considerazione sono: mamma italiana/papà tedesco, oppure mamma tedesca/papà italiano. Ovviamente non sorge nessun problema se la coppia si separa ma entrambi gli adulti mantengono il dialogo tra loro e la capacità di svolgere e lasciar svolgere all’altro il suo ruolo genitoriale. Purtroppo è sufficiente che uno dei due non si comporti in questo modo per rompere questo difficile equilibrio. Nella quasi totalità dei casi vengono dunque coinvolte le amministrazioni e le autorità tedesche che portano, nel breve o medio termine, alle situazioni che andiamo ad illustrare.

    La mamma italiana, se anche apparentemente ben integrata in Germania, nel momento in cui si separa è l’elemento straniero che continua a vivere con i figli dopo la separazione. Essa non potrà, proprio perché italiana, crescere i bambini nella più pura mentalità tedesca. Il sistema (Jugendamt – Verfahrensbeistand – Umgangspfleger – Sachverständiger – Giudice) cercherà dunque di costruire qualsiasi tipo di sospetto o accusa contro di lei in modo da allontanarne sempre più i bambini. Superfluo ricordare che le prove sono inutili in un paese in cui è mentalità corrente considerare la mamma italiana una madre non equilibrata e sicuramente con moltissimi difetti. Se il papà tedesco non è in grado o non vuole far passare ai bambini dei bei momenti insieme e i piccoli si rifiutano o non sono particolarmente felici di vederlo scatta l’accusa della madre malevola: se i bambini non vogliono vedere il papà è perché la mamma non li ha preparati ed invogliati a stare con il padre o addirittura li ha manipolati contro di lui. E’ dunque una madre alla quale i bambini vanno tolti. Togliere l’affido o anche la responsabilità genitoriale (già chiamata potestà) è qualcosa che succede con estrema facilità e leggerezza nei tribunali tedeschi. A volte i bambini sono invece davvero manipolati, ma in Germania questa accusa viene sistematicamente usata contro e soltanto contro le madri non-tedesche, anche quando il poco entusiasmo dei figli non è dovuto a manipolazione materna, ma a gravi problematiche paterne. Abbiamo fascicoli riguardanti bambini chiusi dal papà per tutto il giorno in bagno, o con papà apertamente e ufficialmente tossicodipendenti e che per questo motivi registrano difficoltà nel rapporto con il genitore tedesco, ma per questa stessa difficoltà vengono tolti alla mamma non-tedesca. Ben diversa, anzi diametralmente opposta, è la condizione della madre tedesca. Lei può fare ciò che vuole e può anche manipolare i bambini poiché il genitore da allontanare è il papà non-tedesco. La manipolazione serve al sistema, pertanto non è identificata come tale. Se i bambini non vogliono incontrare il papà italiano, pur in mancanza di qualsiasi motivazione concreta e dell’incapacità del bambino di giustificare il suo rifiuto, gli incontri non ci saranno. Il sistema si appella al Kindeswille, il voler del bambino. Detto volere diventa legge e su di esso si basa la decisione del giudice che cancellerà, non solo ogni incontro, ma anche qualsiasi tipo di contatto, cioè telefonate e messaggi. Spesso il papà italiano non può neanche inviare un regalo o gli auguri di compleanno e di Natale. Per facilitare l’attuazione di questo sistema finalizzato alla realizzazione di un Kindeswohl, cioè di un bene del bambino che coincide con il “benessere della comunità dei tedeschi attraverso il bambino”, germanizzandolo, dobbiamo ricordare come avvengono le audizioni in Germania. La legge vieta qualsiasi tipo di registrazione. Il bambino viene “ascoltato” senza testimoni e senza che domande e risposte vengano fissate in un protocollo e, come ricordato, neppure registrate. Nelle note relative all’audizione (una sorta di riassunto estremamente conciso) che vengono poi inviate alle parti gli autori della germanizzazione posso scrivere ciò che vogliono e possono omettere, come d’uso, il tenore delle domande sempre suggestive. Lo stesso succede con le cosiddette “perizie psicologiche familiari” che altro non sono se non la maniera di fornire al giudice le motivazioni da indicare in sentenza per la cancellazione dei rapporti con il genitore italiano. Nessuna possibilità di contraddittorio, nessun perito di parte, nessuna controperizia ammessa.

    Fate infine attenzione a chi vi dirà “conosco un bravo avvocato che ha aiutato tante mamme”, oppure ” un “ti posso consigliare ottimo avvocato bilingue”. In Germania l’unica domanda preliminare da fare all’avvocato è: “quanti bambini binazionali ha ricondotto al genitore non-tedesco?”. Se la risposta è sincera, difficilmente sarà di vostro gradimento.

    Purtroppo, come ho già scritto, i bambini binazionali sono bambini senza voce e senza diritti.

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  • Achtung, binational babies: bambini germanizzati, economia e conferenza sul futuro dell’Europa

    Questa rubrica si occupa di bambini binazionali e del sistema tedesco che si appropria di tutti loro per germanizzarli. Purtroppo il problema viene spesso circoscritto a quello delle sottrazioni internazionali, mentre la maggior parte delle sottrazioni avviene in territorio tedesco. In quel Paese il genitore non tedesco, in particolare quando si separa, è sistematicamente privato del suo ruolo genitoriale, gli viene impedito di trasmettere lingua e cultura del suo paese e viene ridotto a mero pagatore. In Europa molte associazioni di diversi Paesi si sono avvicinate e lavorano insieme per sottolineare il fatto che non si tratta di un problema italo-tedesco, o franco-tedesco, o polacco-tedesco, bensì del problema che rappresenta il sistema tedesco stesso e la sua peculiarità di esportare tale prevaricazione ben oltre i suoi confini. La finalità di germanizzare i bambini non è solo culturale, come potrebbe in un primo momento apparire, bensì economica. L’Unione europea, che con le sue istituzioni si erge a modello di democrazia, di uguaglianza e di rispetto dei diritti fondamentali, è fino ad ora rimasta sorda a tutti gli appelli, incapace di riconoscere che le più gravi violazioni dei diritti umani avvengono al suo interno. Togliere ad un bambino parte (o interamente) la sua identità è un crimine gravissimo, togliere futuro e risorse economiche ad altri paesi dell’Unione non è da meno.

    Il 18 gennaio l’Associazione “Alienation free zone” di Marsiglia ha diffuso un contributo alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Nel testo si legge: La nostra iniziativa è mossa da una constatazione: la disfunzione istituzionale per cui i meccanismi dell’Unione Europea non sono oggi in grado di preservare la continuità del legame familiare e dunque l’interesse superiore del bambino, che va di pari passo con quello dei genitori. Il legame genitore-figlio è sistematicamente sradicato in alcune giurisdizioni – il bambino è tenuto prigioniero e strumentalizzato per ottenere pagamenti da uno o entrambi i genitori, privati arbitrariamente della loro genitorialità. Un importante tema correlato è quello dell’equità davanti ai tribunali. Riteniamo – continua il comunicato – questo tema centrale e decisivo per la coesione dell’Unione europea, sia nella sua dimensione giuridica che nella sua trasposizione nei campi economico, sociale e/o del mercato del lavoro. Non dimentichiamo che il bambino di oggi sarà la risorsa di domani. Più avanti l’Associazione si chiede anche: La Garanzia europea per l’infanzia sarà, a lungo andare, un’incarnazione dei principi del diritto tedesco che danno alle amministrazioni tutti i poteri di ingerenza nella famiglia e nel rapporto genitori-figli? O sarà in grado di salvaguardare la continuità del legame familiare, così come i diritti dei genitori, quelli di cui godevamo originariamente nelle nostre società non germaniche? I deputati di tutti i partiti vengono poi sollecitati a presentare la seguente interrogazione scritta alla presidenza del Consiglio dell’Unione europea:

    – Quale calendario e quali misure concrete intende adottare il Consiglio dell’UE per porre fine alle discriminazioni perpetrate in nome di una nozione che non può essere assimilata all’interesse superiore del fanciullo: il “Kindeswohl”, in altre parole, “l’interesse superiore della comunità economica tedesca attraverso il bambino“?

    – Come intendono le autorità europee garantire l’esercizio effettivo di una bigenitorialità non discriminatoria a livello dell’Unione europea, mentre oggi questo rimane ancorato al principio di sussidiarietà? Ciò implica la delega dei poteri decisionali a livello federale locale e lascia così libero sfogo all’arbitrio di una rete di organismi istituzionali, politico-amministrativi, ma anche privati e semi-privati che agiscono al di fuori di qualsiasi struttura di controllo; controllo che dovrebbe invece farsi garante anche degli interessi non tedeschi. Sinceramente nutriamo molti dubbi sul fatto che le istituzioni europee e nazionali vogliano davvero riflettere sulle conseguenze di queste germanizzazioni che da decenni non solo non cessano, ma si ampliano in modo sempre più veloce, grazie ad accordi e trattati. Riteniamo però che l’opinione pubblica debba essere informata, che ogni cittadino debba sapere del rischio che corre nel procreare un bambino italo-tedesco e che solo la conoscenza possa aiutarci nell’arginare questa vergognosa deriva.

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  • Achtung, binational babies: “scappa in Germania con il figlio … denuncia alla polizia…”

    Quante volte leggiamo titoli di questo tipo che rimandano ad articoli nei quali si narrano le vicende di genitori italiani la cui compagna/o se ne è andata/o in Germania portando con sé la prole. Si tratta di vicende che sono la premessa a drammi ben più gravi di quelli già tremendi della sottrazione internazionale, perché la Germania tutela così tanto i propri concittadini da arrivare a privare sistematicamente i bambini binazionali della loro identità italiana. In altre parole il genitore italiano – e con lui tutta la sua famiglia – è destinato a perdere ogni contatto con il proprio figlio che dunque finirà per non parlare più neppure la lingua italiana. Peggio ancora, al bambino verrà trasmesso un senso di sospetto e quasi di disprezzo per quel paese e quella cultura che dovrebbero essere invece amati proprio perché parte integrante del proprio essere.

    Ma perché la denuncia alla polizia o ai carabinieri non serve a riportare a casa il bambino e può addirittura essere negativa? Senza entrare in disquisizioni troppo tecniche e giuridiche, basterà ricordare che la denuncia, e dunque il correlato procedimento penale, viene fatta nei confronti dell’altro genitore e dell’illecito commesso, ma non è finalizzata al rimpatrio del bambino. Ed ecco l’errore ulteriore: la legge tedesca non prevede l’estradizione del cittadino tedesco che dichiari di non voler essere estradato! A che pro dunque la denuncia e la successiva richiesta di estradizione se inevitabilmente non produrrà che un diniego? Dovremmo sicuramente chiedere a chi ha firmato a nome del popolo italiano gli accordi sul mandato d’arresto europeo perché lo ha fatto, dato che manca completamente la reciprocità, il cittadino tedesco non viene estradato, quello italiano sì. Ma torniamo al caso concreto. Per il rimpatrio del bambino bisognerà attivare il procedimento civile in Convenzione Aia, o meglio, per i paesi europei, la richiesta di rimpatrio in base al regolamento 2201/2003, al quale hanno aderito sia l’Italia che la Germania. Purtroppo non tutti gli avvocati hanno dimestichezza con questo strumento, ma soprattutto pochissimi sanno come in generale si svolgono le udienze in Germania e in particolare in questo genere di procedimenti. Anche a chi ha contatti con un collega in Germania sarebbe meglio chiedere quanti bambini ha concretamente riportato in Italia.

    A questo proposito, permettetemi di ricordare che, stando alle statistiche ufficiali del Ministero, l’Italia è ai primi posti tra i paesi che inviano i bambini all’estero e tra gli ultimi per bambini riportati in Italia. Tutto ciò al netto del fatto che solo una piccola parte dei casi di sottrazione viene comunicata e registrata dal Ministero. Nei casi che per la statistica si sono conclusi positivamente con un accordo tra le parti è successo in realtà quanto segue. Quando la richiesta di rimpatrio giunge in Germania e il giudice tedesco che deve decidere se rimpatriare il bambino si rende conto che il piccolo – secondo leggi e regolamenti – dovrebbe senz’altro tornare in Italia, si mette allora in moto in maniera più o meno conscia il meccanismo di tutela degli interessi tedeschi e del Kindeswohl, il bene del bambino inteso come sua completa germanizzazione. Tutto il sistema spingerà per una mediazione ed un conseguente accordo. In tale sistema sono inclusi: giudice, Jugendamt, controllore del procedimento (Verfahrensbeistand, falsamente tradotto come avvocato del bambino), avvocati ed eventuale organizzazione di mediazione internazionale. L’accordo prevedrà una autorizzazione al genitore tedesco a rimanere in Germania con il figlio e ampie visite per il genitore italiano. In questo modo la sottrazione viene derubricata e chiusa. Dopo sei mesi la competenza passa ufficialmente al giudice tedesco che, su richiesta del genitore tedesco e con un nuovo procedimento, cancellerà ogni accordo precedente e soprattutto ogni contatto tra il bambino e il suo genitore italiano. Così si concludono moltissimi dei “casi risolti” riportati nelle statistiche ufficiali dei nostri ministeri.

    Membro della European Press Federation

    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma

    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera

    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

  • Von der Leyn: L’Olocausto fu un disastro europeo provocato dall’antisemitismo

    “Il 27 gennaio celebriamo il 77º anniversario della liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau.

    Ricordiamo tutti i sopravvissuti e i milioni di donne, uomini e bambini ebrei uccisi dal regime nazista, insieme a tutte le altre vittime del nazismo. In molte cerimonie in tutta Europa e nel mondo verranno chiamati i loro nomi e saranno ricordate le loro vite.

    Quest’anno ricorre anche l’80º anniversario della conferenza di Wannsee, la riunione che segnò il destino degli ebrei europei. In tale occasione i nazisti si prefissero di rastrellare sistematicamente l’Europa alla ricerca di ebrei, per sterminare il loro popolo.

    L’Olocausto fu un disastro europeo provocato dall’antisemitismo. L’antisemitismo disumanizza il popolo ebraico. Nella Germania nazista questa disumanizzazione ha aperto le porte alla Shoah. Non dobbiamo mai dimenticare.

    In questo giorno, tuttavia, guardiamo anche al futuro. Dopo la guerra l’Europa è stata costruita con promesse di pace. Ma ancor oggi l’antisemitismo sta crescendo nel nostro continente e minaccia la comunità ebraica che ci vive.

    Dall’inizio della pandemia le teorie complottistiche e la disinformazione antisemite si sono propagate rapidamente, sia online che offline. Le persone che sfilano per le strade europee indossando la stella di David paragonando le misure pandemiche al genocidio del regime nazista banalizzano l’esperienza delle vittime della Shoah. La rappresentazione distorta dell’Olocausto alimenta la retorica dell’odio. Ogni europeo deve conoscere i fatti e studiare l’Olocausto.

    Per questo motivo la Commissione europea ha presentato la prima strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica, in cui essa propone oltre 70 azioni concrete intese a contrastare l’antisemitismo online, garantire la sicurezza delle comunità ebraiche, creare una rete di siti “in cui si è consumato l’Olocausto” e raggiungere il grande pubblico con riflessioni su una cultura della memoria in Europa.

    Il fulcro della nostra azione è garantire che gli ebrei in tutta Europa possano vivere la loro vita conformemente alle loro tradizioni religiose e culturali. Perché l’Europa potrà prosperare solo quando potranno farlo anche le sue comunità ebraiche e perché la vita ebraica è parte integrante della storia e del futuro dell’Europa”.

    Il 5 ottobre 2021 la Commissione ha presentato una strategia sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica per sostenere i paesi dell’UE e la società civile nel contrastare l’antisemitismo. La commemorazione dell’Olocausto è un pilastro essenziale delle iniziative tese a garantire che nessuno di noi dimentichi mai la nostra storia.

    Per la prima volta, il 27 gennaio 2022 la Commissione europea illuminerà la propria sede, l’edificio Berlaymont, con la scritta #WeRemember, aderendo alla campagna organizzata congiuntamente dal Congresso mondiale ebraico e dall’UNESCO in memoria delle vittime della Shoah.

    Per sensibilizzare l’opinione pubblica e contrastare la rappresentazione distorta dell’Olocausto, la Commissione ha lanciato e continua a condurre la campagna #ProtectTheFacts insieme all’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), all’UNESCO e alle Nazioni Unite.

    Nel 2005, con la risoluzione 60/7 sulla memoria dell’Olocausto, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 27 gennaio come Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto. Il 27 gennaio 1945 le forze alleate liberarono il campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

    La risoluzione esorta ogni paese membro delle Nazioni Unite a onorare la memoria delle vittime dell’Olocausto e a incoraggiare lo sviluppo di programmi educativi sulla storia dell’Olocausto, al fine di prevenire futuri atti di genocidio. Chiede inoltre di preservare attivamente i siti che fungevano da campi di sterminio, campi di concentramento, campi di lavoro forzato e prigioni nazisti durante l’Olocausto.

    Il 21 gennaio le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione volta a combattere la negazione dell’Olocausto e a esortare gli Stati membri e le imprese dei social media a contribuire alla lotta contro l’antisemitismo.

    Fonte: Commissione europa

  • Swisscom e Deutsche Telekom: i modelli liberali contemporanei

    A poche giorni dalla manifestazione di interesse del fondo statunitense Kkr per il 100% di Tìm si cominciano a vedere le reazioni della nostra classe politica, sindacale ed intellettuale.

    Negli anni ‘90 Telecom fu considerata una delle migliori aziende di telecomunicazione ma il governo d’Alema con il ministro Letta (attuale segretario del Pd) diedero parere favorevole alla Opa di Colaninno e Gnutti completamente a debito. Da allora la società è stata spogliata prima del vantaggio tecnologico e successivamente, con un nuovo management nella gestione Tronchetti Provera, privata anche del patrimonio immobiliare.

    Un fondo statunitense con uffici a Londra si propone adesso per una acquisizione totale della azienda nella quale Vivendi (azionista francese) detiene la maggioranza ma comunque lo Stato italiano mantiene una presenza con Cassa depositi e Prestiti (CdP) a poco meno del 10%.

    Per valutare le implicazioni di questa operazione e le strategie di ispirazione che hanno portato il principale operatore di telefonia italiano alle soglie di questa Opa potrebbe essere utile proporre un esame comparativo con la prima economia manifatturiera in Europa ed il nostro principale concorrente, la Germania, ma anche con la vicina Svizzera come unica espressione di democrazia diretta e reale economia liberale.

    Nella prima economia europea le infrastrutture tedesche fisiche (autostrade) e tecnologiche (Deutsche Telekom) rimangono all’interno della gestione pubblica, ovviamente con delle necessarie ed evidenti specificità. Nel settore delle telecomunicazioni le forti tensioni concorrenziali sulle tariffe come i notevoli investimenti tecnologici per il continuo aggiornamento richiedono delle risorse e delle competenze alle quali lo Stato tedesco attinge anche con l’apporto di altri soci privati. Rimane, tuttavia, il controllo della maggioranza relativa in mano allo Stato tedesco quanto il potere di indirizzo dell’ex monopolista tedesco.

    Nella vicina Svizzera Swisscom rappresenta la principale società di telecomunicazione ed il 51% è posseduto dalla Confederazione Elvetica (CH). Delle gestione delle autostrade, poi, si è già abbondantemente parlato in passato ma va ricordato  come il controllo “statale”  di queste infrastrutture risponda allo logica di una visione avveduta dei diversi governi germanico e svizzero i quali li hanno preservati e mantenuti in quanto consapevoli della loro  importanza come fattori competitivi per le imprese tedesche nella competizione globale, quindi rendendoli di fatto non disponibili a operazioni finalizzate al trasferimento di monopoli ad interessi privati speculativi.

    Nel nostro Paese, invece, governato da oltre trent’anni da intere compagini politiche, dirigenti ed accademiche autodefinitisi ispirate dal modello “liberale”, le autostrade, o meglio le loro concessioni, sono state oggetto di “privatizzazioni” compiacenti che hanno portato nel solo giro di poco meno di un ventennio alla riduzione degli investimenti in manutenzione del 98% creando di conseguenza le condizioni perfette per la tragedia del ponte Morandi.

    Tornando alla vicenda Telecom, nella quale l’unica presa di posizione del “mondo liberale” emersa fa riferimento alla sospensione del golden power, questa dimostra un sostanziale ritardo nella elaborazione di un pensiero liberale contemporaneo. Chissà che nel prossimo futuro non si decidano di fare un giretto nella vicina Svizzera e magari apprezzino il modello gestionale della rete autostradale (la famosa Vignetta) o in Germania, dove le autostrade restano gratuite e la gestione delle infrastrutture comunicative risponde alle logiche degli interessi collettivi del Paese in considerazione della loro valenza come fattori competitivi a favore dell’intero sistema paese.

    In Italia, invece, in piena sintonia con il modello “di sviluppo latino-amaericano” i servizi statali ex monopolisti diventano occasioni di speculazione per capitali privati i quali possono operare non solo a danno dell’utenza (43 le vittime del Ponte Morandi) ma anche contemporaneamente dello stesso sistema paese.

    Solo in Italia nella vicenda Tim l’intelligentia liberale si definisce tale solo dal semplice e scolastico richiamo alla eliminazione del golden power*, come se Svizzera e Germania rappresentassero dei modelli economico-politici della ex cortina di ferro, dimostrando, ancora una volta, come non si possa solo pensare di operare in una società liberale solamente in base alla titolarità di un servizio o, meglio ancora, delle infrastrutture  quanto, viceversa, dai parametri gestionali adottati espressione di strategie complesse a medio e lungo termine.

    La definizione di cultura liberale non può più reggersi nel mondo contemporaneo sulle mera dichiarazione della tutela degli interessi del singolo individuo e dei soli valori del mercato ma contestualizzarsi in un sistema economico e politico contemporaneo sempre più complesso che vede spesso nuovi soggetti economici cercare e trovare opportunità di business speculativo.

    La contemporaneità del modello liberale dovrebbe così prevedere a una “sublimazione” degli interessi del singolo cittadino e della propria contemporaneità culturale ed economica e ricevere, di conseguenza, una tutela superiore in contrapposizione agli interessi speculativi dei pochi (come la tutela del Made in Italy).

    Invece dal mondo liberale si ode solo uno scolastico richiamo alla rimozione del golden power della vicenda Tim come risoluzione di una importante partita strategica.

    Una posizione assolutamente non sufficiente in previsione della futura gestione di asset strategici o, meglio, di quello che rimane come nella questione molto importante nel sistema difensivo e della possibile acquisizione estera della Oto Melara, prestigiosa azienda operante nel sistema della difesa.

    Si sente forte la necessità di un salto culturale non solo nel governo quanto anche nelle componenti politiche ed ideologiche una volta faro dello sviluppo ed ora arroccate su posizioni scolasticamente corrette ma ormai obsolete in ragione della stessa evoluzione della complessità del mercato.

    (*) solo in Italia considerato in contrapposizione con la locale visione liberale ma già ampiamente adottato tanto in Europa quanto negli Usa

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