Germania

  • L’opposizione politica tedesca chiede al governo di bandire gli ultranazionalisti Lupi Grigi turchi

    I partiti di opposizione tedeschi hanno sollecitato il governo a bandire i Lupi Grigi della Turchia, gruppo ultranazionalista affiliato agli alleati politici del presidente Recep Tayyip Erdogan.

    A farsi promotore della richiesta Sevim Dagdelen, presidente del gruppo parlamentare tedesco di sinistra (Die Like) che invita a sostenere la decisione presa nei giorni scorsi dalla Francia di bandire i Lupi Grigi perché fautori della teoria della cospirazione anti-armena del governo turco. Die Linke chiede lo scioglimento della Federazione delle associazioni degli idealisti democratici turchi (ADÜTDF) – l’organizzazione ombrello dei gruppi ultranazionalisti turchi nel paese respingendo le affermazioni di Erdogan, secondo cui il gruppo è un “prodotto di fantasia”, e sottolineando che comprende circa 170 associazioni e 7.000 membri.

    Anche il parlamentare del Partito dei Verdi Cem ozdemir ha etichettato l’ADÜTDF come la più grande organizzazione estremista in Germania, che conta fino a 20.000 membri.

    La richiesta è trasversale perché anche il partito di estrema destra tedesco, l’Alternativa per la Germania (AfD), ha chiesto di mettere al bando il gruppo, sostenendo che i lupi grigi sono “la brigata estremista di Erdogan”.

    L’invito arriva meno di una settimana dopo che la Francia ha sciolto i Lupi Grigi perché incitavano all’odio e alla violenza, la richiesta era stata precedentemente espressa nel 2018.

    All’inizio di ottobre, il governo tedesco aveva detto che avrebbe pianificato una legislazione per vietare i simboli e i gesti del gruppo dei Lupi Grigi e in particolare il saluto della mano “wold”, etichettandolo come un reminiscenza del saluto nazista.

    Il gruppo dei Lupi Grigi è affiliato al Partito del Movimento nazionalista turco (MHP) di Devlet Bahceli, che ha un’alleanza politica con il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) di Erdogan. I Lupi Grigi sono considerati l’ala militante dell’MHP.

  • Dittature abbattute e da abbattere

    È nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature.
    Visconte Alexis de Tocqueville

    Era il 9 novembre del 1989. Proprio trentuno anni fa si abbatteva il muro di Berlino. Si abbatteva il famigerato simbolo delle dittature comuniste. Ormai è pubblicamente noto quanto accadde durante quel giorno a Berlino. Era Günter Schabowski, l’allora ministro della propaganda della Repubblica Democratica tedesca (DDR) a cui fu dato il compito di dichiarare la decisione presa dal politburò del partito. Decisione secondo la quale i cittadini potevano attraversare il confine che divideva le due Germanie. Confine che il muro di Berlino delimitava. Alla domanda dell’inviato ANSA sull’apertura dei posti di blocco in diversi punti del Muro, il ministro rispose “…Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente”. La notizia si diede in diretta televisiva. Ci volle poco che i cittadini del Berlino Est, avendo seguito la dichiarazione del ministro della propaganda, corressero subito verso il Muro. Le guardie, non essendo state avvertite in tempo, comunque non potevano opporsi a quella inarrestabile onda umana ed aprirono i punti di controllo. Finalmente, dopo ventotto anni (la costruzione del muro iniziò il 13 agosto 1961; n.d.a.), i cittadini berlinesi potevano andare liberamente dall’altra parte. Quel 9 novembre 1989 segnò l’abbattimento simbolico del Muro di Berlino. Proprio quell’abbattimento che il 12 giugno 1987 il presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan chiese a distanza a Michail Gorbačëv, Segretario Generale del Politburò dell’Unione Sovietica, davanti alla Porta di Brandeburgo, a Berlino Ovest. Erano provvidenziali e rimarranno nella memoria pubblica quelle parole pronunciate da Regan. Rivolgendosi a Gorbačëv disse: “Se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e per l’Europa orientale, se cerca liberalizzazione, venga qui a questa porta. Signor Gorbačëv apra questa porta! Signor Gorbačëv, signor Gorbačëv, abbatta questo muro!” (Tear down this wall! – Abbatta questo muro!). Quelle erano parole che tuonarono forti e saranno ricordate a lungo. Quella richiesta e quella sfida diretta si realizzarono due anni dopo, proprio il 9 novembre 1989! In seguito cominciò un processo inarrestabile che sancì l’abbattimento dei sistemi autoritari e dittatoriali costituiti in tutti i paesi dell’Est europeo, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Quella data, il 9 novembre 1989, sarà ricordata sempre come una delle più importanti e significative date del ventesimo secolo.

    L’Albania è stato l’ultimo Paese dove, nel dicembre del 1990, con le proteste degli studenti di Tirana, cominciò finalmente l’abbattimento della dittatura comunista. Ed, a confronto delle altre, era la dittatura più spietata, fatti storici e realtà vissute e drammaticamente sofferte alla mano. Cominciò allora in Albania il periodo della difficile transizione verso un sistema democratico. Ma nessuno allora avrebbe pensato che quel processo di transizione durasse così a lungo. Perché purtroppo rimane ancora un processo in corso, essendo l’Albania considerato come un Paese con una “democrazia ibrida” dalle istituzioni internazionali specializzate. In realtà sta accadendo ben peggio. Sì, perché da alcuni anni risulterebbe che in Albania si stia restaurando e consolidando una nuova dittatura. Una dittatura sui generis, che la propaganda governativa cerca, in tutti i modi, di nasconderla come realtà vissuta e sofferta e di camuffarla dietro delle facciate fasulle di una democrazia in crescita. Ma dati, fatti accaduti e documentati alla mano, risulterebbe che si tratti proprio di una nuova, restaurata e funzionante dittatura, ormai gestita da una pericolosa alleanza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti internazionali. Il che, per certi aspetti, sarebbe anche peggio della stessa dittatura comunista.

    L’autore di queste righe, da anni ormai, ha informato il nostro lettore di una simile preoccupante realtà in Albania. Anche quanto egli scriveva la scorsa settimana era un’ulteriore testimonianza del consolidamento di questa dittatura in azione (Irresponsabilmente determinato nella sua folle corsa; 2 novembre 2020). Si trattava dell’ultimo atto, in ordine di tempo, che testimoniava il continuo consolidamento della nuova dittatura in Albania. Il 29 ottobre il Parlamento, totalmente controllato dal primo ministro, approvò di nuovo gli emendamenti costituzionali e del Codice elettorale, dopo che il presidente della Repubblica non gli aveva decretati. E dopo che anche i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea avevano chiesto al primo ministro di attendere le opinioni della Commissione di Venezia. Emendamenti quelli che potrebbero facilitare al primo ministro la sua corsa verso un terzo mandato. Nel frattempo però, proprio la scorsa settimana, è stata resa nota una proposta di legge, che il governo presenterà in Parlamento nei prossimi giorni. Si tratta di una proposta di legge che riguarda la significativa ed allarmante restrizione dei poteri costituzionali proprio del Presidente della Repubblica, dando quei poteri al Parlamento. Tutto ciò, mentre da più di tre anni ormai in Albania non funziona più [volutamente] anche la Corte Costituzionale. E mentre il primo ministro, in seguito alla “Riforma” del sistema della giustizia, controlla ormai tutto il sistema. Una “Riforma” quella, diabolicamente concepita ed in seguito anche attuata, che adesso permette al primo ministro di controllare personalmente, e/o da chi per lui, tutte le decisioni prese dalle istituzioni “riformate” del sistema di giustizia.

    Nel frattempo però il primo ministro sembra determinato di approvare in Parlamento anche la legge “anti-calunnia”, come a lui piace chiamarla. Una legge fortemente contrastata e criticata, sia dalle organizzazioni locali ed internazionali dei giornalisti che dalle istituzioni dell’Unione europea e dalla Commissione di Venezia. La preoccupazione delle istituzioni internazionali per il contenuto di quella legge è talmente alta che addirittura il Consiglio europeo, nel marzo scorso, lo annoverò tra le 15 condizioni sine qua non poste all’Albania da adempiere, prima dell’avvio delle procedure dell’Adesione nell’Unione europea. Ma visto il sopracitato precedente del 29 ottobre scorso però, le aspettative sono tutt’altro che positive. Quello che è accaduto e sta accadendo in Albania in questi ultimi mesi dimostrerebbe e testimonierebbe palesemente che il primo ministro sta ormai ignorando tutto e tutti, compresi anche i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Lui ha così gettato finalmente anche la maschera del “convinto europeista” e sta proseguendo deciso la sua folle corsa verso un terzo mandato. Perché per lui adesso è indispensabile, è vitale avere un terzo mandato, visto i tanti e innumerevoli scandali milionari. Scandali che sono paurosamente aumentati in questi ultimi mesi, abusando clamorosamente dei soldi pubblici. Il primo ministro però continua indisturbato e incurante di tutto e di tutti. Come il suo “carissimo amico” Erdogan, come il suo simile Lukashenko e come tutti i dittatori del mondo! Se questa non è una dittatura, allora cos’è?!

    Chi scrive queste righe ricorda le parole di Erich Honecker, Segretario generale del Politburo del DDR, dimessosi soltanto il 18 ottobre 1989, tre settimane prima dell’abbatimento del Muro di Berlino. Secondo lui “…Il Muro esisterà ancora fra cinquanta e anche fra cento anni, fino a quando le ragioni della sua esistenza non saranno venute meno”. Esattamente trentuno anni fa, il 9 novembre 1989, cominciò l’abbattimento delle dittature dell’Est europeo. Sono state abbattute ormai quasi tutte. Rimane però ancora da abbattere la nuova restaurata dittatura in Albania. Chi scrive queste righe è fermamente convinto che le sorti del Paese, nelle drammatiche condizioni in cui si trova, le dovono decidere i cittadini. E se ci sarà qualcuno, come Ronald Reagan che nel 1987 chiedeva di abbattere il Muro, il quale possa contribuire per abbattere la nuova dittatura in Albania che ben venga! Ma gli albanesi non devono mai dimenticare che “È nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature.”

  • Con 9 anni di ritardo apre l’aeroporto nuovo di Berlino

    È fatta, certo, ma non poteva accadere in un periodo peggiore: la grande opera incompiuta di Berlino l’aeroporto Willy Brandt, dalla sigla BER, è finalmente entrato in funzione, inaugurato da due atterraggi paralleli di Easyjet e Lufthansa. Dopo 14 anni di lavori di costruzione e innumerevoli rinvii, il momento non poteva essere meno propizio: la pandemia colpisce soprattutto il trasporto aereo, e la piccola cerimonia, in stile Covid, taglierà il nastro ad uno scalo che nasce a mezzo servizio (nelle migliori previsioni).

    Il nuovo aeroporto della capitale tedesca, che sostituirà i due scali di Schönefeld e Tegel, è stato a lungo sotto i riflettori, non solo in Germania. Clamoroso fu l’improvviso rinvio di un’inaugurazione praticamente già pronta, nel 2012, dopo aver già mostrato la nuova struttura alla stampa di tutto il mondo. Difetti tecnici, cui seguirono un mare di polemiche e tante rogne per l’allora sindaco di Berlino, Klaus Wowereit. Con i tempi sono lievitati, inevitabilmente, anche i costi: un investimento di 6 miliardi a fronte di una previsione di 2-3. “Noi ingegneri tedeschi ci siamo vergognati molto”, ammette il direttore generale Lütke Daldrup, citato dalla Welt.

    Ma il nuovo BER si farà perdonare, riuscendo ad accogliere un adeguato numero di passeggeri: quando si tornerà alla normalità prepandemica – le previsioni per il traffico aereo suggeriscono la data del 2024 – l’aeroporto sarà in grado di accogliere 40 milioni di passeggeri in tre dei suoi terminal. I due che sostituisce ne accoglievano fino a 34 milioni.

    Al momento, le compagnie aeree hanno ovviamente ridotto moltissimo l’attività e sono fra le principali vittime dell’impatto economico del coronavirus. Una circostanza che si rifletterà subito anche sui numeri del Willy Brandt, che è entrato in servizio “regolarmente” proprio nel giorno in cui è scattato il semi-lockdown, il 2 novembre. E dunque mentre il governo sconsiglia viaggi nella maggior parte del mondo – anche l’Italia è entrata quasi interamente nella lista dei Paesi a rischio – e vieta i pernottamenti turistici negli alberghi su base federale. Easyjet prevede quindi 180 voli a settimana (fra Tegel e Schonefeld di voli nel 2019 ne offriva 250). E stazionerà qui per ora solo 18 aerei, invece di 34. Lufthansa non ha suoi aerei in questo scalo, e pianifica per ora solo 30 voli al giorno, la metà rispetto ai tempi pre-Covid. La filiale Eurowings, ne prevede 70 a settimana, e Ryanair taglia del 40% l’offerta rispetto all’anno scorso.

    Il sindaco Michael Mueller non si lascia comunque abbattere: “Abbiamo visto con Tegel e Schoenefeld che gli aeroporti guadagnano”, ha detto alla Dpa. Adesso siamo in una fase particolare, ha concluso, “ma quando la crisi sarà superata, il nuovo aeroporto guadagnerà esattamente come quelli vecchi”. Prima però dovrà far rientrare le spese.

  • Berlino accoglierà 1500 migranti dai campi in fiamme della Grecia

    La Germania accoglierà 1.553 migranti da cinque isole greche dopo gli incendi che hanno devastato il campo di accoglienza di Moria, sull’isola di Lesbo, lasciando migliaia senza riparo e nella disperazione più totale. Si tratta di 408 famiglie con bambini che hanno già ottenuto lo status di rifugiato in Grecia, ma che potrebbero anche non provenire dal campo di Moria. A questi si aggiungono 150 minori non accompagnati provenienti invece tutti da Moria e la cui accoglienza era stata annunciata la scorsa settimana dal governo tedesco in una misura condivisa con altri 10 Paesi europei.

    L’annuncio ufficiale di Berlino è arrivato dal vicecancelliere Olaf Scholz dopo la decisione presa dalla cancelliera Angela Merkel in accordo con il ministro dell’Interno Horst Seehofer. “Garantiamo che 1.553 familiari già riconosciuti come rifugiati dalle autorità greche lasceranno le isole” del Mar Egeo per la Germania, ha confermato Scholz. La Francia ha accettato di accogliere 150 minori dal campo di Moria mentre altri Paesi dell’Ue ne prenderanno 100.

    Nel frattempo, il ministro greco della Protezione Civile, Michalis Chrysohoidis, ha annunciato l’arresto di sei migranti sospettati di aver appiccato le fiamme a Lesbo: “Cinque giovani stranieri sono stati arrestati. Si cerca un sesto che è stato identificato”. Gli arresti, ha spiegato poi, “screditano l’ipotesi che ad appiccare il fuoco al campo sia stato un gruppo di estremisti”.

    Circa 800 degli oltre 12mila migranti e rifugiati fuggiti dall’inferno di Moria la scorsa settimana sono stati trasferiti in un nuovo campo, situato a tre chilometri dal porto di Mitilene, capoluogo di Lesbo. Ma la stragrande maggioranza dorme ancora in strada o sui marciapiedi mentre diverse organizzazioni umanitarie cercano di assisterli: l’Unhcr ha già fornito 600 tende familiari, bagni chimici e postazioni per lavare le mani. Le autorità greche affermano che 21 persone nel nuovo campo sono risultate positive al coronavirus e sono state poste in isolamento nel sito temporaneo di Kara Tepe, vicino al campo devastato dal rogo.

    Intanto, il ministro per la Protezione Civile ha annunciato che l’isola di Lesbo sarà svuotata dai rifugiati entro la Pasqua del prossimo anno. “Se ne andranno tutti”, ha assicurato Chrysochoidis. “Dei circa 12.000 rifugiati prevedo che 6.000 verranno trasferiti sulla terraferma entro Natale e il resto entro Pasqua. La gente di quest’isola ne ha passate tante. Sono stati molto pazienti”, ha aggiunto. Moria “era il campo della vergogna”, ha ammesso il ministro. “Adesso appartiene alla storia. Sarà ripulito e sostituito dagli uliveti”.

     

  • Continuano anche in Europa i problemi dei figli minori di coppie binazionali spesso sottratti ad uno dei genitori

    Cristiana Muscardini si occupa del problema dal 2008, senza arrendersi alla triste evidenza di vari governi italiani ed istituzioni europee indifferenti e di fatto conniventi.

    Di seguito la lettera inviata al direttore di Panorama nella speranza che finalmente gli organi d informazione che si dichiarano liberi trovino la forza di risollevare il problema.

    Chi vorrà approfondire la scomoda realtà dello Jugendamt può mettersi in contatto con la dottoressa Marinella Colombo (marinellacolombomi@gmail.com) o scrivere al Patto Sociale (segreteria.redazione@ilpattosociale.it).

    Dott. Maurizio Belpietro

    Direttore Panorama

    Via Vittor Pisani, 28

    20124 Milano

    Milano, 14 settembre 2020

    Egregio Direttore,

    nel numero del 26 agosto Panorama affronta, con coraggio, il problema dei bambini, figli di coppie binazionali, sottratti ad uno dei genitori. Il problema è molto grave perché anche tra Stati membri dell’Unione europea non ci sono reciproche garanzie e norme a tutela dei minori. Nell’articolo si parla di alcuni di questi Paesi europei ma penso sarebbe interessante ed utile che il Suo giornale proseguisse l’inchiesta dopo aver analizzato quanto avviene e continua ad avvenire in Germania dove, tuttora, lo Jugendamt, istituzione nata durante il nazismo, continua ad avere potere assoluto sulla vita ed il futuro di tanti bambini.

    Per diversi anni il Parlamento europeo ha cercato di intervenire sulle palesi violazioni dei diritti dei minori e dei loro genitori non tedeschi ma i risultati non sono stati pari all’impegno e alle diverse denunce presentate alle istituzioni nazionali ed europee. Forse se Panorama volesse approfondire l’argomento ci potrebbe essere la speranza di poter ricominciare ad affrontare un problema che ha causato e causa tanto dolore ed ingiustizia.

    La ringrazio per l’attenzione ed in attesa di conoscere il Suo pensiero La saluto cordialmente

    Cristiana Muscardini 

  • La scellerata politica fiscale del governo Conte

    La Germania nell’ultimo trimestre ha registrato una riduzione del PIL di oltre -10%: un valore decisamente preoccupante per l’economia tedesca ma anche per quella europea in quanto, da sempre, la Germania rappresenta la locomotiva continentale. Basti ricordare quante filiere complesse dell’industria tedesca utilizzino prodotti intermedi e strumentali, espressione delle eccellenze delle PMI italiane.

    Tornando, quindi, alla situazione contingente tedesca, il governo, di fronte a  questa nuova emergenza economica conseguente alla diffusione del covid-19, ha posto in atto una serie di iniziative economiche e fiscali finalizzate sostanzialmente alla creazione di stimoli economici ed ammortizzatori sociali per aziende e lavoratori. La strategia espressa dal governo germanico ha preso forma attraverso una serie di iniziative ed anche attraverso la riduzione del peso fiscale in determinati settori considerati fondamentali o particolarmente colpiti dalla crisi economica in modo da abbassare la soglia economica di accesso a determinati beni o servizi.

    In questa ottica va inserita l’ottima scelta di ridurre l’IVA (dal 19 al 16%) per sei  mesi anche sui carburanti, espressione di un tessuto connettivo per l’economia industriale e nella distribuzione e nel turismo. Un minor costo degli spostamenti*, infatti, grazie alla riduzione dei carburanti rappresenta, soprattutto nella movimentazione delle merci, un incentivo importante fino ad assumere la forma e la sostanza di un vero e proprio fattore competitivo in  una ripresa economica stabile (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-fattore-competitivo/).

    Tornando alla situazione italiana la rilevazione statistica del sistema economico ha individuato invece una discesa del Pil del -12,4%. Il crollo italiano, quindi, viene rappresentato da un +20% rispetto al nostro principale concorrente industriale.

    In questo contesto comparativo una minima comprensione dei principi ispiratori delle scelte della prima economia europea avrebbe dovuto portare il governo italiano a varare delle misure simili se non addirittura  uguali a quella adottate dal nostro concorrente tedesco.

    Sembra incredibile, se non addirittura agghiacciante, apprendere invece l’intenzione da parte del ministro Costa, esponente di punta di questo governo, di togliere le agevolazioni fiscali per il gasolio accrescendo il carico fiscale di oltre cinque (5) miliardi. In un paese nel quale oltre l’80% della merce viaggia su gomma l’aggravio fiscale determinerebbe un aumento dei costi di trasporto e quindi dei prezzi finali innescando una pericolosa spirale inflazionistica. Quest’ultima, sposata alla stagnazione dell’economia, potrebbe innescare le condizioni per una stagflazione causata da fattori endogeni, cioè da una becera ed immonda politica fiscale.

    Il cigno nero (covid 19) rappresenta una situazione assolutamente imprevedibile che richiede competenze ed azioni articolate e complesse per mitigarne gli effetti straordinari.

    L’azione del governo in carica, e del ministro Costa in particolare, risponde invece a  decrepite fissazioni pseudo ambientaliste, espressione di una mancanza di conoscenza della economicità dei motori diesel e che contemporaneamente confermano, ancora una volta, l’arretratezza culturale di questa compagine governativa .

    Ignorare gli effetti delle proprie azioni rappresenta la peggiore forma di ignoranza che diventa dolosa quando diventa espressione del comportamento di una carica pubblica espressione del potere esecutivo.

    (*) Al 3 di agosto il gasolio in Italia alla pompa era a 1.34 €/litro, in Germania 1.13 €/lt, circa -20%

  • La Germania chiede all’UE sanzioni contro gli hacker russi per il cyber attacco al Bundestang nel 2015

    Il governo tedesco ha proposto all’UE di imporre sanzioni agli hacker russi responsabili di un attacco informatico al Bundestag nel 2015. Se la proposta inviata agli Stati membri sarà approvata si tratterà del primo utilizzo del sistema di sanzioni informatiche dell’UE adottato nel 2017.

    Il massiccio attacco alla camera bassa del Parlamento tedesco nel 2015 aveva costretto i suoi sistemi informatici ad essere chiusi per giorni, con l’agenzia di intelligence tedesca che accusava l’intelligence militare russa (GRU) di cyber hacking.

    Si è trattato del più grande atto di pirateria informatica mai realizzato contro il Bundestag e considerato un tentativo di spionaggio e sabotaggio. Circa 16 gigabyte di dati, documenti ed e-mail sono stati rubati dalla rete del parlamento di Berlino, tra cui migliaia di e-mail dall’ufficio di Angela Merkel.

    A maggio, il procuratore generale tedesco ha emesso un mandato di arresto nei confronti del cittadino russo Dmitry Badin, membro del gruppo APT28, sospettato di essere responsabile dell’attacco, mentre il Paese ritiene che sia stato coinvolto anche un hacker del GRU.

  • La forma e la sostanza ora coincidono: Germania alla guida della Ue fino a fine anno

    Nei corridoi di Bruxelles e di Berlino la chiamano già “la presidenza Corona”. Quella della Germania sarà una presidenza del Consiglio Ue “completamente diversa” da quella che era stata programmata inizialmente. “Non sarà certo quella che avevamo preparato: abbiamo dovuto riprogrammare tutto”, ha spiegato alla vigilia una fonte diplomatica tedesca a Bruxelles.

    In ogni caso, per la prima potenza dell’Ue, che per sei mesi avrà la presidenza della Commissione e del Consiglio insieme, la “priorità” sarà “combattere la pandemia” di Covid-19 e le sue conseguenze economiche. Il successo o il fallimento della presidenza della Germania si misurerà su due dossier, che hanno la precedenza su tutti gli altri. Anzitutto, il pacchetto costituito dal Recovery Plan da 750 miliardi di euro e dall’Mff 2021-27, il bilancio pluriennale dell’Ue da 1.100 miliardi. E poi la Brexit che, anche se il Regno Unito è ormai uscito dall’Ue, continua a pendere come una spada di Damocle sul Vecchio Continente, perché alla crisi nera provocata dalla pandemia si aggiunge il rischio di una Brexit dura sul piano economico il 31 dicembre 2020, senza un accordo sulla relazione futura.

    Anche se è la premier più longeva del Continente e anche se la risposta alla pandemia le ha dato nuova forza politica, neppure Angela Merkel ha la bacchetta magica: “Ci sono troppe aspettative per la presidenza tedesca – spiega il diplomatico – se durante la presidenza avremo un accordo sul Recovery Plan e sull’Mff, questo per noi sarà un successo fantastico”. E “se avessimo anche un accordo” sulla relazione futura con il Regno Unito, sarebbe “magnifico”, ma anche in questo caso “bisogna essere in due per ballare il tango”. Per arrivare ad un accordo con Londra “serve maggiore realismo da parte britannica. Se avremo queste due cose, sarà un successo enorme”. Arrivare ad un accordo sul Recovery Plan e sull’Mff 2021-27 “è possibile”, ma “non sarà facile”, spiega il diplomatico. Le principali discussioni, che sono in corso, vertono sulla proporzione di trasferimenti e prestiti, con i Paesi Frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) contrari ai primi, oppure inclini a ridurne l’entità (nella proposta sono 500 mld i trasferimenti e 250 miliardi i prestiti), ma anche sui criteri di allocazione delle risorse che, anche se suonano “tecnici”, determinano “quanto ciascuno prende dalla torta”.

    Si discute anche della condizionalità, cioè sul fatto che “se prendi i soldi fai le riforme”. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel dovrebbe proporre presto una “negobox”, un pacchetto negoziale, dopodiché si discuterà “intensamente” fino al Consiglio Europeo del 17-18 luglio, quando la palla sarà nelle mani dei leader. “Speriamo che sia possibile” arrivare ad un accordo “al più tardi entro la fine del mese”, dice la fonte. Per il diplomatico “ci sono buone possibilità di avere un accordo già il 17-18 luglio. Forse occorrerà arrivare a domenica mattina, ma è possibile. Siamo ottimisti”. Un accordo entro luglio è necessario, perché poi occorre negoziare con il Parlamento, che può bocciare il bilancio. Oggi il presidente della commissione Bilanci del Parlamento Johann van Overtveldt ha avvertito che l’Aula non si lascerà schiacciare da una fretta dovuta ai ritardi del Consiglio.

    Per quanto riguarda invece la Brexit, o meglio l’accordo sulla relazione futura tra Ue e Regno Unito, che a fine anno uscirà da mercato unico e unione doganale, gli scogli sono il “level playing field”, cioè la concorrenza leale, ossia le condizioni alle quali le imprese britanniche potranno accedere al mercato unico, la pesca e la governance, incluso il ruolo della Corte di Giustizia Ue.

    Questi sono i punti “più difficili”, spiega il diplomatico. Ma non dipende tutto dall’Ue, né dalla Germania: per arrivare ad un accordo occorrerà “un approccio più pragmatico e meno ideologico” da parte del Regno Unito. Un’intesa deve essere trovata entro il Consiglio Europeo di ottobre, al più tardi entro l’inizio di novembre, per permettere le ratifiche parlamentari.

    Sul dossier migrazioni, che è diventato “tossico”, è inutile aspettarsi miracoli: “Non riusciremo a chiudere il file – prevede il diplomatico – se riusciremo a mettere un po’ di movimento nella discussione” sarà già un successo, “vista la situazione”.

    Bene ha fatto la Commissione, con una mossa “intelligente”, a rimandare la presentazione della riforma del sistema Ue di asilo a dopo l’accordo sul Recovery Plan. Una volta incassata l’intesa, allora “daremo un’occhiata al dossier, ma non mi aspetto che saremo in grado di chiuderlo”, dice la fonte.

    Mentre si sono già fatti grandi “progressi” sulla legge europea sul clima, sarà più complicato, anche a causa della pandemia, organizzare la conferenza sul futuro dell’Europa. Si pensa ad una soluzione mista, in parte conferenza fisica in parte on line, “forse a Bruxelles e a Strasburgo, forse negli Stati membri”. La conferenza si dovrebbe tenere, ma “quando è difficile da dire”. Se non arriverà una vera “seconda ondata” di Covid-19, potrebbe svolgersi nella “seconda metà della presidenza tedesca, cioè tra ottobre e dicembre. Un altro “tema complicato” che emergerà sarà la digital tax, anche se in vista delle elezioni presidenziali Usa non ci si aspetta una guerra commerciale.

    La presidenza tedesca sarà segnata da difficoltà operative dovute alla pandemia di Covid-19, come già quella croata. Il Consiglio Europeo del 17-18 luglio dovrebbe essere il “primo incontro fisico” nel Consiglio da marzo. Al massimo, gli incontri fisici nel Consiglio potranno essere portati al 30% del livello normale, ma non oltre, a causa del distanziamento sociale. Si rimedia con le videoconferenze che però, per il lavoro diplomatico, non sono l’ideale. “Abbiamo calcolato che sono efficienti il 20% di un incontro fisico”, spiega il diplomatico, perché non è possibile negoziare faccia a faccia, cosa indispensabile per arrivare ad un vero compromesso. Inoltre, “c’è un problema di riservatezza”, dato che la confidenzialità è difficile da garantire nel formato digitale. Persino a livello di capi di Stato e di governo “vediamo che le cose escono sulla stampa in tempo reale”. E questo “è un problema”. Senza contare le difficoltà che tutti hanno sperimentato durante il lockdown, cioè i problemi tecnici, con le disconnessioni, le difficoltà di comunicazione audio, i microfoni che non funzionano, i “can you hear me?”. In ogni caso, “dovremo convivere con tutto questo”. Senza contare che, Dio non voglia, potrebbe arrivare “una vera seconda ondata” e, in quel caso, si dovrebbe ritornare “al punto di partenza”, cioè al formato 100% digitale.

  • Coronavirus: per la Germania necessaria l’unione economica, per la Grecia no a supervisioni da parte dell’UE

    Il presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble, in un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), ha invitato gli Stati membri dell’UE a trovare il “coraggio” di trasformare la zona euro in ‘unione economica’, per rispondere ai bisogni della crisi senza precedenti che si è venuta a creare per gli effetti del Coronavirus. Il presidente del parlamento tedesco ha sostenuto che se l’UE avesse istituito un fondo monetario “prevalente” durante la crisi greca del 2010 oggi sicuramente si sarebbe stati tutti un passo avanti. L’UE infatti ha competenza sulla politica monetaria ma la politica economica è invece una responsabilità nazionale.

    E mentre Schäuble si appella ad un rafforzamento dell’unione economica c’è chi, come il primo ministro greco Mitsotakis, rifiuta il monitoraggio dell’UE nelle operazioni economiche di aiuto per il coronavirus. In un’intervista rilasciata al Financial Times affermato che dopo la crisi “i greci sono maturati molto” e che il paese vuole fare le sue riforme. Non sosterrà perciò il ritorno della supervisione rigorosa e impopolare imposta al suo paese dalla “troika” di funzionari dell’UE, della Banca centrale europea (BCE) e del Fondo monetario internazionale (FMI) come avvenne durante la crisi del debito nazionale. La Grecia farà le sue riforme, una revisione semestrale della performance economica condotta dalla Commissione europea è stata sufficiente e non sono ste necessarie ulteriori rigide condizioni.

  • Urge l’accordo sul Recovery Fund. Lo chiedono Angela Merkel e Ursula von der Leyen

    Angela Merkel e Ursula von der Leyen insieme per sostenere, entro luglio, un rapido accordo sul fondo di risanamento e sul bilancio a lungo termine dell’UE per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia da Coronavirus.

    La cancelliera tedesca e il capo della Commissione europea si sono confrontate virtualmente sulle modalità con le quali uscire dalla crisi. Un incontro non casuale visto che la Germania il 1° luglio ha assunto la presidenza del Consiglio dell’UE. Le due donne avranno sei mesi per promuovere le loro priorità, che sono pienamente allineate: negoziati sul cambiamento climatico, digitalizzazione, resilienza e post-Brexit con il Regno Unito.

    Il pacchetto UE da 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione ha portato a diverse divisioni tra gli Stati Membri con i ‘quattro frugali’, vale a dire Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, a sostegno della fornitura di prestiti che devono essere rimborsati, anziché sovvenzioni, ai paesi colpiti dalla pandemia.

    I leader dell’UE si incontreranno ‘di persona’ il 17 e 18 luglio per un vertice straordinario, nel tentativo di raggiungere un accordo prima della pausa estiva. E la Merkel parrebbe non prendere neppure in considerazione altre opzioni.

    Nella conferenza stampa congiunta dopo la riunione virtuale delle due leader la Presidente von der Leyen ha anche sottolineato che l’erogazione del fondo ha bisogno dell’approvazione dell’europarlamento e della ratifica da parte dei parlamenti nazionali sottolineando anche che, sebbene siano previsti cambiamenti sia nel fondo di ricostituzione che nel quadro finanziario pluriennale (QFP) per le proposte 2021-2027, la costruzione generale non sarà messa in discussione.

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