Germania

  • La differenza tra Germania e Italia? Lufthansa licenzia, Alitalia riceve più fondi delle scuole

    Come a rispecchiare la differenza tra la solidità tedesca e la debolezza italiana, mentre Alitalia ha trovato nel coronavirus l’ennesima boccata d’ossigeno, oltre 3 miliardi di aiuti pubblici (ben più di quanto stanziato per l’istruzione) per evitare il fallimento anche formale oltre che di fatto del vettore, Lufthansa, pure beneficiaria di aiuti pubblici, è pronta a licenziare. Secondo voci raccolte dalla stampa tedesca la compagnia ha in progetto il taglio di circa 26 mila posti su scala mondiale per far fronte alla crisi provocata dal coronavirus.

    La notizia è emersa al termine di un vertice che si è svolto ieri tra azienda e sindacati concluso, come riferisce il sindacato Ufo, con la possibile decisione di arrivare a un taglio complessivo di 26 mila posizioni, di cui almeno 22 mila a tempo pieno. Un taglio, fanno notare i sindacati, che di fatto raddoppierebbe quanto finora previsto sul fronte della riduzione del personale, con un naturale irrigidimento della trattativa. Ufo nei giorni scorsi si era detto pronto a possibili concessioni, ma in un quadro di garanzie che con la mossa odierna verrebbe meno.

    Lufthansa, che possiede anche Swiss, Austrian Airlines e Brussels Airlines, ha dichiarato nei giorni scorsi che prevede di avere circa 100 aerei in meno in servizio dopo la pandemia. Il sindacato ricorda però che negli scorsi giorni, era stato approvato il piano di salvataggio della compagnia pari a circa 9 miliardi di euro, che vedrà il governo tedesco diventare primo azionista del gruppo con il 20% del capitale. Un piano che gli azionisti della compagnia dovranno valutare in un Cda straordinario fissato per il 25 giugno. La situazione ha avuto pesanti ripercussioni in Borsa con il titolo della compagnia che a Francoforte alla fine della giornata in cui sono emerse le indiscrezioni sui possibili tagli ha ceduto il 9,94% a 10,06 euro.

  • Ue, così non si va certo avanti

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su Italia Oggi il 9 maggio 2020.

    Non è la prima volta nella storia della Germania che i più alti giudici tedeschi si trovano a dover prendere delle decisioni i cui effetti vanno ben oltre la mera valutazione giuridica. Negli anni Trenta, Carl Schmitt, l’allora giurista capo della Germania, purtroppo, scelleratamente giustificò l’adozione delle Notverordnungen, “le leggi di emergenza” che furono poi utilizzate per imporre la dittatura nazista.

    Sia chiaro non c’è la benché minima intenzione di paragonare la Germania di oggi con quella del passato. Vogliamo semplicemente evidenziare che le più importanti decisioni economiche e politiche in tutte le parti del mondo sono di assoluta prerogativa dei governi. Per le quali devono assumersi la totale responsabilità, senza delegarla ad altre istituzioni.

    Non per sua iniziativa, la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe è stata chiamata a pronunciarsi sulla piena legittimità delle misure monetarie non convenzionali di allentamento quantitativo, attuate negli anni passati dalla Banca centrale europea.

    Nella sentenza di questi giorni, Karlsruhe non ha espresso criticità sul quantitative easing, ma ha chiesto al Governo tedesco di fornire, entro tre mesi, gli elementi che possano dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria relativa all’acquisto di titoli pubblici dei paesi membri della Bce siano proporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale del programma in questione.

    Le parole usate sono molto forti. Si afferma che le misure prese da un organo europeo “non sono coperte dalle competenze europee” e per questo “non potrebbero avere validità in Germania”.

    Dalla risposta del governo tedesco dipenderà anche l’eventuale partecipazione futura della Bundesbank al programma di acquisti della Bce. Quest’ultima, in verità, non dovrebbe avere molte difficoltà nel dimostrare la proporzionalità finora attuata con il programma PSPP (Publich Sector Purchase Program). Si ricordi che tra marzo 2015 e la fine del 2018, la Banca centrale europea ha investito circa 2.600 miliardi di euro in titoli di stato e in altri titoli.

    In merito, la Banca d’Italia afferma di acquistare sul mercato secondario titoli pubblici italiani, con rischio interamente a carico del bilancio dell’Istituto. Per gli acquisti effettuati dalla Bce in titoli di Stato, sia italiani sia di altri paesi dell’area euro, e per gli acquisti di titoli emessi da entità europee sovranazionali, che complessivamente rappresentano il 20 per cento del totale del programma PSPP, vige il principio della condivisione dei rischi tra le banche centrali nazionali dell’euro-sistema in base alla propria quota capitale.

    La sentenza risponde a un ricorso del 2015, firmato da alcuni politici apertamente critici dell’Unione europea, tra cui anche il fondatore del partito di estrema destra AfD, che sollevava la questione dell’incostituzionalità delle politiche di acquisto di titoli pubblici iniziata da Mario Draghi. Secondo costoro, Francoforte avrebbe violato i vincoli dei Trattati europei contravvenendo al divieto di finanziamento del debito dei paesi membri.

    La Corte, a nostro avviso, ha preso l’unica decisione possibile: chiamare in causa direttamente Berlino affinché esprima, con piena responsabilità politica, le sue intenzioni passate e future rispetto alla politica economica dell’Unione europea e al ruolo sovrano della Bce nella definizione della politica monetaria unitaria europea.

    Adesso il governo tedesco, ma, di fatto, anche tutti gli altri paesi europei, sono obbligati a pronunciarsi in modo concreto sul futuro dell’Ue. In primo luogo non si può continuare con una politica monetaria congiunta e con una moneta unica mantenendo una politica fiscale completamente nazionale.

    La sentenza di Karlsruhe, per tanto, non è entrata nel merito del nuovo programma, a carattere temporaneo, denominato Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) che ha l’obiettivo di contrastare i rischi per la politica monetaria e per le prospettive di crescita derivanti dalla diffusione del coronavirus. Il Pepp prevede acquisti aggiuntivi di titoli pubblici e privati per complessivi 750 miliardi per tutto il 2020.

    In ogni caso, poiché l’acquisto futuro di titoli sovrani nazionali di qualsiasi paese dell’Unione potrebbe essere sempre visto come una violazione dei Trattati, la risposta, secondo noi, starebbe proprio nella realizzazione del cosiddetto Recovery Fund, con il potere di emettere bond. Non più, quindi, titoli di singoli Stati ma titoli comuni, europei a tutti gli effetti. Essi sarebbero strumenti di debito adeguati che la Bce potrebbe acquistare senza problemi e senza rischi d’incostituzionalità.

    Un secondo aspetto rilevante riguarda la prevalenza o meno della giurisdizione europea rispetto a quelle nazionali. Infatti, se il diritto nazionale fosse ritenuto superiore a quello europeo, vi sarebbe il rischio di un conflitto continuo relativo ai poteri decisionali a livello europeo.

    Allora l’Ue sarebbe continuamente a rischio di sopravvivenza. In questo caso è stato proprio così. La Corte di Karlsruhe non ha riconosciuto, poiché «assolutamente non comprensibile», una sentenza preliminare della Corte di giustizia europea (Cgue), che nel dicembre 2018 aveva, invece, approvato il programma di acquisto di obbligazioni.

    Se dovesse malauguratamente affermarsi il primato delle costituzioni nazionali, si affermerebbe che i singoli Stati membri dell’Ue resterebbero, di fatto, i «padroni» dei Trattati europei. Di conseguenza l’Unione europea rimarrebbe un’entità confederale, non federale. Sarebbe fondata sul principio della concorrenza e non più della solidarietà.

    È esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario per affrontare anche l’attuale emergenza della pandemia. Sarebbe il fallimento dell’idea stessa di Europa unita che in poco tempo finirebbe inevitabilmente per implodere. Sarebbe una iattura, anche per la Germania.

     *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Quarto Reich? La Germania fa dell’anniversario della resa la via per l’europeismo

    Quest’anno perOgg la prima volta, e per ora è previsto che sia anche l’unica, l’8 maggio il Land di Berlino si è fermato per festeggiare la capitolazione della Germania nella Seconda guerra mondiale. La resa incondizionata della Wehrmacht nel 1945 decretò la liberazione dal nazionalsocialismo in un Paese che, dopo aver provocato il conflitto, finì in ginocchio. “Non esiste la fine della memoria, e non c’è possibilità di redenzione dalla storia”, ha detto il capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier, con parole come sempre inequivocabili. “La storia tedesca è una storia rotta. A questa appartiene la responsabilità di milioni di assassinii e di altrettanta sofferenza. Questo ci fa il cuore a pezzi. Per questo, si può amare questo Paese soltanto con il cuore a pezzi”.

    Steinmeier ha colto questa occasione anche per riaffermare lo spirito europeista della Germania, lanciando un appello all’unità europea, che vacilla proprio nel tempo della pandemia, e alla difesa della democrazia. “Mai più – ha affermato – significa mai più soli! Dobbiamo tenere l’Europa insieme. Come europei dobbiamo pensare, sentire ed agire. Se noi in Europa, anche dentro e dopo questa pandemia, non restiamo insieme, non rendiamo onore a questo 8 maggio”, ha incalzato il presidente socialdemocratico. “All’epoca fummo liberati – la chiosa -. Oggi dobbiamo liberare noi stessi. Dall’odio, dalla xenofobia e dal disprezzo della democrazia”. Al suo fianco, nel monumento alle vittime della guerra della ‘Neue Wache’ di Berlino dove sono state poste delle corone di fiori – l’atto di Stato previsto inizialmente con 1.600 ospiti è stato disdetto a causa del coronavirus – c’era la cancelliera Angela Merkel, che ha telefonato al presidente russo Vladimir Putin, a quello francese Emmanuel Macron e all’americano Donald Trump per ricordare “i milioni di vittime e la sofferenza incommensurabile” provocata dalla Germania nazista con la guerra. Alla commemorazione erano inoltre presenti i rappresentanti degli organi dello Stato: il presidente del Bundestag, Wolfgang Schaeuble, il presidente del Senato, Dietmar Woidke e il presidente della Corte costituzionale Andreas Vosskuhle.

    Tornando al conflitto provocato da Adolf Hitler, che provocò la morte di circa 60 milioni di persone nel mondo uccise 6 milioni di ebrei europei nell’orrore dei campi di sterminio, Steinmeier ha ribadito che non è possibile tirare una linea col passato: “Chi lo fa toglie valore a tutto quello che abbiamo conquistato da allora e rinnega il seme essenziale della nostra democrazia”. Questa festa una tantum ha riguardato soltanto il calendario del Land di Berlino. “Che debba diventare un giorno di festa nazionale, oppure no, lo deciderà il Parlamento – ha affermato il ministro degli Esteri Heiko Maas -. La cosa che conta è che, anche in Germania, l’8 maggio venga considerato nel modo giusto. Come giornata della liberazione. Come una giornata che si possa davvero festeggiare. E che ci rammenti quanta sofferenza abbiamo portato al mondo e quale responsabilità viene da questo per noi tutti”.

  • Corte Costituzionale tedesca

    La sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio scorso è di particolare importanza nonostante alcuni commentatori l’abbiano sottostimata. Qualcuno è arrivato a sostenere che il giudizio dei magistrati tedeschi non cambi nulla per la Banca Centrale Europea ma si sbaglia di molto perché il suo effetto sarà come quello di una bomba a grappolo che colpirà in più direzioni.

    Vediamo di cosa si tratta esattamente.

    Il procedimento è cominciato a seguito della denuncia presentata da alcuni politici tedeschi dell’AFD e della CDU che accusavano la Banca Centrale europea di fare operazioni che eccedevano i propri compiti statutari. I ricorrenti sostenevano che anziché limitarsi a svolgere una politica monetaria come previsto dal suo Statuto, la BCE aveva dato vita ad un’azione vera e propria di politica economica per aiutare Stati che si trovavano in difficoltà finanziaria (vedi Italia, Spagna e similari). La questione riguardava le operazioni di acquisto dei Titoli di Stato effettuati da Mario Draghi a partire dal 2015, quando era Presidente. La sentenza del 5 maggio non riguarda quindi gli acquisti effettuati recentemente ma strettamente solo quelli del passato. Ovviamente, però, finirà con l’influire anche sul futuro. Interpellata dalla stessa Corte Costituzionale tedesca, la Corte di Giustizia Europea aveva dichiarato nel 2018 che in quelle operazioni non vi era nulla di illegale che eccedesse i compiti della stessa BCE e che il tutto andava considerato come perfettamente regolare. La sentenza emessa dai giudici di Karlsruhe statuisce che potrebbe realmente trattarsi di una attività corretta, purché tuttavia fossero rispettate tutte le condizioni previste dallo Statuto della Banca Centrale stessa. Cioè che i Titoli di Stato di ogni Paese acquistati non siano superiori come entità alla percentuale di capitale che ogni stato possiede all’interno della banca stessa. Poiché l’Italia partecipa alla BCE con il 13,8%, i Buoni del Tesoro italiani comperati da Francoforte, in proporzione al totale degli acquisti di buoni del tesoro della zona euro, non dovrebbe aver superato tale percentuale. Inoltre, la Corte sospetta che acquisti di volume così importante come quelli avviati da Draghi nel 2015 possono aver causato “effetti economici sproporzionati” rispetto al mandato di pura politica monetaria.

    In realtà, l’acquisto ordinato da Draghi e continuato dalla Lagarde fu effettuato sulla base di un programma chiamato PSPP (Public Sector Purchase Programme). Fino al febbraio scorso, per ogni 100 milioni di euro in titoli statali, la BCE ne comperava 27 milioni in Bund tedeschi, 19 milioni in OAT francesi e 14 milioni in BTP italiani. La proporzione era quindi rispettata. Già nel marzo scorso, tenuto conto degli attacchi speculativi contro il debito pubblico italiano, la BCE ha investito invece 12 miliardi in BTP e soltanto 2 miliardi in Bund. Oggettivamente, questi ultimi acquisti hanno ecceduto la proporzionalità prevista. Qualora si dovessero ora seguire le indicazioni della Corte Costituzionale tedesca, la BCE sarebbe obbligata o a ridurre l’acquisto di titoli di stato italiani o ad aumentare quelli degli altri Paesi. La naturale conseguenza sarebbe che lo spread tra l’interesse pagato dai tedeschi e quello a carico dei nostri BTP non potrebbe che aumentare.

    Per quanto riguarda gli “effetti economici” i giudici tedeschi chiedono alla Banca di Francoforte di dimostrare in un tempo massimo di tre mesi e in modo comprensibile e comprovato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal PSPP non siano sproporzionati rispetto ai compiti statutari di carattere puramente monetario. Qualora le spiegazioni della BCE non fossero considerate soddisfacenti, la Banca Centrale Tedesca dovrebbe ritirarsi dal capitale della stessa e non contribuire più al suo finanziamento. Impongono inoltre sia al governo di Berlino che alla Banca Centrale di sorvegliare (rimproverandoli di non averlo fatto nel passato) l’operato della BCE per assicurare che tutti i dovuti requisiti siano costantemente rispettati.

    Attualmente, a causa della pandemia da coronavirus, al PSPP si è affiancato un altro programma considerato di emergenza, il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) che però non è preso in considerazione dalla sentenza (salvo nuove denunce di qualche tedesco – od olandese).

    Se osserviamo il tutto dal punto di vista strettamente giuridico e formale, quanto deciso a Karlsruhe non fa una piega.  Purtroppo, il risultato di questa sentenza porta molte conseguenze (una l’abbiamo vista) e invita ad alcune considerazioni.

    Innanzitutto la Corte tedesca cita due articoli della Costituzione della Repubblica Federale ed esattamente l’articolo 20 e l’articolo 79. L’articolo 20 prevede che le leggi tedesche siano sempre superiori a qualunque possibile decisione del governo. L’articolo 79 obbliga Berlino a considerare assolutamente prioritario l’obbedire alla Costituzione della Repubblica rispetto a qualunque Trattato o accordo internazionale. Per meglio capire cosa ciò significhi è bene ricordare che nella Costituzione italiana l’articolo 117 prevede che il nostro Stato debba sottostare ai vincoli che derivano dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali sottoscritti e ratificati dal Parlamento. In altre parole mentre noi, partecipando all’Unione Europea ci sottomettiamo alle decisioni che ne derivano, la Germania considera ogni impegno europeo sempre subordinato alle proprie leggi interne.  Ancora più chiaramente: ogni accordo firmato con Bruxelles potrà non essere rispettato se, in qualche modo, dovesse intaccare gli interessi immediati della Germania.

    È evidente, a questo punto, che la stessa Unione Europea, checché se ne dica enfatizzando il termine “Unione” non resta che un calderone di Stati che la riconoscono sovrannazionale soltanto e fino a quando ciò fa loro comodo. Così almeno per quanto riguarda l’interpretazione che la Corte Costituzionale tedesca dà della cosa.

    Un secondo aspetto a conferma di quanto sopra è che la Corte tedesca smentendo, almeno in parte, la precedente sentenza della Corte di Giustizia Europea se ne considera oggettivamente superiore. Quanto alla BCE di cui si è sempre vantata l’“indipendenza”, scopriamo ora che dovrebbe rispondere del proprio operato ad un organo interno della Germania, cui dovrebbe fornire “spiegazioni”. Davanti a una sentenza di tal genere poco potrà fare perfino il più europeista dei politici tedeschi poiché se contraddicesse all’imposizione della Corte di Karlsruhe si metterebbe automaticamente fuori delle sue proprie leggi.

    Così stando le cose, occorre prendere atto che se non cambia la Costituzione tedesca, non sarà mai possibile procedere verso quella maggiore integrazione da tanti auspicata e prevista addirittura dai padri fondatori.

    Che fare? Le scelte sono due.

    La prima: prendiamo atto che fino ad ora abbiamo scherzato e cioè che l’Europa non esiste e mai esisterà. La seconda (che il sottoscritto auspica da sempre): i politici del continente, quelli convinti che in un mondo di grandi potenze l’unico modo per garantire il nostro attuale benessere è quello di “unificarci “per davvero, prendono il coraggio di rimettere mano a tutti i Trattati e di trasformare la nostra fittizia “unione” in una vera Federazione. Tertium non datur.

  • Tracollo del mercato dell’auto, le concessionarie studiano come recuperare appeal

    In una Europa che, trattando di automobili, viaggia a due se non a tre velocità, sono i protagonisti diretti, cioè le Casa costruttrici, i grandi gruppi della distribuzione e i singoli concessionari ad essersi mobilitati per sopperire – in alcuni Paesi, compresa l’Italia – a forti iniziative pubbliche di sostegno al settore. Un mondo che ha grandissimo valore per le casse dei vari Stati, come dimostra la stima Acea di 440,4 miliardi di euro per le entrate fiscali che sono generate complessivamente dall’auto (76,3 in Italia) ma che fino ad oggi ha dovuto affrontare non solo le contraddizioni della guida di Bruxelles, ma anche inevitabili e forti tensioni fra costruttori, soprattutto sul fronte delle strategie di raggiungimento dei nuovi limiti sulla CO2. Ora però, alla luce dei disastrosi dati del primo quadrimestre – che in Italia hanno tagliato le vendite del 97,55% – sembra prevalere (come è successo in tanti condomini italiani durante la quarantena) un nuovo spirito di squadra. A spingere sull’acceleratore sono le aziende, il mondo del privato, che guardano a questo momento di crisi come ad una opportunità per recuperare fasce di clientela e soprattutto per eliminare dalle strade molte auto vecchie e con omologazioni antecedenti alla Euro 5.

    La mobilitazione delle concessionarie, riferisce l’agenzia Ansa, sta riguardando gli impianti ed anche le strategie. Nell’interfaccia con il cliente tutti i brand contano su locali delle concessionarie sanificati ed attrezzati per ricevere i clienti in totale sicurezza; su procedure a prova di ‘assembramento’ (auspicati ma davvero poco probabili) e soprattutto su nuovi strumenti di dialogo con i clienti e di gestione delle trattative e delle vendite. E per non deludere chi nei prossimi giorni varcherà – con rinnovata curiosità – le porte a vetri degli show-room per ammirare le tante novità che nel frattempo sono state presentate, fioriscono per fortuna anche le nuove strategie commerciali.

    Alcune idee sono davvero eccellenti, come la consegna ‘contactless’ dell’auto da provare a domicilio, l’abolizione della carta e della cartamoneta nelle procedure o la protezione degli acquisti con polizze anti-perdita del lavoro. Ma lo sono, ancora di più, inedite formule finanziarie che stanno stabilizzandosi attorno a costi di 90-120 euro al mese, per far accedere all’acquisto davvero tutti. Anche chi aveva abbandonato l’auto per puntare tutto sui mezzi pubblici nei giorni lavorativi e sui voli low cost per le vacanze. E ora, come accade già in Cina o altri mercati, sta riscoprendo che l’auto privata è molto meglio di una mascherina e del distanziamento sociale.

  • Il fattore competitivo

    Da oltre un decennio ormai la classe politica individua come unica politica di sviluppo quella di un avvio di investimenti massicci in infrastrutture. Nessuno ovviamente può contestare l’effetto positivo che un’infrastruttura nel medio e lungo termine possa determinare come fattore competitivo nel sistema economico italiano. Viceversa, considerata anche solo la struttura nell’aggiudicazione di questi lavori pubblici con la catena, poi, degli appalti e subappalti, la ricaduta occupazionale immediata potrebbe risultare molto ma molto deludente.

    In questo contesto, tuttavia, sembra incredibile come uno dei principali fattori competitivi, cioè il carburante, venga sempre dimenticato perché si ignora la sua importanza o più semplicemente per un banale interesse economico della stessa classe politica in quanto fornitore di gettito fiscale sine die.

    In questo contesto di grave crisi ma soprattutto di gravissima incertezza relativa al prossimo futuro dell’economia italiana una semplice analisi comparativa può determinare tanto lo spessore quanto la disonestà intellettuale della classe politica nostrana. All’interno di un sistema complesso di trasporti di merci e di persone sicuramente il gasolio rappresenta il principale carburante utilizzato per assolvere a queste importanti esigenze economiche e logistiche in una economia circolare (https://www.ilpattosociale.it/attualita/leconomia-circolare-e-lavoisier/).

    Ora (punto 1), anche a causa del tracollo del prezzo del petrolio, il gasolio in Germania alla pompa viene indicato a 0.95 centesimi/litro anche per la contemporanea riduzione del carico fiscale deciso dal governo tedesco, in Austria addirittura 0.899. Contemporaneamente in Italia il prezzo è 1.29/litro alla pompa self service Agip.

    Quindi (punto 2), un paese che ha un reddito superiore a quello italiano del 30% paga il gasolio quasi il 30% in meno di un consumatore o di qualsiasi impresa italiana. La somma dei due differenziali determina come imprese e consumatori tedeschi paghino il gasolio circa il 60% in meno rispetto ai concorrenti italiani.

    Inoltre (punto 3), l’adeguamento delle tariffe alla pompa in una economia globale rappresenta un fattore competitivo espressione di un mercato oligarchico e non competitivo come nel caso del mercato italiano.

    Ovviamente le accise giocano un ruolo sempre più determinante per di più in crescita percentuale in rapporto ad un prezzo in discesa anche se minimo.

    Quindi i punti 1, 2 e 3 dimostrano come la concorrenza internazionale si avvantaggi a causa di precise responsabilità e scelte strategiche italiane che destinano il nostro paese ad una decrescita disastrosa.

    P.S.: l’analisi del differenziale dei costi risulta al netto del fattore competitivo “autostrade” a tutto vantaggio ancora una volta della Repubblica federale tedesca.

     

  • Il coronavirus argomento prioritario dell’agenda della presidenza tedesca dell’UE

    L’emergenza Coronavirus sarà in cima all’agenda dell’Unione Europea, quando la Germania assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’UE nel luglio 2020. E’ quanto scrive il ministro degli Esteri Heiko Maas in un articolo pubblicato sul giornale Welt am Sonntag.

    “La trasformeremo in una presidenza sul Covid per superare la pandemia e le sue conseguenze”, ha scritto Maas visto che la Germania assumerà la presidenza, dopo la Croazia, il 1° luglio. Uno dei primi compiti del paese sarà quello di allentare gradualmente le restrizioni ai viaggi liberi e al mercato interno.

    Un altro obiettivo sarà quello di migliorare la protezione civile dell’UE e gli appalti congiunti, nonché la produzione di forniture mediche, perché “l’UE dovrà trarre insegnamenti dalla crisi”, afferma sempre il ministro degli Esteri tedesco.

    Maas ha anche sottolineato l’importanza del bilancio a lungo termine del blocco e la necessità che il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 diventi un “programma di rilancio per l’Europa”. A tal fine, il blocco dovrebbe investire in “ricerca, protezione del clima, sovranità tecnologica e sistemi sanitari e sociali a prova di crisi”. “Il nostro obiettivo è che l’Europa emerga più forte da questa crisi”, sia in termini di solidarietà che di fiducia, ha affermato Maas che ha aggiunto quanto il rafforzamento delle Nazioni Unite, e in particolare dell’Organizzazione mondiale della sanità (sottofinanziata), nel campo dello sviluppo e della distribuzione di test e vaccini, sia “uno dei migliori investimenti nella lotta contro la pandemia”.

  • Anche il Modell Deutschland patisce la pandemia. E perde le ali (di Germanwings)

    Il coronavirus affligge anche le aziende tedesche. La compagnia aerea Lufthansa, che l’amministratore delegato Carsten Spohr aveva già preannunciato sulla rotta di divenire “più piccola” a causa della pandemia, ha reso noto il proprio piano di ristrutturazione che accanto alla riduzione della flotta prevede la chiusura del vettore low cost Germanwings. La scelta che ha provocato l’immediata reazione dei sindacati, è stata adottata dal cda sul presupposto che “ci vorranno anni” perché si torni a viaggiare come accadeva prima della pandemia. Per quanto attiene al personale Lufthansa vuole “cercare di offrire al maggior numero di persone possibile di continuare a lavorare all’interno del Gruppo. Pertanto, occorre organizzare rapidamente colloqui con i sindacati e i consigli dei lavoratori per discutere, tra l’altro, nuovi modelli occupazionali al fine di mantenere il maggior numero possibile di posti di lavoro”.

    Lufthansa perde ogni ora un milione di euro delle sue riserve di liquidità a causa della paralisi dei viaggi aerei dovuta alla nuova pandemia di coronavirus, secondo quanto ha comunicato Spohr in un video ai dipendenti.

    Nel piano annunciato sei Airbus A380 e sette A340-600, così come cinque Boeing 747-400, saranno definitivamente dismessi (si tratta di quelli a 4 motori, ritenuti troppo costosi in volo, secondo quanto rileva il giornale Handelsblatt, equivalente teutonico de Il Sole 24 Ore). Inoltre, dalle operazioni a corto raggio, undici Airbus A320 saranno ritirati. I sei A380 erano già stati programmati per la vendita ad Airbus nel 2022. La decisione di eliminare gradualmente sette A340-600 e cinque Boeing 747-400 è stata presa sulla base degli svantaggi ambientali ed economici di questi tipi di aerei, si legge nel comunicato. Con questa decisione, Lufthansa ridurrà la capacità dei suoi hub di Francoforte e Monaco di Baviera. Inoltre, Lufthansa Cityline ritirerà dal servizio anche tre Airbus A340-300. Dal 2015 il vettore regionale opera voli verso destinazioni turistiche di lungo raggio per Lufthansa.

    Anche Eurowings ridurrà il numero dei suoi aerei. Sulla chiusura di Germanwings – 1400 dipendenti – il gruppo scrive “l’attuazione dell’obiettivo di Eurowings di raggruppare le operazioni di volo in un’unica unità, definito prima della crisi, sarà ora accelerato, le operazioni di volo di Germanwings saranno interrotte”. Una decisione che ha fatto sollevare il sindacato, secondo il quale si approfitta in realtà dell’epidemia per ristrutturare l’impresa. Sono inoltre già stati rescissi gli accordi di wet lease con altre compagnie aeree , il che porterebbe ad una riduzione della flotta di circa il 10%. Anche le filiali Austrian Airlines e Brussels Airlines stanno rafforzando i loro piani di ristrutturazione. A causa della paralisi prodotta dal coronavirus, già dal 19 aprile Lufthansa lascia a terra quasi tutta la sua flotta, adoperando solo il 5% dei voli per riportare a casa i tedeschi rimasti in giro per il mondo.

  • Cdp italiana come la KfW tedesca

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ‘Italia Oggi’ il 3 aprile 2020.

    Il coronavirus, con la sua diffusione planetaria e i suoi effetti devastanti, condiziona tutti i Paesi, a partire dall’Italia. La sfida del rilancio economico sarà epocale, per tutti. È evidente che anche il futuro dell’Unione europea passa inevitabilmente attraverso il finanziamento di un programma unitario di investimenti e di sostegni all’occupazione imperniato sull’efficienza e sulla solidarietà. Ovviamente è opportuno che vi siano anche risorse finanziarie nazionali e degli interventi più mirati alle necessità di stabilità sociale e di ripresa economica.

    La decisione del governo tedesco di mettere in campo 550 miliardi di euro di investimenti nei settori dell’economia reale, attraverso la mediazione della Kreditanstalt fuer Wiederaufbau (KfW) potrebbe essere un esempio virtuoso da seguire. Si tratta di investimenti veri destinati all’economia, senza inutili mediazioni del sistema bancario privato.

    La KfW è una banca di sviluppo pubblica, controllata dal governo federale per l’80% e dai Laender (l’equivalente delle nostre regioni ma con un potere rafforzato) per il 20%. Fu creata nell’immediato dopo guerra per emettere credito e sostenere progetti per la ricostruzione. Era un tassello del Piano Marshall dedicato alla Germania. Ottenne presto la possibilità di trasformare gli interessi dovuti agli Stati Uniti in aumenti di capitale proprio, e di ampliare così la sua capacità d’investimento.

    Nei decenni passati è stata uno dei principali motori dello sviluppo industriale, infrastrutturale, tecnologico e sociale della Germania fino a diventare un colosso economico. Oggi ha un capitale (equity) di 30 miliardi di euro e investimenti pari a 610 miliardi. La KfW affianca sempre anche le grandi corporation tedesche, come la Siemens, la Daimler o la Mercedes, nella stipulazione di importanti contratti di cooperazione internazionale, siano essi in Cina, in Russia, negli Usa o in altre parti del mondo.

    Raccoglie capitali sui mercati finanziari con l’emissione di obbligazioni, che dal 1998, per legge, sono garantite dallo Stato tedesco. Li trasforma poi in crediti per investimenti in vari settori produttivi, infrastrutture, edilizia sociale, innovazione, nuove tecnologie e in sostegno forte alle imprese. Lo fa attraverso una rete di enti che ha creato e che controlla, come il fondo per le Pmi, quelli per l’export, per lo sviluppo regionale e locale, per le nuove fonti di energia, per l’ambiente, per la cooperazione internazionale, ecc.

    Nel 2008 ha creato anche la Ipex Bank che sostiene le imprese tedesche ed europee in progetti internazionali e nelle loro operazioni di export. Oggi ha un volume di business superiore agli 80 miliardi di euro. La KfW, inoltre, è esentata dai requisiti di capitale e dalle regole dell’Unione bancaria, così come lo sono le banche tedesche di sviluppo regionale, le Landesbank.

    In verità, in Italia, anche il Medio Credito Centrale (Mcc) nel 1953 fu creato su questo modello ma con molti meno poteri e meno autonomia. Oggi, com’è noto, realizza e integra le politiche pubbliche a sostegno del sistema produttivo, in particolare delle pmi. Una mission molto importante che, purtroppo, è rimasta confinata entro dimensioni troppo limitate.

    Anche l’italiana Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è molto simile alla struttura della KfW. A confronto, però, è anch’essa molto più limitata nelle sue attività. Entrambe sono attive in parecchie operazioni congiunte, per esempio, nel Long Term Investors Club (Ltic). Quest’ultimo, si ricordi, dopo la Grande Crisi del 2008 è stato creato proprio con il compito di promuovere investimenti produttivi e infrastrutturali di lungo periodo in alternativa alla disastrosa finanza «mordi e fuggi».

    Per statuto la nostra Cdp, che gestisce ingenti capitali generati dalla raccolta di risparmio popolare (un totale di 386 miliardi di euro), in particolare attraverso i buoni fruttiferi e i libretti emessi dalle Poste Italiane, è ingessata su operazioni specifiche relative agli investimenti locali. Da qualche anno ha creato anche un fondo di sostegno agli investimenti nelle pmi e ha dovuto cambiare lo statuto per avere la possibilità di operare anche nell’internazionalizzazione dei mercati a sostegno delle imprese italiane che esportano e operano all’estero. Prima non era consentito.

    L’emergenza economica provocata dal coronavirus, con la sospensione del Patto di stabilità europeo, potrebbe diventare l’opportunità, la classica window of opportunity, per ripensare e rimodellare certi enti italiani. Senza inventare cose nuove si potrebbe “copiare” ciò che la Germania ha fatto e dare alla nostra Cdp gli stessi poteri e le stesse prerogative della KfW.

    Certo non si risolverebbero i gravi problemi storici dell’Italia, quali un debito pubblico troppo elevato, un’evasione fiscale sproporzionata, una corruzione intollerabile, una burocrazia inefficiente e tasse elevate su produzione e lavoro. Questi sono problemi e sfide ineludibili per lo Stato italiano. Ma, almeno, avremmo un ente, una sorta di banca nazionale per lo sviluppo, certamente più controllata e più efficiente.

    Si tenga presente, inoltre, che i 550 miliardi di euro di investimenti annunciati dal governo tedesco non vanno a incrementare il debito pubblico nazionale. Saranno gestiti dalla KfW che, in quanto ente indipendente, non entra nel computo del bilancio nazionale. Lo stesso avverrebbe con l’utilizzo della Cdp rafforzata. Qualsiasi aumento della spesa pubblica da parte del nostro governo, sia per l’emergenza sia per altre esigenze, andrà, invece, ad aumentare direttamente il nostro debito pubblico. Non si tratterebbe di una furbizia ma di un semplice ritorno all’idea della «banca nazionale per lo sviluppo».

    Guardando oltre l’attuale emergenza, il presidente Mattarella giustamente ha detto che «per rinascere ci è richiesta la stessa unità del dopoguerra». E noi, più modestamente, riteniamo siano necessari anche istituzioni, tempi e programmi economici simili.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Achtung, binational babies: Lo Jugendamt ai tempi del coronavirus

    Ai tempi del Coronavirus, mentre in Italia si susseguono gli appelli di genitori e associazioni affinché non vengano negati ai bambini che vivono in istituto, lontano dalla famiglia d’origine, almeno i contatti telefonici, in Germania vanno oltre. Sono sempre un passo (o anche due) più avanti. Il canale televisivo RTL, nella sua pagina online pubblica un appello quanto meno preoccupante. Analizziamolo paragrafo per paragrafo. Il titolo già riassume una chiara presa di posizione: “In quarantena per il Coronavirus con genitori stressati – Bambini in pericolo, maltrattati e abusati”. Il sottotitolo è altrettanto eloquente: “I “protettori dei bambini” [lo Jugendamt] danno l’allarme. Poi l’affermazione: Vivere insieme in famiglia può essere estenuante e stressante, per alcuni bambini può rappresentare anche un pericolo di vita”. E prosegue, “È con queste drastiche parole che i “protettori dei bambini” [lo Jugendamt] si rivolgono all’opinione pubblica. In tempi di isolamento sociale è più importante che mai tenere d’occhio i membri più deboli della nostra società”. Come vedete il ruolo della famiglia non è più quello della naturale, amorevole, ovvia ed insita protezione, vivere in famiglia viene presentato come costrizione a condividere spazi e, in questo momento di quarantena, una costrizione che può diventare pericolosa. In un paese nel quale ogni anno vengono sottratti ai genitori circa 80.000 bambini, è evidente che si sta qui parlando della programmazione di ulteriori sottrazioni. I bambini veramente in pericolo saranno, con tutta probabilità, tra gli 80.000 già allontanati annualmente, qui si cerca invece di incrementare gli interventi o, nel migliore dei casi, di non abbassare la media. L’articolo procede con un eloquente secondo paragrafo dal titolo Quando genitori e figli si trasformano in delinquenti e vittime. La vita sociale in Germania è ferma. Scuole, asili, circoli, piscine: tutto è chiuso. I cittadini sono invitati a ridurre al minimo i contatti sociali per rallentare la diffusione del coronavirus. E’ questa una situazione che può essere fatale per i bambini maltrattati e, nel peggiore dei casi, sessualmente abusati. Essi sono indifesi, alla mercé dei loro genitori. “Durante la quarantena non ci sono più le routine quotidiane, asili e scuole resteranno chiusi per settimane – cioè i luoghi privilegiati per l’allontanamento dei bambini -. Il parco giochi è chiuso, i vicini si tengono a distanza, il bambino è solo con i genitori. […] Chi vede e sente ora i bambini maltrattati e abusati?” Insomma sembra proprio che il più grande attacco al benessere del bambino sia rappresentato dai genitori. Si passa dunque all’implicita affermazione che il numero di bambini già allontanati non sia sufficiente: “Il numero di casi non ancora noti di abusi, violenze psicologiche e fisiche nelle famiglie è elevato”. Si diffonde il sospetto che ogni famiglia rappresenti il luogo di abusi e dunque: “Ora la politica deve agire, chi ha isolato i bambini dal mondo esterno per molte settimane deve anche mettere in campo progetti per intervenire nelle famiglie in cui il rapporto tra genitori e bambino diventa un rapporto tra carnefice e vittima“. Il condizionale è stato abbandonato, l’articolo impiega il tempo presente: “il rapporto tra genitori e bambino diventa un rapporto tra carnefice e vittima”. Si è dunque passati da un terribile dubbio ad una certezza, per poter invocare a gran voce la delazione, o senso civico, come lo chiamano in Germania. L’articolo conclude infatti affermando: “La politica deve agire – e anche ognuno di noi. Si chiede pertanto al governo di fornire sostegno alle famiglie a rischio. Ma deve impegnarsi anche ognuno di noi: i vicini, il postino, il cassiere del supermercato. Insomma tutti noi. “Se avete dubbi sul benessere di un bambino nel vostro territorio, comunicate allo Jugendamt [Amministrazione per la gioventù] le vostre preoccupazioni. Può essere fatto anche in forma anonima“. Se c’è il sospetto di comportamenti criminali, va informata anche la polizia”.

    A seguito dell’annuncio del governo tedesco di voler stanziare varie centinaia di miliardi di euro a sostegno della propria economia, pare che lo Jugendamt voglia assicurarsene una bella fetta. I bambini che risiedono in Germania (ovviamente anche quelli italiani) rischiano di perdere, insieme alla libertà di movimento, anche la propria famiglia.

Pulsante per tornare all'inizio