Governo

  • Il nanismo intellettuale del pensiero liberale italiano

    Il progetto di rendere private tutte le più importanti infrastrutture statali, in concessione come Autostrade o cedute a fondi esteri come le multiutility, sta arrivando alla sua disastrosa conclusione.

    Attraverso la privatizzazione della rete TIM, l’Infrastruttura digitale strategicamente fondamentale in quanto convoglia dati ed informazioni anche di estrema importanza militare ed internazionale, si chiude infatti quel processo di cessione di sovranità dello Stato sicuramente più deleteria nelle ripercussioni rispetto a quella monetaria.

    Un processo gestito sostanzialmente da una classe governativa e parlamentare di “piazzisti” i quali con diverse ed opposte maggioranze si sono alternati alla guida del nostro Paese dal 1998 ai giorni nostri ma tutti uniti dal medesimo obiettivo ed interesse.

    Questo delirio “liberalizzante” ha visto il proprio inizio con il governo D’Alema ed ora è in via di ultimazione grazia all’azione del primo governo a giuda femminile, dimostrando ancora una volta come non esista la differenza di genere neppure tra opposti schieramenti politici.

    Questo ennesimo disastro strategico economico rappresenta l’essenza stessa del massimalismo affaristico che coinvolge tutti i partiti dell’arco costituzionale e tutti i governi dal 1998 al 2023.

    In questo contesto, in più, emerge clamoroso il silenzio altrettanto massimalista e probabilmente compromesso della cosiddetta “area intellettuale liberale” la quale con arroganza si arroga il compito di rappresentare il pensiero di un ex presidente della Repubblica e liberale in genere.

    Queste fondazioni o istituti vari affermano di rappresentare il pensiero liberale assieme ad un fiorire di “partiti di ispirazione liberale” i quali, all’unisono, disquisiscono quotidianamente delle problematiche legate alle licenze dei taxi.

    Contemporaneamente non spendono una parola su scelte strategiche relative ad infrastrutture fondamentali con effetti e ripercussioni per la stessa comunità democratica. Evidente come espressione della loro incapacità di valutazione e confermata dall’atteggiamento rispetto alle conseguenze dell’acquisizione operata dal fondo KKR della rete TIM.

    In altre parole, il mondo liberale dimostra il proprio “nanismo intellettuale” in quanto applica in modo massimalista i principi liberali (concorrenza e legge di mercato ripetuti pedissequamente in ogni contesto) al mondo dei servizio a basso valore aggiunto, mentre rimane in complice silenzio sulle strategie complessive legate alla acquisizione della rete TIM, arrivando in sporadici casi ad appoggiare l’operazione di finanza speculativa del fondo KKR.

    Una forza politica che si definisce “sua sponte” liberale ed in contrapposizione rispetto al pensiero ed alle azioni governative si dimostra invece complice attraverso il proprio silenzio del declino nazionale.

    Un gotha liberale incapace persino di distinguere il valore, e quindi anche gli effetti, tra politiche legate ai servizi alle persone (taxi) ed altre legate alle sorti delle reti infrastrutturali strategiche, le quali meriterebbero diversi approfondimenti in relazione agli effetti per l’intera nazione.

    Questo nanismo intellettuale espresso dai vertici liberali rappresenta una delle cause principali della deriva sudamericana che il nostro Paese ha intrapreso a cominciare dal governo D’Alema e portata ora a compimento dal governo Meloni. Non va dimenticato infatti come quest’ultimo intenda rinnovare la concessione a privati di Autostrade, dimostrando come la tragedia del Ponte Morandi non abbia scosso minimamente l’anima della classe politica reggente.

    Va sottolineato, quindi, come dal 1998 fino al 2023 tutti i governi alla guida del nostro Paese abbiano potuto operare contro gli interessi degli elettori applicando in modo scolastico ed escludendoli dal contesto alcuni principi liberisti, avvalendosi contemporaneamente del complice silenzio dell’intero mondo liberale, incapace di elaborare una propria strategia alternativa in relazione a tematiche così importanti sotto il profilo strategico.

    Mai come ora il destino della rete Tim ha dimostrato quanto da oltre vent’anni la classe politica italiana si sia dimostrata priva di ogni minimo senso dello Stato, anche grazie alla complicità del mondo liberale affetto da un sempre più imbarazzante nanismo intellettuale, culturale ed umano.

  • Le riforme istituzionali: dalla funzione di governo a quella del comando

    E’assolutamente riduttivo credere che la situazione di estrema difficoltà delle famiglie italiane (*) sia legata solo ed esclusivamente ai terribili effetti della pandemia e dalle due guerre in corso.

    Se il 63% dei nuclei familiari del nostro Paese presentano difficoltà ad arrivare alla fine del mese, rispetto al 43% della media europea, emerge evidente come le responsabilità si dimostrino molto più diffuse e soprattutto individuabili all’interno di un maggiore arco temporale sia sotto il profilo delle responsabilità governative che legislative.

    In questo difficilissimo contesto economico e sociale che  si protrae sostanzialmente dal novembre 2011, nel nostro Paese da oltre trent’anni si parla di riforme istituzionali.

    Da più parti si ipotizza un possibile superamento del bicameralismo perfetto, come della elezione diretta del Presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica. Riforme che vengono indicate come la soluzione delle problematiche nazionali politiche e, di conseguenza, sociali ed economiche.

    Tutte queste riforme presentate da tutti i più  diversi gruppi politici risultano espressione di una visione assolutamente parziale e magari anche interessata al proprio interesse piuttosto che finalizzata a  fornire nuovi strumenti democratici agli elettori.

    Si pensi, per esempio, come queste “riforme” lascino sostanzialmente inalterate le prerogative del Parlamento il quale, di fatto, vede ridotta la propria funzione di fronte ad un asset istituzionale che veda un premier eletto direttamente e quindi un accentramento della funzione governativa. Salvo poi, eventualmente, attribuire un premio di maggioranza che assicurerebbe una stabilità politica ma al tempo stesso diminuirebbe la rappresentanza democratica e la stessa alternativa democratica.

    In altre parole, qualsiasi banale riforma istituzionale presentata sino ad oggi non tiene in alcun conto il doveroso mantenimento dell’ equilibrio istituzionale tra i poteri dello Stato il quale rappresentava uno degli obiettivi della carta costituzionale e dei Padri costituenti, ma tende a favorirne uno rispetto ad un altro.

    Esattamente come l’ultima attuale riforma anticipata dal governo in carica con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, la quale rappresenta una visione parziale e molto probabilmente interessata di una classe politica la quale cerca  di porre le condizioni per ottenere un comando completo del Paese e contemporaneamente assicurarsi il mantenimento al potere.

    In un momento storico di estrema difficoltà del nostro Paese per la situazione internazionale e la stessa sostenibilità del debito pubblico, i cui titoli vengono considerati meno affidabili di quelli della Grecia, l’Italia non presenta una immediata necessità di una riforma istituzionale quanto di una diversa classe politica responsabile e quindi di una modalità elettorale che assicuri la possibilità di scelta degli elettori.

    Come nel gioco delle tre carte, infatti, ogni riforma che tenda a spostare semplicemente i poteri lasciando invariati assolutamente il gestore e la sua selezione non potrà mai rappresentare un miglioramento per il paese, in quanto tutte le forze politiche traggono vantaggi da un sistema elettorale bloccato che invece meriterebbe una riforma immediata.

    Del resto, sarebbe anche infantile pensare ad una capacità di autoriforma da parte di chi ha determinato questi disastri economici e sociali senza precedenti dal dopoguerra ad oggi.

    Quest’ennesima proposta di riforma istituzionale rappresenta, quindi, ancora una volta, la ricerca di un alibi istituzionale per azzerare le proprie responsabilità relative alla situazione dell’intera classe politica italiana e contemporaneamente assicurarsi una ulteriore legittimazione.

    A  questo evidente processo di accertamento di potere nel nostro Paese ne corrisponde uno analogo all’interno dell’Unione Europea. Anche in questa istituzione, infatti, attraverso  l’abolizione del principio di unanimità sostituito da quello di maggioranza, si  permetterebbe di  passare dalla legittima funzione di governare  a quella più ambita  di  comandare.

    Il medesimo obiettivo da conseguire in Italia attraverso le “riforme istituzionali”.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/politica/italia-sempre-piu-povera/

  • I governi cambiano, i lavoratori continuano a morire, i sindacati a parlare.

    Sono morte sul lavoro, ad oggi, 761 lavoratori, persone che lavoravano, avevano famigliari, amici, speranze.

    Anche questa è una strage e per fermarla bisogna dare non risposte sulla carta, leggi buone ma disattese, occorrono controlli veri, occorre una cultura diversa che faccia comprendere, a tutti, che non si può scherzare con il pericolo né per la propria vita né per quella altrui, che non si possono disattendere le norme, e che le sanzioni e le punizioni siano immediate ed inflessibili.

    Siamo ancora una volta stupiti, si fa per dire perché l’esperienza ci insegna che è così da troppo tempo, per l’inerzia dei sindacati su questo problema mentre si agitano a vuoto con polemiche e dichiarazioni contro il governo

    I governi cambiano, i lavoratori continuano a morire, i sindacati a parlare

  • La libertà d’informazione, il diritto al pettegolezzo, l’uso del pettegolezzo come arma politica

    Il governo guidato da Giorgia Meloni è in carica da un anno, non tutti i ministeri hanno funzionato all’altezza del premier, non tutti i vari attori hanno sempre indovinato cosa e come dichiarare, qualche personaggio ci ha lasciato, fin dall’inizio, perplessi.

    Nessuno, che non sia di parte, può negare l’inesistenza di contenuti ed la faziosità esasperata dell’opposizione che di fatto si è dimostrata incapace mentre il mondo sindacale ha, in gran parte, aiutato a far aumentare una inutile e pericolosa confusione.

    Giorgia Meloni ha preso iniziative difficili ed importanti che, sul piano internazionale, hanno riportato l’Italia ad avere un ruolo ed un peso e non si è risparmiata fatiche e decisioni, a prescindere dal consenso che ne poteva derivare.

    Nonostante la nostra lunga esperienza rimaniamo colpiti quando un quotidiano nazionale, dell’importanza di Repubblica, dedica, sabato 21 ottobre, le sue prime quattro pagine alle vicende famigliari del premier e solo in sesta pagina si occupa della guerra in Israele.

    Avevamo già assistito al tentativo di linciaggio mediatico ai tempi di Fini, ci illudevamo che l’interesse nazionale, se non la deontologia, avrebbe impedito, durante due guerre che rischiano di estendersi a gran parte del mondo, di accanirsi su pettegolezzi ed illazioni, la notizia andava data negli spazi che meritava, una vicenda strettamente personale e sicuramente dolorosa per chi la viveva.

    Non crediamo ci sia bisogno di commentare ulteriormente, i fatti parlano da soli, anche in questi giorni, dimostrando come per troppi valgano più i pettegolezzi, o le vicende personali, rispetto alla cosa pubblica e all’immagine dell’Italia.

    Al Presidente Meloni la solidarietà del Patto Sociale e mia personale.

  • Il governo accelera sulla privatizzazione di Mps

    Il governo accelera sulla vendita della quota del 64% detenuta dal Mef in Banca Monte dei Paschi di Siena. Dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani e quello delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso auspicano una uscita dal capitale della banca dello Stato. “L’esecutivo potrebbe accelerare rispetto ai tempi previsti”, ha osservato il vice presidente del Consiglio, Antonio Tajani, intervistato da Bloomberg Tv a margine del Forum di Cernobbio.

    “Su Mps si deve procedere alla privatizzazione”, in quanto “lo Stato non deve fare il banchiere” e quindi “credo che sia giusto procedere”, ha aggiunto Tajani. Poi, ha proseguito, «sarà il ministro Giorgetti a fare le proposte”, ma “prima si fa e meglio è, ma la proposta deve venire dal ministro Giorgetti, vedremo quale sarà». In linea col collega, Adolfo Urso secondo il quale è giusto privatizzare la banca senese. “Credo che sia giusto andare su questa strada”, ha detto, aggiungendo che “su tempi e modalità” della vendita deciderà il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Sulla privatizzazione, ha proseguito Urso, “mi trovo d’accordo con quello che Tajani ha detto sul fatto che si possa e si debba procedere alla privatizzazione di Mps nelle tempistiche che riterrà opportune il ministro dell’Economia, anche al fine di avere il massimo dei riscontri. Noi non abbiamo una visione ideologica ma molto pratica della nostra economia. Facciamo – ha concluso – quello che interessa alle nostre imprese e famiglie per affrontare al meglio la transizione tecnologica digitale e green ed essere sempre più competitivi a livello europeo e a livello globale”.  Non tutta la maggioranza di governo, tuttavia, è d’accordo con la proposta. “Così come la privatizzazione dei porti, già opportunamente smentita dalla premier, anche la vendita della quota di Monte dei Paschi non è all’ordine del giorno. Il governo ha il dovere di approfondire i dossier e discuterne attentamente e riservatamente”, ha sottolineato il deputato della Lega, vicepresidente della commissione Finanze e responsabile del dipartimento Economia del partito, Alberto Bagnai.

    L’istituto guidato da Giuseppe Castagna ha dichiarato di non essere “interessato a operazioni di M&A e ha ribadito la strategia stand alone, già più volte comunicata e che sarà il presupposto del piano industriale di fine anno”. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti non ha escluso la possibilità di nuove privatizzazioni di aziende partecipate dallo Stato. Dopo aver avviato la vendita di Ita Airways a Lufthansa ora il governo potrebbe alienare altri asset. Per Mps era stato disegnato un percorso di uscita del socio pubblico dopo il salvataggio del 2017 ma la pandemia ha frenato l’iter. “Certamente ci sono delle situazioni che potrebbero originare una riallocazione delle partecipazioni dello Stato, può darsi che ci siano delle realtà in cui è possibile disinvestire”, ha affermato Giorgetti al termine del Cdm interpellato su nuove possibili privatizzazioni di partecipazioni statali.

  • Autostrade: tutto come prima di Genova

    Tutto cambia perché nulla cambi nel nostro povero Paese. Non sono bastati i 43 morti del Ponte Morandi di Genova causati dalla sostanziale sospensione di ogni investimento in sicurezza (-92% dei fondi destinati alla manutenzione) della società Autostrade per aumentare la remunerazione del capitale investito, a dimostrare una volta per tutte quanto determinate infrastrutture, espressione di monopoli indivisibili, debbano essere soggette alla gestione e al controllo della autorità nazionale esattamente come avviene in Germania ed in Svizzera.

    Alla fine degli anni novanta la scelta del governo D’Alema, confermata e rafforzata successivamente dal governo Berlusconi, aveva perlomeno la scusante di non essere in grado di prevedere il disastro del Ponte Morandi. La privatizzazione di Autostrade, infatti, rientrava nel piano di dismissioni finalizzate ad un ipotetico “efficientamento” di Sistema (questa era la tesi accademica quanto dei cosiddetti liberali da bar Sport), quando, invece, fu soprattutto la ricerca di ulteriori risorse finanziarie per diminuire il deficit, e quindi mantenere intatta la spesa pubblica, e non certo la volontà di diminuire il debito, il quale già allora rappresentava il vero problema, a determinare questa meschina volontà dei diversi Governi unita ad una volontà di offrire una possibilità di speculazione per i capitali privati.

    Tuttavia ora, pur consapevole della tragedia causata dal disastro del Ponte Morandi, risulta inaccettabile da parte del governo in carica anche il solo prendere in considerazione una nuova ed ulteriore privatizzazione della società Autostrade, in più poi dopo che il precedente governo Draghi ha regalato alla famiglia Benetton 8,3 miliardi. Questo solo pensiero rappresenta un insulto alle vittime di Genova e soprattutto conferma una complicità tra l’intero mondo della politica di destra e di sinistra ed i capitali privati speculativi.

    Inoltre, questa prospettiva di nuova privatizzazione determina anche l’onere politico di assumersi la responsabilità non solo dei morti del Ponte Morandi a Genova ma soprattutto di quelli futuri in quanto dopo la tragedia del Ponte Morandi era evidente la necessità di cambiare strategia assolutamente ignorata dal governo in carica.

    Molto spesso si parla di populismo, quando la politica e i media cercano di replicare alle critiche espresse in termini generali ad una classe politica, senza quindi nessuna distinzione tra le diverse operatività di destra e sinistra.

    La vicenda di questa nuova possibile privatizzazione dimostra come il termine “populismo” sia oltremodo riduttivo rispetto a quanto dimostrato ancora una volta dalla politica e dai governi che esprime tanto di destra che di sinistra.

  • Senza una visione del futuro non si può risolvere quello che sta accadendo

    Stupisce lo stupore di coloro che si chiedono come il governo italiano e l’Europa non riescano a gestire ed impedire il sempre più ingente flusso di migranti.

    Premesso che l’Italia ha la responsabilità di aver firmato, nel 2003, il Trattato di Dublino e di non aver saputo, con nessuno dei molti governi che si sono succeduti, di ogni colore politico, modificarlo, riaffermato che quel trattato, per altro nato in una diversa situazione di immigrazione, era comunque miope e sbagliato, dobbiamo nuovamente rimarcare oggi l’incapacità dell’Unione Europea, priva di una politica comune, di gestire un fenomeno diventato di proporzioni bibliche.

    Il Consiglio europeo, cosi come le altre istituzioni europee, non è in grado, perché obsoleto nella sua forma, di gestire le rivalità, gli interessi nazionali, le diverse visioni, anche dovute a culture e latitudini diverse, che esistono tra i suoi Stati Membri. Se a questo aggiungiamo che in ogni Paese si è già in campagna elettorale, per le elezioni che in primavera eleggeranno il nuovo Parlamento e ridisegneranno gli equilibri futuri, ben si comprende come ogni giorno ci siano dichiarazioni e smentite e non si arrivi a nulla di concreto…

    Se a tutta questa incertezza, confusione e ridda di paure e divieti aggiungiamo le incontrovertibili realtà:

    1) molte popolazioni africane soffrono la fame e la sete e vivono in condizioni di esagerante precarietà e povertà;

    2) in molti Paesi ci sono conflitti, guerre, presenza di terroristi, regimi totalitari, mancanza di libertà;

    3) piaccia o meno abbiamo lasciato credere che nei paesi europei tutti avevamo tutto, addirittura che il lavoro, la sanità, la casa, e via  discorrendo, erano assicurati;

    4)i recenti colpi di stato, il terremoto in Marocco, la tragica inondazione in Libia, la gravissima crisi economica tunisina, aggiunte alla ben nota situazione siriana, somala, afgana, solo per citare alcune delle situazioni di crisi che hanno creato nuove disperazioni, comprendiamo bene che, complici le condizioni climatiche, era evidente che gli sbarchi sarebbero aumentati in modo esponenziale e che non c’è possibilità di fermarli solo con decreti o blocchi navali.

    Quello che occorre è, da subito, pur sapendo che servirà tempo per la realizzazione, una politica europea che affronti in modo totalmente nuovo il problema, tenuto anche conto che proprio all’Europa occorrono immigrati per molte attività lavorative e che questi immigrati devono essere preparati alle nostre regole, alle nostre lingue, alle attività che dovranno svolgere per costruirsi quella vita dignitosa alla quale  giustamente aspirano.

    Come abbiamo già avuto modo di suggerire da tempo la soluzione è che l’Unione europea chieda ad alcuni Paesi del nord Africa, come la Tunisia, il Marocco, l’Egitto l’affitto per 50 anni di un’area di 100 ettari ciascuno per costruire direttamente veri e propri villaggi, non campi profughi ma villaggi, organizzati e gestiti da personale europeo.

    In questi villaggi, con  scuole di lingue e di orientamento professionale, i profughi potrebbero ritrovare la serenità e la speranza che cercano, le famiglie non sarebbero smembrate, i bambini ed i giovani avrebbero l’istruzione necessaria per essere avviati un domani verso i paesi europei, le donne non subirebbero le violenze di ogni genere alle quali  sono ora continuamente sottoposte.

    In questi villaggi sarebbe più facile individuare 1) chi non dovrebbe arrivare in Europa perché pericoloso e deve  essere rimpatriato, 2) chi può avere diritto ad un asilo immediato, 3) chi ha bisogno di cure sanitarie, 4) chi in certi casi potrebbe scegliere di tornare al paese d’origine.

    Se non si ha il coraggio di guardare avanti e di impostare in modo nuovo la risoluzione di un problema, che sta diventando una catastrofe umanitaria per tutti, la situazione rischia di degenerare ulteriormente con conseguenze gravissime.

    Il progetto di aiutare l’Africa in Africa va realizzato senza chiudere le frontiere ma trovando da subito concrete possibilità per una integrazione vera ed utile agli  europei come agli africani, è l’unica ragionevole soluzione, senza la visione del futuro non si riuscirà a risolvere quello che sta accadendo, non solo in Italia.

  • La politica degli annunci

    Corretta e coraggiosa la dichiarazione del ministro Giorgetti, in sintesi la legge di bilancio sarà difficile e complessa e non si potrà fare tutto quello che il governo  avrebbe voluto fare.

    Ovviamente, come già in altre occasioni con altri governi, continuiamo a chiederci perché promettere quanto, conti alla mano, si sa di non poter mantenere in tempi rapidi, perché continuare con la politica degli annunci creando illusioni e disillusioni.

    Sappiamo tutti, almeno quelli che non sono in malafede, che la situazione è molto difficile sul piano interno, europeo ed internazionale: alla guerra in Ucraina dobbiamo aggiungere la crisi del grano, anche questa voluta dalla Russia, e dei prodotti agricoli flagellati dalla siccità o dalle alluvioni, lo sbarco di decine di migliaia di migranti per i quali occorrono strutture e risorse, il cambiamento climatico che sta creando vere emergenze.

    L’Italia sembra che sul piano economico risponda meglio di altri stati ma le casse dello Stato non hanno adeguate risorse per dare il via a tutte le iniziative che il governo vorrebbe e certamente prima di pensare al ponte sullo Stretto sarà bene provvedere a mettere in sicurezza le troppe strutture pericolose e pericolanti e dare il via a quella riforma sanitaria senza la quale troppi italiani sono rimasti senza servizi adeguati.

    Bene allora la coraggiosa dichiarazione di Giorgetti ma ora ci aspettiamo che il governo riveda le strategie senza cadere nella vecchia abitudine della politica politicante di dare un contentino a questa e a quella forza politica non tenendo  conto delle vere urgenze delle famiglie e delle attività produttive

    Certo avere una opposizione più intelligente e meno inutilmente astiosa sarebbe di aiuto ma al momento non si vedono sbocchi in questo senso salvo qualche dichiarazione di Renzi.

  • La sola possibilità: la tassa di scopo

    La decisione del governo di tassare il sistema bancario avrà i medesimi effetti di quella introdotta dal governo Draghi sugli extra profitti delle Aziende energetiche: un buco di bilancio di oltre otto (8) miliardi.

    In  più le maggiori tasse andranno scaricate da tutti gli istituti bancari
    sui costi dei correntisti,
    ai quali aggiungere gli oltre 10 miliardi di perdita di capitalizzazione della borsa odierna che sono molto spesso anche questi denaro dei risparmiatori.

    Continuare ad aumentare la pressione fiscale per alimentare ancora la spesa pubblica, specialmente nel momento in cui abbiamo raggiunto la cifra record di debito di 2816 miliardi,
    rappresenta la solita stantia risposta di un governo sostanzialmente socialista incapace di invertire un pericoloso e consolidato trend.

    Attualmente la spesa pubblica rappresenta oltre il 57% del PIL,
    ai quali aggiungere i fondi straordinari del PNRR  già  operativi da due anni.
    Eppure nonostante questi fiumi di finanza straordinaria pubblica il nostro Paese è già  in recessione economica.
    Il  Pil  segna una flessione del -0,3%, i  consumi del -5%, il turismo del -30%, si registra comunque la più alta inflazione europea, +12% nel settore alimentare, mentre la  produzione industriale stacca un -0,9%.
    Sembra incredibile come nessuno comprenda come il continuare ad aumentare la spesa pubblica non sia di alcun effetto se non quello di aumentare il potere del governo in carica.
    In questo contesto nel
    novembre 2018 uscì questo mio breve intervento sulla crescita della spesa pubblica (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/)

    Allora rimane una unica
    possibilità. Definire da subito queste addizionali fiscali come “tasse di scopo” e quindi indirizzarle per un scopo preciso, come per la riduzione delle accise sui carburanti

    Tutto il resto è socialismo.

  • La nudità ideologica

    Da sempre, da troppo si potrebbe aggiungere, in Italia si assiste ad un pietoso spettacolo offerto, indipendentemente dal proprio orientamento politico, dalle diverse cariche istituzionali rappresentate da figure politiche.

    Solo poche ore fa un portavoce della Regione Lazio ha rilasciato delle dichiarazioni a titolo personale in relazione alla strage di Bologna, dimenticandosi completamente del ruolo che ricopre all’interno della Regione stessa. Anzi, ha affermando di parlare a titolo personale, dimenticando come nel momento in cui si assume un incarico il fattore personale non dovrebbe neppure venire più preso in considerazione a favore del ruolo pubblico.

    Negli ultimi mesi, in più riprese, il Presidente del Senato La Russa ha avuto modo di esternare affermazioni espressione di un proprio e forte orientamento politico.

    In altre parole, esattamente come nelle precedenti legislature gli stessi miserevoli comportamenti potevano venire attribuiti all’ex Presidente della Camera Fico e alla Boldrini, continua un orrido spettacolo offerto ai cittadini all’interno di ogni singola legislatura.

    Questo conferma, ancora una volta, come il ceto politico nostrano, nella propria articolata complessità e completezza, abbia solo compreso quali e quanti onori implichi una rappresentanza, una carica istituzionale, ma contemporaneamente ignori quali e quanti obblighi comporti la sua accettazione.

    Pur consapevoli quindi che una qualsiasi carica istituzionale, a maggior ragione se a livello nazionale, offra un prestigio unico ad un qualsiasi esponente politico, tuttavia sarebbe opportuno anche rendersi conto che implica inevitabilmente una serie di attenzioni, la prima delle quali dovrebbe essere quella di dimostrarsi in grado di rappresentare l’intero Paese e non la sola parte della maggioranza elettorale.

    Anche perché, in considerazione tanto della legge elettorale, la quale impedisce di scegliere i propri rappresentanti agli aventi diritto, quanto dell’astensionismo, molto spesso al governo finiscono coalizioni che rappresentano poco più di un quarto dell’intero popolo elettorale.

    Proprio in ragione di questa situazione la figura istituzionale dovrebbe essere una figura unificante e non certamente divisiva della sua attività politica ed istituzionale ed a maggior ragione nelle proprie esternazioni.

    Viceversa, da anni le maggiori cariche istituzionali esprimono personaggi passati direttamente da un ideologico bar all’angolo ai vertici dello Stato ed esternano il solo proprio chiaro orientamento politico e, di conseguenza, dimostrano di non essere in grado di rappresentare lo Stato nella propria unità.

    Dismettere le vesti ideologiche e politiche ed assumere una “nudità ideologica” dovrebbe rappresentare la conditio sine qua non in grado di assicurare la rappresentanza dell’intero Paese.

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