Germania

  • Una giornata così bella e soleggiata

    Sophie Magdalena Scholl nasce a Forchtenberg il 9 maggio 1921. È la quarta di sei fratelli: Inge, Hans, Elisabeth, Sophie, Werner e Thilde e non ha ancora dodici anni quando, nonostante il disaccordo del padre Robert (un convinto pacifista), si iscrive alla Gioventù Hitleriana con i suoi tre fratelli più grandi; illusi anche loro dalla imperante propaganda nazista.

    Tuttavia, l’educazione altruista ricevuta in famiglia, non tardò a germogliare nei loro cuori e nelle loro menti. Pochi anni dopo, infatti, ritornarono tutti e quattro sui loro passi. Per questo, nel marzo del 1941 Sophie fu inviata in un campo di lavoro per giovani donne, tra i 18 e i 25 anni, dove dovevano indossare l’uniforme e dove venivano indottrinate con violenza da insegnanti fanatiche. In una lettera ad un’amica Sophie scrive: «Viviamo come prigioniere, non solo il lavoro ma anche le pause di piacere sono doveri. Qualche volta vorrei urlare: il mio nome è Sophie Scholl. Non dimenticatelo!».

    Terminata questa esperienza mortificante, nel maggio del 1942 raggiunge Hans a Monaco di Baviera per iscriversi all’università. Qui scopre che il fratello, insieme ad alcuni amici, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che ventenni, hanno fondato la Rosa Bianca (Weiße Rose), un movimento di opposizione non violenta al regime nazista. Senza indugi si unisce a loro, partecipando attivamente ad ogni loro attività come scrivere, stampare e distribuire volantini per informare un pubblico selezionato di studenti, professionisti e intellettuali del male che li circondava, profetizzando che Hitler avrebbe perso la guerra.

    Alcuni di questi volantini arrivano anche alla Gestapo. La caccia ai loro anonimi autori aveva inizio. Siamo nel giugno del 1942.

    Alla fine dell’estate, mentre suo fratello e gli altri erano stati chiamati come soldati in Russia, Sophie rientra a casa dove la attendevano due mesi di lavoro in una fabbrica di armamenti. Poco dopo il suo arrivo, suo padre viene condannato a quattro mesi di reclusione per aver inveito pubblicamente, in uno scatto d’ira, contro il Führer. Sophie, quando poteva, dopo il lavoro, si recava sotto le finestre del carcere per suonare con il suo flauto una canzone cara al padre, nella speranza di alleviarne il dolore.

    Rientrati in ottobre dalla Russia, i membri della Rosa Bianca iniziano a collaborare con il movimento di resistenza nazionale. Nel giro di pochi mesi i loro volantini vengono diffusi in quasi tutta la Germania. Ne scrissero molti e ne spedirono a migliaia. Il 18 febbraio del 1943, poco dopo aver distribuito nuovi volantini all’Università, Hans e Sophie vengono scoperti e arrestati senza opporre alcuna resistenza. Ammanettati e condotti al quartier generale, vengono interrogati (e quasi sicuramente torturati) di continuo per molte ore. Nessuno dei due accetta di ritrattare quanto scritto sugli opuscoli, né di denunciare gli altri membri del gruppo. I fratelli Scholl, dopo un processo farsa durato solo cinque ore, vengono condannati a morte e portati alla prigione di Stadelheim. Lo stesso giorno, alle ore 17 iniziano le esecuzioni con ghigliottina. Sophie è la prima. “Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare se stesso individualmente per una giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?”. Queste le sue ultime parole. Nei giorni seguenti, nonostante il loro sacrificio, vengono ghigliottinati molti altri ragazzi, sebbene nessuno di loro abbia mai compiuto attentati o sabotaggi.

     

    «Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi governare da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti senza opporre resistenza…»

    (da uno dei volantini della Rosa Bianca)

     

     

  • I numeri della irresponsabilità della classe politica

    L’emergenza coronavirus, al di là degli aspetti medico-sanitario che competono alla medicina e ai virologi, evidenzia alcuni aspetti del nostro sistema sanitario e soprattutto gli effetti delle strategie degli ultimi vent’anni espresse dalla classe politica alla guida del nostro Paese.

    Anche adottando la teoria del “Cigno nero” per cui un evento di simili proporzioni come l’epidemia nata in Cina risulti nelle sue conseguenze assolutamente incalcolabile tuttavia rimane evidente come la curva demografica relativa al progressivo invecchiamento dei medici in corsia sia risultata assolutamente sconosciuta ai vari direttori del personale delle Asl.

    Una colpevole “distrazione” attribuibile tanto ai direttori del personale sanitario quanto ai rettori delle facoltà di medicina amplificata dalla applicazione di quota 100 fortemente voluta dal governo Conte 1. Tanto è vero che ora per l’epidemia virale ci vede costretti a richiamare i medici settantenni. Inoltre l’emergenza proveniente dalla Cina ha dimostrato come il nostro Paese, a fronte di una spesa sanitaria in continua esplosione (+2,3%), abbia quasi un terzo (3/8*) dei posti letto per mille abitanti disponibili nel sistema sanitario nazionale rispetto alla Germania.

    Il riferimento al paese tedesco è fondamentale in quanto Italia e Germania rappresentano le due economie più legate al settore manifatturiero d’Europa. Quest’ultima inoltre, oltre ad un PIL sicuramente superiore a quello italiano, destina oltre l’11,2%** del proprio prodotto interno lordo alla spesa sanitaria quando l’Italia poco più del 8,1%**.

    All’interno, quindi, di un quadro strategico politico dei due diversi paesi che ha visto due atteggiamenti completamente differenti relativamente al finanziamento del sistema sanitario nazionale si aggiunga che la Germania fino alla fine del 2018 cresceva economicamente ad un tasso triplo rispetto all’Italia. Una crescita tale da trascinare anche la nostra economia export oriented che tuttavia registrava un tasso pari ad un terzo di quello teutonico in quanto la nostra crescita economica era esterovestita.

    I due diversi tassi di crescita grazie alla diversa produttività ed efficacia della spesa pubblica hanno accresciuto il differente benessere tra le due popolazioni in quanto in Italia per di più si è deciso di finanziare la suicida politica degli 80 euro, peraltro coperta anche da un maggior debito. Una politica che ha trovato la propria apoteosi nell’adozione del reddito cittadinanza e di quota 100 (https://www.ilpattosociale.it/2020/02/27/la-vera-epidemia-la-crescita-ulteriore-della-spesa-pubblica/). Prova ne sia il fatto che in questi anni l’economia tedesca ed il suo governo siano riusciti a ridurre il rapporto tra debito e PIL al 60%*** mentre il nostro è esploso al 135%***. Un disastro talmente esplicito da risultare paradossale nel vedere i responsabili dei governi Renzi, Gentiloni e Conte orgogliosi del risultato ottenuto in relazione ai bonus fiscali di 80 euro e al reddito cittadinanza e quota cento.

    Il semplice confronto tra le due economie tra loro simili evidenzia gli effetti devastanti della strategia operativa espressione di una classe politica la quale non risponde mai in prima persona degli effetti spesso negativi e controproducenti adottati dal nostro Paese riducendolo in questa condizione.

    Mi auguro sia chiaro finalmente a tutti come il coronavirus rappresenti l’ultima goccia di un disastro economico finanziario la cui responsabilità va attribuita all’intera classe politica e dirigente dell’ultimo ventennio ed in particolare degli ultimi cinque anni.

    Basti ricordare come la settimana prima dell’esplosione dell’epidemia era stato registrato un aumento del 54% della cassa integrazione e del 90% per le imprese del Sud, mentre nel 2019 la pressione fiscale risulta aumentata del +0,5%. In questo contesto recessivo, con un calo della produzione industriale del 4,3%, il governo ha esteso il bonus fiscale ai redditi fino a 39.000 euro.

    Ignorare la realtà è tipico degli impreparati, negarla rappresenta un comportamento irresponsabile in linea con quello dei governi precedenti.

    I numeri:

    *3/8 rapporto posti letto per 1000 abitanti Italia/ Germania

    **8,1/11,2 quota di Pil destinata alla spesa sanitaria Italia/Germania

    ***60/135 rapporto debito pubblico Pil Italia/Germania

     

     

     

  • Mercedes avvia la propria produzione di auto elettriche

    E’ partita ufficialmente nella fabbrica di Rastatt la produzione della Mercedes Classe A Plug-In Hybrid, una tappa fondamentale nell’offensiva elettrica che dovrebbe portare il settore auto del gruppo tedesco ad avere entro il 2039 una flotta di veicoli a emissioni zero di CO2, con un target entro il 2030 di oltre il 50% delle vendite da ibridi plug-in o veicoli completamente elettrici. A Rastatt è partita la produzione congiunta di due versioni di carrozzeria del modello plug-in, la A 250e a due volumi e la A 250e Sedan, entrambe con una autonomia elettrica fino a 75 km ed emissioni di CO2 di circa 33 g/km.

    A spingere questa versione ibrida della Classe A è un motore elettrico da 75 kW integrato nella trasmissione a doppia frizione a otto velocità. Per la prima volta su un veicolo Mercedes-Benz, il motore a combustione viene avviato esclusivamente dal motore elettrico (spinto da una batteria agli ioni di litio da 15,6 kWh). Insieme al quattro cilindri a benzina da 1,33 litri, il sistema vanta una potenza complessiva di 160 kW (218 CV) e una coppia del sistema di 450 Nm. E grazie alla spinta dell’elettrico, le prestazioni sono di tutto rispetto: l’A 250 e, ad esempio, va da 0 a 100 km / h in 6,6 secondi, con una velocità massima di 235 km / h.

    Peraltro la sensibilità ambientale si estende alla stessa catena produttiva: infatti grazie agli interventi portati avanti dal 2011 l’impianto di Rastatt – che negli ultimi anni ha ‘fatto le ossa’ sul campo con la realizzazione della full electric B250e – ha quasi dimezzato il livello di emissioni di CO2 per veicolo prodotto. Per la fabbrica tedesca, peraltro, il prossimo step è dietro l’angolo: infatti entro il 2022 l’energia per l’impianto di Rastatt, così come per gli altri impianti europei di Mercedes-Benz, dovrebbe provenire interamente da fonti rinnovabili come l’energia eolica, solare e idroelettrica.

  • La ‘delfina’ designata della Merkel rinuncia a correre per la Cancelleria

    Precipita nel caos la Cdu, il partito di Angela Merkel, creando una instabilità politica quasi mai vista in Germania. La leader dei cristiano-democratici tedeschi, Annegret Kramp-Karrenbauer – la ‘delfina’ designata dell’attuale cancelliera – si è dimessa dalla presidenza del partito e, soprattutto, ha rinunciato alla corsa per la cancelleria, aprendo una voragine in vista delle elezioni del 2021 e privando la Cdu di un suocandidato credibile ad appena un anno dalla fine dell’ultimo mandato Merkel. Un vero e proprio terremoto, che si innesta sulla clamorosa crisi esplosa in Turingia, dove la Cdu è finita nell’occhio del ciclone per aver votato insieme all’Afd,il partito dell’ultradestra, il nuovo governatore del Land.

    L’ormai ex delfina della Merkel ha spiegato che rimarrà fino all’estate, quando il partito avrà scelto chi sarà il nuovo candidato alla cancelliera e ha chiarito di non aver preso la decisione sull’onda dei fatti in Turingia, ma di averlo meditata a lungo. Poi però ha rivolto un appello al partito: “Ogni forma di avvicinamento all’AfD indebolisce la Cdu. Per cui è necessario avere una posizione molto chiara: nessuna collaborazione con l’AfD perché l’AfD sta contro tutto ciò che rappresenta la Cdu”. Già molto criticata, anche all’interno del partito nel corso dei 13 mesi da quando è stata eletta, negli ultimi giorni la pressione su AKK era diventata insostenibile. Nondimeno il suo annuncio è arrivato “a sorpresa” persino per i vertici della Cdu. Ma Kramp-Karrenbauer ha avuto parole molto chiare per spiegare la sua scelta: “Vi è un rapporto mai chiarito di parti della Cdu con l’Afd e la Linke”, il partito della sinistra radicale, ha sottolineato, toccando con questa frase il tema cruciale di questi giorni: l’estrema difficoltà di formare maggioranze stabili in molti Laender così come, in prospettiva, a livello nazionale. E questo in parte proprio a causa della comparsa dell’ultradestra al Bundestag, che ha scombinato antichi equilibri politici tedeschi. Facendo sì che, appunto, alcune correnti della Cdu, così come dei liberali dell’Fdp, abbiano”flirtato” – così ha titolato lo Spiegel – con l’Afd, senza prevedere però che vaso di Pandora stessero aprendo.

    Il problema è che in Germania la presidenza del partito più grande fa rima con la candidatura alla cancelleria. Anche per questo Akk ha chiarito che lascerà la presidenza della Cdu “per l’estate”, preparando al contempo il terreno per una nuova candidatura al posto oggi occupato da Merkel. Frau Merkel si è fatta sentire a stretto giro di posta, “rammaricandosi” per la decisione di AKK e precisando che “desidera che rimanga ministra alla Difesa”, posto che occupa da quando l’ha lasciato Ursula con der Leyen. Come ha detto il portavoce di Merkel, Steffen Seibert, “Frau Kramp-Karrenbauer desidera rimanere ministra e la cancelliera la sostiene in pieno con tutto il cuore”, dato che vi è stata finora “una buona collaborazione coronata dal successo” tra le due.

    AKK era stata eletta leader della Cdu alla fine del 2018, dopo ben diciotto anni di ‘regno’ merkeliano, già con l’aura della candidata naturale a succedere a Merkel anche alla cancelleria. Ora, dopo il caos della Turingia, il quadro appare ben diverso, nel partito si è scatenato fulmineamente il dibattito su chi mettere in corsa, e subito si sono fatti sentire gli antagonisti storici di Kramp-Karrenbauer, il ministro alla Sanità, Jens Spahn, il capo della corrente più conservatrice nonché miliardario Friedrich Merz, il governatore della Baviera e capo della Csu Markus Soeder. Possibile outsider, il governatore del Nord Reno Vestfalia, Armin Laschet. Nella Cdu il nervosismo è alle stelle: “Queste dimissioni sono un errore”, ha attaccato un big come Elmer Brok.

    Altrettanto ovviamente c’è forte tensione nella Grosse Koalition: a detta dell’ex leader della Spd, Sigmar Gabriel,”il governo è di nuovo paralizzato, non credo che tutto ciò durerà a lungo, presto ci saranno elezioni anticipate”. Il ministro degli Esteri, Heiko Maas, socialdemocratico, mette le mani avanti: chi sarà eletto alla guida della Cdu “deve garantire che il partito rimanga un partner affidabile” e soprattutto avverte che “l’atteggiamento nei confronti degli estremisti di destra deve essere limpido come il cristallo, dobbiamo distanziarci dall’Afd a tutti i livelli”.

    Davanti alla stampa, Kramp-Karrenbauer ha ribadito che mai e poi mai la Cdu dovrà collaborare con l’ultradestra: “Ogni avvicinamento all’Afd indebolisce la Cdu”. Ma mentre la destra e la sinistra della Cdu litigano sui rapporti da tenere con l’Afd, questa esulta: dopo il ritiro di Akk, i vertici della formazione nazionalista vedono l’opportunità di avvicinare i cristiano-democratici: “E’ del tutto insensato e lontano dalla realtà non volere collaborare con noi”, ha detto uno dei leader nazionali dell’Afd, Alexander Gauland. E per quello che riguarda il dibattito interno alla Cdu, il commento più amaro è del presidente del Bundestag, Wolfgang Schaeuble: “Se continuiamo così, il nostro candidato alla cancelliera non diventerà mai cancelliere”.

    Quanto accaduto in Turingia aveva già scatenato proteste nel Paese e provocato le dimissioni del governatore appena eletto, il liberale Thomas Kemmerich, ad appena tre giorni dalla sua elezione, lo sprofondamento dei liberali ma anche della Cdu nei sondaggi nonché un furibondo fuoco di fila di critiche nei confronti della stessa AKK – come viene chiamata – per non essere stata in grado di prevenire e gestire la ‘trappola’ ordita dalla estrema destra nel Land orientale. Una specie di dramma politico che ha causato l’ira della stessa Merkel, che ha definito “imperdonabile” l’elezione di Kemmerich con i voti dell’Afd. Questo perché votare con l’ultradestra va contro “i principi e i valori” della Cdu, una specie di “rottura degli argini” per quello che riguarda l’apertura alla Afd, che per anni era stata formalmente esclusa in tutti modi e in tutte le occasioni. E la rinuncia di Akkè solo l’ultima conseguenza di quel voto.

  • Il dieselgate costa altri 1,5 miliardi di euro ai tedeschi di Daimler

    A causa del dieselgate i conti si fanno sempre più difficili in casa Daimler. E’ lo stesso gigante automobilistico tedesco ad ammetterlo con una nota ufficiale, spiegando che a causa dei richiami e dei vari procedimenti giudiziari in corso sono previsti oneri aggiuntivi “tra 1,1 e 1,5 miliardi di euro” in relazione ad automobili diesel della marca Mercedes-Benz “in diverse regioni e mercati”. Una formulazione non troppo dissimile a quella usata la scorsa estate, quando il gruppo aveva messo da parte complessivamente 1,6 miliardi di euro per affrontare le conseguenze del dieselgate, abbassando sensibilmente le stime in quanto a guadagni e utili. Stando alle cifre provvisorie, l’utile di gruppo del 2019 è crollato a 5,6 miliardi di euro, ossia oltre un miliardo in meno rispetto alle aspettative del mercato, il 50% in meno rispetto all’anno precedente.

    “L’azienda si trova nel bel mezzo di una crisi veramente grossa”, sintetizza senza troppi complimenti l’analista Juergen Pieper, di Bankhaus Metzler. A quanto anticipano i media tedeschi, il bilancio che il presidente della Daimler, Ola Kaellenius, presenterà il prossimo 11 febbraio dovrebbe rivelarsi ancora più ‘difficile’ del previsto. Se da una parte nella seconda metà dell’anno le vendite dei modelli Mercedes-Benz hanno registrato un miglioramento, il problema attuale sono gli alti costi legati alla ‘rivoluzione’ dell’ingresso nella mobilità elettrica e nelle nuove tecnologie, a cominciare da quelle legate alla guida autonoma.

    Non sono passati due mesi dall’annuncio da parte di Daimler del taglio di decine di migliaia di posti di lavoro allo scopo di diminuire i costi del personale di almeno. Entità del risparmio previsto: 1,4 miliardi di euro entro tre anni. Questo vuol dire ridurre l’occupazione di 10 mila unità (su complessivi 300 mila dipendenti), soprattutto nei settori amministrativi e di “ambiti vicini alla produzione” (in realtà l’operazione riguarda in parte anche i piani alti del management), prevalentemente attraverso fuoriuscite volontarie. Il punto è quello di liberare risorse da reinvestire nei motori “puliti” e nell’auto elettrica.

    “Il programma di risanamento presentato a novembre probabilmente dovrà essere esteso”, afferma Frank Schwope, esperto della Norddeutsche Landesbank. “Si impone una guida a vista”. Come se non bastasse, ci sono le difficoltà nel comparto della vendita di Tir. Kaellenius, due mesi fa, aveva fatto capire che intende modificare completamente la lista delle priorità in casa Daimler. Non sarà facile.

  • Banca tedesca salvata con soldi pubblici. Il Financial Times si accorge di ciò che la politica italiana ignora

    L’Antitrust europeo ha autorizzato il salvataggio della banca tedesca Nord/lb con denaro pubblico, rilevando che le condizioni di tale salvataggio sono le stesse che avrebbe praticato un privato ed escludendo di conseguenza che l’intervento in favore dell’istituto di credito configuri un aiuto di Stato proibito dalle regole europee.

    Partecipata dai Laender di Bassa Sassonia (con una quota del 59%) e Sassonia Anhalt (con una quota del 5,5%), la banca di Hannover è stata trascinata a picco dal deteriorarsi di prestiti erogati al settore dei trasporti marittimi e ora riceverà 1,5 miliardi dalla sola Bassa Sassonia (gli altri soci forniranno altro sostegno in denaro). Ignorata da quanti in Italia polemizzano sul Mes, la vicenda è stata invece oggetto di un duro commento da parte del Financial Times, che ha parlato di “un pessimo esempio di arte di governare“, che “avrà l’unico risultato di peggiorare le condizioni per compromessi politici fra Germania, Italia e altri Paesi dell’Unione”. Il quotidiano londinese riconosce che in quel caso l’intervento pubblico “può essere legale”, ma sottolinea che “rafforza la comparsa di doppi standard nell’Eurozona”. E aggiunge: “Le lamentele tedesche relative ai problemi bancari italiani irrisolti ostacolano i progressi verso l’unione bancaria e una più ampia integrazione dell’eurozona”, ma “ci sono tanti scheletri nell’armadio delle banche tedesche”.

  • Achtung, binational babies: Un altro bambino … e ancora i vicini tedeschi

    Strana sensazione quella che riesce ad unire un’immensa gioia e un inestinguibile dolore.

    L’ennesimo genitore tedesco aveva tentato con l’inganno di trattenere un bambino binazionale in Germania. L’ultima moda, molto in voga tra i genitori tedeschi, è quella di proporre uno scambio scolastico. Lo fanno sia le mamma che i papà tedeschi e il genitore non-tedesco che, pensando davvero al figlio, pensa che un anno in Germania sarebbe per il bambino un arricchimento linguistico e culturale e contemporaneamente un’occasione per rafforzare il rapporto con il genitore che vede di meno, subito, o dopo riflessioni, finisce per accettare. Dopo alcuni mesi, almeno sei, il genitore tedesco si rivolge al tribunale del suo paese e chiede la potestà (oggi responsabilità genitoriale) esclusiva. Quando sul territorio tedesco è presente solo il genitore tedesco è praticamente certo che la otterrà, diversamente da quanto accade negli altri paesi dell’Unione europea. In realtà il tribunale tedesco non è competente per modificare precedenti decreti di affido, ma ama farlo lo stesso. In questo è quasi sempre aiutato dall’avvocato del genitore non-tedesco e che, anziché difenderlo, lo trascina in un processo kafkiano dal quale uscirà senza più un soldo e soprattutto senza più diritti su suo figlio. Noi, cioè la rete internazionale cui ho dato vita tanti anni fa, lo sappiamo bene e sappiamo consigliare la strada giuridicamente corretta e concretamente risolutiva. Lo abbiamo fatto anche questa volta. Bloccate le richieste infondate di procedimenti sull’affido, abbiamo chiesto il rimpatrio e abbiamo ottenuto l’udienza in tempi brevi. Il giudice pareva schierato, come sempre, a difesa degli interessi tedeschi anziché del bene del bambino sottratto. Aveva addirittura voluto controllare l’autorizzazione all’esercizio della professione del nostro avvocato. Questo nostro giovane avvocato invece, non solo possiede tutti i titoli per esercitare, ma è giuridicamente molto preparato, soprattutto per quanto riguarda i casi binazionali e le sottrazioni. Ha anche saputo spingere il giudice a rispettare Leggi e Convenzioni internazionali ed a sentenziare in base ad esse, fatto piuttosto raro al di là delle Alpi. Infatti, mentre in Italia i giudici ordinano sempre il rimpatrio, cioè mandano via, o meglio esportano i nostri bambini senza verificare fatti e documenti, in Germania lo negano praticamente sempre, applicando una interpretazione molto “teutonica” del bene del bambino da perseguire, che è appunto quello di rimanere in Germania, non importa con chi né a che condizioni. Con un vero lavoro di squadra tra gli avvocati dei due paesi, contatti con le istituzioni, informazione precisa al genitore non-tedesco, informazione a volte accudente, a volte un po’ “brutale” per prepararlo a ciò che lo aspetta in tribunale e fuori, fermando l’avvocato che voleva far aprire un procedimento penale a carico del genitore sottrattore, perché questo avrebbe influito negativamente sulla decisione di rimpatrio rendendola impossibile da ottenere, abbiamo vinto il primo grado di giudizio. E poi anche l’appello. Immediatamente dopo abbiamo riconosciuto le manovre che si stavano mettendo in atto per non eseguire il rimpatrio. Conoscendole bene, abbiamo potuto renderle inefficaci. Questo bambino oggi è a casa. Tutto questo mi ha regalato un’immensa gioia, perché ogni bambino salvato da quella prigione diventa un po’ anche figlio mio. Ma tutti questi bambini ricevono un tale sostegno al costo delle vite spezzate dei miei figli. Questi bambini ritrovano una vita serena, perché i miei figli hanno perso la loro. Se tedeschi e italiani non avessero usato i miei figli come merce, se non avessero imbrattato la loro infanzia, pregiudicando il loro futuro, io oggi non avrei un master, non saprei nulla di politica e molto poco di Europa, ma sarei una mamma “qualsiasi”, semplicemente una mamma e sicuramente più felice.

  • Gli elettori del Spd prendono le distanze dall’alleanza di governo con la Merkel

    Non c’è pace per i socialdemocratici tedeschi e non c’è pace per la Grosse Koalition. E’ un nuovo tsunami in casa Spd la bocciatura della coppia ‘governativa’ Olaf Scholz e Klara Geywitz come nuovi leader del partito che fu di Brandt e di Schmidt.

    Con il 53% dei voti contro il 45,3%, la base ha preferito i “campioni” della sinistra socialdemocratica, ossia il ticket composto da Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans.  Il risultato del referendum su base nazionale tra gli iscritti, arrivato dopo un percorso durato oltre sei mesi, potrebbe avere conseguenze pesanti sul governo in carica guidato da Angela Merkel.

    Non tanto perché indebolisce Scholz che è vicecancelliere e ministro alle Finanze, ma perché l’elezione di Esken e Walter-Borjans rappresenta a sua volta una sorta di referendum tra i socialdemocratici sul futuro della Grosse Koalition, dato che ambedue hanno costruito buona parte della loro campagna in opposizione all’attuale alleanza di governo. Formalmente i due non sono ancora capi dell’Spd: saranno i delegati del congresso convocato per il prossimo 6 dicembre a dire l’ultima parola. Ma, in effetti, loro elezione a questo punto è data per scontata.

    La battaglia per formare il nuovo vertice dell’Spd è partita oltre sei mesi fa, dopo le dimissioni di Andrea Nahles in seguito alla debacle elettorale alle Europee, ed ha conosciuto già diversi passaggi, prima di arrivare al ballottaggio finale. Ora la partita si sposta alla prossima settimana: è qui che i delegati socialdemocratici decideranno se l’alleanza con la Cdu/Csu di Merkel continuerà fino a fine legislatura (ossia fino al 2021) oppure no. Ed è qui che la nuova coppia di vertice farà sentire tutto il suo peso.

    In teoria, Walter-Borjans ed Esken non sono favorevoli ad una fine traumatica della GroKo: il primo passo, secondo loro, è una rinegoziazione del contratto di governo. A quanto affermano le gole profonde nella Spd, il nuovo ticket intende proporre una serie di condizioni da sottoporre agli attuali alleati Cdu e Csu, tra cui ulteriori investimenti miliardari nella lotta contro i cambiamenti climatici ed un reddito minimo di 12 ore.

    Proposte che difficilmente i cristiano-democratici di Annegret Kramp-Karrenbauer e i cristiano-sociali bavaresi di Markus Soeder saranno disposti ad accettare: a quel punto, dato che in caso di un ‘no’ sonante i nuovi vertici consiglieranno al partito di uscire dalla coalizione, rischia di aprirsi la strada delle elezioni anticipate. L’altro scenario è quello di un governo di minoranza, ovviamente sempre targato Merkel, ma comunque a termine.

    Va detto che all’attuale situazione si arriva dopo diversi passaggi elettorali disastrosi per l’Spd, dalle elezioni nazionali del 2017 fino alle Europee di quest’anno passando da vari appuntamenti regionali, mentre anche i sondaggi assegnano all’ex partito di massa socialdemocratico risultati inferiori al 15%. L’Spd appare profondamente lacerata. Da una parte i “governativi” guidati appunto da Scholz, che poteva contare sull’appoggio di vari altri ‘big’ del partito, tra cui il ministro degli Esteri Heiko Maas e l’ex segretario Martin Schulz. Dall’altra, la sinistra interna – che la coppia Walter-Borjans ed Esken è arrivata ad incarnare solo pochi mesi fa – a sua volta sostenuta dalla potente associazione giovanile del partito, gli Jusos, guidati dal carismatico Kevin Kuehnert, che aveva condotto una strenua battaglia contro la GroKo già dopo le elezioni del 2017.

    Ai piani alti della Willy-Brandt-Haus, quartier generale della Spd, la preoccupazione è che la battaglia intorno alla nuova leadership possa indebolire ancora di più il partito, che dalle dimissioni di Nahles viene guidato ad interim dai “commissari” Malu Dreyer, Thorsten Schaefer-Guembel e (fino allo scorso settembre) Manuela Schwesig. “Noi rimarremo coesi, e quello che chiediamo all’esterno vale anche al nostro interno”, ha promesso Dreyer. Anche la ministra alla Famiglia Franziska Giffey e Maas non mancano di lanciare appelli all’unità del partito.

    Le previsioni che fanno le altre forze politiche non sono particolarmente ottimiste: “Sono senza parole. Questo spostamento a sinistra dell’Spd sanciscono la fine della Grosse Koalition”, ha detto il leader dei liberali dell’Fdp, Christian Lindner, secondo cui “la Germania si trova davanti al voto anticipato oppure ad un governo di minoranza. Per quanto ci riguarda siamo pronti ad un’assunzione di responsabilità”.

    Dal canto loro, anche per i vincitori a sorpresa la parola d’ordine ora è “coesione”: “Lo sappiamo tutti, ora dobbiamo stare insieme”, ha detto Esken subito dopo l’annuncio del conteggio finale, effettuato da decine di militanti che hanno scrutinato i voti arrivati per posta da tutto il Paese. “Sappiamo, però, ci si aspetta un lavoro immane”, ha aggiunto. Il tour de force con le 23 conferenze regionali attraverso le quali si è arrivato al ballottaggio finale “era solo l’inizio”.  Signorilmente, il battuto Scholz, nonostante le evidenti differenze, promette di non fare mancare il suo sostegno alla nuova leadership: “Ci metteremo tutti dietro la nuova direzione”.

    Il bello è che fino a poche settimane fa il mantra nella politica tedesca era “Borjan-Esken chi?”. Ambedue vengono da un’intensa attività a livello regionale. Walter-Borjans, 67 anni, è stato segretario di Stato nel Saarland e ministro alle Finanze nel Nordreno-Vestfalia. Esken, deputato dal 2013, alle spalle una laurea in germanistica, eletta nel Baden Wuerttemberg e in questa legislatura membro delle commissioni Interni e Digitale, in passato era nota soprattutto per aver duramente criticato l’Agenda 2010, ossia il pacchetto di riforme sociali ed economiche dell’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, da lei definito “il peccato per il quale paghiamo ancora il conto”.

    Lui, invece, oggi si sente definire “il Bernie Sanders tedesco”: in parte anche grazie al fatto che come titolare delle Finanze del suo Land “era uno che non si tirava indietro di fronte ai potenti dell’economia, perseguendo senza timori i miliardari che sfuggivano al fisco”, come annota la Zeit. Lo chiamavano il “Robin Hood dei contribuenti”: non a caso può contare, nonostante l’età ormai non più verdissima, sull’appoggio convinto dei giovani socialdemocratici.

    Non proprio l’identikit più conforme alla Cdu sempre più post-merkeliana. Per ora il segretario generale dei cristiano-democratici, Paul Ziemiak, si dice “fiducioso” di poter continuare a governare insieme alla Spd: “C’è una buona base, e quello è il contratto di coalizione”. Peccato che sia proprio la prima cosa che la coppia Walter-Borjans ed Esken intendano mettere in discussione. Appuntamento alla settimana prossima, al congresso della Spd: la battaglia è assicurata.

  • Bozza tedesca per modificare gli accordi di Dublino sui migranti

    Prima valutazione obbligatoria delle richieste di asilo alla frontiera esterna; un sistema più equo per la ripartizione dei profughi, basato su criteri come il numero di abitanti di un Paese e la sua forza economica; e lo stop assoluto ai movimenti secondari dei migranti da uno Stato membro all’altro. Sono i tre pilastri per la riforma del Sistema di asilo europeo, proposti da un documento datato 13 novembre, e fatto circolare in modo informale a Bruxelles, dal governo di Berlino.

    Il documento non è oggetto di discussioni ufficiali, ma su di esso potrebbe comunque richiamare l’attenzione il ministro tedesco Horst Seehofer al Consiglio Affari interni dell’Ue, la settimana prossima (2 e 3 dicembre). Secondo il documento, l’attuale Sistema basato sul regolamento di Dublino crea «chiari squilibri», con «cinque Paesi che nel 2018 hanno ricevuto il 75% di tutte le richieste di protezione internazionale. Ovvero: in termini relativi hanno sostenuto un peso 300 volte più pesante degli altri». Anche per questo motivo, il regolamento di Dublino viene definito fallimentare e «inefficace».

    Nella riflessione tedesca, sarebbe la futura Agenzia Ue per l’Asilo (un’evoluzione potenziata dell’attuale Agenzia europea per il sostegno all’asilo) a condurre il primo screening sulle richieste di protezione internazionale, già alla frontiera esterna. In caso di rifiuto di ingresso al migrante, Frontex dovrebbe entrare in gioco, ed il peso dei rimpatri sul Paese di arrivo verrebbe tenuto in considerazione al momento della ripartizione dei richiedenti asilo tra gli Stati.

  • A trent’anni dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia ancora troppi minori senza tutela e diritti

    Il 20 novembre 1989, trenta anni fa, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, composta da 54 articoli e da tre protocolli opzionali che riguardano il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, la vendita di bambini e il loro utilizzo in attività pornografiche e di prostituzione, e le procedure di reclamo. Questo è stato il primo documento nel quale sono elencati tutti i diritti che devono essere riconosciuti ai bambini di tutto il mondo. Ad oggi la Convenzione è stata ratificata da 196 Stati e il 20 novembre, ogni anno, viene ricordato con la giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

    Purtroppo ancora oggi sono più di 380 milioni i bambini che non hanno una minima istruzione, più di 220 milioni i bambini che lavorano e spesso effettuano lavori pericolosi e più di 20 milioni le bambine o adolescenti costrette a matrimoni forzati, più di un milione i bambini vittime di sfruttamento sensuale. Numeri spaventosi, realtà agghiaccianti non solo per quello che questi bambini subiscono ma anche perché non potranno diventare i portatori di una società migliore avendo subito così tanta ingiustizia e violenza. Il mondo si sta tranquillamente privando del suo futuro non tutelando i più piccoli e deboli e distruggendo l’ambiente. Ma a questo breve ma spaventoso elenco mancano altri bambini, altri numeri fortunatamente più piccoli ma comunque inquietanti, i bambini strappati ingiustamente alle loro famiglie nelle tante Bibbiano non solo d’Italia e manca qualunque riferimento a quel triste istituto tedesco, lo Jugendamt, in italiano “Amministrazione per la gioventù”, strutturato durante il nazismo e mai abolito, ma anzi potenziato.

    Questa istituzione affida sempre i bambini al genitore tedesco in caso di separazione e spesso a famiglie affidatarie tedesche, se i genitori sono entrambi stranieri, per esempio italiani emigrati in Germania. Non importa dove è nato il bambino e quale nazionalità abbia. Dopo sei mesi di residenza in Germania questi bambini diventano proprietà tedesca. I genitori così “cancellati” non avranno più nessun contatto con il bambino, ma solo l’obbligo di pagare. Con il genitore straniero viene cancellata anche la lingua e la cultura non tedesca, così come tutto quel ramo familiare.

    Tutto questo è possibile in barba a Convenzioni e Regolamenti, semplicemente con un semplice stratagemma interpretativo: in Germania l’interesse superiore del minore coincide con la sua permanenza in quel paese e con la sua educazione tedesca, anche se per questo perderà i genitori. Ormai sempre più voci si levano parlando di “germanizzazione”.

    I membri dell’Unione Europea tacciono, fingono di non sapere o minimizzano.

    L’Italia, nonostante le centinaia di vittime italiane, è il Paese più silenzioso. Sia i governi di centro destra, sia quelli di centro sinistra non hanno mai mosso un dito per difendere i diritti dei bambini sottratti dallo Jugendamt, sia direttamente, sia imponendo tali scelte ai tribunali.

    La Convenzione resta un caposaldo importante, ma la politica sembra decisa ad accontentarsi di aver scritto una serie di buone intenzioni. Nei fatti le violenze e le ingiustizie contro i bambini continuano anche in quei paesi dove il livello di civiltà e cultura dovrebbe averle azzerate, bambini violentati nel corpo e nella mente dalla pedopornografia, bambini usati come corrieri della droga, bambini rapiti da assistenti sociali corrotti o impreparati, bambini che vivono nel degrado di case senza igiene e anche bambini italiani che lo Jugendamt si porta via nel più totale silenzio delle nostre autorità.

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