Governo

  • La resistenza “monetaria” dell’inflazione

    Marzo 2023: https://www.ilsole24ore.com/art/istat-rientro-inflazione-piu-del-previsto-AE6QJ53C

    Risulta incredibile come ci si possa ancora oggi stupire della resistenza del fenomeno inflattivo ad oltre un anno e mezzo dal sua primo palesarsi. Chissà se nella attuale analisi come in quelle precedenti si sia mai presa nella dovuta considerazione l’origine stessa dell’aumento dei prezzi in quanto questa “inaspettata” resistenza dello stesso fenomeno alle politiche monetarie restrittive varate tanto dalla Fed quanto dalla Bce (*) dipende ovviamente anche dalla sua Genesi.

    Febbraio 2022: https://www.ilpattosociale.it/attualita/le-due-diverse-genesi-inflattive/

    Ad oltre un anno da una imprescindibile ma omessa analisi dei principali organi finanziari ed istituzionali relativa alla stessa natura dell’inflazione si rileva, con malcelato stupore e disappunto per la sua resistenza espressa dagli organi sopracitati, l’ennesima conferma del senso di mancanza di visione di insieme della classe dirigente e politica italiana ed europea.

    (*) incapace di tarare la politica monetaria europea proprio in ragione della propria diversa genesi rispetto a quella statunitense

  • Riformare l’IVA: le richieste dei Medici Veterinari al Governo Meloni

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato dell’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani)

    (Cremona, 14 marzo 2023) – È di oggi il riscontro all’Anmvi del Sottosegretario alla Presidenza del CdM, On Alfredo Mantovano, per un approfondimento con il Mef.

    Nell’imminenza del varo del disegno di legge delega, l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani auspica che possa finalmente trovare accoglimento la sempre più urgente esigenza di alleviare il peso fiscale che grava sulle cure e sul mantenimento di 60 milioni di animali da compagnia (rapporto 1/1 popolazione Istat) nonché sull’assistenza veterinaria agli animali allevati a scopo di produzione di alimenti.

    L’Associazione avanza quattro richieste:

    1. La collocazione delle prestazioni veterinarie nell’aliquota agevolata IVA (al pari dei medicinali veterinari) in quanto dichiarate “servizi essenziali” alla sanità animale e alla sanità pubblica;
    2. La valutazione di una aliquota zero (esenzione da IVA) per le prestazioni veterinarie corrispondenti ad obblighi di legge (es. identificazione e registrazione degli animali da compagnia) o riconducibili ai livelli essenziali di assistenza (es. sterilizzazione anti-randagismo) o ad azioni di tutela della sanità pubblica (es vaccinazioni/trattamenti anti-zoonosi)
    3. La collocazione nello scaglione agevolato IVA dei prodotti alimentari (pet food);
    4. La salvaguardia della detraibilità fiscale delle spese veterinarie;

    In un’ottica concretamente one health, l’Anmvi ritiene necessario e urgente un intervento di razionalizzazione fiscale in particolare delle aliquote IVA.

    Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani- 0372/40.35.47

  • In attesa di Giustizia: inutili rimedi

    Quella verificatasi a Cutro non è la prima e non sarà, purtroppo, l’ultima tragedia del mare cui dovremo assistere a causa della inarrestabile fuga dai paesi di origine di migranti oppressi da guerra, povertà e stenti di ogni genere e quello dei flussi migratori irregolari è un problema molto serio a prescindere da esiti fatali delle traversate cui non è facile per il Governo – qualsiasi governo – trovare un rimedio.

    Certamente non può esserlo, come è stato recentemente fatto, l’aumento delle sanzioni previste per gli scafisti: anzi, è l’ennesima iniziativa del tutto inutile adottata mettendo mano al codice penale.

    Per meglio illustrare quale sia lo spunto di riflessione che la rubrica offre questa settimana, è innanzitutto necessario comprendere bene chi siano davvero i c.d. “scafisti”, intesi come coloro che timonano un malconcio naviglio carico di poveri sventurati verso la destinazione. La figura finisce con il sovrapporsi, confondendosi, con quella dei trafficanti di esseri umani e la differenza non è banale.

    Nella realtà gli organizzatori di questi indegni e lucrosi traffici si guardano bene, come dovrebbe essere facilmente intuibile, anche solo dal mettere un piede su quei barconi della disperazione  condividendo con i passeggeri  i rischi altissimi della traversata: i veri, unici “scafisti” che meriterebbero di essere individuati e severamente puniti sono proprio costoro che, tutt’al più, scortano le carrette del mare fino ai limiti delle acque territoriali del Paese di partenza per poi fare rapido rientro a casa, sui loro motoscafi, abbandonando quei disperati al loro destino. Ecco: questi sono i veri criminali e non li abbiamo mai visti, né mai li vedremo nella assoluta impossibilità di identificarli chiedendo improbabili forme di cooperazione dalle Autorità Giudiziarie del Paese di provenienza.

    Ebbene, la nostra ennesima crociata contro il male che si annuncia con i tradizionali squilli tromba (“stretta sugli scafisti”, “pene più severe per gli scafisti”, “nuovi reati contro gli scafisti”), serve giusto giusto per poter scrivere titoloni sui giornali facendo mostra con i cittadini che anelano giustizia e sicurezza di una muscolatura che a quei delinquenti non fa nemmeno il solletico.

    E vi è di più: negli ultimi dieci anni sono stati arrestati e processati oltre 2500 “scafisti”. Posto che costoro non sono soliti indossare la divisa immacolata ed il cappellino da capitano, essi vengono, a regola, individuati – con intuibile ampio margine di approssimazione – tramite le dichiarazioni degli stessi migranti e dei superstiti, quando accadono naufragi. Orbene, in gran parte dei casi, coloro che sono stati indicati  (ammesso che fossero davvero imbarcati a timonare) altro non sono che migranti come gli altri, che per le più varie ragioni – ed essendo capaci di guidare un natante – si sono detti disposti ad accettare l’incarico dell’ associazione criminale di condurre il barcone; facile immaginare che questo accada per ottenere uno sconto sul costo del viaggio; oppure sono disperati disposti a rischiare la vita ed il carcere per guadagnare qualcosa.

    Per quelli che finiscono nelle nostre mani, spesso individuati con larghissimi margini di incertezza, è tra l’altro già prevista una pena fino a cinque anni di reclusione ma basta che le persone trasbordate siano più di cinque, cioè la normalità del fenomeno, per far scattare l’ipotesi aggravata, un minimo di cinque ed un massimo di quindici anni. Se poi c’è naufragio si aggiunge (almeno) l’omicidio colposo plurimo. Dunque, una aspettativa punitiva già altissima, senza alcun bisogno di novità normative.

    Nel nostro Paese, però, va così: se accade un fatto grave che, magari, interessa anche possibili responsabilità istituzionali, una sola è la risposta: nuove figure di reato, o inasprimento delle pene. E’ un riflesso populista, patrimonio comune dei governi di qualsivoglia colore politico, che usano il diritto penale non per raggiungere un seppur minimo e concreto risultato in termini di dissuasione dal delinquere, ma per lanciare tramite la narrazione mediatica il messaggio di uno Stato che reagisce con implacabile severità. Quale mai sarà il migrante che si rende disponibile a pilotare il barcone perché altrimenti non avrebbe il denaro sufficiente per imbarcarsi, o il disperato che non sa come altrimenti guadagnare nella vita, che recederà dall’intento venendo a sapere (da chi, poi?), che la pena che sta rischiando non è più di 15, ma di 20 anni?

    In compenso va in onda la consueta liturgia dello “Stato che reagisce con fermezza”, ed in attesa che giustizia sia fatta saremo tutti più tranquilli. O, forse, no.

  • Parlare per dare aria ai denti

    In diverse occasioni il Patto Sociale ha affrontato il tema dei migranti con proposte organiche, sia nazionali che europee, per questo restiamo una volta di più allibiti, mentre si contano le vittime della tragedia che ha insanguinato il mare e le coste calabresi, di come il dibattito politico si sia tramutato nell’eterna ed inutile J’accuse della sinistra contro il governo.

    Il governo è in carica, con pregi e difetti, da neppure sei mesi, quanti mesi ed anni sono stati al governo 5Stelle e specialmente il Pd?

    La buonafede si vede quando la critica è seguita da una proposta fattibile perché per dare aria ai denti, con soluzioni impercorribili, sono buoni tutti al bar mentre chi ha ruoli politici dovrebbe sapere di cosa sta parlando.

    Abbiamo tutti il coraggio di dire con fermezza che le persone scappano 1) da paesi nei quali governi autoritari e violenti impediscono ogni libertà e diritto ai loro cittadini, 2) da paesi nei quali vige il terrore di stato o il terrorismo, 3) da paesi ridotti all’estrema miseria per carestie e siccità.

    Allora cosa vogliamo fare?

    Vogliamo cominciare a ridurre i nostri rapporti economici con i paesi del primo gruppo avviando contemporaneamente attività diplomatiche per promettere aiuti e collaborazioni in cambio di maggiore libertà e diritti per le popolazioni?

    Vogliamo finalmente mettere in sinergia le nostre agenzie europee per una vera lotta al terrorismo laddove si annida e prospera? Vogliamo smettere di fare affari, sempre poco chiari, con certi governi, anche se hanno risorse prime che ci interessano?

    Vogliamo rivedere tutto il sistema della cooperazione e con nuovi modi di intervento fare arrivare l’acqua ai milioni di donne e uomini che muoiono di fame perché senza acqua non si può coltivare o allevare bestiame. Vogliamo denunciare lo sfruttamento che certe grandi potenze, come la Cina, hanno fatto e fanno in Africa!

    Certamente dobbiamo potenziare i controlli per mare e per terra, trovare e punire severamente gli scafisti, spesso protetti da persone politicamente influenti nel loro paese d’origine, dobbiamo rendere efficienti ed agili i corridoi umanitari rivedendo il funzionamento anche delle ambasciate e dei consolati degli Stati dell’Unione Europea e dobbiamo su questi problemi coinvolgere anche stati fuori dall’Unione.

    Ma questo non basterà se non cambieremo il nostro modo di guardare ai tanti, tragici problemi legati all’immigrazione, non ultimo la necessità che i campi profughi, sulle coste non solo del nord Africa, siano gestiti da personale europeo sotto la guida dell’Europa. Campi profughi nei quali si possa tornare a vivere perciò con scuole, strutture sanitarie e dote di avviamento al lavoro.

    Parlare di altro, parlare di fermare gli scafisti o di dare più spazio alle Ong, senza questi provvedimenti, è parlare per dare aria ai denti.

  • Tre pensieri per questo otto marzo

    Tre pensieri per questo otto marzo:

    il primo dedicato a tutte le donne che nel mondo subiscono violenze, soprusi, mancanza di libertà e diritti, a tutte quelle donne che lottano, che non si arrendono neanche di fronte alla morte, pensando a come possiamo meglio dare loro sostegno.

    Il secondo è un invito al governo italiano, guidato da una donna che sta affrontando con decisione le sfide di una società sempre più complessa e confusa, affinché si occupi concretamente degli aiuti, di ogni genere, necessari ai tanti figli delle donne uccise, ferite, sfregiate, ai tanti orfani sui quali rimarrà per sempre impresso il dolore subito.

    Il terzo rivolto a tutti noi, donne ed uomini, vecchi e giovani, la società non cambierà in meglio se non sapremo, ciascuno di noi, cambiare in meglio ritrovando sentimenti ed empatia, se non sapremo guardare con maggiore attenzione ai nostri figli per insegnare loro che la salvezza di ciascuno, il rispetto dei diritti individuali, non viene da una società liquida ma da una società giusta.

  • Piano pandemico non aggiornato? Dal 2006 al 2020 sette ministri della Sanità

    Abbiamo tutti letto, ed in molti apprezzato, che i Pm di Bergamo, dopo una lunga e difficile indagine, abbiano deciso, per poter accertare chi abbia vere responsabilità, di indagare diciannove tra politici e tecnici per quanto avvenuto durante i primi tragici mesi di covid.

    Ovviamente non entriamo nel merito per quanto riguarda la mancata zona rossa e la chiusura ed apertura dell’ospedale di Alzano, attendiamo la magistratura e speriamo che anche i media si astengano da processi televisivi o sulla carta stampata.

    Su questi punti, e su altri altrettanto inquietanti, ci siamo già espressi nel libro I nostri domiciliari pubblicato dalla casa editrice Ulisse nel febbraio 2021, libro che è stato anche presentato sul secondo canale Rai, il nostro pensiero, da impotenti settori chiusi in casa è stato scritto in modo chiaro.

    Vogliamo però, sommessamente, ricordare, per quanto riguarda il mancato aggiornamento del piano pandemico, piano che risale al 2006 e che da allora è rimasto fermo, che dal 2006 al 2020 si sono succeduti, nella Sanità, diversi ministri e riteniamo che ciascuno di loro avrebbe potuto, dovuto aggiornare il piano.

    Sono in effetti molti perché è stato un lungo periodo con numerosi e diversi governi.

    Andando a memoria Livia Turco, Sacconi, Ferruccio Fazio, Balduzzi, Lorenzin, Giulia Grillo fino ad arrivare a Roberto Speranza che, oggettivamente, essendo l’ultimo della catena non dovrebbe essere l’unico al quale imputare il mancato aggiornamento del piano pandemico.

    Detto questo e sperando che anche su questo ci sia un chiarimento vorremmo anche sapere se oggi il piano pandemico è aggiornato anche rispetto all’allerta che l’Oms ha fatto alcune settimane fa per l’influenza aviaria, secondo il detto, mai sufficientemente applicato, prevenire è meglio che reprimere.

  • Un regime corrotto e che corrompe

    ‘Quello che semini, raccoglierai’. La legge del Karma è inesorabile, l’evasione è impossibile.

    L’aiuto di Dio non serve quasi più, egli ha fatto la legge e poi è come se fosse uscito di scena.

    Mohandas (Mahatma) Gandhi; da “Autobiografia”

    Un regime quello restaurato e consolidato in questi ultimi anni in Albania, una nuova dittatura sui generis che, con tutti i modi, inganni e soldi compresi, cerca di camuffare la grave, preoccupante, pericolosa, vissuta e sofferta realtà. Una dittatura che cerca di nascondersi dietro una facciata di pluripartitismo. Una dittatura gestita anche da alcuni dei rampolli, diretti discendenti dei dirigenti e/o degli alti funzionari della dittatura comunista, l’attuale primo ministro e alcuni ministri compresi. Una dittatura, questa attuale, nella cui gestione sono direttamente coinvolti anche dei funzionari attivi durante il regime comunista. Si tratta di dipendenti dei famigerati servizi segreti, di inquirenti e giudici che hanno sulla coscienza tante vittime innocenti. Vittime condannate solo per inculcare paura e terrore tra la popolazione. Una dittatura, questa attuale in Albania, che sotto certi aspetti si presenta più pericolosa di quella comunista. Potrebbe sembrare strano ma, da tanti fatti accaduti, documentati, denunciati e pubblicamente noti alla mano, risulta essere una forma di organizzazione delle strutture statali, governative e del sistema della giustizia, gestita, oltre che dai massimi rappresentanti del potere politico, come accadeva durante la dittatura comunista, anche da noti rappresentanti della criminalità organizzata e di determinati raggruppamenti finanziari internazionali occulti. Soprattutto da oltreoceano. Una dittatura, questa attuale, che calpesta e viola consapevolmente, quando è necessario, la Costituzione e le leggi in vigore.

    Durante la dittatura comunista tutto si faceva “in nome della legge”. Ovviamente erano delle leggi approvate durante la dittatura e che servivano proprio per garantire quella forma di organizzazione dello Stato. Ma, almeno si sapeva cosa si poteva fare e cosa era vietato, non consentito e perciò da essere molto attenti. Perché se no, inevitabilmente, ci si doveva affrontare e poi subire diverse condanne, alcune molto severe. Invece in Albania, da qualche anno, da quando è stata restaurata la nuova dittatura sui generis, la Costituzione e le leggi in vigore si ignorano quando serve a coloro che gestiscono tutto e tutti. Mentre i cittadini, che cercano di rispettare le leggi e i loro sacrosanti diritti, sanciti dalla stessa Costituzione albanese, nonché dalle convenzioni internazionali alle quali l’Albania ha aderito, “stranamente” vengono condannati e subiscono delle punizioni di ogni genere. Attualmente in Albania, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, anche il principio della separazione dei poteri, definito maestosamente già nel 1748 da Montesquieu in una raccolta di trentadue libri messi insieme in due volumi si ignora Il suo De l’esprit des lois (tradotto in italiano come Lo spirito delle leggi; n.d.a.) è uno tra i più noti e riferiti della storia del pensiero politico. La distinta separazione del potere esecutivo da quello legislativo ed il potere giudiziario rappresenta una delle principali fondamenta di qualsiasi Paese democratico, dove funziona lo Stato di diritto, mentre in Albania il primo ministro controlla, da alcuni anni ormai e purtroppo, tutti i poteri. Avendo messo sotto personale controllo il potere legislativo e quello giudiziario, lui da alcuni mesi, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, controlla anche un’altra importante istituzione dello Stato, quella della Presidenza della Repubblica. Il nostro lettore è stato ormai informato l’estate scorsa di questa nuova conquista, o meglio usurpazione del primo ministro (Messinscene e collaborazioni occulte a sostegno di un autocrate; 25 luglio 2022). Così come è stato informato, con tutta la dovuta responsabilità ed oggettività di una simile, molto preoccupante e pericolosa realtà in Albania. Se non è un regime, una dittatura, questa che non è più una forma di organizzazione dello Stato, ma bensì e purtroppo proprio l’annientamento dello stesso Stato, allora cos’è?! E, peggio ancora, si tratta proprio di una dittatura gestita da una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dallo stesso primo ministro, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Raggruppamenti che hanno degli interessi soprattutto finanziari, di controllo dei territori, ma anche della manipolazione e del condizionamento della mente umana, per poi riuscire meglio e più facilmente ad attuare le loro strategie a medio e lungo termine. Raggruppamenti occulti che, quasi tutti, si definiscono come “liberali” e “progressisti” della sinistra. Uno di loro, il più presente e determinante in Albania, fa capo ad un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Secondo le cattive lingue è proprio quel raggruppamento, che agisce nell’ambito della società aperta e che “consiglia” e sostiene il primo ministro albanese ed altri suoi stetti collaboratori. Ed è proprio quel raggruppamento occulto che si vanta della stesura della riforma del sistema della giustizia in Albania. Una riforma quella ideata, programmata e poi attuata, dopo essere stata approvata in parlamento nel luglio 2016, per garantire proprio il controllo del sistema dal primo ministro e/o da chi per lui. Ma,dati e fatti alla mano, risulta essere altro che un successo. Risulta essere un clamoroso fallimento, se si fa riferimento agli obiettivi pubblicamente dichiarati all’inizio. Obiettivi che formalmente ed ingannevolmente si riferivano ad un giusto ed indipendente sistema di giustizia a servizio dei cittadini indifesi e dei loro innati ed acquisiti diritti. Quello che è realmente successo, però e purtroppo, dimostra senza equivoci esattamente il contrario. Il nostro lettore da anni e spesso è stato informato di quello che è accaduto con la riforma del sistema della giustizia in Albania.

    Le conseguenze dell’attivo, determinato e multidimensionale funzionamento della pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dallo stesso primo ministro, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali si stanno soffrendo da qualche anno in Albania. Ed è proprio questa la principale causa di un gravissimo fenomeno, con delle preoccupanti conseguenze a medio e lungo termine che, tra l’altro, da alcuni anni, si sta verificando in Albania. Si tratta dello spopolamento del Paese, soprattutto da parte dei giovani e delle persone istruite, ma anche di altre fasce sociali della popolazione. Come numero assoluto, i migranti albanesi in diversi Paesi europei sono tra i primi. Ma poi, se il riferimento si fa al numero complessivo della popolazione, allora gli albanesi sono senz’altro i primi nella graduatoria dei migranti. Superando anche coloro che scappano dalle guerre. Quanto sta accadendo durante questi ultimi mesi, ma anche prima, in Inghilterra ne è una inconfutabile testimonianza. Ma le conseguenze dell’attivo funzionamento della pericolosa alleanza tra il potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale, stanno diventando sempre più una seria preoccupazione anche per altri Paesi europei. Italia compresa.

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti e documentati alla mano, ha fatto della corruzione e dell’abuso del potere un importante pilastro ed uno dei suoi principali obiettivi strategici. Ed essendo una pericolosa alleanza con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, che gestiscono ingenti somme di denaro, la nuova dittatura che si sta consolidando sempre più durante questi ultimi anni in Albania ha tutti i mezzi finanziari per corrompere chi serve. E non solo in Albania. Si tratta di una dittatura che tramite il suo rappresentante istituzionale, il primo ministro e/o chi per lui, è riuscita a “convincere” ed in seguito ha beneficiato ed ha fatto uso propagandistico in patria, tra l’altro, dei servizi da parte di alti funzionari delle istituzione dell’Unione Europa. Il nostro lettore è stato informato da anni e spesso anche di questa realtà (Patti con Satana e irritanti bugie, 3 giugno 2019; Il vertice di Berlino, 6 maggio 2019; Che possano servire di lezione, 26 novembre 2018; Operato abominevole e dannoso, 23 luglio 2018; Soltanto per merito, 23 aprile 2018; Di nuovo falsità e fandonie da Bruxelles, 26 marzo 2018; Irresponsabili falsità e fandonie da Bruxelles, 11 dicembre 2017; Era troppo presto per dimenticare, 6 marzo 2017; Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale; 19 dicembre 2022 ecc..).

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti, documentati e che si stanno verificando anche in queste settimane alla mano, è riuscita a corrompere anche alcuni alti funzionari dell’FBI (Federal Bureau of Investigation – Ufficio Federale d’Investigazione n.d.a.), una delle più importanti istituzioni degli Stati Uniti d’America, costituita nel lontano 1908. Secondo gli annunci ufficiali resi pubblici dalle autorità statunitensi che stanno indagando, ma anche da molte credibili e ben informate fonti mediatiche statunitensi ed europee, si tratta di uno scandalo clamoroso internazionale, che coinvolge direttamente anche il primo ministro albanese. Si tratta di uno scandalo tuttora in corso, che si arricchisce ogni giorno che passa di ulteriori dettagli. Il nostro lettore è stato informato di questo scandalo due settimane fa. Al centro di questo scandalo c’è un ex alto funzionario dell’FBI, arrestato il 21 gennaio scorso. Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI a Washingotn D.C. fino al 2016. In seguito ha diretto, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York. Il nostro lettore veniva informato due settimane fa anche dei rapporti tra l’ex alto funzionario dell’FBI ed il primo ministro albanese. Quest’ultimo, parlando di questi rapporti dichiarava nel settembre scorso che “lui, il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Ma poi, dopo l’arresto del suo “amico”, lo stesso primo ministro, in vistose difficoltà, ha parlato di “malintesi”. Si perché lui, il primo ministro si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023).

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti alla mano, con i miliardi accumulati dalla diffusa e radicata corruzione e dallo smisurato abuso di potere riesce a corrompere anche i media e non solo in Albania. Si tratta di una dittatura pericolosa che tramite il suo rappresentante istituzionale, il primo ministro e/o chi per lui, sempre fatti accaduti alla mano, risulterebbe di aver corrotto e beneficiato, tra l’altro, anche dei servizi di non pochi media europei e di oltreoceano. Compresi alcuni dei media in Italia. Tutto grazie a delle attività lobbistiche di determinati organizzazioni di “orientamento progressista di sinistra radical chic. E tutto ciò per “pulire la faccia sporchissima” del primo ministro che adesso ha più “ragioni” per riuscire, costi quel che costi, a rimanere al potere. Non solo per abusare, ma anche e soprattutto per proteggere se stesso dalle indagini che lo vedono direttamente coinvolto. Ovviamente non in Albania, perché il sistema “riformato” della giustizia non oserebbe mai neanche pensare di indagare il primo ministro. Ma si tratta di altre indagini che si stanno svolgendo in altri Paesi, comprese quelle due sopracitate, ormai in corso negli Stati Uniti d’America. E “stranamente” da tre settimane ormai, il primo ministro albanese è “scomparso”. Colui che non perdeva occasione per apparire, adesso non si presenta neanche in parlamento, nonostante gli obblighi istituzionali e le richieste ufficiali fatte dall’opposizione per chiarire la sua posizione che lo coinvolge direttamente nello scandalo insieme con il suo “amico”, l’ex funzionario dell’FBI, ormai sotto indagini. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe è convinto che quello albanese è realmente un pericoloso regime corrotto e che corrompe. Ma prima o poi i veri responsabili ne pagheranno anche le conseguenze, primo ministro compreso. Anzi, lui per primo. Si, perché, come ne era convinto Mohandas Gandhi: “‘Quello che semini, raccoglierai’. La legge del Karma è inesorabile, l’evasione è impossibile. L’aiuto di Dio non serve quasi più, egli ha fatto la legge e poi è come se fosse uscito di scena”.

  • La verità sul MES

    L’opposizione politica all’adozione del MES, acronimo del Meccanismo Europeo di Stabilità, giustifica questa scelta evocando improbabili scenari di pericolosità inaudita per i destini del Paese, senza però indicarne concretamente nessuno, ma limitandosi a ipotesi generiche e approssimative, che richiamano unicamente alla memoria il duro e sacrificato salvataggio della Grecia.

    Un esempio che non calza per niente, alla luce del fatto che l’Italia non è la Grecia, che aveva a suo tempo falsificato i bilanci ed era ad un passo dal default, e soprattutto perché l’eventuale utilizzo dei prestiti, non riguarderebbe il salvataggio dello Stato, ma costi e utilizzi contenuti e sostenibili.

    Quindi siamo di fronte ad una fobia anti MES, che mal si concilia con le logiche della politica, che devono analizzare le questioni e i dossier, per trarne il giusto giudizio e cogliere la valenza delle scelte.

    Ma quando la politica si veste con l’abito della demagogia, basta gridare al lupo al lupo e la razionalità va a farsi benedire.

    Ma l’Italia davvero vuole correre il rischio di non ratificare il nuovo MES, sulla base di pregiudizi che sono inesistenti? Ovvero giocare la carta, un tantino ipocrita, del rifiuto del governo a prendere una posizione definitiva a favore della ratifica, per lasciare la purezza del rifiuto a Premier e Ministro dell’Economia, affidando al Parlamento la “libertà” di votare a favore della ratifica, salvando contemporaneamente la narrazione demagogica e il buon vicinato con i partner UE?

    Ma davvero si sente il bisogno di un finto gioco delle parti, in cui un Parlamento di nomina dall’alto e senza alcuna libertà di scelta, pena la non ricandidatura, consenta la ratifica che i leader sotto copertura euroscettica non vogliono ufficialmente concedere? Non sarebbe ora che la narrazione uscisse dalle logiche del sì o no al MES, per prendere atto che la nuova versione non costituisce per nessun Paese, e meno che mai per l’Italia, un pericolo alla propria sovranità, specie in termini di obbligo alla ristrutturazione del debito pubblico?

    Basta leggere il dossier per verificare come funziona il meccanismo di stabilità e per prendere atto della totale inesistenza di pericoli simil Grecia.

    In primo luogo perché l’unica condizione è che i fondi concessi vengano usati per spese sanitarie dirette e indirette, rafforzare la sanità territoriale, ma anche la prevenzione sanitaria in altri campi, come la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole. Non sono previsti altri vincoli, come quelli imposti in occasione del salvataggio della Grecia e non viene richiesta alcuna riforma economica o di bilancio.

    L’unico controllo è, prima della concessione del prestito, la valutazione del debito preesistente del Paese da finanziare, che deve essere sostenibile, cosa che l’Italia ha notoriamente avuto riconosciuto. Ma nella peggiore ipotesi, qualora non venisse riconosciuto, l’unica conseguenza sarebbe la mancata concessione del prestito, e la questione finirebbe lì.

    Ecco perché appare strumentale e parossistico l’atteggiamento di paura nei confronti delle presunte conseguenze di accedere al prestito dei fondi Mes.

    Ma c’è davvero qualcuno che potrebbe pensare che l’Italia possa finire come la Grecia?

    L’Italia con il suo PIL, il diritto di veto di cui gode, insieme a Francia e Germania, che gli proviene dalla partecipazione con il 17,7% di contributo al fondo e con la sua potenza economica, non potrebbe mai essere messa in un angolo per il prestito di appena 37-40 Mld di euro, da destinare alla Sanità nazionale, pari al valore di una manovra finanziaria.

    Come potrebbe mai un debito così insignificante, mettere il Paese in ginocchio?

    La situazione è quindi del tutto diversa, ed il punto politico non è la ratifica, ma l’utilizzo dei 37-40 Mld di euro, che oggi potrebbero se richiesti e spesi con velocità e intelligenza, riuscire a recuperare le falle mostruose della sanità nazionale, e consentire di riportare il rapporto dell’assistenza medica e ospedaliera di nuovo a livelli di civiltà, salvando migliaia di vite umane, altrimenti a rischio. Non è pensabile, per questioni ideologiche, di penalizzare ancora gli italiani.

    Il nostro sistema sanitario è stato massacrato da una miriade di tagli nei finanziamenti degli ultimi decenni, nel corso dei quali gli investimenti sono diminuiti in maniera esponenziale e gli stipendi dei medici ed infermieri, si sono ridotti dal 40% al 30% del totale. Erano 27 miliardi di euro nel 2000, sono stati 36 Miliardi di euro nel 2019, con un aumento nominale del 32%, molto più basso dell’inflazione, che nello stesso periodo è stata del 50%.

    In termini di potere d’acquisto quindi gli stipendi del personale sanitario si sono ridotti del 18%, facendo degli operatori della sanità italiana una delle categorie meno pagate d’Europa nel loro settore.

    Da qui conseguenze a cadere con i pronto soccorso strapieni e sotto stress, l’assenza di una medicina dei territori, la riduzione del numero dei medici ed infermieri in servizio, in pratica il serio rischio di implosione dell’intero sistema.

    Per questo, ciò che c’è da fare è l’esatto contrario di ciò che si è fatto negli ultimi vent’anni, investendo su un maggior numero di medici e infermieri, realizzare più presidi territoriali, organizzare la medicina dei territori, incoraggiare di nuovo i giovani a intraprendere le carriere sanitarie e fornire servizi sanitari veri ai cittadini.

    Abbiamo con il MES una fonte di risorse a costo praticamente zero, rispetto a qualsiasi altro strumento finanziario, e non è pensabile che si possa rinunciare al suo utilizzo, per questioni di identità politica o per paure astratte, che non hanno alcuna giustificazione.

    Per questo il MES va ratificato ed utilizzato, lo impone la situazione della sanità nazionale, ed il dovere di dare risposte concrete ai cittadini italiani più fragili perché bisognosi di aiuto.

  • Politica o finanza?

    Ancora una volta lo scontro tra il mondo della politica, compresi ministri del  governo in carica, con le principali istituzioni finanziarie europee dimostra come sia precario l’equilibrio tra i due ruoli  istituzionali.

    Da una parte (1) il governo rivendica una maggiore autonomia decisionale relativa alle politiche economiche e finanziarie, ed in particolare in relazione al debito pubblico, dimostrando cosi quasi di voler tornare alla regola soppressa  nel 1981 che obbligava la Banca Centrale, nello specifico la Banca d’Italia, ad acquistare i debiti, i titoli e il debito pubblico italiano. Si dimentica però come questa fu proprio la politica monetaria che la BCE ha attuato fin dal 2011 attraverso il presidente Mario Draghi il quale acquisiva al mercato secondario  titoli invenduti del debito pubblico facendo abbassare quindi lo Spread. Successivamente questo intervento divenne istituzionale con l’introduzione del quantitative easing per offrire ossigeno alla economia europea.

    All’interno di questa contrapposizione si trovano le principali istituzioni monetarie(2) e finanziarie le quali  rivendicano innanzitutto la propria vocazione istituzionale, cioè la lotta alla inflazione, quanto la stessa autonomia. In questo contesto di separazione dal mondo della politica le stesse  giustificano le proprie scelte soprattutto in relazione alla crescita dei tassi di interesse sulla base degli scenari economici forniti dai diversi algoritmi perché va considerato e ricordato come la presidente della BCE giustificò la mancata previsione di una inflazione di lungo termine da una previsione errata degli algoritmi.

    Tornando ora allo scontro tra i due soggetti emerge evidente l’ipocrisia che entrambe le posizioni esprimono.

    Il governo ed il  mondo della politica in generale potrebbero rivendicare una maggiore autonomia dalle autorità monetarie nel momento in cui loro stessi rispondessero in proprio ed in solido degli eventuali disastri  causati con proprie strategie. Non è assolutamente sufficiente il mandato elettorale per ottenere una cambiale in bianco relativa alla propria azione quanto la sua eventuale perdita come il prezzo da pagare per gli errori commessi. Basti ricordare come la classe politica e governativa italiana abbia portato  il nostro Paese alle soglie della pandemia con un rapporto tra debito pubblico e PIL pari a 155% e, contemporaneamente, ha operato in modo da creare le condizioni per cui negli ultimi trent’anni il reddito disponibile dei cittadini italiani si sia ridotto del -3,4% mentre in Germania nel medesimo periodo è aumentato del +34,7%.

    Quando, e solo quando , il mandato elettorale risulterà revocabile come un  qualsiasi contratto nel settore privato, solo  allora la politica potrà rivendicare una maggiore autonomia, pur restando la responsabilità di rispondere in solido degli eventuali errori ma soprattutto i danni arrecati al Paese.

    Non una voce si è mai levata in cielo contro la BCE quando questa con politiche monetarie espansive come il quantitave  easing aveva inondato il mercato di liquidità portando gli interessi, e quindi i costi del servizio al debito, sotto la soglia dello  zero offrendo una possibilità unica nel suo genere dal dopoguerra ad oggi, cioè di ridurre il debito pubblico.

    Viceversa tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese fino alla soglia del 2020 con la terribile pandemia hanno aumentato la spesa pubblica e la pressione fiscale. Contemporaneamente si sono  ridotti gli investimenti per il sistema sanitario, dimostrando ancora una volta come la spesa pubblica rappresenti la prima forma di arricchimento per lobby e potentati vari.

    Tornando alle istituzioni finanziarie, nel 1992, in un’intervista negli Stati Uniti, un importante economista affermò che l’economia sarebbe finita di li a pochi anni in quanto in tutte le società finanziarie erano entrati i matematici con l’applicazione dei loro algoritmi. Questa sottomissione algoritmica dell’intero mondo economico ma anche politico vissuta come una possibile riduzione dei costi e aumento delle redditività se da una parte ha tolto capacità di analisi, come molteplici espressioni di professionalità di alto livello, dall’altra ha permesso a persone prive di ogni competenza di raggiungere le vette dei principali organi finanziari solo ed esclusivamente per amicizie o vicinanze politiche. L’unica competenza richiesta rimane quella di leggere i risultati proposti dagli algoritmi.

    In altre parole lo scontro tra i due soggetti non è altro che guerra fratricida tra due banali espressioni del genere umano, le quali utilizzano la politica come il palcoscenico per le proprie vanesie ambizioni o per servire gli interessi della minoranza nei confronti della maggioranza.

    Mai come ora, ed in particolare in questi giorni, l’immagine sintesi di questo scontro tra politica italiana e mondo delle istituzioni finanziarie risulta imbarazzante e degradante soprattutto in funzione delle difficoltà che le imprese e i cittadini stanno affrontando da oltre tre anni.

  • Le nuove convergenze parallele

    La storia della politica italiana ha partorito concetti in grado di andare oltre la logica fisica i quali, tuttavia, erano in grado di indicare un percorso finalizzato ad una ipotetica crescita del Paese.

    Il concetto di convergenza parallele partiva, in relazione ai due soggetti interessati, cioè la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista da una parte, dal rifiuto da parte del PCI alla realizzazione di uno Stato totalitario, e dall’altra alla caduta della pregiudiziale anticomunista della Democrazia Cristiana verso un compromesso nell’interesse dello Stato italiano.

    Il terzo millennio ha visto, come molti avevano previsto, la fine dell’ideologia e dei progetti politici di ampio respiro sostituiti da visioni di basso cabotaggio finalizzate all’ottenimento del massimo consenso nella  prossima consultazione elettorale.

    Tuttavia, pur venendo meno il quadro ideologico e politico che partorì questo possibile scenario, il medesimo principio viene ora  applicato ma con altri obiettivi. Quindi, anche se all’interno di una contraddizione  evidente, le convergenze parallele vengono trasformate dalla classe politica in strumenti finalizzati al conseguimento di obiettivi di parte.

    Il governo in carica da poco più di tre mesi è riuscito in soli due Consigli di Ministri ad eliminare gli sconti fiscali dei carburanti per oltre 30 centesimi, non tenendo in alcuna considerazione di come, all’interno di un contesto europeo, l’economia italiana presenti il più alto tasso di inflazione ed in particolare nel settore alimentare, quello cioè maggiormente soggetto alle variazioni dei costi di distribuzione. Una decisione giustificata dapprima con la ricerca di fondi per i Comuni, quasi una tassa di scopo, e successivamente entrata nei rivoli  della spesa pubblica e quindi esentati dalla  definizione di un obiettivo.

    Gli effetti di tale decisione saranno disastrosi per quanto riguarda l’inflazione nel settore alimentare che si sta proiettando verso un +13% ed in particolare per quelle fasce di popolazione meno abbienti  costrette per motivi di lavoro utilizzare i mezzi privati.

    Al di là di ogni considerazione relativa alla coerenza tra le promesse elettorali e la realtà governativa di questa coalizione e della considerazione dimostrata verso i propri elettori, questa decisione ha ricevuto  l’appoggio persino di un esponente considerato l’economista del PD: Carlo Cottarelli. Il rappresentante del pensiero economico del PD ha sottolineato come sia stata giusta l’eliminazione di questo conto in quanto aiutava anche i “possessori di Ferrari”.

    E’ evidente che quando una manovra fiscale finalizzata all’aumento della pressione fiscale ottiene il favore dell’opposizione questa già sulla carta ha le stimmate per rivelarsi assolutamente contraria agli interessi dei paesi e dei suoi cittadini. Andrebbe infatti ricordato, tanto agli esponenti economici del governo in carica quanto a Cottarelli, il principio dell’utilità marginale decrescente del denaro sulla base del quale ogni diminuzione del carico fiscale applicato ad un bene di consumo determini un maggiore vantaggio immediato per le fasce di popolazione a medio e basso reddito.

    Contemporaneamente la loro sospensione, come quella attuata dal governo Meloni, non viene neppure recepita dalle fasce di popolazione ad alto reddito indicate in modo grossolano dai guidatori di Ferrari.

    Il concetto di nuove  convergenze parallele si dimostra quindi assolutamente attuale anche se nel precedente millennio era applicato ad una visione politica ed ideologica dello Stato, mentre ora viene utilizzato n modo subdolo ed intellettualmente disonesto con l’unico obiettivo di aumentare ancora di più la spesa pubblica che rappresenta da sempre la prima forma di potere nel nostro Paese (*).

    Questa convergenza di intenti tra maggioranza ed opposizione dimostra ancora una volta come, al di là quindi delle collocazioni meramente geografiche dei diversi partiti all’interno del Parlamento, questi si dimostrino uniti consapevolmente nella strategia  finalizzata a mantenere il proprio potere attraverso sia la costante crescita della spesa pubblica e, di conseguenza, del  carico fiscale come confermato dagli ultimi trent’anni della storia politica italiana. La logica politica ma soprattutto utilitaristica che sottende una  tale visione puramente economica e  contabile sostenuta dalla costante crescita della pressione fiscale risponde alla volontà di rafforzare l’esercizio del potere a spese del contribuente che ha visto nell’ultimo decennio ridursi il reddito disponibile del -12%. Contemporaneamente rappresenta la versione “moderna” di uno Stato Socialista.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/ (novembre 2018)

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