Governo

  • Autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo, delirante e vigliacco

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia

    Esopo

    Si dice che una ciliegia tira l’alta. Un noto proverbio questo che, nonostante qualche piccola differenza nelle parole usate, come significato rimane comune in diversi Paesi del mondo. Un proverbio che si riferisce alla tentazione di non riuscire a fermarsi di mangiare, una dopo l’altra, le stuzzicanti, saporite e dolci ciliege. Comunque si tratta di ciliege che non fanno male, anzi! Ma c’è anche un altro detto, purtroppo di uso sempre più comune nell’attuale realtà quotidiana in diversi Paesi del mondo, che si riferisce a fatti clamorosi, dannosi e condannabili, sia moralmente che penalmente. Il detto è “uno scandalo tira l’altro”. Da anni purtroppo quanto è accaduto e sta accadendo in Albania, fatti noti, documentati e denunciati alla mano, permette di acconsentire che uno scandalo tiri l’altro. E più passa il tempo e più frequenti sono gli scandali. Scandali che hanno a che fare con l’abuso di potere a tutti i livelli, da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Scandali derivanti dalla diffusa e molto preoccupante corruzione. Scandali milionari legati allo sperpero, con la consapevole appropriazione della cosa pubblica in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Sì, in Albania purtroppo, uno scandalo tira l’altro. E si tratta di scandali che, nolens volens, non ci si riesce a nasconderli. Ma anche di scandali che si generano “volutamente”, per spostare l’attenzione da altri, ben più gravi e clamorosi. Proprio quelli che non ci si riesce a nascondere, che sfuggono di mano e che coinvolgono i rappresentanti politici ed istituzionali ai massimi livelli, primo ministro in testa.

    In Albania, da alcune settimane, lo scandalo dei tre inceneritori, sta attirando tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Il nostro lettore è stato informato anche in queste tre ultime settimane, come lo è stato anche nei mesi e negli anni precedenti, di questi clamorosi sviluppi che stanno creando un forte grattacapo al primo ministro, ad alcune persone a lui molto vicine, nonché a molte altre coinvolte in questo scandalo tra i più abusivi di questi tre decenni, dopo il crollo della dittatura comunista (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023; Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà, 31 luglio 2023). Ma mentre continuano ad uscire nuovi significativi, inconfutabili e clamorosi dati che testimoniano il diretto coinvolgimento del primo ministro e di altre persone in questo scandalo, due altri scandali, sono stati resi noti nello stesso giorno, sabato scorso, 5 agosto. Scandali che, comunque, nonostante la loro gravità e molto altro, non riescono ad offuscare e, magari, annientare l’eco dello scandalo dei tre inceneritori.

    Il primo scandalo reso noto sabato scorso, 5 agosto, riguarda la coltivazione di una grande quantità di piante di cannabis dentro il territorio di una delle basi militari più sicure e più importanti dell’esercito albanese. Una base delle forze scelte dell’esercito. Ed essendo l’Albania, dall’aprile 2009, un Paese membro della NATO (North Atlantic Treaty Organization, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.), allora la base è anche una base della NATO. Ed in realtà in quella base di alta sicurezza, che si trova molto vicino alla capitale, sono state organizzate in precedenza delle esercitazioni comuni dei contingenti dell’esercito albanese e quelli degli altri Paesi membri dell’organizzazione. Ebbene, proprio dentro il territorio di questa base sono state coltivate piante di cannabis. E per il momento non si sa da quanto continuava questa attività illecita. Si sa però, come viene confermato da molti rapporti di strutture internazionali specializzate, che l’Albania da anni è diventato uno dei Paesi con la maggiore quantità di cannabis prodotta. Il nostro lettore è stato informato della diffusa coltivazione della cannabis su tutto il territorio nazionale, soprattutto dal 2015 in poi. Così come è stato informato del ministro degli Interni dal settembre 2013, da quando fu costituito il primo governo dell’attuale primo ministro, fino a marzo 2017, quando lui ha “presentato” le sue dimissioni, perché era direttamente coinvolto, con alcuni suoi cugini, proprio nella coltivazione e nel traffico illecito del cannabis. E tutto è stato scoperto ed indagato non in Albania, ovviamente, bensì in Italia, dalle apposite istituzioni del sistema della giustizia. E anche la scoperta della coltivazione della cannabis all’interno di un territorio di una delle poche basi militari di alta sicurezza in Albania non è stata fatta dalle strutture della polizia di Stato, neanche dai servizi segreti locali e/o dalle strutture del sistema “riformato” della giustizia. Tutto è stato scoperto dal personale della Guardia di Finanza, presente da molti anni in Albania, come previsto da accordi comuni bilaterali. Mentre il nuovo ministro degli Interni, nominato poche settimane fa, guarda caso ha “dimenticato” questo particolare e, di fronte ad un simile scandalo, ha dichiarato che tutto era dovuto alle forze della polizia di Stato albanese! Ma mentire ormai è normale, visto che lo fa sempre il primo ministro, mentre gli altri suoi subordinati lo imitano. Soprattutto quando bisogna affrontare situazioni difficili, come lo scandalo della coltivazione della cannabis nella base militare di alta sicurezza molto vicina alla capitale albanese. Nel frattempo anche il ministro della Difesa ha fatto una breve dichiarazione, affermando che tutto era dovuto alla “collaborazione tra la polizia di Stato e la polizia militare”! Proprio lui, che almeno moralmente, doveva presentare le sue dimissioni, come avrebbero fatto i suoi simili in qualsiasi Paese normale e democratico.

    Il secondo scandalo reso noto sempre sabato scorso, 5 agosto, ha a che fare con un intervento del tutto abusivo ed illecito nel sistema TIMS (Total Information Management System; Sistema di gestione delle informazioni generali; n.d.a.); un importante e sensibile sistema gestito da strutture specializzate della polizia di Stato. Da credibili fonti mediatiche si è saputo che un alto dirigente della polizia di Stato, nominato, guarda caso, solo pochissime settimane fa come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione della stessa polizia, è responsabile di un simile atto. Chissà perché e chissà chi ha nominato in quella importante posizione istituzionale una simile persona, visto che proprio lui prima era stato accusato di aver rubato dati sensibili dal sistema fiscale albanese. Non solo, ma circa un anno fa è stato costretto a dare le dimissioni, dopo che molti dati personali e sensibili, gestiti dall’Agenzia nazionale della società d’informazione, dove lui lavorava, sono stati resi pubblici. Una persona perciò, specializzata in simili interventi. E chi lo aveva scelto e poi nominato, solo pochissime settimane fa, come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione presso la Direzione generale della polizia di Stato ne sapeva molto e sapeva anche cosa si doveva fare. Si è saputo in seguito che il dirigente aveva ordinato ad alcuni suoi dipendenti di entrare nel sistema TIMS e di esportare tutti i dati del sistema in una potente memoria esterna. Un ordine quello suo che è stato contestato da alcuni suoi colleghi, ma non da tutti. Perciò il dirigente incriminato è riuscito ad impossessarsi dei dati del sistema TIMS. Ma mentre lo faceva è stato fermato da altri poliziotti. Per il momento non si sa per conto di chi aveva fatto un simile intervento criminale. Dalle stesse fonti mediatiche viene confermato che lo stesso giorno presso le redazioni di alcuni media, nonché presso la Direzione generale della polizia di Stato e dei servizi segreti è stata mandata una e-mail con la quale si avvertiva dell’accaduto. Ma i dirigenti della polizia hanno deciso di mantenere il massimo silenzio e hanno chiesto anche alle redazioni dei media, elencati nella mail come destinatari, di fare lo stesso. Ma per fortuna che alcuni giornalisti coraggiosi hanno reso noto tutto. Nel frattempo le cattive lingue vanno un po’ oltre e cercano di collegare la nomina del dirigente ladro con la nomina del nuovo ministro degli Interni, che sono state fatte quasi nello stesso tempo. Bisogna sottolineare però che il nuovo ministro degli Interni è una persona che è stata denunciata spesso per i suoi legami con alcuni capi della criminalità organizzata in Albania. Si sa però anche che nonostante simili e pesanti accuse il diretto interessato non ha contestato niente. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato che il nuovo ministro degli Interni era “…il capo del gruppo parlamentare del partito/clan del primo ministro, una persona a lui “fedele”, per quanto un leccapiedi possa essere fedele”. In seguito l’autore di queste righe aggiungeva che quella nomina aveva fatto scalpore soprattutto “…perché lui, la persona scelta, fatti documentati e denunciati alla mano, è molto legato a certi gruppi della criminalità organizzata. Ebbene dal 13 luglio lui è diventato il nuovo ministro degli Interni!”. (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    La scorsa settimana il nostro lettore veniva informato della pubblicazione del rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense per l’anno 2022. In quel rapporto c’era anche il capitolo sull’Albania. L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “… quanto si legge in quel capitolo del rapporto è diverso da ciò che cercano di far credere e di convincere il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa”.  E poi evidenziava che “… diversamente da tutti i precedenti rapporti, quest’ultimo, reso pubblicamente noto la scorsa settimana, considera la corruzione in Albania come “sistemica” e non più come “endemica”, termine che è stato usato nei precedenti rapporti”. Nel sopracitato rapporto veniva sottolineato che “Gli investitori (stranieri; n.d.a.) rapportano frequentemente dei casi di corruzione a livello governativo che tardano o impediscono gli investimenti in Albania” (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    Circa un mese fa, il 12 luglio, il Parlamento europeo approvava il rapporto sull’Albania per il 2022. Tra le tante constatazioni riguardo il problematico percorso europeo dell’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, si potrebbero evidenziare alcune affermazioni. Nel comma 6 del rapporto si chiede al governo albanese di “…intensificare i suoi sforzi per migliorare il funzionamento dello Stato di diritto e del sistema giudiziario, combattere la corruzione e la criminalità organizzata, garantire la libertà dei media, responsabilizzare la società civile…”. Solo in questo paragrafo sono stati sintetizzate molte delle gravi problematiche in Albania. Problematiche che il primo ministro e la sua potente e ben organizzata propaganda governativa hanno sempre cercato di camuffare con bugie ed inganni. E che spesso ha avuto anche il beneplacito ed il supporto di alcuni alti rappresentanti della Commissione europea. Le cattive lingue dicono che sono stati usati anche ingenti somme di denaro per riuscirci. Una realtà questa, della quale il nostro lettore è stato spesso informato in questi ultimi anni. Ma sono tante, molto serie e spesso gravi e di dominio pubblico le problematiche con le quali ci si affronta quotidianamente in Albania che, guarda caso, neanche il rapporto per il 2022 sull’Albania della Commissione europea, reso noto la scorsa settimana, non poteva non evidenziare. Come mai prima in questi ultimi anni, dal 2014 in poi, quando i rapporti della Commissione europea sull’Albania erano tutti sempre “rose e fiori”. Rapporti dei quali si vantava il primo ministro e che la sua propaganda governativa li usava per coprire la preoccupante e pericolosa realtà albanese, vissuta e sofferta quotidianamente. Nel rapporto, anche se con un linguaggio “diplomaticamente corretto”, si afferma che “…Le misure contro la corruzione continuano ad avere, in generale un limitato impatto”. E poi si elencano anche i settori colpiti dalla corruzione.

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento anche nel prossimo futuro. Egli però è convinto, sempre fatti accaduti, documentati, denunciati alla mano e mai smentiti dal diretto interessato, che il primo ministro albanese è un autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo e delirante. Ma è anche un vigliacco. Esopo però ci insegna che un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

  • I veterinari italiani delusi dal no del Governo

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani)

    Governo “contrario” alla riduzione dell’IVA sulle cure veterinarie e sugli alimenti per animali da compagnia. Accolto soltanto come raccomandazione un ordine del giorno sulla Delega Fiscale

    Per la salute e il benessere degli animali da compagnia, la Delega Fiscale non sarà l’annunciata rivoluzione fiscale. Il Governo si è detto, ieri alla Camera, apertamente “contrario” all’IVA agevolata per le cure veterinarie agli animali da compagnia: 19 milioni di cani e gatti, presenti nel 40% delle famiglie italiane, continueranno ad essere “tassati” con l’aliquota massima del 22% ogni volta che ricevono cure e alimenti.
    E’ stato il Sottosegretario al MEF Federico Freni a dichiarare la contrarietà del Governo all’ordine del giorno– prima firmataria l’On Michela Vittoria Brambilla- per una revisione delle aliquote IVA nel contesto della Delega Fiscale. Dopo il rifiuto iniziale, il Sottosegretario ha accolto soltanto come “raccomandazione” l’atto di indirizzo, sollecitato in Aula dall’On Rita Dalla Chiesa cofirmataria dell’iniziativa insieme ai deputati, Saccani Jotti, Cherchi, Deborah Bergamini, Gallo, De Monte, Tenerini, Bonelli, Borrelli e Malaguti.

    L’Associazione Nazionale dei Medici Veterinari si dice profondamente delusa. Il momento è storicamente favorevole, osserva l’Associazione, mentre è troppo debole l’impegno assunto dal Governo come “raccomandazione”. La riforma fiscale era stata annunciata dal Vice Ministro Maurizio Leo come “strutturale”, addirittura una “rivoluzione”, dopo la riforma degli anni Settanta. Un’occasione storica mancata, anche alla luce della revisione europea della Direttiva IVA, viatico per ricollocare i servizi veterinari entro l’alveo delle prestazioni di prevenzione e sanità pubblica. L’ANMVI ricorda che le prestazioni veterinarie sono state esenti da IVA, in quanto sanitarie, fino agli anni Novanta.
    Le politiche di prevenzione, in chiave “one health”, dovrebbero suggerire un serio ripensamento dell’approccio fiscale alla salute animale- conclude l’ANMVI- non solo riguardo all’IVA ma anche aumentando le detrazioni fiscali delle prestazioni veterinarie. La salute degli animali da compagnia concorre alla salute pubblica.

  • Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi

    La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni

    il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano.

    Grete de Francesco, dal libro “Potere del ciarlatano”

    Nel 1937 Margarethe Weissenstein De Francesco, ossia Grete de Francesco, pubblicò il suo libro Potere del ciarlatano. Nata in una benestante famiglia austro-ungarica di origine ebraica, nella metà degli anni ’20 del secolo passato, era la prima donna che si laureò presso l’Università tedesca per la Politica, a Berlino, con una tesi intitolata “Il volto del fascismo italiano”. Oltre alla dedica agli studi sugli sviluppi sociali e politici dell’epoca, era anche un’attiva collaboratrice del noto giornale tedesco Frankfurter Zeitung. Per i suoi studi e le sue attività Grete de Francesco era ricercata però dai nazisti. Nonostante fosse rifugiata e nascosta nelle località montanare nel nord dell’Italia, i nazisti la catturarono e la deportarono in un campo di concentramento, dove anche morì all’inizio del 1945. Come lei stessa ha raccontato, proprio per caso, quando stava a Berlino, trovò e lesse un racconto di Thomas Mann intitolato Mario e il mago. Il contenuto ed i messaggi del racconto suscitarono in lei delle riflessioni, non solo sul carattere dei ciarlatani, ma anche sugli sviluppi sociali e politici di quel periodo, compresa la instaurazione dei regimi totalitari sia in Italia che in Germania. Perciò cominciò a raccogliere materiali diversi al riguardo che l’aiutarono a scrivere e pubblicare il suo libro Potere del ciarlatano. Come lei stessa scriveva, “Raccolsi e misi insieme del materiale, e rileggendo tutto il manoscritto ebbi un sussulto. Senza immaginarlo, né tantomeno volerlo, ne era venuta fuori una sorta di parabola […]. E improvvisamente i miei occhi hanno cominciato a vedere: qui avevo tra le mani quell’archetipo che già mi aveva scosso nel profondo con la realtà magica dell’immagine allegorica di Mario e il mago (il racconto di Thomas Mann; n.d.a.)”. Grete de Francesco ne era allora convinta e lo affermava senza mezzi termini, che “la cattura dell’attenzione è il principale imperativo di ogni propaganda”. Aggiungendo che “…. la messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”. Lei era altresì convinta che “…. i ciarlatani non sono i predecessori dei criminali politici poichè non presentano caratteristiche tipicamente criminali nel loro carattere, tuttavia non vi è criminale politico che non usi metodi specificamente ciarlataneschi per raggiungere i suoi obiettivi”. Erano delle convinzioni dovute anche alla lettura del racconto Mario e il mago di Thomas Mann.

    Un racconto quello scritto dal noto scrittore tedesco nell’estate 1929 e poi pubblicato un anno dopo. Un racconto ispirato da cose accadute veramente all’autore e alla sua famiglia nel 1926, durante le loro vacanze a Forte dei Marmi, sulla costa tirrenica della Toscana. Prima si accusa il figlio dello scrittore di aver disturbato altri vacanzieri con la sua tosse. E poi la sua figlia di sette anni veniva multata per aver fatto il bagno in mare senza costume. Ma il caso ha voluto che, dopo quelle cose sgradevoli, la famiglia Mann assistesse ad una esibizione in piazza di un “mago” illusionista, chiamato mago Cipolla. Lui era in grado di soggiogare e condizionare i comportamenti degli spettatori. Così è accaduto anche a Mario, un cameriere di Portovenere. Il mago Cipolla è riuscito a fargli credere che lui era la ragazza amata da Mario. Allora Mario, convinto che aveva accanto a se la sua ragazza amata, baciò invece, davanti a tutti, il mago. Poi dopo, accortosi e vergognatosi molto di quanto era appena accaduto, Mario estrae una pistola, spara e uccide il mago Cipolla, Ma come ci racconta Thomas Mann, quanto è accaduto non è stato percepito e vissuto dai presenti come un tragico evento, bensì come una liberazione. Così finisce il racconto Mario e il mago.

    Nel periodo in cui Thomas Mann scrisse e pubblicò questo racconto, in Italia molte cose stavano accadendo. Il 28 ottobre 1922 avvenne la marcia su Roma. In seguito, dopo il rapimento, il 10 giungo 1924 e la successiva uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, l’allora opposizione parlamentare si ritirò sull’Aventino. Soltanto il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, durante il suo discorso alla Camera, si assunse tutte le responsabilità sui fatti accaduti. Poi tra il 1925 ed il 1926 sono state approvate alcune leggi e sono stati emanati dei provvedimenti che colpivano seriamente la libertà. In Italia, quando Thomas Mann scrisse e pubblicò il suo racconto Mario e il mago si era già instaurato il regime fascista. Ragion per cui erano in tanti coloro che consideravano il racconto e soprattutto il mago Cipolla un personaggio simile a Mussolini, un manipolatore delle folle, capace di incantare e perciò di ingannare la gente. Riferendosi a Hitler, Thomas Mann, alcuni anni dopo la pubblicazione del suo racconto, scrisse: “Ho ancora un debole per questa storia. Al tempo in cui la scrissi, non credevo alla possibilità di un Cipolla tedesco. Era una sopravvalutazione patriottica del mio paese. Già il modo irritato con cui la critica accolse il racconto avrebbe dovuto farmi capire in che direzione si stava andando e cosa poteva accadere anche nel ‘più colto’ dei popoli, anzi proprio nel ‘più colto’”. Anche per la studiosa e scrittrice Grete de Francesco, il personaggio di mago Cipolla rappresentava sia il tipo del ciarlatano, l’immagine allegorica di Mussolini, sia un chiaro ed eloquente avvertimento di quello che stava per addacede in Italia ed in Germania. E cioè il controllo di tutto e di tutti da parte dei dittatori che ingannano e soggiogano una buona parte della popolazione con tutte le conseguenze derivanti.

    Fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, sono non pochi, però e purtroppo, i ciarlatani e gli ingannatori, i quali, allo stesso tempo, gestiscono da autocrati il potere in diversi Paesi del mondo. Compresa anche la regione dei Balcani. Ma, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, spesso simili autocrati e ciarlatani hanno avuto e tuttora hanno e godono dell’appoggio dei “grandi del mondo” e dei massimi rappresentanti di alcune delle istituzioni internazionali, l’Unione europea compresa. Le conseguenze gravi e drammatiche di simili “alleanze” si stanno verificando in Ucraina, nel nord del Kosovo, in Albania, in Serbia ed in altri Paesi in Africa, nonché in America centrale e quella Latina. Ma anche quanto è accaduto ormai in Afghanistan, in Libia, in Iraq, in Siria ecc., ne è una eloquente testimonianza. Le ragioni di simili “alleanze” sono sempre legate agli interessi geopolitici e geostrategici.

    Anche quanto sta accadendo da più di un mese nel nord del Kosovo ne è una palese e significativa dimostrazione. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante queste ultime settimane (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023). Il Kosovo è un Paese dei Balcani che ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Da allora il Kosovo è stato ufficialmente riconosciuto da 117 tra i 193 Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, compresi i più grandi e sviluppati Paesi del mondo.

    In Kosovo la maggior parte della popolazione, circa 90%, sono degli albanesi etnici, circa 5% sono dei serbi etnici, mentre gli altri sono di etnia turca, bosniaca, rom ecc.. Gli albanesi etnici del Kosovo, come quegli del Montenegro, della Macedonia del Nord e di altri Paesi circostanti, sono parte integrante della nazione albanese. La Costituzione della Repubblica dell’Albania, nel suo articolo 8 comma 1, sancisce che “La Repubblica dell’Albania difende i diritti nazionali del popolo albanese che vive oltre i suoi confini”. Un obbligo costituzionale, quello, che deve essere rispettato ed onorato da tutti. Ma guarda caso, dati accaduti, documentati, testimoniati e pubblicamente denunciati alla mano, proprio l’attuale primo ministro albanese in modo continuo e consapevole ha sempre ignorato quest’obbligo costituzionale, riferito ai diritti ed interessi degli albanesi etnici che vivono in Kosovo. Lui, da quasi dieci anni, non solo ha ignorato quanto sancisce l’articolo 8 della Costituzione, ma addirittura ha avuto, soprattutto in questi ultimi anni, dei pessimi rapporti istituzionali con le massime autorità statali e governative del Kosovo. Invece e nel frattempo, però, ha stretto delle alleanze con i massimi rappresentanti istituzionali della Serbia, soprattutto con il suo “caro amico”, il presidente serbo. Non sono state poche le occasioni in cui il primo ministro albanese, anche durante questo ultimo anno, ha fatto “l’avvocato difensore” della Serbia e del suo presidente. Chissà perché?! Di certo però, non per gli interessi della nazione albanese.

    Dopo l’aggravamento della situazione nel nord del Kosovo, a partire dal 26 maggio scorso, quasi tutte le iniziative di mediazione da parte dei massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, nonché del segretario di Stato statunitense e del responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato, sono valse a poco, se non addirittura a niente. Anche di questo il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. E guarda caso, mentre fallivano tutte le iniziative dei rappresentanti internazionali di negoziare tra le parti, l’8 giungo scorso il primo ministro albanese annuncia pubblicamente una sua iniziativa. Durante una conferenza stampa, lui, il primo ministro albanese, ha dichiarato che aveva mandato al presidente francese ed al cancelliere tedesco una proposta che riguardava uno dei punti che dividono la Serbia ed il Kosovo; la creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Ebbene, il primo ministro albanese si è proposto personalmente di trovare una soluzione alla grave situazione tra la Serbia ed il Kosovo. E questo non è il primo caso in cui lui cerca di attirare l’attenzione e di farsi notare e, se possibile, anche di avere un po’ di attenzione a livello internazionale. Da buon ciarlatano ed ingannatore qual è, questo ruolo lui lo recita bene. Una recita che gli serve soprattutto in patria, dove gli scandali si susseguono l’un l’altro con dei ritmi preoccupanti. Scandali che coinvolgono direttamente e/o indirettamente anche il primo ministro albanese. Ma per fortuna ormai, diversamente da altri ciarlatani, riesce sempre meno a convincere. A lui ormai mancano le qualità di soggiogare e di manipolare la gente. Qualità che aveva il mago Cipolla, il personaggio del racconto Mario e il mago di Thomas Mann. Qualità e caratteristiche descritte molto bene anche da Grete de Francesco nel suo libro Potere del ciarlatano. Tornando alla sua proposta alla quale ha fatto riferimento il primo ministro albanese l’8 giugno scorso e mandata al presidente francese ed al cancelliere tedesco, ha dichiarato che si tratta di una bozza sulla creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo elaborata da “esperti statunitensi ed europei di massimo livello”. Ha specificato anche che si trattava di un “documento confidenziale che non pretende di essere una soluzione ideale”, ma che “…è un documento di massimo livello internazionale che prende in considerazione tutte le ragioni per la creazione delle Associazioni”. Questo ha dichiarato il primo ministro albanese l’8 giugno scorso. Ma non ha voluto dare nessuna, proprio nessuna informazione e/o indicazione sugli autori di questo “documento confidenziale”. Si sa però che questa proposta è stata palesemente ignorata dalle parti in causa e dai rappresentanti internazionali che stanno mediando tra le parti. Negli ultimi giorni però il primo ministro albanese ha dichiarato chiusa l’iniziativa Open Balkans vigorosamente sostenuta da lui, dal presidente della Serbia e dal primo ministro della Macedonia del Nord. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe seguirà per sapere se si tratta di una delle solite “bufale” o se ci sia qualcosa che merita l’attenzione ed informerà in seguito il nostro lettore di questa ultima dichiarazione del primo ministro albanese. Ma chi scrive queste righe pensa che da buon ciarlatano qual è, il primo ministro albanese è disposto a tutto, anche a negare se stesso. E potrebbe negare anche quanto ha dichiarato alcuni giorni fa sull’iniziativa Open Balkans. Aveva ragione Grete de Francesco quando affermava nel suo libro Potere del ciarlatano che “La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”.

  • ”O mia bela Madunina”

    Il Cavaliere se ne è andato.

    Lancia in resta ovviamente

    Suppongo convinto di avere altro tempo e che, per lui, non fosse ancora arrivato il momento di deporre le armi.

    Spero non abbia sofferto e, sopratutto, provato la cocente delusione di constatare che non era immortale e che, anche per lui, così geniale,capace e fortunato, le regole, almeno queste, non si potevano cambiare.

    Vi immaginate il professor Zangrillo, trasformatosi nel grillo di collodiana memoria, nel momento triste e tragico dell’ultima inappellabile diagnosi?

    Ora resta poco tempo prima che il corteo cortigiano si ponga rumorosamente in marcia.

    Si prepara, nel suono assordante dei tromboni, la spartizione delle spoglie politiche.

    Quanto a lui, distante e sereno, sordo alle prefiche dolenti, me lo vedo attento ad organizzare la sua nuova vita ultraterrena.

    Penso che inizierà nuovamente cantando, chissà, forse, ”O mia bela Madunina”

    Si farà certamente notare e spero che il suo insaziabile desiderio di essere amato venga sinceramente e gratuitamente appagato.

  • Il contesto ignorato dal pensiero liberale

    Il colpevole ed imbarazzante ritardo del pensiero liberale si dimostra senza alcun dubbio non tenendo in alcuna considerazione il contesto nel quale i diversi sistemi industriali nazionali operano, tanto più se all’interno di un mercato globale e competitivo.

    Mentre in Francia, proprio a partire dal mese di maggio 2023, si avvia la nazionalizzazione di Edf, la società elettrica francese, con il dichiarato e condivisibile obiettivo di assicurare nel prossimo futuro le più basse tariffe elettriche, in Italia si varano le strategiche operazioni bonus occhiali e zanzariere.

    La Francia, quindi, effettua delle scelte finalizzate ad offrire un supporto competitivo alle imprese che operano nel mercato e contemporaneamente a fornire un forte sostegno economico e sociale alle famiglie (https://www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_02.05.2023_16.51_53610536).

    In Italia, invece, si conferma il clamoroso ritardo del pensiero liberale sui monopoli indivisibili mentre gli altri Stati concorrono alla crescita del paese. Quasi che la vergognosa vicenda Autostrade, confermata dall’ex Ad di Edizione Holding, non avesse insegnato nulla (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-finto-e-colpevole-pensiero-liberale/).

    Mai come ora il senso di inadeguatezza delle élite “liberali” trova la propria ennesima conferma mentre i governi che si susseguono alla giuda del Paese continuano senza soluzione di continuità eludendo le implicazioni del contesto (le scelte operate dalle altre nazioni concorrenti) ed ora pure togliendo a nove milioni di utenti le bollette, espressione del mercato tutelato, a partire dal 10 gennaio 2024.

    Già prima della iniziativa francese, e precisamente in Gran Bretagna nel 2021, il governo conservatore di Boris Johnson aveva rinazionalizzato le ferrovie britanniche. Una scelta politica ma soprattutto strategica successiva ad una approfondita ricerca che aveva dimostrato come la privatizzazione delle Railways britanniche avesse determinato uno scadimento del servizio a fronte di un ingiustificato aumento del costo del biglietto.

    In molti ancora oggi sono convinti che il declino culturale e strategico del nostro Paese riguardi solo il mondo politico italiano nelle diverse declinazioni istituzionali. Mai come ora, invece, sono proprio le élite culturali a rappresentarlo perfettamente, con la propria metastasi intellettuale che li rende incapaci di considerare il contesto in evoluzione.

    Proprio a partire da quella liberale la quale nasconde, dietro a scolastici richiami ai principi del mercato, la propria incapacità di elaborare un pensiero più articolato ed adeguato alla complessità del mercato globale.

  • Ripartita la commissione femminicidio, ora è bicamerale

    Si è allargata, coinvolgendo anche l’altro ramo del Parlamento, e ha arruolato in tutto 36 componenti per essere più rappresentativa: è la nuova versione della commissione contro il femminicidio e la violenza di genere, che è ripartita dopo l’approvazione definitiva del disegno di legge per la sua istituzione.

    Nata nel 2017 e alla sua terza ‘vita’, la commissione diventa ora bicamerale. Per due volte è stata istituita al Senato. Nel 2017, sotto la 17a legislatura e il governo Gentiloni, ha lavorato sette mesi presieduta da Francesca Puglisi, all’epoca senatrice del Pd. Nella legislatura successiva la commissione contava 20 componenti guidati da Valeria Valente, attuale senatrice Dem, e ha lavorato dal 2018 al 2022. Adesso il “salto di qualità» della bicamerale, come l’ha definito Valente, sottolineando l’importanza di avere “il Parlamento unito su un tema prioritario”. Al nuovo formato si è arrivati con un emendamento votato alla Camera per cui i commissari salgono a 18 deputati e altrettanti senatori (rispetto ai 16 + 16 del testo precedente) in proporzione alla consistenza di ogni gruppo. Altra novità – voluta probabilmente per garantire massima rappresentanza e continuità dei lavori – è che ci sia sempre almeno un deputato e almeno un senatore per ogni gruppo. A ‘benedire’ il provvedimento in Aula, la ministra per la Famiglia e le Pari opportunità, Eugenia Roccella che ha rimarcato: «Istituire nuovamente la commissione è un importante passo verso obiettivi di giustizia nei confronti delle donne che dobbiamo perseguire e che non ammettono divisioni”. A sostegno del «principio inclusivo” si è espressa anche la senatrice dei Civici d’Italia, Michaela Biancofiore, convinta che “il femminicidio non è un argomento da donne o da salotto, è un tumore che coinvolge tutta la società”. Sugli interventi da fare, Maria Stella Gelmini di Iv-Azione ha evidenziato che “troppe volte lo Stato non riesce a combattere i femminicidi e ci sono centri antiviolenza che vengono finanziati privatamente, purtroppo senza risorse strutturali”.

    Tra i compiti della commissione vi è in primis quello di indagare sulle reali dimensioni e cause del femminicidio e delle violenze di genere e di monitorare l’attuazione della Convenzione di Istanbul su prevenzione e lotta alla violenza alle donne e la violenza domestica, oltre a ogni altro accordo ad hoc sovranazionale e internazionale, con particolare riguardo al cosiddetto ‘Codice rosso’.

  • Il Nuovo Codice degli appalti di Salvini sarà fonte di corruzione senza limiti

    In una materia delicata come l’affidamento degli appalti per le opere pubbliche, non si può accettare la superficialità di un politico come Salvini, che si definisce “uomo del fare”, che è vero ma solo limitatamente al “fare demagogia di bassa lega”.

    L’affidamento nell’assegnazione degli appalti per opere pubbliche non può essere, come sostiene Salvini, un esercizio di sola velocità nell’individuare l’impresa da incaricare, ma un processo di ricerca, ovviamente il più veloce possibile, sulle qualità dell’impresa, sull’affidabilità, sulla competenza specifica, sulla congruità ed economicità del costo, sulla sicurezza del manufatto, sulla durata nel tempo in perfetta efficienza dell’opera e, soprattutto, sull’attenzione di scongiurare l’insorgere di ogni possibile rischio di pressioni, favoritismi o imposizioni di qualsiasi natura.

    Per tali ragioni fino ad ora si è ricorso agli appalti pubblici, anche per cifre quasi insignificanti, proprio per raggiungere il più possibile la decisione migliore e legalmente corretta.

    Non si può negare che la modifica del codice degli appalti sia una richiesta europea, funzionale anche alla attuazione delle riforme per il PNRR, ma i partner europei non hanno le piaghe antiche e attuali della corruzione e della criminalità che ha l’Italia, e Salvini e i suoi estimatori hanno chiaramente esagerato, traducendo in una sostanziale cancellazione di ogni ipotesi di gara fino al tetto di 5,3 milioni di euro, e lasciato addirittura fino al tetto di 150.000 euro per i lavori, e di 140.000 euro per le forniture di servizi, la possibilità di affidamento diretto.

    Il che significa che da 140.000 euro in poi e fino a 5,3 milioni i lavori pubblici potranno essere assegnati direttamente, previo l’invito discrezionale del soggetto appaltante di 5 o 10 imprese, scelte senza pubblicare alcun avviso e senza una procedura pubblica di gara, nell’assenza di criteri predeterminati e trasparenti,  senza alcuna competizione, e quindi escludendo la maggior parte dei possibili aspiranti, ma in compenso con ampi margini di ricorso a subappalti, con subappaltanti che potranno a loro volta subappaltare.

    Insomma, un sistema di totale mancanza di trasparenza, che non garantirà né qualità, né legalità nella gestione degli appalti pubblici.

    Se questo è lo scenario di cui si auto complimenta Salvini, appare evidente non solo la legittimità, ma soprattutto la fondatezza delle preoccupazioni espresse dal Presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, in riferimento ai rischi da lui paventati di Sindaci tentati di erogare favori familistici e clientelari, in tutta legalità.

    Ma i difensori di questa incredibile proposta dove vivono? O semplicemente non leggono i giornali?

    Perché appare incredibile che in un Paese fortemente condizionato da corruzione e mala vita organizzata e mafiosa come l’Italia, dove le regole vengono spesso aggirate, pur con le norme vigenti che dovrebbero impedire il malaffare, assistiamo con disinvoltura e solerzia al totale smantellamento delle regole esistenti, senza alcuna rete di protezione che possa in qualche modo evitare che l’intero comparto dei lavori pubblici diventi un vero far west di girandole di assegnazioni e scambio di favori e, perché no, anche di voti.

    Questo governo in carica, così attento in ogni provvedimento adottato nella sottolineatura della propria identità politica, in questo caso sembra volere accantonare uno dei suoi caratteri più identitari come l’impegno di garantire legalità e sicurezza e contrastare ogni forma di strumentale utilizzo dei fondi pubblici a scopo politico ed elettorale, consentendo di dare la paternità ad un provvedimento che appena entrerà in vigore, darà la conferma di quanto paventato dal presidente ANAC, moltiplicato per 100.

    Perché il pericolo non è tanto e solo quello di sindaci, assessori o dirigenti comunali, provinciali regionali e statali che possono favorire amici, parenti o elettori, il vero buco nero di questo codice è che i sindaci e tutto il resto dei soggetti deputati alla assegnazione delle opere pubbliche, non avranno più alcun alibi nel negare alla criminalità organizzata e mafiosa l’assegnazione dei lavori in esclusiva alle loro imprese.

    I piccoli comuni saranno i più assediati e se fino ad oggi, potevano difendersi ricorrendo alla obbligatorietà dei bandi di gara, anche per opere di bassissimo valore, con questo colpo di scienza di Salvini non lo potranno più fare.

    E non sarà solo un problema della Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, ma di tutte le regioni del Bel Paese e di ciascuno degli oltre 8.000 comuni italiani.

    Non ci ha pensato a questo “l’uomo del fare”? O semplicemente la questione non lo riguarda?

    Ed alla luce di questo, come si sono permessi, autorevoli esponenti della Lega, di attaccare il presidente dell’organo anti corruzione italiano che ha manifestato, tra l’altro doverosamente, preoccupazioni fondate?

    Questo comportamento da bulli di quartiere, di pretendere le dimissioni di un funzionario che fa il proprio dovere, invece di prendere atto della carenza delle proposte catastrofiche che sono state prese, la dice lunga su partiti che operano con criteri demagogici e superficiali e che, invece di aiutare il Paese, rischiano fortemente di penalizzarlo, condannandolo al perenne predominio della criminalità organizzata e mafiosa, ed alla corruzione dei politicanti faccendieri e dei colletti bianchi, che potranno esercitare i loro imbrogli nella piena legalità.

    L’impressione è che molto presto si dovrà correre ai ripari e rimediare urgentemente a questo errore imperdonabile.

  • Una vecchiaia serena e dignitosa per tutti

    Il caffè di Gramellini, pubblicato il 29 marzo sul Corriere della Sera, spero sia stato letto da molti, politici in primis, nella speranza che, tra i tanti problemi che la nostra società deve affrontare, non sfuggano ancora quelli legati alla vita delle persone anziane e al loro diritto, appunto, di poter scegliere come vivere.

    Stabilito il diritto che gli anziani hanno di scegliere come e dove vivere, compatibilmente alle varie esigenze, si dovrebbe affrontare il tema dei servizi alla persona, che in troppe occasioni non sono erogati dal comune né gratuitamente né, per chi può, a pagamento.

    Siamo in una situazione, per le case di riposo, che in certi casi rasenta la detenzione, troppi anziani legati ai letti, non soddisfatti per le loro necessità corporali, strattonati e malmenati se disturbano, messi a tavolo con cibi spesso immangiabili.

    Molti sono stati gli scandali e le denunce che sono usciti in questi ultimi anni ma ancora stiamo tutti aspettando un piano del governo che ci dica la reale situazione delle case di riposo, che dia il via alla organizzazione di nuove strutture che consentano una vita più integrata e dignitosa mentre, contestualmente, ci si occupi del potenziamento di tutti gli interventi di aiuto che possano consentire, a chi lo può fare, di rimanere nella sua abitazione anche se non completamente autosufficiente.

    Non dimentichiamoci, inoltre, che le nuove tecnologie, ormai imposte per una serie di pratiche, non sono agevoli da utilizzare, a volte risultano impossibili, per molte persone anziane che non hanno un parente disponibile ad aiutarli. In tutte le cose occorre gradualità.

    Sappiamo tutti che la vita si è allungata e che vi è l’impellente necessità, in una società dove ormai sono più gli anziani che i giovani, di affiancare subito alla politica per incentivare le nascite quella necessaria a garantire una vecchiaia serena e dignitosa.

  • L’opposizione ideologica al MES non fa bene al Paese e neanche alla salute degli italiani

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono

    L’On. Giorgia Meloni, nel recente Question Time, ha ribadito la sua contrarietà all’utilizzo del Meccanismo di Stabilità Europeo ed ha lasciato nel vago i tempi di ratifica del Trattato, malgrado l’Italia sia rimasta l’unico Stato a non averlo ratificato.

    Ma cosa si cela dietro questa scelta?

    Non certo preoccupazioni di inesistenti conseguenze, se perfino Tremonti, del suo stesso partito, ha escluso l’esistenza di qualsivoglia rischi paventati nel passato per l’Italia, che sono stati totalmente rimossi con la radicale modifica del MES che, appunto, essendo oggi altra cosa, impone l’esigenza di una nuova ratifica.

    E poi, basta leggere il dossier per verificare come funziona adesso il meccanismo di stabilità e per prendere atto della totale inesistenza di pericoli simil Grecia.

    L’unica condizione è che i fondi concessi vengano usati per spese sanitarie dirette e indirette, rafforzare la sanità territoriale, ma anche la prevenzione sanitaria in altri campi, come la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole, e non sono previsti altri vincoli.

    L’unico controllo è, prima della concessione del prestito, la valutazione del debito preesistente del Paese da finanziare, che deve essere sostenibile, cosa che l’Italia ha notoriamente avuto riconosciuto; in ogni caso, nella peggiore delle ipotesi, qualora non venisse riconosciuto, l’unica conseguenza sarebbe la mancata concessione del prestito, e la questione finirebbe lì.

    Appare quindi evidente che il rifiuto dell’utilizzo del MES sia unicamente la scelta di una posizione ideologica, che è il problema di sempre di questo governo e cioè l’ossessione di caratterizzare ogni atto con il “bollino dell’identità”, anche quando viene meno la causale per invocarla.

    Ma si può morire per il feticcio di una presunta posizione identitaria storicizzata, ed oggi sul MES mal riposta? La posizione di contrasto al MES è sempre stata esagerata e strumentale a sostegno della postura euroscettica che caratterizzava il partito del Premier ai tempi dell’opposizione, ma che, almeno in apparenza, sembrava essere stata archiviata in questi mesi di governo.

    Vale davvero la pena sostenere un comportamento non certo consono ad un Paese fondatore dell’Unione Europea, che rischia di fare riemergere i dubbi e le preoccupazioni sul reale sentimento di sincera adesione alle logiche europeiste del principale partito di governo, atteso che il grido “mai al MES”, non a caso, in parlamento ha registrato l’unica adesione da parte del Movimento 5 Stelle, che è certamente la compagine politica italiana più euroscettica?

    Come si concilia tale posizione e il gravissimo ritardo della ratifica, con l’andare a Bruxelles per la riunione del Consiglio Europeo e chiedere aiuto immediato per la crisi dei flussi migratori, o per insistere sull’esigenza del debito comune per il sostegno delle imprese europee in concorrenza con il resto del mondo?

    Il ritardo della ratifica è un atto di ostilità gratuito a tutti gli altri Paesi del Trattato MES, anche perché l’adozione dell’Italia consentirebbe agli altri l’utilizzo immediato, senza alcun obbligo per noi di fruirne.

    Ed invece è proprio questo il punto e cioè, davvero l’Italia potrebbe fare a meno delle risorse del MES, almeno come ama ripetere il Premier, fino a quando resterà al governo?

    Il punto politico infatti, in base al disastro della nostra sanità, non è tanto la ratifica, ma piuttosto l’utilizzo dei 37-40 Mld di euro, che oggi potrebbero se richiesti e spesi con velocità e intelligenza, riuscire a recuperare le falle mostruose del nostro sistema e consentire di riportare il rapporto dell’assistenza medica e ospedaliera in Italia di nuovo a livelli di civiltà, salvando migliaia di vite umane, altrimenti a rischio.

    Per questo il rifiuto di queste somme non è compatibile e sopportabile con lo stato in cui versa la sanità italiana, massacrata da oltre vent’anni da una politica sciagurata, che ha imposto tagli draconiani al settore, impoverito il personale con paghe più basse del 18% in termini di potere di acquisto, riducendo gli operatori sanitari italiani, ad una delle categorie meno pagate del settore d’Europa, al punto di perdere in 10 anni oltre 10.000 medici fuggiti all’estero, priva di programmazione e strategia, con enormi territori ridotti a “deserti sanitari”, con il collasso ormai generalizzato dei pronto soccorso, luoghi ormai ridotti ad inferno dantesco, di eterne attese e violente e continue aggressioni al personale, liste di attesa che tolgono ogni speranza e, di conseguenza, un clima di sconforto generale, ed una sensazione di imminente implosione dell’intero sistema.

    Insomma una serie infinita di inadeguatezze che hanno ridotto il settore al punto da essere dichiarato dall’OCSE a rischio tenuta e quanto prima impossibilitato a garantire le cure a tutti.

    A fronte di questo scenario, il governo ha fatto poco o nulla, non riuscendo neanche a regolare il problema gravissimo dei “medici a gettone”, che guadagnano molto di più dei medici di ruolo, fino a ben 100 euro lordi l’ora, contro i 52 dei medici di organico, a causa dei vuoti del personale, specie nei pronto soccorso, dove li sostituiscono e spesso senza offrire garanzie di competenza, ovviamente a scapito dei pazienti.

    Ma anche con il PNRR il governo non è riuscito a dare granché alla sanità, specie alla medicina del territorio, avendo stanziato un finanziamento di 2 miliardi di euro per le case di comunità e 1 miliardo di euro per gli ospedali di comunità, e cioè ben poca cosa, chiaramente insufficiente a qualsivoglia inversione di tendenza.

    E ciò anche alla luce dei rilievi dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha rilevato l’insufficienza dei fondi sia per riequilibrare le disomogeneità regionali, sia per garantire il pagamento del personale, presente e futuro.

    Davanti a questo disastro biblico, ed al prezzo esagerato di vite umane pagate per la pandemia, ma anche per carenze della sanità in generale, ciò che c’è da fare è l’esatto contrario di ciò che si è fatto negli ultimi vent’anni, e quindi investire su un maggior numero di medici e infermieri, realizzare più presidi territoriali, organizzare la medicina dei territori, incoraggiare di nuovo i giovani a intraprendere le carriere sanitarie, anche con l’eliminazione dei numeri chiusi  per l’accesso all’Università e fornire servizi sanitari veri ai cittadini e, quindi, la priorità è chiaramente uno sforzo eccezionale per il recupero del settore, utilizzando l’unica risorsa possibile che è esattamente il MES, con i suoi 37-40 miliardi a tasso zero per 10 anni, da utilizzare per qualsiasi necessità collegata al settore sanitario, comprese le spese per il personale, oltre che per le strutture, attrezzature e macchinari.

    L’Italia lo merita e lo meritano gli italiani, ma soprattutto lo deve il governo che non deve mai dimenticare che la politica è l’arte della soluzione dei problemi di una società e che nessuno ha il diritto di mettere a repentaglio la salute e la vita dei cittadini, per privilegiare logiche strumentali, paventando pericoli inesistenti.

    Per tali ragioni il Governo e la sua maggioranza, insieme alle opposizioni, facciano la cosa giusta, e ratifichino immediatamente il trattato del MES e ne utilizzino subito le fondamentali risorse per ricreare una Sanità degna della nostra tradizione, che possa con certezza garantire la salute e la vita degli italiani, in modo efficace, rapido ed equo in tutto il Paese.

  • La resistenza “monetaria” dell’inflazione

    Marzo 2023: https://www.ilsole24ore.com/art/istat-rientro-inflazione-piu-del-previsto-AE6QJ53C

    Risulta incredibile come ci si possa ancora oggi stupire della resistenza del fenomeno inflattivo ad oltre un anno e mezzo dal sua primo palesarsi. Chissà se nella attuale analisi come in quelle precedenti si sia mai presa nella dovuta considerazione l’origine stessa dell’aumento dei prezzi in quanto questa “inaspettata” resistenza dello stesso fenomeno alle politiche monetarie restrittive varate tanto dalla Fed quanto dalla Bce (*) dipende ovviamente anche dalla sua Genesi.

    Febbraio 2022: https://www.ilpattosociale.it/attualita/le-due-diverse-genesi-inflattive/

    Ad oltre un anno da una imprescindibile ma omessa analisi dei principali organi finanziari ed istituzionali relativa alla stessa natura dell’inflazione si rileva, con malcelato stupore e disappunto per la sua resistenza espressa dagli organi sopracitati, l’ennesima conferma del senso di mancanza di visione di insieme della classe dirigente e politica italiana ed europea.

    (*) incapace di tarare la politica monetaria europea proprio in ragione della propria diversa genesi rispetto a quella statunitense

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