guerra

  • Tutela consolare dell’UE: 600.000 persone rimpatriate durante la pandemia grazie alla cooperazione dell’UE

    La Commissione ha pubblicato oggi una relazione sulle norme dell’UE in materia di tutela consolare, che conferisce ai cittadini dell’UE che soggiornano o viaggiano all’estero il diritto di chiedere assistenza consolare a qualsiasi altro Stato membro dell’UE, nel caso in cui il proprio paese non sia rappresentato nel luogo in cui si trovano. La relazione rileva che, sebbene la cooperazione dell’UE abbia funzionato durante la pandemia di COVID-19, la crisi in Afghanistan e la guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, sono necessari miglioramenti per garantire che le norme dell’UE siano più adatte alle crisi.

    Durante la pandemia di COVID-19, circa 600 000 cittadini dell’UE colpiti da restrizioni di viaggio sono stati rimpatriati grazie alla stretta cooperazione dell’UE e degli Stati membri. Analoga assistenza consolare è stata fornita ai cittadini dell’UE e alle loro famiglie in seguito alla crisi in Afghanistan e durante la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. In tale contesto, il sostegno locale delle delegazioni dell’UE è stato essenziale, in particolare nei paesi in cui gli Stati membri sono poco o per nulla rappresentati.

    Nel complesso, la relazione rileva la necessità di razionalizzare le norme vigenti al fine di facilitare la fornitura di protezione consolare. Ciò comprende il miglioramento dello scambio di informazioni tra gli Stati membri e il coordinamento della comunicazione, oltre al chiarimento della situazione delle persone vulnerabili, come le donne incinte, i minori non accompagnati o le persone con disabilità. Infine, benché l’obbligo primario di fornire protezione consolare spetti agli Stati membri, la relazione osserva che in alcuni casi si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di conferire alle delegazioni dell’UE, su richiesta degli Stati membri, la facoltà di interagire più direttamente con i cittadini dell’UE.

    Fonte: Commissione europea

  • Sangue chiama sangue

    Akim Apachev, noto giornalista russo, dopo la morte, nell’esplosione della macchina del padre, di Darya Dugina, figlia dell’ideologo di Putin che ha spinto e sostiene la guerra all’Ucraina, ha dichiarato che ormai non ci saranno più luoghi sicuri in Russia fino a che non sarà distrutto il nemico naturale di Kiev.
    La verità è che da anni in Russia luoghi sicuri non ci sono più stati, ed anche all’estero, per coloro che potevano essere di ostacolo o che tentavano di opporsi al regime di Putin. Molte sono state le persone uccise, anche negli ultimi mesi, in vari modi compresi i falsi suicidi e lo sterminio delle loro famiglie.
    Se oggi cominciano a cadere anche i sostenitori di Putin e della sua sciagurata guerra criminale non se ne stupisca nessuno perché è dalla notte dei tempi che violenza e terrore chiamano violenza e terrore come ricorda il titolo di un libro di Giorgio Pisano Sangue chiama sangue.

    Non si può neppure ignorare che nel passato molte sono state le voci, autorevoli, che hanno sostenuto che alcuni attentati sul suolo russo, attribuiti ai ceceni, fossero invece stragi di Stato organizzate per aumentare la tensione e dare a Putin il pretesto per colpire con più violenza i ceceni e rafforzare la sua autorità e il totale controllo.

    Inoltre anche  nella recente storia russa alcuni personaggi in vista, e considerati legati a Putin, sono morti più o meno misteriosamente. Certo è che tutti i dittatori non vogliono testimoni scomodi e che per loro la vita dei singoli non ha valore.

    Putin ed i suoi consiglieri ed ideologi comprendano che il popolo russo, come tutti gli altri popoli, vuole, ha bisogno della pace, una pace che dipende solo dal presidente russo che  può ottenere siglando la fine dell’orrenda ed ingiusta guerra contro l’Ucraina.
    La Russia è il più grande paese del mondo ma il tenore di vita della maggior parte dei russi è miserevole ed il Pil è ridicolo rispetto alle risorse ed alle potenzialità. Cominci il presidente, con gli oligarchi, a ridare quanto è stato sottratto al popolo mentre acquisivano per se stessi fortune immani, deponga armi e velleità di conquista e la Russia ed il resto del mondo potranno vivere nel rispetto reciproco.

  • La globalizzazione della distruzione

    Mentre la guerra della Russia contro l’Ucraina continua in modo sempre più devastante, e vecchi e nuovi focolai restano accesi in troppe parti del mondo, le potenti esercitazioni che la Cina sta facendo alle porte  di Taiwan e del Giappone non solo rendono sempre più insicure vaste aree ma creano una rinnovata distruzione dell’ambiente.

    Missili, bombe, anche ufficialmente proibite, residui bellici abbandonati, mine nel terreno, uranio impoverito che si diffonde nell’aria insieme alle particelle d’amianto, ancora troppo presente ovunque, stanno distruggendo l’habitat di troppi territori, l’aria che respiriamo e rendono sempre più a rischio, anche per le conseguenze future, gran parte della popolazione.

    La guerra è un crimine verso le persone e contro l’ecosistema già duramente provato come dimostra il cambiamento climatico che sta portando devastante siccità ed altrettanto devastanti incendi ed allagamenti. Questo crimine avrà conseguenze per molti anni sia sulla salute di persone ed animali sia sulla fertilità del terreno e sulla salubrità dell’aria con uno spropositato aumento di carestie.

    L’incapacità di comprendere l’enormità del danno che stanno provocando coloro che fomentano, iniziano, proseguono guerre e gigantesche esercitazioni, con i più sofisticati e letali armamenti, è un rischio enorme per l’intera umanità e invano aspettiamo che voci autorevoli, se ancora ne esistano oltre Papa Francesco, prendano posizioni nette e trovino una strada comune per fermare quella che sta diventando la globalizzazione della distruzione.

  • Il dolore e l’attesa del ritorno nelle testimonianze delle donne degli Internati Militari Italiani

    “Per Teresa e Angiolina. Alle donne. Ai pianti e alle sofferenze. All’attesa e al coraggio”. Inizia con una dedica il libro Gli Internati Militari Italiani. Testimonianze di donne, (Ciesse Edizioni) scritto dalla docente e storica Silvia Pascale e Orlando Materassi, presidente nazionale Anei, Associazione Nazionale ex Internati, coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico del progetto “Gli Internati Militari Italiani”.

    In perenne attesa, tra lacrime e paura, speranza e lotta, protagoniste silenziose e dimenticate dalla Storia: sono le donne, mogli, madri, promesse spose, sole e sotto le bombe, senza i loro uomini lontani per la guerra sulle quali, per la prima volta, sono puntati i riflettori.

    Il nastro si riavvolge e ci riporta a ottant’anni fa, in quei venti mesi che cambiarono la Storia e le storie di molti e in tante combatterono una guerra in silenzio, dietro le quinte, ma non per questo meno dolorosa. Attraverso i diari, le lettere, il vissuto delle donne degli internati i due autori non solo rendono omaggio e giustizia alle loro vicende, passate in secondo piano – se non dimenticate -, ma ci restituiscono la trama di un racconto intimo che ha pari dignità e sofferenza di quello vissuto da chi sul campo la guerra l’ha combattuta con le armi e con il sacrificio della propria vita.

    All’indomani del conflitto nessuno o quasi si è chiesto qual è stato il ruolo di queste donne, qual è stato il significato della loro attesa, se la loro silenziosa presenza avesse o meno forma di Resistenza. Nelle nostre famiglie dopo la guerra, non si parlava quasi mai di quel periodo, a tavola (il momento in cui la famiglia si riuniva) non era un argomento di conversazione. I civili pagarono un tributo altissimo alla guerra, le donne in particolare”. E’ un estratto del libro dal quale traspare tutto il pudore che ruotava attorno a quelle storie di donne, un pudore che sappiamo comune a tanti che per anni decisero di tenere nascosti i ‘ricordi’ di guerra. “Dopo l’8 Settembre 1943, non solo mamma Teresa e la promessa sposa di Elio Materassi, Angiolina, ma anche nonna Concetta da San Severo (Foggia), che pianse fino all’ultimo suo giorno di vita quel figlio, Vincenzo Villani, matricola 117853 dello Stalag VII A, mai tornato tra i 650mila Imi e diventato Milite Ignoto. E poi Gigliola, Mariuccia, Gemma, gli Angeli di Pescantina, Olga…”. Storie simili tra di loro eppure uniche, perché unico è il dolore che ciascuno riesce a provare davanti alla perdita e all’idea del non ritorno.

    Ciascuna cercava di avere notizie come poteva, la guerra, i bombardamenti, la fame, il dolore, la carenza di comunicazioni rendevano il loro vivere duro ma non per questo si abbatterono. Donne di altri tempi, si direbbe oggi, con la forza e la tempra che solo le difficoltà riescono a plasmare, capaci di aspettare,amare e trasmettere a figlie e nipoti l’eredità di una battaglia silenziosa e appassionata affinché quella storia non andasse perduta. Un filo rosso tra Internati Militari Italiani e figli o nipoti che è stato rappresentato dalle donne della famiglia in maniera estremamente silenziosa, un passaggio di testimone, in parte implicito in parte esplicito, delle sofferenze e dei ricordi degli uomini internati.

  • L’Azerbaigian raddoppierà la fornitura di gas all’Unione europea

    La Russia era un fornitore di gas  “inaffidabile” già prima dell’invasione dell’Ucraina. Ora usa l’energia come arma di guerra. Per questo l’Unione europea si è rivolta all’Azerbaigian per raddoppiare la fornitura entro il 2027, per arrivare entro quella data a ricevere 20 miliardi di metri cubi. Il memorandum d’intesa è stato firmato a metà del mese di luglio dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente azero, Ilham Aliyev, nella residenza presidenziale di Zagulba, a circa 25 chilometri a nord-ovest di Baku, sulla pittoresca costa del Mar Caspio.

    Prevede una tappa intermedia: passare entro l’anno dagli attuali 8,1 miliardi di metri cubi a 12 miliardi. E si riuscirà grazie al Tap, la Trans-Adriatic Pipeline, che rappresenta l’ultima  sezione del Corridoio meridionale del gas, e arriva in Puglia. “L’Italia sarà tra i primi beneficiari di questa operazione perché già ora importa dall’Azerbaigian 6 miliardi di metri cubi di gas (è il terzo fornitore)”, ha spiegato una fonte Ue. “Già a novembre faremo degli stress test sul Tap per verificare la sicurezza dell’approvvigionamento con l’aumento della fornitura”. Per il raddoppio serviranno dei lavori che faranno parte di un Progetto di interesse comune europeo.

    “Sono felice di contare sull’Azerbaigian, nostro partner energetico cruciale”, ha commentato von der Leyen dopo la firma del memorandum d’intesa. “Raddoppieremo la fornitura di gas dall’Azerbaigian all’Ue. Con questo memorandum d’intesa ci impegniamo per l’espansione del Corridoio meridionale del gas, che è già una via di approvvigionamento molto importante per l’Unione europea, erogando attualmente 8,1 miliardi di metri cubi di gas l’anno”, ha spiegato. “E amplieremo la sua capacità a 20 miliardi di metri cubi in pochi anni. Già dal prossimo dovremmo raggiungere i 12 miliardi di metri cubi”, ha aggiunto.

    Il Corridoio meridionale del gas e’ lungo 3.500 chilometri ed è entrato in funzione il 31 dicembre 2020 e “vediamo già i vantaggi di questa cooperazione”, ha confermato il presidente azero, Aliyev. Alimentato dal gigantesco giacimento Shah Deniz II, nella parte azera del Mar Caspio, il Corridoio è costituito dal Tap, la sua ultima sezione, che collega il Gas Natural Transanatolio Pipeline (Tanap) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia, l’Albania e il Mar Adriatico e termina appunto in Puglia. Inoltre, una sezione del Tap va anche in Bulgaria, che riceverà un miliardo di metri cubi di gas all’anno. La capacità del Tap è attualmente di 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma può essere portata a 20 miliardi aggiungendo due stazioni di compressione e modificando quelle esistenti. Un lavoro stimato in circa 4,5 miliardi di euro.

    La sfida resta quella di battere sul tempo la Russia: sostituire le sue forniture prima che chiuda definitivamente i rubinetti. Attualmente il gas russo copre il 40% del fabbisogno dell’Europa, ma Mosca ha già ridotto (o tagliato completamente) la fornitura a dodici Stati membri. Negli ultimi mesi, le consegne attraverso l’Ucraina sono diminuite di quasi il 30% e quelle effettuate attraverso il gasdotto Nord Stream, che trasporta il gas russo direttamente in Germania sotto il Mar Baltico, sono diminuite del 60%. Attualmente il Nord Stream 1 è fermo per manutenzione programmata almeno fino al 21 luglio ma nessuno ha la certezza che riprenderà. “Non sappiamo cosa accadrà quest’estate, dobbiamo essere vigili”, ha dichiarato l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell.

    Nella prima metà del 2022 l’importazione di gas liquefatto (Gnl) non russo e’ aumentata di 21 miliardi di metri cubi mentre la fornitura da gasdotti non dalla Russia è aumentata di 14 miliardi di metri cubi, in arrivo da Norvegia, Mar Caspio, Regno Unito e Nordafrica. La fornitura dai gasdotti russi è calata di 28 miliardi a 45 miliardi di metri cubi mentre l’importazione di Gnl dagli Stati Uniti e’ stata di 30 miliardi (in tutto il 2021 fu di 22 miliardi).

    Ma a Baku non si è parlato solo di fossili. Il memorandum include anche la promozione delle energie rinnovabili, poiché l’Azerbaigian ha “un enorme potenziale” in questo campo, specialmente nell’energia eolica offshore e nell’idrogeno verde, ha evidenziato von der Leyen. E sono stati stabiliti gli impegni per ridurre le emissioni di metano. L’obiettivo ultimo è sempre la neutralità climatica entro il 2050.

  • Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto

    La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

    Epitteto

    Il 5 giugno scorso tre Paesi balcanici hanno chiuso i rispettivi spazi aerei ad un aereo russo, a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo e una delegazione da lui guidata. Il volo era diretto a Belgrado, capitale della Serbia, dove il ministro russo, l’indomani, doveva incontrare il presidente, il ministro degli Interni ed altri alti funzionari serbi. Una programmata visita ufficiale durante la quale si doveva concludere l’accordo tra i due Paesi per il rinnovo, per altri tre anni, del contratto sulla fornitura alla Serbia del gas russo a condizioni molto vantaggiose. Tutto dopo che precedentemente i termini dell’accordo sono stati resi pubblicamente noti, dopo un colloquio telefonico, avvenuto il 29 maggio scorso, tra il presidente russo e quello serbo. I Paesi che hanno impedito il volo dell’aereo sul quale viaggiava il ministro russo con la sua delegazione erano la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro. Tutti e tre sono Paesi che, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia, dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Parte di quelle restrizioni riguardano anche il presidente russo ed il ministro degli Esteri. Loro due, insieme con tanti altri, dal 25 febbraio, un giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, che il presidente russo considera cinicamente come “un’operazione militare speciale”, sono stati inseriti nella lista delle persone colpite dalle sanzioni. Una di quelle sanzioni è anche “il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati”. Da sottolineare che la Serbia è uno dei Paesi dei Balcani occidentali che ha avviato la procedura di adesione all’Unione europea dal 2008, con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Mentre il 1o marzo 2012 il Consiglio europeo ha riconosciuto alla Serbia lo stato del Paese candidato all’adesione nell’Unione. La Serbia è anche uno dei 141 Paesi che, il 2 marzo scorso, hanno votato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la quale si condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Ebbene, nonostante ciò, la Serbia non ha aderito però alle sanzioni restrittive contro la Russia. Una scelta quella della Serbia che è stata criticata e contestata dai massimi rappresentanti dell’Unione europea e di alcuni singoli Stati membri, soprattutto la Germania. Il ministro tedesco degli Esteri dichiarava a metà aprile scorso che “…Se la Serbia vuole aderire all’Unione europea, deve sostenere la politica estera degli altri membri dell’Unione […] e quindi imporre alla Russia le sanzioni necessarie”. Il 16 maggio scorso, si è svolta una riunione dei 27 ministri degli Esteri dell’Unione europea. In una loro comune dichiarazione ufficiale pubblicata dopo la riunione, riferendosi alle sanzioni restrittive contro la Russia, i ministri dell’Unione hanno ribadito che “…Chi non l’ha fatto, come la Serbia, dovrà adeguarsi il prima possibile alle sanzioni”. Un simile e determinato appello è stato fatto, il 10 giugno scorso, anche dal cancelliere tedesco, in visita ufficiale a Belgrado. Lo ha confermato, durante la conferenza stampa dopo l’incontro, lo stesso presidente serbo. Secondo lui “In maniera decisa e tagliente, il cancelliere [tedesco] ha chiesto alla Serbia di aderire alle sanzioni contro la Federazione Russa, cioè di sostenere le misure restrittive che l’Unione europea ha già adottato nei loro confronti”.

    Il 6 giugno scorso, dopo l’impedimento di arrivare a Belgrado, il ministro degli Esteri russo durante una conferenza online con i media da Mosca ha considerato come inimmaginabile la chiusura degli spazi aerei, il 5 giugno scorso, da parte dei tre sopracitati Paesi balcanici che hanno impedito a lui e alla sua delegazione di arrivare a Belgrado. “È accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Ma ha espresso anche la sua ferma convinzione che “La cosa più importante è che nessuno potrà distruggere il nostri legami con la Serbia”. Durante quella conferenza il ministro russo degli Esteri ha attaccato l’Unione europea e, più in generale, quello che ha chiamato “l’Occidente”.  Lui ha dichiarato convinto che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Dopo l’impedimento al ministro russo di arrivare a Belgrado hanno subito reagito anche il presidente serbo ed il ministro degli Interni. Il presidente serbo, tramite un comunicato stampa ufficiale, pubblicato soltanto in lingua serba, ha espresso la “sua insoddisfazione” per l’impedimento della programmata visita del ministro russo e della sua delegazione. Ma ha ribadito la sua determinazione a mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico” da parte della Serbia, nonostante i negoziati d’adesione del suo Paese nell’Unione europea. Mentre il ministro serbo degli Interni, sempre riferendosi alla mancata visita della delegazione russa a Belgrado, ha detto che “Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace, è un mondo in cui non c’è la pace”. E poi ha aggiunto di essere rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Il ministro degli Interni serbo ha ribadito perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”. Più chiaro di così non lo poteva dire un ministro serbo!

    Due settimane fa l’autore di queste righe, informava il nostro lettore su un’iniziativa regionale occulta; quella che ormai è nota come Open Balcan (facendo riferimento alla denominazione ufficiale e all’ortografia usata dai promotori; per essere corretti però, visto che si usa la lingua inglese, si dovrebbe, invece, scrivere Open Balcans – Balcani aperti; n.d.a.). Egli ha trattato questo tema, a tempo debito, anche in precedenza. In quell’articolo l’autore di queste righe evidenziava, tra l’altro, che “…L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire ‘L’area economica comune dei Balcani occidentali’. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan”. In seguito egli specificava che “…A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità!”. A proposito, l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il giovane figlio del multimiliardario speculatore di borsa statunitense “è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan”. E di fronte a quel “giovane rampollo ereditario” i firmatari dell’iniziativa, i tre “amici” di suo padre, stanno ‘sull’attenti’. Chissà perché?! L’autore di queste righe due settimane fa informava altresì il nostro lettore, riferendosi all’iniziativa occulta Open Balcan, che si trattava di “un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi.” (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022).

    Ebbene, il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, il ministro russo degli Esteri non ha parlato, con toni offensivi, soltanto dell’Unione europea e, più in generale, di quello che ha chiamato “l’Occidente”. Il ministro russo degli Esteri ha ribadito che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Lui, guarda caso, ha parlato anche dell’iniziativa Open Balcan e della paternità di quell’iniziativa. E così facendo lui ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto. Bisogna sottolineare che, dal 2014 ad oggi, i massimi rappresentanti dell’Unione europea e di singoli Stati membri hanno sempre appoggiato istituzionalmente quello che è noto come il Processo di Berlino. Mentre i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan e cioè il presidente serbo, il primo ministro albanese e il primo ministro macedone, hanno continuamente e consapevolmente mentito, dichiarando e “giurando” che Open Balcan ha tutto l’appoggio dell’Unione europea! Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022 ecc…)

    Riferendosi però all’iniziativa Open Balcan e alludendo anche alla visita impedita, il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso che “Quegli che stanno tirando i fili a Bruxelles non hanno voluto questo, non hanno voluto che noi esprimessimo il nostro appoggio a Belgrado”. E subito dopo ha smascherato anche la vera paternità dell’iniziativa Open Balcan.  Il ministro degli Esteri russo ha confermato pubblicamente quello che si sapeva già. Sempre riferendosi all’Unione europea lui ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Sì, ha confermato proprio l’appoggio russo “all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan”. Dichiarando così che l’iniziativa occulta è stata promossa dalla Serbia, avendo anche l’appoggio della Russia. Così facendo, il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso ha smascherato, una vota per sempre, tutte le ingannevoli dichiarazioni pronunciate dal 2019 ad oggi, dai “tre amici” del multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Che poi è il vero ideatore del progetto per i Balcani Aperti. Proprio lui, il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta che sono attive, dagli inizi degli anni ’90, anche nei Paesi balcanici. Serbia, Albania e Macedonia del Nord compresi. E non a caso è stato usato anche lo stesso aggettivo, ‘aperto’, come testimonianza e firma dell’autore! Il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, che “…Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcan in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.)!

    La scorsa settimana, il 7 e l’8 giugno, a Ohrid (Macedonia del Nord) si è svolto il vertice di turno dell’iniziativa Open Balcan. E nonostante quanto ha dichiarato il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso, i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan hanno continuato le loro messinscene, le loro bugie e i loro inganni pubblici. Con un “piccolo cambiamento di programma” però. Hanno cercato di far “combaciare” Open Balcan con il Processo di Berlino. Anzi, per il primo ministro albanese Open Balcan è “un’unità del Processo di Berlino”! I bugiardi, gli ingannatori, gli ipocriti senza scrupoli non smettono mai di essere “innovativi”. Nel frattempo però e proprio il 10 giugno scorso, dal Kosovo, il cancelliere tedesco, ha dichiarato senza equivoci che “In quanto al Open Balcan, voglio chiaramente dire che noi diamo grande priorità al Mercato Comune Regionale (parte integrante del Processo di Berlino; n.d.a.), che crediamo debba progredire”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare, con la dovuta oggettività, questo argomento per il nostro lettore. Ma egli è convinto che non mancheranno altre occasioni. Per il momento però condivide il pensiero di Epitteto che la verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

  • Dmitry Glukhovsky “Stiamo imparando a non simpatizzare con la vittima, ma con l’aggressore!

    La mia generazione non ha conosciuto le repressioni e le purghe di massa, non ha assistito ai processi farsa in cui la folla rabbiosa pretendeva la fucilazione dei traditori della patria, non ha respirato l’atmosfera di orrore universale, non ha imparato a cambiare, dalla sera alla mattina, le sue convinzioni, a credere a comando tanto alla perfidia degli alleati di ieri come alle buone intenzioni dei nemici storici, al solo scopo di giustificare una guerra fratricida”. Inizia così l’ultimo articolo, pubblicato sul Corriere della Sera, di Dmitry Glukhovsky, scrittore russo popolarissimo tra i giovani e sul quale pende un mandato di cattura perché accusato di aver gettato discredito sull’Armata russa: reato punibile con una pena variabile tra i dieci e i quindici anni di reclusione,

    “!L’Unione sovietica che abbiamo conosciuto noi si era già trasformata in un pachiderma tranquillo: ormai non condannava più a morte chi si rifiutava di credere alle sue menzogne di fondo, anzi, consentiva ai cittadini di aprire dibattiti privati, tra di loro, seduti tranquilli in cucina. Eppure, tutti coloro che avevano conosciuto il passato non si compiacevano affatto nel ricordarlo, e adesso abbiamo capito il motivo. Perché la sopravvivenza, in tali circostanze, esigeva innanzitutto un compromesso con se stessi, con la propria coscienza. Ci voleva coraggio non solo per protestare, ma anche per astenersi, e ci vuole coraggio per ricordare”, continua Glukhovsky. “E oggi proprio a noi, a quelli della mia generazione, accadono cose in diretta alla televisione cui non avremmo mai immaginato di assistere. Stiamo imparando a coltivare nel nostro animo l’indifferenza verso l’ingiustizia di quando sta accadendo palesemente sotto i nostri stessi occhi: la cosa non ci riguarda, e forse non ne subiremo le conseguenze, basta mantenere le distanze e non scherzare col fuoco. Stiamo imparando a non simpatizzare con la vittima, ma con l’aggressore. Stiamo imparando a chiudere gli occhi davanti alla spirale di follia che si è impadronita dei nostri governanti e a condividere le loro posizioni. Non è forse meglio mangiare merda piuttosto che andare a letto pensando che la tua vita è nelle mani di un pazzo scatenato? E dopo tutto, se non credi a loro, a chi devi credere?”. Non si risparmia  Glukhovsky  che attacca duramente la passività dei suoi contemporanei. E continua: “Per non vivere nella paura, per non sentirci vigliacchi o schiavi, dobbiamo imparare a credere fermamente in quello che fino a poco tempo fa a tutti noi appariva come una falsità. Fingere di non accorgerci, e forse realmente non ce ne rendiamo più conto, come il nostro paese si è incamminato verso la dittatura fascista. Non abbiamo voluto indagare il passato perché sicuri di averlo lasciato alle spalle. Eppure cresce di giorno in giorno il numero di fantasmi che si nutrono di rancori, si sottraggono alla legge e avanzano pretese su di noi. Eppure cresce di giorno in giorno il numero di fantasmi che si nutrono di rancori, si sottraggono alla legge e avanzano pretese su di noi. Oppure imparare a fare il contrario: a preservare la nostra memoria e pensare al futuro, rinunciando alle ruggini e rifiutandoci di vivere prigionieri del passato. Finora non abbiamo appreso niente dall’esperienza di coloro che sono vissuti e morti prima di noi, per poter fare le cose in modo diverso. È proprio per questo che ci resta ancora tanto da imparare”, conclude realisticamente Glukhovsky.

  • Pensiero della sera

    Una volta, quando nei film perdevano i cattivi e vincevano i buoni, l’Italia aveva prodotto Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più.
    Oggi, in una realtà nella quale sembra che in troppi tengano per il cattivo, almeno per non essere coinvolti in iniziative di solidarietà che potrebbero comportare qualche sacrificio, i film potrebbero avere come titolo “Per un pugno di voti” e “Per qualche  voto in più”. I voti che i pacifici Conte e Salvini, ma non solo, pensano di poter ottenere con le loro dichiarazioni specie delle ultime settimane.
    No vax, no pass fino a no armi all’Ucraina come se la pace, tanto spesso invocata, potesse essere imposta a Putin, che ha iniziato la guerra e continua a dire no anche ad un provvisorio cessate il fuoco, o come se fosse normale che gli ucraini si dovessero immolare lasciandosi colonizzare dai russi e dai ceceni.
    Torna in mente un vecchio detto dei tempi nei quali gli stranieri andavano e venivano conquistando parti della nostra penisola: viva la Franza, viva la Spagna basta che si mangi.
    Così nell’epoca del pensiero debole, liquido, o meglio del non pensiero, meglio Putin che ci dà il gas o meglio gli ucraini che dovremmo aiutare per salvare quel po’di libertà e democrazia che resta nella nostra società sempre più egoista, distratta, ignorante?

    Non possiamo dire, come nella poesia dedicata alla morte di Napoleone “ai posteri l’ardua sentenza”, noi dobbiamo decidere ora se vogliamo salvare vite umane. Diamo armi all’Ucraina, giochiamo tutte le carte per portare il grano ucraino alle popolazioni che lo stanno aspettando, abbiamo il coraggio di impegnarci e rischiare perché adesso è adesso.

  • Chi giustifica Putin o Medvedev diventa correo

    Le dichiarazioni dell’ex presidente russo Medvedev rendono ancora più chiaro l’obiettivo di Mosca in Ucraina.

    Medvedev vuole fare sparire gli occidentali e perciò il regime russo è partito proprio dagli ucraini, che da tempo si sentono occidentali, per cominciare a rendere operativo il  progetto di distruzione ed annientamento.

    Chi pensa che si fermeranno all’Ucraina sbaglia pericolosamente, andranno avanti per riprendersi tutto quello che riusciranno dei territori dell’ex Unione sovietica o dell’impero zarista, sceglieranno secondo le debolezze occidentali.

    Chi pensa che in Ucraina si fermeranno trovando un accordo si illude, ammesso sia in buona fede, si fermeranno solo dopo aver in parte ucciso, in parte asservito, in parte espulso dal territorio gli ucraini e distruggeranno tutto quello che ha rappresentato la loro  nazione, dalla storia all’economia, impossessandosi di ogni bene.

    Chi pensa alla pace, obiettivo che comunque tutti abbiamo il dovere di perseguire, sappia che la pace ci sarà solo se i russi deporranno le armi e smetteranno di radere al suolo le città deportando in Russia gli abitanti, seviziando, violentando e, rubando, dalle suppellettili all’acciaio, per finire con il grano che mezzo mondo sta aspettando.

    La pace vera ci sarà solo se se Putin ed i suoi accoliti fermeranno la guerra perchè se fossero gli ucraini a deporre le armi assisteremmo allo sterminio di un popolo e alla conquista e cancellazione di una nazione libera e democratica.

    Tutti hanno il diritto, in democrazia, di esprimere le proprie opinioni che però non possono essere la negazione della realtà attuale, chi mistifica la realtà si assume gravi responsabilità.

    Come chi tace sulla mafia, o ne nega la pericolosità, diventa correo, così  deve essere considerato  chi giustifica Putin o Medvedev, o in qualche modo spiana loro la strada.

  • La Commissione europea inaugura una piattaforma per la collaborazione delle imprese europee e ucraine

    Dopo l’invasione ingiustificata dell’Ucraina da parte della Russia e il blocco dei suoi porti marittimi, l’Ucraina non è più stata in grado di esportare prodotti nel resto del mondo attraverso i porti del Mar Nero. È urgente stabilire rotte alternative per scongiurare le minacce alla sicurezza alimentare globale.

    L’Unione europea sta adottando misure concrete per agevolare le esportazioni agricole dell’Ucraina e sostenerne il settore agricolo nel 2022. A tale riguardo, la Commissione europea lavora a stretto contatto con gli Stati membri, le autorità ucraine e gli operatori incaricati di accelerare i lavori sui “corridoi di solidarietà” al fine di agevolare le esportazioni alimentari dell’Ucraina attraverso diverse rotte terrestri e porti dell’UE. Nell’ottica di trovare soluzioni pragmatiche, la Commissione ha messo a disposizione, attraverso la rete Enterprise Europe, uno strumento di collaborazione per le imprese europee e ucraine.

    Adina Vălean, Commissaria per i Trasporti, ha dichiarato: “Milioni di tonnellate di cereali sono bloccate in Ucraina: dobbiamo unire le forze a livello intersettoriale e transfrontaliero per trasferirle. Vi sono imprese che cercano un modo per sostenere le esportazioni ucraine, altre imprese che offrono soluzioni di trasporto o stoccaggio e commercianti ucraini di cereali che sono alla ricerca di partner logistici. La nostra piattaforma li aiuterà a collaborare, contribuendo così alla nascita di nuovi partenariati. Sono impaziente di vedere i risultati: ogni tonnellata di cereali conta!”

    La piattaforma sostiene l’attuazione del piano d’azione sui corridoi di solidarietà UE-Ucraina volto a garantire che l’Ucraina possa esportare cereali e importare le merci di cui ha bisogno. Molte misure sono già state adottate: i punti di contatto nazionali specializzati fungono ora da sportelli unici per le richieste riguardanti il proprio paese, la risoluzione di problemi logistici e la determinazione della capacità di stoccaggio. Gli Stati membri stanno lavorando per snellire le procedure ai valichi di frontiera e la Commissione sta preparando la conclusione degli accordi sul trasporto su strada con l’Ucraina e la Moldova al fine di eliminare ulteriori ostacoli.

    Oltre all’estensione dei corridoi della rete transeuropea dei trasporti in Ucraina, una maggiore connettività tra l’UE e l’Ucraina preparerà il terreno per la ricostruzione e contribuirà ad avvicinare l’Ucraina all’Unione europea.

    Fonte: Commissione europea

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