La Cina opera per attrarre sempre più investimenti, nonostante la crisi ucraina e quella, paventata, per Taiwan inducano a riflettere se non si sia all’alba di una fase di deglobalizzazione o, secondo altri, di una globalizzazione polarizzata, democrazie da un lato e non-democrazie dall’altro. Su Il Transatlantico di Andrew Spannaus, Paolo Balmas riferisce quanto segue:
«Tencent, la casa madre di WeChat, ha concluso un accordo con i fornitori di carte di credito straniere, Visa, MasterCard e JCB, al fine di permettere a turisti e businessmen in visita in Cina di utilizzare il sistema di pagamento Weixin Pay, interno all’app di WeChat. Ciò incentiva l’uso dell’app che rende alcuni servizi più efficaci. Ad esempio, si può fare una fila senza dover rimanere in piedi o in prossimità del luogo di servizio. Soprattutto senza l’erogazione di un numeretto su un talloncino di carta, pratica che in molti luoghi della Cina è ormai semplicemente primitiva. Si possono prenotare ristoranti sul momento (i QR code si trovano all’ingresso degli stessi ristoranti) e sapere quanto tempo si ha prima che il tavolo sia pronto per voi, con un messaggio automatico che vi avverte quando il cameriere o cameriera vi attendono. Alipay di Ant Group aveva già aperto i suoi servizi alle carte di credito straniere nel 2022, in un momento in cui la Cina stava cominciando a riaprirsi dopo quasi tre anni di chiusura dovuta al Covid-19. La notizia non aveva avuto un grande effetto perché non si attendeva un grande ritorno di turisti in Cina, ma ora con gli Asian Games a settembre sono attesi molti arrivi e il numero di attività commerciali che non accettano più contanti e carte sono in aumento. Tuttavia, prima era possibile aprire un account e usufruire in parte di questi servizi, ma ora è possibile accedere a nuovi mondi, come ai sistemi per lo shopping online. Non è detto però che i rivenditori spediscano i prodotti fuori dalla Cina se si prova a utilizzarli dall’esterno. Se questo è il futuro, arriverà presto il giorno in cui Amazon scoprirà di avere competitor interessanti.
Il governo cinese ha emanato nuove regole per l’industria dei fondi di investimento, private equity (PE) e venture capital (VC), che entreranno in vigore dal primo settembre 2023. Secondo le testate che hanno riportato la notizia (fra cui Bloomberg e Caixin), le preoccupazioni maggiori delle agenzie che si occupano del settore finanziario cinese, riguardavano i servizi di custodia. Come per le azioni e le obbligazioni, chi lancia un fondo di investimento lo deve mettere sotto la custodia di entità che garantiscono la sicurezza per gli investitori (solitamente a farlo sono le grandi banche di investimento – nel mondo nordatlantico le grandi banche statunitensi come, ad esempio, State Street hanno più o meno il monopolio, in Cina ci sono le grandi banche di stato come la CCB). La preoccupazione principale riguardava la definizione delle responsabilità di tali custodi. Inoltre, un altro punto riguardava il ruolo dei manager dei fondi. Gli osservatori spiegano che se il testo di legge lascia alcuni punti con una sorta di vaghezza, è perché specifiche agenzie aggiungeranno nel corso dei prossimi mesi varie regole aggiuntive sul piano legale, che andranno nei dettagli. L’industria cinese dei fondi PE e VC ha raggiunto un valore equivalente di circa tremila miliardi di dollari e attrae sempre di più gli investitori occidentali che negli ultimi anni hanno aperto sedi in Cina, come JPMorgan e altri grandi nomi di Wall Street.
L’Ufficio delle Finanze della provincia di Qinghai ha rilevato circa il 20% (che apparteneva a un’altra agenzia statale) della Banca di Qinghai, dopo che le agenzie di rating cinesi l’avevano declassata. Nel 2022, la Banca di Qinghai aveva registrato un declino nei profitti di oltre il 60%, dovuto alle sofferenze in aumento nell’ambito dei prestiti alle famiglie e dei mercati delle proprietà e dell’energia. Il malessere della banca riflette il diffuso problema del real estate che si estende su buona parte della Cina. Il declino del mercato immobiliare ha fatto registrare una crescita inferiore alla media nazionale in ben 15 giurisdizioni (su un totale di 28). La Cina nel primo trimestre del 2023 è cresciuta del 6,3% e del 5,5% nei primi sei mesi. Mentre tre giurisdizioni erano in linea con la crescita nazionale, nei primi sei mesi del 2023, dieci l’hanno ampiamente superata, con il record di Shanghai in crescita del 9,7%. Su base trimestrale, il record è stato della provincia di Hainan, con il 10,3%, grazie anche a un forte aumento delle attività turistiche sull’isola. I dati segnalano anche un calo di export e produzione, dovuto a un calo generale della domanda internazionale. Emerge un quadro insolito, con province, da un lato, che hanno registrato una crescita del solo 2%, con chiari segni di crisi del settore delle costruzioni e difficoltà per le banche a elargire il credito di cui l’economia e le statistiche hanno bisogno. Dall’altro, ci sono province e distretti con crescite oltre le aspettative, capaci di attrarre investimenti anche esteri, malgrado il continuo attacco mediatico contro la Cina».