guerra

  • Quale Europa

    Nel nostro Paese si assiste sempre più spesso,  all’interno di ogni confronto di natura politica o economico-sociale, ed ora anche bellico, ad un fatidico richiamo all’Unione Europea, e quindi ad una cessione di sovranità nazionale, per fornire una  soluzione organica alle problematiche oggetto del contendere.

    L’istituzione europea di fatto viene indicata quasi come unica soluzione di ogni questione nella quale la nostra classe politica e dirigente non sembra in grado di trovare una sintesi.

    L’ultimo terribile conflitto in Ucraina ha decisamente sorpreso per la determinazione con la quale Putin lo abbia prima ampiamente annunciato e successivamente realizzato mentre contemporaneamente, con la medesima sicurezza, il  Presidente Biden lo abbia confermato ai media mondiali fino a fornirne la data di inizio.

    Da oltre un anno il direttore della Cia, William J. Burns, ex ambasciatore a Mosca e perfettamente a conoscenza delle intenzioni della Russia da tempo grazie al lavoro di intelligence, si recava a Mosca organizzando degli incontri con le massime autorità militari e politiche del Paese  con l’obiettivo di riportare nell’ambito del confronto politico il delirio di Putin e così scongiurare una qualsiasi avventura bellica contro l’Ucraina.

    Contemporaneamente, da buon alleato occidentale, lo stesso direttore della Cia, in ben due occasioni, aveva fatto tappa in Europa ed avvertito le massime autorità istituzionali europee dei progetti bellici per ottenere un aumento dell’area di ingerenza della Russia e del loro sicuro inizio nei primi mesi dell’anno 2022.

    In entrambe le occasioni le massime autorità politiche ed  istituzionali  europee non credettero alla tesi statunitense.

    Tuttavia, in considerazione di quanto un alleato come gli Stati Uniti avesse condiviso con “l’intelligence” europea ed anche semplicemente annotando il comportamento, per altro di dominio pubblico, della Cina che durante l’intero 2021 aveva acquistato oltre cinque volte il proprio fabbisogno alimentare annuale, innescando cosi anche un prima spirale inflattiva, avrebbe dovuto quantomeno insospettire le massime autorità europee.

    Viceversa, l’attività dell’Unione Europea ha continuato come se nulla fosse, varando il nuovo vangelo ambientalista (stop auto termiche dal 2035), mentre il parlamento discettava di uguaglianza di genere, del roaming, di una ipotetica introduzione della tessera di sicurezza sociale europea mentre a poche centinaia di chilometri un pazzo furioso si stava armando per inaugurare una guerra della quale non si vede l’obiettivo finale nella retorica russa ma che sempre più assume i connotati di una guerra continentale a anche causa delle conseguenze economiche anche mondiale.

    In perfetta sintonia con l’istituzione europea in Italia il governo in carica, si spera perlomeno a conoscenza della “informativa” fornita dalla Cia, ha varato una delle peggiori riforme fiscali della storia del nostro Paese costata 8,5 miliardi di euro il cui risibile beneficio (927 euro) va interamente ai contribuenti con redditi tra i 40/50.000 euro mentre ai restanti rimangono i residuali 262 euro (poco più di 21 euro al mese) e contemporaneamente si è dimostrato esaltato da una crescita del Pil trainata dalla spesa pubblica a debito (bonus fiscale edilizia).

    L’unione Europea ha così  fornito una ulteriore prova  di rappresentare una semplice struttura burocratica composta da mediocri figure di secondo piano incapaci persino di mettere in relazione il punto A (la comunicazione avuta dalla Cia e relativa all’imminenza di un terribile evento bellico) e il punto B  l’acquisto di cinque volte il proprio fabbisogno annuale di grano e cereali della Cina). Gli stessi governi membri dell’Unione Europea hanno atteso trent’anni dal trattato di Maaastricht, oltre ai  due anni di pandemia e adesso all’interno di una situazione di guerra continentale, per avviare un gruppo di acquisto internazionale, quindi con maggiore potere negoziale, che assicuri le migliori condizioni nel complesso mercato energetico come risultante dell’accordo tra Italia, Spagna,  Portogallo e Grecia di questi giorni.

    In considerazione, quindi, di quanto emerso rappresenterebbe un suicidio assistito il fornire adesso nuovi mezzi finalizzati alla costruzione di una più complessa struttura istituzionale europea  grazie ad una ulteriore cessione di sovranità nazionale da parte delle autorità nazionali, quelle stesse istituzioni le quali  hanno atteso trent’anni per avviare un organismo comunitario operativo nel mondo dell’energia.

  • Nella storia dell’Ucraina la capacità di resistere

    C’è una lunga storia, che Putin mistifica, che ha reso gli ucraini capaci di difendere, oltre ogni limite, la loro terra e la loro libertà.

    Già cinquantamila anni fai i Neanderthal si stanziarono a nord del Mar Nero. Erodoto ci dà notizie di quelle aree e dei suoi abitanti nel V secolo a.C. quando la zona costiera del Mar Nero, nota come Ponto Usino, era abitata da una popolazione di cimmeri e sarmati. Nei secoli vi furono molti popoli che passarono per il territorio che ora è lo Stato libero ucraino, bulgari, unni e poi le prime popolazioni slave che costruirono le prime città fortificate come Kiev. Fondamentale fu il contributo dei vichinghi che provenivano dalla Scandinavia e crearono diversi principati che gravitavano intorno a Kiev in un vastissimo territorio che dal Mar Nero arrivava alla penisola scandinava chiamati rus di Kiev. Alla fine dei due regni di Volodymyr, San Vladimiro  e di Yaroslav il saggio, dopo il 1000, vi furono invasioni mongole e poi il granducato di Lituania e la confederazione polacco lituana. Sia i russi che gli ucraini fanno risalire la loro storia a Yaroslav ma in quell’epoca Mosca non esisteva, non esisteva l’impero zarista ma esisteva Kiev. Gli  ucraini ritraggono Yaroslav con i baffi da cosacco.* Nel seicento i cosacchi si ribellano al dominio polacco e danno vita all’armata cosacca che rimase indipendente per più di un secolo. Poi, verso la fine del 1700, i territori furono spartiti tra l’impero zarista e quello asburgico. La parte orientale dello Stato cosacco rimase indipendente più a lungo fino a che Caterina di Russia tolse loro ogni autonomia. Nell‘800 gli zar attuarono una forte repressione perché temevano che la cultura e la lingua ucraina minassero l’unità dell’impero, gli ucraini cercarono sempre di ribellarsi contro il divieto di usare la loro lingua e di mantenere la loro cultura. Dopo la rivoluzione sovietica l’Ucraina divenne una repubblica socialista con una reale indipendenza, Lenin infatti riteneva che tutte le repubbliche della federazione dovessero essere pari. Stalin invece propugnò ovunque l’uso della lingua russa sostituendo la lingua e la cultura russe a quella delle altre repubbliche. La folle politica agricola che Stalin impose all’Ucraina, nel 1932-33, portò alla morte, per carestia, di quattro milioni di ucraini, questo spiega perché quando i tedeschi, nel 1941, invasero l’Ucraina non furono visti subito come oppressori. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’Ucraina restò sotto l’egemonia sovietica.

    Caduto il muro di Berlino nel 1989, e dissolto l’impero sovietico, nel 1991 l’Ucraina proclamò la propria indipendenza iniziando il suo percorso verso la democrazia. Nel 2004 vi fu la cosiddetta rivoluzione arancione: il popolo scese in piazza per difendere il candidato filoeuropeo Victor Yushenko. Nel 2013 vi furono altre violente manifestazioni contro il governo filo russo che aveva rifiutato un importante accordo commerciale con l’Unione Europea. Il governo filo russo nel 2014 usò la forza contro i manifestanti con molti morti e feriti. Dopo queste violenze Il presidente Yanukovich fu costretto a scappare in Russia e anni dopo fu condannato per alto tradimento da un tribunale ucraino. Capo del governo fu nominato il filoeuropeo Yatsenyuk. Putin  disse che in Ucraina vi era stato un colpo di Stato e dopo poco invase la Crimea mentre le regioni di Dotetsk e Luhansk uscirono dal controllo ucraino. Prima dell’invasione della Crimea nel Donbass non esisteva alcuna organizzazione che chiedesse l’annessione alla Russia. Da allora all’odierna, sanguinosa invasione russa, nonostante gli accordi del 2015, nel Donbass era rimasta una situazione permanente di conflitto con migliaia di morti anche tra i civili.

    Da questa breve sintesi si comprende bene come prima l’impero russo, poi l’Unione Sovietica ed infine Putin abbiano sempre contrastato l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina. Oggi siamo di fronte all’invasione di uno Stato sovrano e del massacro di civili, donne e bambini compresi, con azioni che sono autentici crimini di guerra.

    *Cosacco: parola di origine turca, significa uomo libero; in Russia Kazak, i cosacchi erano uomini e donne che non erano legati alla servitù della gleba, servitù che è durata fino al 1861, quando l’impero  russo iniziò a conquistare le terre della Malorossija, praticamente le odierne Ucraina e Bielorussia, il cosacco Emeljan Pugachev (1773) condusse i suoi uomini e i contadini nella Russia centrale ma fu schiacciato dall’esercito imperiale e i cosacchi furono  costretti a servire l impero russo.

  • Giustizia e guerra al centro di due eventi organizzati dalla Fondazione Einaudi

    La Fondazione Luigi Einaudi e il Siracusa International Institute hanno presentato l’evento “Presunzione d’innocenza e diritto all’informazione: un conflitto insanabile?” che si è tenuto il 22 marzo 2022 alle ore 17.00 presso la sede della Fondazione in Via della Conciliazione, 10 – Roma.

    Il dibattito, coordinato da Ezechia Paolo Reale, Segretario Generale del Siracusa International Institute, ha visto come relatori Raffaele Lo Russo, Segretario Generale Federazione Nazionale Stampa Italiana, Giovanni Salvi, Procuratore Generale Corte di Cassazione, Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario Giustizia.

    Il secondo appuntamento, sempre presso la sede della Fondazione Einaudi, è previsto il prossimo 28 marzo 2022.

    La Fondazione Luigi Einaudi, con la collaborazione dell’International Republican Institute, ha organizzato il seminario “L’aggressione militare russa in Ucraina: quale futuro per la nostra libertà”. L’evento, coordinato dall’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata, è articolato in due sessioni: la prima intitolata “La guerra in Ucraina e la spinta ad un rinnovamento europeo” e la seconda “Contrastare l’influenza russa in Italia e in Europa”.

    Tra i relatori anche l’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario d’Ucraina S.E. Yaroslav Melnyk, che parteciperà come active speaker.

    Si potrà partecipare all’evento solo tramite invito.

    Per tutti coloro che fossero interessati, le due sessioni saranno trasmesse in streaming sui social network della Fondazione Luigi Einaudi e sul sito di Radio Radicale.

  • Rifugiati con pets, le Regioni organizzano l’accoglienza

    Per la regolarizzazione dei pets le Regioni seguono le indicazioni generali del Ministero della Salute e si organizzano di conseguenza. La Regione Toscana ha diffuso una nota ai Servizi Veterinari regionali. Analoga operatività è stata adottata in Lombardia, dove le  ATS ( collaborano con la Federazione degli Ordini dei Veterinari.
    Dopo le priorità dell’accoglienza, la seconda linea di intervento in favore dei cittadini dall’Ucraina è l’assistenza sanitaria. Le Regioni sono già mobilitate con il Ministero della Salute, per sburocratizzare le procedure e facilitare le vaccinazioni anti Covid.  Il Presidente delle Regioni Massimiliano Fedriga ha chiesto di “dar vita ad un sistema organizzativo alle nostre frontiere anche con il coinvolgimento del Ministero della Difesa e l’ausilio delle forze armate”.
    Intanto le Regioni si sono dotate di procedure per l’assistenza sanitaria agli ucraini che raggiungono l’Italia. Le procedure prevedono anche la regolarizzazione dei pet eventualmente al seguito, dopo che il Ministero della Salute ha derogato alle norme di ingresso per gli animali da compagnia provenienti da un Paese Terzo quale è l’Ucraina.
    Per la regolarizzazione dei pets non ci sono procedure operative univoche, le Regioni seguono le indicazioni generali del Ministero della Salute che ha previsto misure di emergenza.
    La Regione Toscana ha diffuso una nota ai Servizi Veterinari regionali. Analoga operatività è stata adottata in Lombardia, dove le  ATS (qui le indicazioni della ATS Brianza) collaborano con la Federazione degli Ordini dei Veterinari.
    L’Unità Operativa Veterinaria della DG Welfare di Regione Lombardia si è rivolta agli Ordini per raccogliere la raccolta di disponibilità ad erogare prestazioni veterinarie pro bono in favore di animali da compagnia introdotti sul territorio regionale da profughi ucraini. In collaborazione con le Prefetture, saranno attivati di Dipartimenti di Prevenzione Veterinari delle ATS per l’erogazione di prestazioni relative alla “regolarizzazione” degli animali introdotti nel territorio nazionale (vaccinazioni, sorveglianza sanitaria, etc.). “Rimarrebbe il problema relativo alla eventuale necessità di prestazioni professionali più complesse, non erogabili dai colleghi ATS”

    “Non sapendo ancora come e dove saranno distribuiti questi profughi – si legge sul sito dell’Ordine dei Medici Veterinari di Milano –   si è individuata come soluzione più facilmente praticabile quella che ciascun Ordine provinciale raccolga in tempi più rapidi possibili le manifestazioni di disponibilità di colleghi e/o strutture operanti nel territorio di competenza e le trasferisca al Dipartimento di Prevenzione Veterinario della ATS di pertinenza che dovrebbe operare in raccordo con la locale Prefettura.
    Questo anche per evitare- precisa la nota –  la diffusione a terze parti di elenchi di nominativi che potrebbero essere utilizzati in maniera impropria.

    Fonte: AnmviOggi

  • In Italia solo ingressi controllati, vaccinazione tempestiva e rigorosa osservazione sanitaria

    Ogni guerra genera altri crimini e rischia di far venire meno le garanzie sanitarie. “Con la guerra in Ucraina c’è il rischio che i trafficanti di animali si inseriscano nelle movimentazioni lecite di cani e gatti che fuggono dalla guerra con i loro proprietari” – dichiara il Presidente dell’ANMVI Marco Melosi, che segnala il rischio di diffusione di virus che nel nostro Paese non sono più presenti da decenni.

    “C’è il fondato timore – dichiarano congiuntamente il presidente dell’ANMVI Melosi e la presidente nazionale di ENPA, Carla Rocchi – che presunti cani e gatti “da salvare” dalla guerra siano in realtà oggetto di truffe o di movimentazioni irregolari da parte di volontari improvvisati o sedicenti tali. La nostra raccomandazione è di evitare, oggi più che mai, l’acquisto di cani e gatti dall’estero. Inoltre a chi vuole essere d’aiuto agli animali dell’Ucraina diciamo di affidarsi solo alle associazioni animaliste riconosciute”.

    All’odioso crimine del traffico di animali si aggiunge il gravissimo rischio di importare il virus della rabbia in Italia. “E’ un virus mortale – avverte Melosi – per gli animali e per le persone. L’Italia è indenne, mentre l’Ucraina non lo è”. Infatti, se è vero che la Commissione Europea ha giustamente consentito l’ingresso d’emergenza negli Stati Membri senza la vaccinazione antirabbica, è anche vero che i cani e gatti provenienti dall’Ucraina devono essere regolarizzati nel Paese dove si sono rifugiati, Italia compresa.

    “I cani e i gatti al seguito dei loro proprietari sono tutti generalmente ben accuditi – affermano Melosi e Rocchi – e all’ingresso in Italia vengono controllati e nel caso vaccinati. Ma il test e la vaccinazione antirabbica devono essere somministrati tempestivamente e capillarmente ad un numero di pets che si stima in decine di migliaia. I Servizi Veterinari regionali possono contare sui Medici Veterinari Liberi Professionisti. “In Toscana, spiega Melosi, lo stanno già facendo con test e vaccini gratuiti. E’ questo il modello organizzativo da seguire in tutte le regioni”- conclude Melosi.

    “Inoltre – afferma Rocchi – la rete italiana di rifugi ENPA è a disposizione, in coordinamento con la sanità veterinaria pubblica e con i veterinari ANMVI, per l’accoglienza di cani e gatti e per la necessaria osservazione sanitaria”.

    Fonte: Comunicato ANMVI

  • Oltre 2,5 milioni di profughi dall’Ucraina, più di 35mila raggiungono il Belpaese

    Non si ferma l’esodo di donne, bambini e uomini dall’Ucraina: oltre 2,5 milioni di rifugiati hanno varcato le frontiere per sfuggire ai missili e alla violenza del conflitto. “Stimiamo che almeno due milioni, ma sono certo molti di più, hanno lasciato le proprie case all’interno dell’Ucraina. E’ una delle crisi umanitarie più gravi che l’Europa abbia conosciuto dalla Seconda Guerra Mondiale. In circostanze così tragiche, così drammatiche, è importantissima la solidarietà”, ha detto Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. “Le persone in fuga – ha aggiunto – stimiamo siano oltre 12 milioni: hanno bisogno di tutto: di generi di prima necessità, di coperte per ripararsi dal freddo, di cibo, di medicine; lo stesso dicasi i rifugiati che si trovano nei paesi vicini. Ci sarà poi bisogno di molta accoglienza soprattutto se la crisi durerà parecchio tempo, come temiamo”.

    Numeri confermati anche dal rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, che con l’Alto Commissario Grandi ha tenuto un faccia a faccia ad Antalya, in Turchia, sottolineando la necessità urgente di corridoi umanitari. «Le persone in Ucraina non hanno accesso al cibo, all’acqua, al riscaldamento, con temperatura gelide, a causa della pioggia di bombardamenti russi”, ha evidenziato.

    In Italia sono 34.851 i profughi entrati dall’inizio del conflitto fino a oggi: 17.685 donne, 3.040 uomini e 14.126 minori. Regioni e governo hanno avviato discussioni per il trasferimento di risorse economiche destinate all’accoglienza “ne parleremo anche con il ministro Franco, però è chiaro che, come per l’emergenza Covid, si cercherà di andare incontro alle esigenze delle Regioni”, aveva anticipato il ministro degli Affari Regionali, Mariastella Gelmini. “C’è uno straordinario spontaneismo nel nostro Paese, come sempre quando c’è un’emergenza, noi stiamo cercando di dare ordine a questo spontaneismo”, ha concluso.

    Intanto gli enti locali si organizzano, da nord a sud della Penisola. In Veneto sono stati messi a disposizione tre hub accoglienza e già alcune decine di persone, soprattutto donne e bambini, vengono ospitati negli ex ospedali di Noale (Venezia), Valdobbiadene (Treviso) e Isola della Scala (Verona). Sono 26 gli hub sanitari distribuiti nel territorio per tamponi, vaccini ed eventuale assistenza sanitaria. Nelle Marche nei primi 10 giorni di marzo erano già arrivati 1200 profughi; 2038 erano giunti invece a Napoli; 44 in Salento, 41 a Bari dove, dopo 40 anni di chiusura, torna a splendere il teatro comunale di Acquaviva delle Fonti e in anteprima rispetto all’inaugurazione in programma per il 30 marzo, il teatro ha aperto per raccogliere fondi per le esigenze dei primi profughi ucraini arrivati. In Friuli Venezia Giulia invece i medici di medicina generale, compresi quelli in pensione, sono pronti a dare la propria totale disponibilità per offrire assistenza sanitaria ai profughi. Una piattaforma on line per raccogliere e mappare i servizi e le disponibilità per l’accoglienza dei cittadini ucraini, “Sicilia per l’Ucraina”, è stata realizzata dal governo Musumeci.

    Il presidente della Camera Roberto Fico condivide la richiesta di un censimento dei profughi ucraini in arrivo in Italia, sostenuta anche dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, e chiede che gli ucraini siano sottoposti a screening sanitari in appositi hub. “Ci troviamo a fronteggiare la più grande ondata di rifugiati nella storia europea dalla Seconda Guerra mondiale ed è per questo che dobbiamo aiutare i rifugiati e dobbiamo costruire un sistema per cercare di affrontare il problema. È esattamente quello che stiamo facendo qui, a Varsavia. So che tutta l’Unione europea è unita”, ha detto Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia.

  • La guerra porta alla stagflazione e chiama l’Europa all’efficienza istituzionale e decisionale

    Il conflitto Russia-Ucraina spinge sull’orlo della stagflazione, ossia mancanza di crescita economica (stagnazione), accompagnata dall’aumento di costi e prezzi (inflazione), ma l’Europa ha dimostrato reattività, così come le imprese italiane. E’ l’analisi degli economisti Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi di Firstonline, che oltre a considerare i pericoli del conflitto, guardano anche ai cambiamenti che interverranno nello scenario mondiale. “Le sanzioni alla Russia – ritengono Galimberti e Paolazzi – non saranno tolte facilmente, anche perché utili a ridimensionare le velleità di potenza mondiale di un’economia piccola e povera (Pil pro-capite pre-pandemia due terzi dell’italiano, in parità di potere d’acquisto, e un terzo di quello italiano a cambicorrenti – usando, caritatevolmente, il cambio del rublo pre-bellico)».

    L’altra questione-chiave è dove andranno petrolio e gas russi, visto che Stati Uniti e Regno Unito ne hanno bandito gli acquisti e l’Ue si vuole attrezzare per fare altrettanto. “Difficilmente verranno tenuti nel sottosuolo, perché la Russia ha bisogno degli introiti della loro vendita, giacché importa il 75% di quanto consumano le famiglie. La Cina si è posizionata politicamente per acquistarli. Questo vuol dire che ci saranno dirottamenti da un Paese all’altro, con aumento dei costi di logistica, ma non ci sarà un embargo, come nel 1973-74, quando il costo del barile quadruplicò e la domenica si andava a piedi. Perciò le quotazioni torneranno a rispecchiare le condizioni di domanda (in aumento) e offerta (frenata da Opec+), più che la paura dell’ignoto che la guerra ha causato”.

    La guerra, come la pandemia – fanno notare gli economisti – ha comunque accelerato le transizioni verso l’elettrico-digitale e verso le fonti energetiche rinnovabili. Quindi gli investimenti in quelle direzioni, pubblici e privati, aumenteranno. “Nel buio della ragione, tuttavia – osservano – ci sono alcuni squarci di luce, diversi da quelli dei missili e delle bombe. Il primo è la reattività delle decisioni di policy, anche in Europa. Se non altro crisi finanziaria, prima, e pandemica, poi, hanno allenato i riflessi dei decisori; cosicché l’allentamento monetario sarà ritirato più lentamente e misure di bilancio verranno varate per sostenere le produzioni. Il secondo squarcio è il calo dei contagi, che aiuterà ad allentare le misure sanitarie restrittive. Il terzo è la solidità della ripresa in avvio di 2022”.

    “Infatti, dopo le grandi difficoltà di gennaio, dovute alla recrudescenza del virus prima e durante le feste natalizie, in febbraio gli indici Pmi di output e ordini (promessa di produzione futura) sono tornati a salire. Soprattutto nel terziario». Infine, secondo i due esperti, le politiche di bilancio non potranno che “virare verso il supporto all’economia, in parte per gli stabilizzatori automatici (meno imposte e più sostegni al reddito) e in parte per misure discrezionali di contrasto all’aumento dei prezzi dell’energia”.

  • I rapporti ambigui con i dittatori minacciano la libertà

    Mi chiedi cos’è la libertà? Non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità.

    Seneca

    “Va, pensiero, sull’ali dorate […] del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate. Oh mia Patria sì bella e perduta! O membranza sì cara e fatal!”. Va pensiero è una delle arie operistiche più famose, nota in tutto il mondo e, per molti, rappresenta anche un inno alla libertà. Un’aria che viene cantata dal coro nella quarta scena del terzo atto dell’opera Nabucco di Giuseppe Verdi. Lo cantavano gli ebrei, fatti prigionieri e portati come schiavi in Babilonia da Nabucodonosor, il re degli assiri. Il librettista dell’opera, Temistocle Solera, ha preso ispirazione dalle scritture ebraiche, facendo riferimento ad un lungo assedio del Tempio di Gerusalemme, dove si erano ritirati i leviti e gli abitanti della città. Un assedio quello, messo in atto dall’esercito assiro guidato dal re Nabucodonosor. Essendo riuscito finalmente ad entrare nel Tempio, dopo aver portato fuori tutti gli ebrei fatti prigionieri, il re ha dato ordine di incendiarlo. Portati come schiavi in Babilonia, gli ebrei sono stati costretti a fare dei pesanti lavori. E mentre lavoravano sulle rive del fiume Eufrate, gli ebrei, disperati, ricordavano con nostalgia la loro patria perduta. Ricordavano il fiume Giordano e la loro amata città di Sionne (Gerusalemme; n.d.a.) con le sue torri distrutte. Zaccaria, il gran sacerdote di Gerusalemme, anche lui fatto prigioniero insieme con tutti gli altri ebrei, cerca di dare loro coraggio. Egli diceva agli ebrei di non disperarsi e “di non piangere come femmine” e profetizzava tempi migliori. Invece Nabucodonosor, il re degli assiri, dopo aver visto la statua del suo idolo, il dio Belo, cadere a pezzi senza che nessuno l’avesse toccata, aveva considerato quello un segno divino e decise di liberare gli ebrei. L’opera Nabucco è stata messa in scena per la prima volta il 9 marzo 1842 (esattamente 180 fa mercoledì scorso) al Teatro alla Scala di Milano. Era un periodo in cui l’Italia non era ancora unita e la città di Milano veniva amministrata dall’Impero austriaco. Era proprio il periodo del Risorgimento italiano. La prima dell’opera ebbe un grande successo e da allora l’aria Va pensiero è diventata un inno alla libertà, un’ispirazione alla libertà dagli occupatori e all’unità nazionale.

    Sabato scorso, 12 marzo, i cantanti del coro e gli strumentisti dell’opera di Odessa, sulla piazza davanti al teatro, hanno cantato proprio quell’aria, Va peniero. Insieme con loro cantavano anche i cittadini che si trovavano lì. Erano delle immagini commoventi ed impressionanti. Quel sabato gli ucraini, che dal 24 febbraio scorso stanno subendo la feroce aggressività del esercito russo, hanno cantato l’inno della libertà e dell’unità nazionale. Dando così anche un forte e eloquente messaggio per tutti. E con loro hanno cantato tantissimi altri, seguendo in televisione le immagini trasmesse dalla piazza di fronte al Teatro dell’Opera di Odessa.

    Nel frattempo e da 20 giorni ormai, in Ucraina si sta combattendo. Il dittatore russo non si ferma, nonostante le richieste fatte da tanti capi di Stato e di governo di diversi Paesi occidentali. Anzi, ogni giorno che passa, gli attacchi delle forze armate russe, con continui bombardamenti dei centri abitati in diverse città ucraine, hanno fatto migliaia di vittime civili, compresi anche tanti bambini. Ormai la capitale ucraina da giorni si trova sotto assedio. Così come altre città sparse su tutto il territorio. Bisogna sottolineare però anche l’ammirevole resistenza delle truppe armate ucraine e dei tanti cittadini che stanno combattendo come volontari per difendere la madre patria. Una significativa espressione della loro responsabilità civica e del loro patriottismo. E mentre gli uomini combattono contro gli invasori russi, ad oggi sono circa 2.6 milioni di ucraini, anziani, donne e bambini soprattutto, che hanno lasciato il paese. Arrivano alle frontiere dei Paesi confinanti, stremati e dopo molte ore di viaggio, spesso a piedi, con il minimo indispensabile in qualche borsa e soffrendo il freddo e tanto altro. Un preoccupante ma forzato esodo questo che, di per se, rappresenta un altro grave dramma umana per gli ucraini. Bisogna evidenziare e apprezzare però anche la grande disponibilità dei governi dei Paesi confinanti dove arrivano i profughi ucraini. Così come anche la grande disponibilità e l’ospitalità di associazioni, comunità religiose, nonché di tantissimi semplici cittadini, nei confronti dei profughi che scappano dalla guerra in Ucraina. Un numero quello dei profughi che, visto quanto sta accadendo e si prevede che possa accadere, con ogni probabilità, crescerà ulteriormente con il tempo e rappresenterà un problema logistico serio da affrontare e risolvere.

    Anche oggi pesanti bombardamenti stanno devastando diverse città ucraine. Si combatte anche nelle periferie della capitale. Domenica, purtroppo, è stato ucciso dai soldati russi, vicino alla capitale, un giornalista statunitense mentre, filmando tanti ucraini in fuga, faceva con grande professionalità il suo dovere. Come lo stanno facendo, dal 24 febbraio scorso, anche centinaia di altri suoi colleghi, da molti Paesi del mondo, rappresentanti di tantissime agenzie mediatiche e giornalistiche. Giornalisti, operatori, fotografi ed altri che lavorano in condizioni, non di rado, veramente estreme, pericolose, mettendo così continuamente a repentaglio la propria vita. E tutto ciò per dare, in tempo reale, le vere notizie da dove si combatte in Ucraina e per smentire le tante notizie false che diffonde la propaganda russa dall’inizio dell’invasione, ma anche da prima ancora. Facendo perciò di questo conflitto, oltre ad una micidiale guerra armata e con migliaia di vittime da ambe le parti, anche una guerra di propaganda e di notizie false. Nel frattempo in diverse città della Russia, si continua a protestare contro la guerra in Ucraina. Migliaia di cittadini, consapevoli del reale rischio di essere arrestati dalla polizia politica del dittatore russo, come è successo ormai durante tutte le precedenti proteste, anche in questi ultimi giorni hanno di nuovo protestato.

    Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, il 24 febbraio scorso, molti specialisti, analisti ed opinionisti hanno continuamente analizzato l’evoluzione del conflitto armato. Ma hanno messo in evidenza anche i rapporti non spesso trasparenti tra alcuni “grandi del mondo” e il dittatore russo. Rendendo pubblici determinati fatti accaduti, non si può non pensare anche all’ipocrisia e al “doppio gioco” di coloro che parlano e professano i principi morali e della democrazia mentre stabiliscono rapporti ambigui con diversi dittatori in altrettante diverse parti del mondo. Rapporti che possono mettere in pericolo e minacciare anche la libertà di altri popoli. Come gli ambigui rapporti che da anni sono attivi anche con il dittatore russo. Il che poi, dal 24 febbraio scorso, sta realmente mettendo in serio pericolo la sovranità dell’Ucraina e la libertà dei suoi cittadini. Spesso si parla di interessi e di scambi reciproci che riguardano rifornimenti energetici ed altro. Ma, purtroppo, fatti accaduti da anni alla mano, risulterebbe che le gravi conseguenze dell’ambiguità e della mancata trasparenza dei rapporti con alcuni dittatori, per delle “ragioni geopolitiche e geostrategiche”, vengono sempre sofferte, spesso anche con delle ingenti perdite di vite umane, da milioni di cittadini innocenti. Come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina. Ma da quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina bisogna, anzi è indispensabile, trarre anche delle conclusioni, seriamente analizzate ed elaborate e non solo di natura geopolitica e geostrategica. Bisogna tenere ben presente anche le espresse ambizioni del dittatore russo per ricostituire la “Grande Russia”. Ragion per cui bisogna fare di tutto dai “grandi del mondo” per fermare, a tutti i costi, l’invasione definitiva dell’Ucraina. Perché se no, la Russia farà poi, a tempo debito, lo stesso anche con altri Paesi confinanti. Come ha fatto precedentemente con alcuni Paesi indipendenti, facenti parte dell’Unione sovietica, ma non solo. E se non si farà di tutto adesso, in questi prossimi giorni o settimane, per fermare il dittatore russo, allora le gravissime conseguenze, nel prossimo futuro, potrebbero non risparmiare anche diversi altri Paesi europei, e non solo, almeno economicamente.

    Nel frattempo, da mercoledì scorso in Albania sono cominciate le proteste. Questa volta contro l’innalzamento abusivo, sproporzionato e del tutto ingiustificato del prezzo dei carburanti e dei generi alimentari. Proteste che da mercoledì scorso e quotidianamente vengono organizzate dai cittadini, tramite annunci in rete, non solo nella capitale, ma anche in diverse città. Proteste durante le quali si stanno denunciando gli abusi con i prezzi da parte dei soliti “clienti del governo”. Il primo segnale di quello che è successo con i prezzi lo ha dato precedentemente il primo ministro, parlando di guerre e di scenari apocalittici. Il che ha permesso agli oligarchi di agire indisturbati, sicuri del supporto del governo. Noncuranti neanche degli obblighi sanciti dalle leggi in vigore che costringono loro di garantire riserve che, nel caso dei carburanti, devono essere per tre mesi. Il primo ministro però, durante i suoi interventi in rete, si è “dimenticato” di tenere presente questi obblighi legali. Mentre l’innalzamento immediato dei prezzi dei carburanti non ha seguito neanche l’andamento quotidiano dei prezzi nelle borse internazionali. Il che ha inconfutabilmente e semplicemente testimoniato l’abuso con i prezzi. Abuso e truffe che vengono evidenziate anche dalle banche dati ufficiali delle stesse istituzioni governative. Ma il primo ministro albanese, dal 2013, quando ha cominciato a governare, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, ha dimostrato di non essere credibile in quello che dice e che scrive. In più, dalle analisi specializzate fatte da quando si è verificato l’innalzamento dei prezzi in Albania, che secondo il primo ministro è legato al conflitto in Ucraina, si evidenzierebbero non solo degli abusi scandalistici dei prezzi dei carburanti, degli alimentari, di altri prodotti e di servizi, ma anche ben altro. Si evidenzierebbe anche la mancata volontà di intervenire con dei meccanismi previsti e sanciti dalla legge per controllare e bloccare l’innalzamento abusivo e speculativo dei prezzi. Chissà perché?! Ma invece di intervenire, continua a fare quello che lui ha fatto sempre quando si trova in difficoltà. Passa la responsabilità agli altri, per salvare se stesso. E nel caso delle proteste di questi ultimi giorni ha reso colpevoli i cittadini che “non hanno vergogna e protestano” mentre in Ucraina si combatte (Sic!). In questi ultimi giorni, sia il primo ministro che alcuni suoi ministri si stanno rendendo veramente ridicoli ed incredibili con le loro irresponsabili, vergognose e ingannatrici dichiarazioni pubbliche. Nel frattempo però, la polizia di Stato, che purtroppo da anni risulta essere una polizia politicizzata, ha arrestato i manifestanti pacifici, in palese violazione con quanto prevede la legge. Così come in Russia, nonostante lì la legge preveda altrimenti. E come in Russia dove, oltre alla guerra sul campo in Ucraina, si sta mettendo in atto anche la “guerra di propaganda” con le notizie false, anche in Albania il primo ministro e/o chi per lui sta attivando la sua propaganda governativa con delle falsità. Purtroppo, in Albania da anni sono centinaia di migliaia i cittadini che stanno lasciando il Paese. Come gli ucraini in queste settimane. Ma in Albania non c’è nessuna guerra come in Ucraina. In Albania però, da anni, è stata restaurata una dittatura sui generis, rappresentata dal primo ministro, come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti, oligarchi dei carburanti compresi.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti riguardanti l’innalzamento abusivo dei prezzi da analizzare e poi informare il nostro pubblico. Lo farà però in seguito. Ma, nel frattempo, egli è convinto che i rapporti ambigui dei “grandi del mondo” con i dittatori potrebbero minacciare la libertà dei popoli. Anche degli ucraini e degli albanesi. Ed è anche convinto che se, come pensava Seneca, la libertà significa non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità, l’aria Va pensiero esprima maestosamente proprio la vitale e sacrosanta voglia di libertà e dell’unità nazionale.

  • Accogliere i profughi non basta

    Le più note voci della cultura, delle religioni, della politica si uniscono nel dire che bisogna tendere una mano ai disperati che fuggono dall’Ucraina.

    Pochi per ora sembrano aver capito che bisogna, subito, dare anche una mano, una mano vera, a chi difende l’Ucraina perché i civili, i bambini, i vecchi, le donne che vorrebbero fuggire dalle città bombardate, dalle case e dagli ospedali distrutti non hanno neppure i corridoi umanitari, Putin non lascia scampo a chi cerca di scappare.

    La menzogna di colui che vuole essere il capo di un nuovo soviet appare una volta di più evidente nelle parole improvvide del suo ministro degli Esteri che, dalla Turchia, ha dichiarato vi siano, in Ucraina, laboratori americani preposti a studiare virus letali. Se così fosse perché Putin non lo ha denunciato al mondo prima di cominciare ad invadere il Paese? Se così fosse perché non ha mandato reparti speciali a circondare ed annientare questi ipotetici laboratori invece di bombardare e distruggere case, ospedali, scuole?

    La debolezza di Putin è anche qui: nell’incapacità di creare menzogne credibili, è rimasto alla scuola di controinformazione del vecchio Kgb. Intanto il suo potere militare si è scontrato con la capacità di un popolo di subire sofferenze atroci per difendere la propria integrità e libertà e la sua credibilità ormai vacilla non solo nel mondo ma proprio all’interno della Russia.

    Il mondo libero non può nuovamente commettere gli errori che hanno consentito ad Hitler il genocidio degli ebrei e l’assassinio di decine di migliaia di persone e se a quel tempo si può tentare di sostenere che le notizie arrivavano in ritardo e parziali oggi la realtà la vediamo di ora in ora.

    Accogliere gli ucraini è un dovere ma è altrettanto doveroso, per loro e per il nostro futuro, impedire che l’Ucraina sia distrutta e che prevalga la follia di un uomo che ha anteposto la smisurata considerazione di sé al bene del suo popolo e della stessa umanità.

    Preghiamo perché in Ucraina si alzino le temperature ed il fango impantani definitivamente i carri armati russi, preghiamo perché  il popolo russo abbia la capacità ed il coraggio, nonostante i pericoli enormi per chi si oppone al regime, di manifestare e di ribellarsi a Putin, preghiamo  ed agiamo per salvare ed accogliere gli ucraini in fuga, ma agiamo finalmente per dare agli ucraini gli strumenti necessari ora, non domani, per poter continuare a difendere il loro Paese e la loro indipendenza. Ogni ulteriore ritardo ci sarà imputato dalla storia.

    Noi non siamo in guerra con i russi, e vogliamo con loro una pace duratura e futuri rapporti rinsaldati con l’Unione Europea, ma se non daremo al popolo ucraino gli aiuti necessari per difendersi, aiuti che avremmo dovuto dare da tempo, saremo complici e non sarà, accogliendo i profughi, che puliremo le nostre coscienze.

  • “Uniti in campo per fare del bene”: nasce la Nazionale Italiana delle Associazioni Non Profit

    “Uniti in campo per fare del bene”. Mai come ora, lo sport può essere volano di solidarietà a dimostrazione che l’unità di intenti può andare oltre ogni bandiera e colore di appartenenza. Da queste considerazioni nasce la Nazionale Italiana Non Profit di calcio, un’idea di Angelo Fasola, CEO di TrustMeUp, la nuova e rivoluzionaria piattaforma che dà voce alle cause di Associazioni Non Profit, e Thomas Molendini, presidente Art & Luxury, Associazione Non Profit.

    La prima partita della Nazionale Italiana Non Profit è in programma nell’estate 2022, partecipando alla “Partita del Sole”, ideata dalla Nazionale Azzurri.

    Uniti dallo sport per fare del bene: è il nostro appello rivolto a tutte le realtà del Terzo Settore che abbiano voglia di scendere in campo per una nuova responsabilità sociale e condivisa. Desideriamo essere l’esempio di come sia possibile raggiungere obiettivi comuni superando le differenze, i colori e le bandiere”, commenta Angelo Fasola, CEO di TrustMeUp che aggiunge: “Ogni partita sosterrà un progetto specifico, in accordo con le associazioni aderenti alla nazionale”.

    La Nazionale Italiana Non Profit sta selezionando le 25 Associazioni che desiderano aderire al progetto e scendere in campo già per gli eventi in programma nel 2022.

    Per informazioni e candidature: info@nazionalenonprofit.org

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