Giornalisti

  • La Commissione avvia il forum europeo dei mezzi d’informazione con un dialogo sulla sicurezza dei giornalisti

    La Commissione ha avviato un dialogo sulla protezione dei giornalisti nell’UE che coinvolge numerose parti interessate, tra cui i giornalisti e le loro associazioni, società di informazione, rappresentanti dei consigli consultivi dei media, Parlamento europeo, Stati membri, autorità di regolamentazione e partner internazionali.

    Gli omicidi dei giornalisti d’inchiesta Daphne Caruana Galizia e Ján Kuciak avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme per l’Unione europea”, ha dichiarato Věra Jourová, Vicepresidente responsabile per i Valori e la trasparenza, che aprirà l’evento. “Tuttavia le minacce e gli attacchi contro i giornalisti sono sempre più numerosi, e sono minacce e attacchi contro la democrazia nel suo complesso. Per la prima volta la Commissione lavora a un’iniziativa dedicata alla sicurezza dei giornalisti che dovrebbe apportare miglioramenti tangibili sul campo.” E Thierry Breton, Commissario per il Mercato interno, ha aggiunto: “La libertà dei media non può essere data per scontata, dobbiamo difenderla attivamente, soprattutto nell’era digitale e con l’accresciuto rischio di attacchi online. Dobbiamo far sì che i giornalisti possano svolgere il loro ruolo cruciale nelle nostre democrazie garantendone la sicurezza quando svolgono il loro lavoro.

    Il dialogo proseguirà fino al 25 marzo nel quadro del forum europeo dei mezzi d’informazione. Si tratta di una tappa fondamentale nell’elaborazione della raccomandazione della Commissione agli Stati membri volta a garantire la protezione dei giornalisti (online e offline) e a combattere gli attacchi basati sul genere e contro le minoranze nell’UE, che sarà presentata più avanti quest’anno.

    Il forum e la raccomandazione fanno parte di una più ampia serie di iniziative volte a fronteggiare le minacce alla libertà e al pluralismo dei media nell’UE, come annunciato nel piano d’azione per la democrazia europea e in particolare per i giornalisti, con un’iniziativa destinata a contrastare l’abuso di azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica. Il piano si accompagna al piano d’azione a sostegno della ripresa e della trasformazione dei settori dei media e dell’audiovisivo dell’UE.

  • Accordo tra Ordine dei Giornalisti della Lombardia con Anci e PoliS-Lombardia per un progetto di riqualificazione e reinserimento al lavoro di giornalisti in Comuni e aziende sanitarie

    Riqualificare il lavoro giornalistico per aprire nuove ed effettive opportunità di incarichi negli enti pubblici.
    Ordine dei giornalisti della Lombardia, Anci (Associazione dei Comuni) Lombardia e PoliS-Lombardia (Istituto regionale per il supporto alle politiche di Regione Lombardia) hanno siglato un accordo per ampliare e aggiornare le competenze dei giornalisti impegnati nella comunicazione pubblica con la finalità di integrarli, al termine della formazione, negli staff degli enti partner.

    Obiettivo dell’accordo è la formazione e la ricollocazione di giornalisti specializzati in comunicazione degli enti pubblici. Il Progetto di riqualificazione dei giornalisti nelle Pubbliche Amministrazioni è rivolto a disoccupati, freelance, giornalisti precari e ha l’obiettivo di fornire conoscenze tecniche e creare nuove professionalità specializzate – con contratti adeguati – nell’ambito degli uffici stampa (responsabile o addetto) con l’acquisizione delle competenze di base e delle normative che regolano il funzionamento degli enti pubblici, di strumenti e tecniche efficaci per la gestione di portali istituzionali, piattaforme social, storytelling e mobile journalism per il sistema PA e della gestione delle situazioni di crisi, con taglio e professionalità giornalistica nel rispetto della Carta dei doveri del giornalista.

    Il progetto prevede la frequenza a un corso di 60 ore (di cui 12 come stage in un ente pubblico) con teoria e pratica, laboratori, case histories e testimonianze, al termine del quale verrà rilasciato un attestato di specializzazione.
    I requisiti per partecipare al corso formativo sono: essere iscritti all’Ordine dei giornalisti della Lombardia (professionisti o pubblicisti), essere in regola con i pagamenti delle quote annuali e con i crediti formativi triennali (Legge 148/2011 e Dpr 137/2012) ed essere in possesso di un Isee non superiore a 22mila euro.

    Il corso è gratuito e si svolgerà in modalità digitale.

    Gli ambiti di formazione e di possibile impiego spaziano nella pubblica amministrazione, nella politica e nella sanità.

    Le materie del corso sono: la comunicazione digitale, la gestione dei social network, le tecniche di gestione di un ufficio stampa, la deontologia dei giornalisti, la privacy e la trasparenza, cenni sulla storia delle amministrazioni pubbliche, le leggi della P.A. e quelle dell’editoria, la legge 150/200 e il Contratto di lavoro degli enti locali, il Codice degli appalti, l’analisi dei bilanci della P.A. e le regole della finanza pubblica, gli open data, i dati statistici, amministrativi e le fonti, laboratori di ufficio stampa, il management sanitario e l’organizzazione sul territorio, la legislazione sanitaria e l’informazione nelle emergenze sanitarie. È possibile presentare la documentazione (dati anagrafici, numero di tessera, codice fiscale, allegando copia dell’Isee) per accedere al corso nel periodo compreso tra mercoledì 10 febbraio e lunedì 22 febbraio al seguente indirizzo di posta elettronica: giornalisti.pa.lombardia@odg.mi.it.

  • In attesa di Giustizia: il silenzio dell’innocente

    Sembra che il nostro sia divenuto uno Stato moralizzatore: addirittura giunge notizia che a Pavia una coppia di fidanzati sia stata multata nella misura di 400 euro per essere stati sorpresi, da agenti in borghese ma in servizio, ad abbracciarsi e, dunque, senza rispettare le norme sul distanziamento fisico. Qualcosa di simile, peraltro, era già accaduto un anno fa circa; dove? direte voi, un anno fa non c’erano né il covid – 19 né rigorosi DPCM! Ma come, dove? In un centro commerciale ad Arak, Iran; i due innamorati in quella occasione furono arrestati per oltraggio alla pubblica decenza frutto di degenerazione da cultura occidentale o qualcosa di simile. Non possono lamentarsi i ragazzi pavesi: perché da noi le pene sono severe ma giuste e, forse, in un prossimo futuro avremo anche sei divisioni di Assistenti Civici che vigileranno con rigore sull’osservanza delle regole anti contagio  e sulla sobrietà di effusioni altrimenti pericolose.

    L’insegnamento morale che vuole instillarsi nella popolazione sembra – tuttavia – essere a due velocità: ci sono argomenti che, almeno per alcuni, pare preferibile non affrontare sebbene meritevoli di attenzione e della dovuta critica, possibilmente anche costruttiva. Tra questi, vi è quanto emerge dalle intercettazioni che riguardano i magistrati.

    Si tratta di una copiosa messe di conversazioni e di messaggi,  che alza il velo su uno squallido mercimonio di incarichi e di favori, raccolta durante le indagini della Procura di Perugia su Luca Palamara.  Uno che, solo a guardarlo in fotografia, suggerisce riflessioni lombrosiane e se lo incontri di notte, anche se tace, gli dai subito la borsa.

    L’emersione dello scandalo ha portato con sé numerose implicazioni, comprese quelle a proposito della correttezza della informazione. O, forse, consolida convincimenti proprio sul livello etico di ambiti sensibili della cosa pubblica; e, se quanto fuoriuscito dal vaso di Pandora umbro non sempre integra reati, molti discutibili comportamenti rilevano quali illeciti disciplinari gravi.

    In tutto ciò, taluni pennivendoli, come era da immaginarsi, hanno “silenziato” queste ultime notizie  soprattutto nelle porzioni che attengono alla opacità dei loro rapporti con frange della magistratura; ma l’attenzione è ugualmente e prepotentemente tornata su un tema che da mesi non ne era più oggetto provocando, tra l’altro, sconquasso e dimissioni in seno alla Associazione Nazionale Magistrati.

    Nel dimettersi dall’incarico, il suo Presidente, Luca Poniz – persona, peraltro, ottima e corretta – ha, tuttavia, fuori luogo parlato di un attacco alla magistratura e indignandosi, questa volta sì,  perché atti di indagine vengono resi pubblici. Curioso: la magistratura sotto attacco da se stessa…l’immagine evocata dal Consigliere Poniz ricorda il Tafazzi della Gialappa’s Band.

    Un bagno di umiltà sarebbe stato preferibile: i magistrati sono uomini con pregi e difetti come tutti, non tutti, per fortuna, come i parlanti ascoltati dai colleghi di Perugia ma non sono nemmeno gli unti del Signore, ed è ora che imparino che esiste la vergogna. Ed anche le scuse per condotte aberranti.

    La nostra Costituzione recita che “la Giustizia è amministrata in nome del popolo” significando, tra le altre cose, che i cittadini devono poter avere un controllo non solo sulle modalità della sua amministrazione ma anche su chi esercita la giurisdizione. L’informazione in proposito non può essere né condizionata prima né mistificata poi.

    L’affaire Palamara ha fatto saltare il coperchio su un malcostume diffuso proprio nell’ambito dell’Ordine Giudiziario e non c’è ragione per cui si debba tentare di secretare il tutto quando il cittadino comune che finisce sotto processo viene abitualmente osteso alla gogna ben prima di una sentenza di condanna anche solo sulla base di prove circostanziali e non di evidenze come possono essere i portati di intercettazioni dal contenuto, purtroppo, inequivocabile.

    L’ipocrisia, peraltro, è un male antico della politica, perché – in fondo – anche in questo caso di politica si tratta se si riguarda al Consiglio Superiore della Magistratura come ad un organo che ne è pesantemente condizionato.

    Ma ora si sta andando ben oltre: non bastasse il volo degli stracci in prima serata tra Guardasigilli e P.M., si sono risapute queste chiacchiere che svelano al grande pubblico ciò che tutti gli addetti ai lavori sapevano da sempre (ma non ne avevano le prove) sul sistema correntizio di gestione del C.S.M. e le sue degenerazioni.

    Ciliegina sulla torta di questi giorni mettiamoci anche un Procuratore Capo della Repubblica arrestato con accuse infamanti. Sempre nel silenzio, almeno uno dei suoi ex sostituti, nel processo che lo riguarda, si è visto richiedere una pena pesantissima per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.

    I miasmi che intossicano il “sistema giustizia” sono ormai  intollerabili e ad essi si aggiunge il silenzio assordante su questa vicenda di Sergio Mattarella, che responsabilità non ne ha certo, protrattosi troppo a lungo: un intervento rigoroso ed autorevole nel suo ruolo non solo di garante della Costituzione ma di Presidente del C.S.M., sarebbe stato doveroso e non solo auspicabile già molto prima della convocazione di un plenum straordinario del Consiglio cui ha partecipato con un discorso che – francamente – è il  compendio di inevitabili ovvietà allocate al minimo sindacale.

    In attesa di Giustizia ci terremo, allora, i miasmi a renderci impossibile il respiro, senza neppure un Dante alla cui pietas rivolgere il proprio “ricordati di me che son l’Italia”.

  • In attesa di Giustizia: cronaca nera

    Tribunali sostanzialmente chiusi, Procure al lavoro sotto traccia e – come sembra – principalmente sulle tracce di responsabili del contagio nelle residenze per anziani ma il distanziamento sociale tiene necessariamente lontani i cronisti giudiziari dalle loro fonti all’interno dei palazzi di giustizia o delle questure, e persino le trasmissioni televisive dedicate al gossip giudiziario si sono riconvertite al tema esclusivo della pandemia.

    Il momento è stimolante per fare riflessioni pensando a ciò di cui non disponiamo ed a cui siamo abituati: come la cronaca nera che, per le ragioni illustrate, ora langue anche se non sarà per molto ancora…e nella quotidianità fatta in gran parte di ricerca di notizie sull’andamento del contagio e dei possibili rimedi, accade che balzi all’attenzione anche un articolo di “giudiziaria” pubblicato da un giornale omanita.

    Uno pensa all’Oman, medio oriente, e prima ancora di leggere il luogo comune ti fa dire: beduini! Chissà questi che ai ladri – l’articolo tratta proprio di simili furfanti – tagliano le mani che rapporto difficile avranno con la presunzione di innocenza!

    Poi salta all’occhio subito una cosa: le foto degli arrestati sono coperte per non renderli riconoscibili, i nomi sono ridotti ad iniziali o non citati del tutto e il pezzo è di fredda cronaca, privo di qualsiasi valutazione sulle responsabilità che restano presunte e senza magnificazioni dell’operato degli inquirenti.

    Proviamo a immaginare come un articolo analogo sarebbe stato scritto in Italia, magari preceduto da un proclama a reti unificate del Ministro dell’Interno?

    “Con una brillante operazione al termine di una meticolosa indagine coordinata dalla locale Procura della Repubblica, la polizia ha arrestato una banda di pericolosi criminali  (non presunti ladri, come scrive il giornalista omanita) dedita al furto nei grandi magazzini.

    I componenti della associazione per delinquere, sulle cui tracce gli investigatori erano ormai da tempo, sono stati tradotti in carcere.

    Nella ordinanza di custodia cautelare (che i giornalisti non dovrebbero avere, almeno non subito) si legge che in moltissime occasioni hanno (e non: avrebbero) rubato borse ed oggetti vari presso catene della grande distribuzione.

    Tre degli arrestati hanno precedenti specifici per furto e reati contro il patrimonio (leggasi: sono certamente loro, i ladri. A che serve il processo?). Le indagini sono ancora in corso e non si escludono clamorosi sviluppi”.

    Va bene, direte voi, ma alla fine a questi gli tagliano le mani!…non è detto perché il sistema processuale dell’Oman è un accusatorio puro di  tradizione britannica: quindi molto garantista.  Comunque sia, qualcosa da imparare lo abbiamo anche dagli omaniti: in attesa di Giustizia e sia pure nel rispetto del diritto di cronaca i processi non si fanno sui giornali e meno che mai anticipando sentenze di condanna.

  • 13 giudici slovacchi arrestati per legami con il mandante dell’omicidio del giornalista Jan Kuciak

    In Slovacchia tredici giudici e altre cinque persone sono stati arrestati e accusati di corruzione e ostruzione alle indagini sulll’omicidio del giornalista Jan Kuciak. L’arresto è stato annunciata da una unità speciale di polizia che indaga sui contatti tra diversi giudici e l’uomo d’affari Marian Kocner, sospettato di aver ordinato l’assassinio.

    Kocner e altri tre imputati sono attualmente sotto processo per gli omicidi di Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova. Kuciak aveva indagato sulle attività commerciali di Kocner nell’ambito di un’evasione fiscale che aveva coinvolto magnati e personaggi politici del paese.

    L’uomo di affari è stato accusato di corruzione di giudici, politici e pubblici ministeri ed a febbraio era stato condannato a 19 anni di prigione per un’altra vicenda che lo vede coinvolto in contraffazione e reati finanziari.

    L’omicidio di Kuciak nel 2018 ha scatenato grandi manifestazioni che alla fine hanno portato il primo ministro Robert Fico e il capo della polizia del paese a dimettersi, nonché all’elezione a Presidente dell’attivista anti-corruzione Zuzana Caputova.

  • Per Putin anche i giornalisti sono ‘agenti stranieri’ e vanno controllati

    Giornalisti alla pari degli 007. Accade in Russia dove Putin ha firmato un decreto legge a dir poco liberticida in cui si equiparano giornalisti, blogger e tutti coloro sospettati di ricevere supporto finanziario o altro materiale da organizzazioni di media esteri agli ‘agenti stranieri’. Il provvedimento si affianca ad una precedente legge approvata dal Cremlino nel 2012 per arginare l’attività degli agenti segreti veri sul territorio russo, emanata in seguito alle proteste antigovernative nel Paese per la salita al potere di Putin. Gli attivisti per i diritti umani vedono in questo nuovo editto una tattica brutale per colpire le voci critiche contro il governo e un modo per invadere la vita e la sicurezza dei giornalisti. Dal canto suo Mosca afferma che la legge è ‘solo’ una risposta alla decisione del governo degli Stati Uniti di vietare al canale di Stato russo RT la sua unità operativa sul territorio statunitense come secondo il Foreign Agents Registration Act.

  • Fausto Biloslavo non può parlare all’Università di Trento

    Non si sa se sia più grave l’aver impedito ad un giornalista di parlare all’università o non aver sentito proferire parola al riguardo da parte del Ministro dell’Istruzione, complice anche una certa indifferenza dell’Ordine dei giornalisti che tutti i suoi iscritti (e non solo) dovrebbe tutelare. Evidentemente se il giornalista in questione si chiama Fausto Biloslavo e l’Università è quella di Trento è probabile che tutto alla fine torni. Il noto inviato di guerra, che sapientemente ha raccontato e racconta quanto accade nelle più calde aree di crisi nel mondo, era stato invitato ad intervenire in un convegno, organizzato dall’ateneo trentino, sulla Libia, paese del quale Biloslavo è attento conoscitore. La notizia non è stata accolta bene da un gruppo di studenti facinorosi  di estrema sinistra (crediamo nella serietà e nella sana curiosità per il sapere della stragrande maggioranza degli studenti dell’Università di Trento) che, divulgando volantini con il volto del giornalista a testa in giù, si sono opposti alla presenza di Biloslavo all’università. E il Rettore, probabilmente davanti a veementi atti di protesta, ha accettato la richiesta, scusandosi con il giornalista e invitandolo a tornare all’università. Non è dato sapere però se questi studenti siano stati segnalati alle Forze dell’Ordine né finora si è levata la voce del Ministro Fioramonti. Perfino l’Ordine dei Giornalisti ha preso blanda posizione. Tocca pensare, purtroppo, che, ancora oggi, la cultura si crede possa essere appannaggio solo della sinistra (e Biloslavo è considerato uomo di destra anche per le sue inchieste sul massacro delle Foibe), o di una certa parte, che in certi atenei sopravviva la parte peggiore delle ideologie che permette ad ex terroristi o a personaggi che con la cultura e la divulgazione hanno ben poco da spartire di poter tenere lectio magistralis. Ciriani, presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, ha annunciato un’interrogazione a Fioramonti. Viene spontaneo chiedersi: ma è possibile che con tutte le importanti questioni da affrontare e decidere in Parlamento, qualcuno debba ricorrere ad un’interrogazione per chiedere un atto di condanna da parte del Ministro e rivendicare che la libertà di parola, pensiero e credo, sul finire del 2019, sia un diritto inalienabile per tutti?

  • Malta incrimina tre persone per l’assassinio della giornalista Daphne Garuana Galizia

    Il Procuratore generale di Malta ha incriminato tre uomini per l’assassinio della giornalista Daphne Caruana Galizia. L’accusa è arrivata con anticipo rispetto alla scadenza di 20 mesi per incriminare o rilasciare dei sospetti in custodia. I tre uomini, Vincent Muscat e i fratelli Alfred e George Degiorgio, erano stati arrestati nel dicembre 2017 e accusati di aver lanciato una bomba nella macchina della Caruana Galizia nei dintorni della capitale maltese La Valletta il 16 ottobre 2017. I tre si sono dichiarati “non colpevoli” ma i tribunali hanno respinto le richieste di cauzione.

    Il motivo dell’assassinio non è mai stato rivelato ma Caruana Galizia curava un blog in cui scriveva di anti-corruzione. Il primo ministro Joseph Muscat, un bersaglio frequente della Caruana Galizia, ha offerto un premio di un milione di euro per le informazioni che hanno portano all’arresto dei colpevoli.

    L’indagine della polizia è avvenuta con la collaborazione dell’Ufficio federale delle indagini e dell’Europol degli Stati Uniti. La famiglia della giornalista chiede un’inchiesta pubblica sulla vicenda, richiesta echeggiata dal Consiglio d’Europa. Il governo però è convinto che un’inchiesta pubblica ostacolerebbe le indagini della polizia ma non ha escluso la possibilità di organizzarne una in futuro.

  • Solidarietà a Vittorio Brumotti, l’inviato di ‘Striscia la Notizia’ aggredito a Trani

    Ancora un’aggressione, questa volta a Trani, per l’inviato di Striscia la Notizia, Vittorio Brumotti. Il ciclista era nella cittadina pugliese con il suo operatore per realizzare un servizio su una delle piazze di spaccio quando, dopo essere caduto in una imboscata, è stato aggredito riportando un trauma cranico e diversi ematomi. Le condizioni comunque non sono gravi.

    Già l’anno scorso Vittorio Brumotti è stato aggredito più volte, a febbraio, infatti, durante un servizio al quartiere Zen di Palermo, qualcuno ha sparato alla sua auto e lanciato oggetti. Un episodio simile è accaduto a dicembre a Roma, nel quartiere San Basilio, dove è stato costretto a fuggire dopo che un uomo incappucciato ha rincorso la troupe lanciando mattoni verso il furgone. In quell’occasione qualcuno sparò anche dei colpi d’arma da fuoco in aria.

    All’inviato di Striscia, oltre ad esprimere solidarietà incoraggiandolo a continuare con i suoi servizi di denuncia, facciamo i migliori auguri di pronta guarigione.

  • La Turchia nega l’accredito ai giornalisti stranieri prima delle elezioni di marzo

    Nemico e carceriere dei giornalisti il governo turco di Recep Tayyip Erdogan, a poche settimane dal voto si è rifiutato di accreditare 50 corrispondenti stranieri che intendevano coprire la tornata elettorale. I corrispondenti che lavorano da anni per Suddeutsche Zeitung, ZDF, Tagesspiegel e ARD non hanno ricevuto alcun pass per la stampa. Il fatto che così tanti giornalisti stranieri siano bloccati prima delle elezioni comunali del 31 marzo, in cui il partito al potere islamista AK si aspetta di perdere terreno, solleva nuove preoccupazioni sulla campagna in corso di Erdogan per distruggere l’indipendenza dei media in Turchia. L’edizione in lingua tedesca del quotidiano filo-governativo Sabah ha sostenuto il 5 marzo, senza fornire prove, che i giornalisti sono legati al chierico statunitense Fethullah Gulen, arcinemico di Erdogan. Dopi il colpo di stato fallito nel 2016, il governo turco ha spento 31 canali TV, 34 stazioni radio, chiuso cinque agenzie di stampa, 62 giornali, 19 riviste e ha cancellato centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. La Germania ha avvertito i suoi cittadini che rischiano l’arresto per aver espresso opinioni in Turchia.

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