guerra

  • Il potente esercito russo che ancora non si vede nell’attacco all’Ucraina

    Qual è la strategia di Guerra di Putin? E’ acclarato che l’esercito russo sia uno dei più forniti e potenti al mondo ma nell’attacco all’Ucraina Mosca non sta usando armi di ultimissima generazione, di cui è dotata avendo investito molti milioni di euro per l’acquisto e la produzione, manda al fronte giovani soldati e non adopera l’aviazione. Da più parti ci si chiede quali siano le vere intenzioni di Putin.

    Secondo il Global Firepower, l’indice che stabilisce la forza militare dei Paesi del mondo, come riporta Wall Street Italia, la Russia può vantare un esercito addestrato alla guerra sotto ogni aspetto. Negli ultimi venti anni, ha investito enormi risorse economiche: 154 miliardi di dollari all’anno per la Difesa, creando un esercito moderno e tecnologico.

    Inoltre l’ex Ministro della Difesa, Anatoly Serdyukov, nel 2008 e l’attuale Ministro, Sergey Shoigu, hanno portato avanti un vero a proprio restyling dell’esercito russo che oggi consta di 4 distretti militari:

    Occidentale: con quartier generale a San Pietroburgo con 34.000 soldati e circa 300 carri armati; Meridionale: con quartier generale a Rostov con 100.000 soldati e circa 2.800 tra carri armati e mezzi blindati;

    Centrale: con quartier generale ad Ekaterinburg con 30.000 soldati e circa 1.200 tra carri armati e mezzi blindati;

    Orientale: con quartier generale a Chabarovsk con oltre 4.500 carri armati.

    In totale, le armate sono 11 e i soldati sono complessivamente 280mila. A questi si aggiungono:

    17mila uomini degli Spetsnaz divisi in 7 brigate indipendenti;
    45mila truppe aviotrasportate divise a loro volta in due da assalto aereo e quattro brigate con un reggimento per la ricognizione.

    Senza dimenticare gli attacchi informatici mirati e una potentissima macchina per la propaganda al servizio del regime.

    In caso di guerra, la Russia può fare affidamento su un armamentario di ultimissima generazione. Oltre alle forze di terra pari a 1.350.000 uomini dispone di:

    4.173 forze aerospaziali;
    320 missili e 1.181 testate strategiche;
    605 forze navali;

    12.420 carri armati.

    I carri armati russi, i T-90 (non adoperati nell’attacco all’Ucraina), sono considerati i mezzi blindati più potenti e forti al mondo. E non sono da meno i mille nuovi aerei in dotazione, i SU-35S mandati in parte in Bielorussia per le esercitazioni militari congiunte.

    Ad oggi, il 92% dei piloti e il 62% dei militari della Marina ha precedenti esperienze in teatri di guerra.

    Sul fronte servizi segreti, oltre al noto KGB (protagonista anche in tante pellicole cinematografiche), la Russia si avvale anche delle operazioni 4 agenzie di sicurezza/spionaggio:

    GRU (traducibile in italiano con Direttorato principale per l’informazione) che si occupa anche di spionaggio estero; FSB (Servizio Federale di Sicurezza) che garantisce la sicurezza della Russia con attività di spionaggio, controspionaggio e antiterrorismo e sicurezza interna e si compone di circa 260-270.00 uomini; SVR (Spionaggio Estero Civile). I suoi uomini all’estero risiedono principalmente in ambasciate e consolati, e spesso hanno lo status di personale diplomatico; FSO (Servizio di Protezione Federale). Si occupa della sicurezza presidenziale, di alte personalità e luoghi sensibili, si compone di circa 50.000 elementi. Non si conosce il numero delle persone impiegate.

    La FAPSI (Agenzia Federale per le Comunicazioni e le Informazioni di Governo) invece si occupa di sicurezza e della crittografia delle comunicazioni istituzionali di “alto livello”, oltre alle intercettazioni e all’analisi dei segnali, sia tra le persone (radio) che tra le macchine (computer).

    Il PowerIndex della Russia, determinato dal numero del personale militare rapportato alla popolazione, è formato da:

    142.122.776 popolazione totale;

    3.586.128 numero complessivo personale militare in servizio;

    4.078 aerei totali;

    1.485 aerei da combattimento;

    21.932 carri armati;
    352 navi tra cui una portaerei;
    44 miliardi di dollari per la Difesa.

  • Per mediare con lo zar occorrono solo un imperatore e un califfo?

    Le accuse di Pechino alla Nato ed agli Stati Uniti, considerati dal Dragone i responsabili della guerra in Ucraina, sono l’ennesimo esempio della strategia che la Cina ha messo in essere da tempo, ma questa ultima dichiarazione fa ben comprendere come sia difficile credere che l’imperatore cinese possa essere il mediatore più adatto a fermare Putin e a fargli accettare la pace.

    Tralasciando le iniziative cinesi degli ultimi anni, acquisizioni di importanti porti internazionali come del debito di molti paesi africani, espansione continua della propria area di influenza politica e commerciale, dure repressioni verso coloro che rivendicavano un po’ di autonomia e libertà, come Hong Kong, o un minimo di diritti umani, come gli uiguri, non possiamo dimenticare i colpevoli silenzi e le informazioni che la Cina ha negato al mondo all’inizio della pandemia. Proprio in questi giorni nuovi studi rilanciano la sempre più consistente probabilità che il covid si sia espanso per la fuga del virus da un loro laboratorio. Inoltre già dalla scorsa estate i cinesi hanno iniziato due operazioni entrambi preoccupanti: l’acquisto e l’accantonamento di molti prodotti alimentari e di alcune materie prime e il rallentamento nelle consegna di molte merci destinate all’Occidente. Se aggiungiamo a questi pochi, ma significativi ed incontestabili fatti, che la Cina, da mesi, riceveva dalla  Russia più gas di quanto era contemplato dal  contratto, che è stato siglato da poche settimane un nuovo accordo per una ancor più ingente fornitura e che Putin e Xi Jinping hanno platealmente rinsaldato i loro rapporti di amicizia e collaborazione, si comprende bene come sia più che legittimo ritenere che il presidente cinese conoscesse, almeno in gran parte, le vere intenzioni di Putin verso l’Ucraina.

    C’è in gioco, per i due autocrati con ambizioni imperiali, la capacità di poter influenzare il resto del mondo sia economicamente che militarmente assicurandosi che nessuno possa frapporsi per impedire le loro mire espansioniste e la coercizioni che esercitano sui loro popoli e su quelli che hanno conquistato o conquisteranno.

    Il mondo libero deve cominciare a comprendere che sono messe in pericolo tutte le conquiste fatte nei decenni passati, dalla democrazia alla libertà, dai diritti umani al mercato e al benessere sociale.

    Gravi responsabilità pesano su alcuni governi ed istituzioni occidentali se, per avere un mediatore in grado di trattare con Putin, si deve sperare in Erdogan o in Xi Jinping, entrambi noti, all’interno e all’esterno del loro Paese, per il disprezzo che hanno dimostrato verso la democrazia ed il diritto.

    Terminata la guerra, ci auguriamo presto e senza altri drammatici eventi, il mondo libero dovrà cominciare seriamente a pensare a come rivedere il modo di rapportarsi, anche sul piano economico, con paesi e governi che non credono nei suoi valori fondanti.

  • Ucraina, 8 marzo il giorno che impone una scelta

    Incanaliamo, indirizziamo l’ira, lo sdegno, il dolore verso azioni concrete. Gli italiani, come tanti altri popoli europei, e non solo, stanno dando prova di grande solidarietà aiutando i milioni di persone in fuga dalla criminale guerra voluta da Putin. Sappiamo tutti che stiamo difendendo il loro presente ed il nostro futuro di stati liberi che vivono in democrazia. Il pericolo è reale per tutti ed ogni nostra azione comporta una scelta ed un sacrificio, ma se non scegliamo ora, se non siamo pronti ora ad affrontare qualche sacrificio sarà presto messa in discussione, a serio rischio, la nostra indipendenza fisica, economica, morale.

    Siamo tutti convinti che la pace è un bene prezioso e che deve essere messa in essere tutta la diplomazia possibile per conquistarla, preservarla. Solo tre ipotesi sono davanti a noi, tre cammini tra i quali dobbiamo scegliere subito.

    1) Convincere Putin a desistere, a cessare immediatamente ogni bombardamento ed azione di guerra sedendosi al tavolo delle trattative per trovare un accordo che sancisca, reciprocamente, sicurezza ed indipendenza per oggi e per domani.

    2) Partire tutti, a mani nude, con i nostri rappresentanti delle istituzioni in testa, ed entrare in Ucraina schierandoci pacificamente intorno alle città bombardate ed assediate e sfidando, con la nostra pacifica ma decisa presenza, un esercito che sta colpendo specificamente persone in fuga, case di civile abitazione, scuole, ospedali.

    3) Dare quelle armi che da tempo gli ucraini chiedono per potersi difendere da una super potenza che li ha invasi, che ha taciuto la verità anche ai suoi soldati, che imprigiona chiunque manifesti contro la guerra, siano pure vecchi e bambini.

    Non è il tempo delle parole ma delle scelte, ogni minuto che passa segna la morte di altre persone inermi, la distruzione di case, l’ascesa di chi pensa che la forza debba prevalere sulla ragione. Ogni giorno che passa, senza che seguiamo e perseguiamo una delle tre strade che abbiamo indicato, ci porta più vicina a quella guerra globale che, forse, è il vero obiettivo di alcuni, Putin in testa.

    Siamo allo scontro tra diverse concezione della vita, del suo valore intrinseco, a diverse concezioni di come si esercita il potere, di come si vive con gli altri, di cosa rappresentano le regole della convivenza civile. Basta guardare quali sono i paesi che hanno votato contro, o che si sono astenuti, alla dichiarazione delle Nazioni Unite per comprendere, in modo inequivocabile, cosa ci aspetta se non decidiamo in fretta.

    Una guerra globale è alle porte, guerra di armi, di negazione dei più elementari diritti umani, guerra economica e molto probabilmente anche di virus letali.

    Scegliamo adesso, domani è già tardi, mentre le donne ucraine, ragazze, madri, vecchie ci ricordano che l’8 marzo troppe volte si è tinto e si tinge del rosso del sangue e della violenza. Scegliamo anche per loro e per tutte le donne che, irriducibili, credono nella vita, nel rispetto degli altri, nell’amore verso i loro cari e per la loro terra.

  • L’appello dei veterinari ucraini ai colleghi

    I veterinari rimasti in Ucraina per salvare gli animali chiedono un aiuto, chi può sia loro una mano, anche poco è utile

    Vladlen Ushakov, Presidente di USAVA la Società dei Veterinari ucraini per animali da compagnia, rivolge un appello via Facebook: “Collega, aiuta un veterinario!”. Le coordinate bancarie per inviare aiuti finanziari sono state comunicate nei giorni scorsi da Wsava, per donazioni tramite bonifico internazionale. ANMVI mette a disposizione anche le proprie coordinate bancarie per agevolare le donazioni, via bonifico ordinario, da riversare poi a Usava.

    “Siamo grati ai nostri vicini della Polonia, che ci hanno teso una mano su tutti i fronti. Siamo grati ai nostri colleghi degli Stati baltici per il loro grande cuore e la loro disponibilità ad aiutare. Siamo molto grati ai colleghi di Bulgaria, Romania, Slovacchia e Irlanda che hanno risposto. Abbiamo iniziato a fare una lista di colleghi che sono pronti ad aiutare”. E inoltre: “Siamo molto grati al laboratorio Labokli, che ha generosamente accettato di eseguire gratuitamente i titoli anticorpali contro la rabbia per gli animali provenienti dall’Ucraina.“La decisione della Commissione Europea- dicono – ha salvato migliaia di vite animali”.

    Versamenti sul c/c di USAVA
    Nome del Beneficiario
    Ukrainian Small Animal Veterinary Association
    Indirizzo: Genuezska str.24 a, Odessa, 65009, Ukraine
    Coordinate bancarie: UA173282090000026008010048132
    Banca BANK PIVDENNYI – Odessa, Ukraine
    SWIFT code: PIVDUA22
    Causale: USAVA

    Donazione via ANMVI
    Coordinate Bancarie intestate a: ANMVI Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani
    IBAN: IT77P0623011419000043988583
    BIC: CRPPIT2P219
    Causale: Pro Veterinari Ucraina

    Collaborazioni con strutture veterinarie all’estero– Se ciascuna delle associazioni potesse inviarci elenchi di cliniche in cui i rifugiati e i loro pazienti possono essere inviati per il primo soccorso, l’esame clinico e la determinazione del titolo anticorpale della rabbia, questo sarebbe un grande supporto per noi”. Non mancano i commenti di Colleghi che invitano il Presidente Usava a lasciare il Paese. In chiusura le coordinate bancarie: “Saremo grati per le donazioni finanziarie”. Dal Paese stanno fuggendo anche studenti e ricercatori universitari.
    Appello alla Fve e alla Wsava- Il Presidente Ushakov -che è anche rappresentante di Usava nella Wsava- ha sottoscritto una lettera per chiedere “di escludere ufficialmente la Russia in quanto Paese aggressore dalle comunità veterinarie europee e mondiali Wsava e Fecava”. La lettera è firmata da Natalia Ignatenko, collega rappresentante dell’Ucraina alla Fecava.

    “Proprio come con la seconda guerra mondiale- affermano- si sta scrivendo una insanguinata della storia mondiale. La notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022 è stata l’inizio del più grande spargimento di sangue nella nostra Patria, invasa dalla Russia. È impossibile pensare che questo sta accadendo nel 21° secolo. Il nostro popolo ora sta lottando per ogni centimetro della sua terra e speriamo che europei e colleghi di tutto il mondo siano dalla nostra parte”.
    “Stiamo lavorando”– La Società dei Veterinari ucraini per animali da compagnia si trova a Odessa e posta immagini di lavoro, di visite e di chirurgie. I Colleghi offrono notizie su quanto accade. Inizia a mancare pet food, in particolare le diete speciali per cani e gatti con patologie, dicono, perché molti negozi di animali e prodotti veterinari sono fuori attività. Un sito web elenca i negozi rimasti operativi. Ushenko ringrazia le aziende del pet food che hanno già offerto cibo gratuito nei rifugi ucraini. “A Kiev, un gran numero di animali rimane nei rifugi e non possono andarsene.

    Vets for peace, donazioni ai Veterinari ucraini
    Vets for Ukraine, tutte le iniziative in un unico sito

    Pagina Facebook di USAVA

    Fonte: AnmviOggi

  • Quale cultura occidentale

    All’interno di una profonda crisi che, per sua stessa natura, tende ad esasperare gli animi e, di conseguenza, le reazioni, il terribile sopraggiungere del dramma della guerra successiva a due anni di pandemia pone, tuttavia, in vergognosa evidenza i limiti non più accettabili legati ad una risposta letteralmente anticulturale del nostro Paese.

    All’inizio della settimana il sindaco di Milano ha sospeso il direttore d’orchestra di origine russa poiché non aveva preso posizione e opportune distanze da Putin. Una richiesta che dimostra come il sindaco della capitale economica dell’Italia non sia in grado di distinguere tra il mondo dell’arte in ogni sua espressione ed il terribile contesto storico.

    Successivamente una università, che dovrebbe rappresentare la sintesi pluralista di tutte le espressioni culturali possibili ed immaginabili senza alcuna esclusione, ha prima sospeso, sulla base di rappresentare la cultura russa, per poi maldestramente riattivato un corso su Dostoevskij.

    Quasi contemporaneamente un altro istituto accademico privato di Roma ha sospeso dall’insegnamento un proprio docente solo ed esclusivamente perché durante un’intervista si era permesso di indicare una articolata visione della crisi bellica ucraina considerando anche gli effetti delle scelte di altri soggetti istituzionali: non tanto, come giustificazione dell’evento ma come espressione di una articolata situazione dalla quale ha trovato successivamente un innesco la follia di Putin. Una tesi che offriva la possibilità, quindi, di uscire dalla sempre più infantile divisione tra buoni e cattivi come tra favorevoli o contrari alla guerra e soprattutto tra chi considera la guerra come nel gioco del RisiKo la contrapposizione tra bene ed il male.

    Il docente sospeso intendeva proporre un approccio culturale complesso, espressione di una articolata sintesi di cause e di una responsabilità più diffusa in nome di una pluralità di opinioni, simbolo una volta dell’istituto accademico ora diventato artefice della più retrograda censura.

    La stessa esclusione degli atleti dalle Paralimpiadi invernali sulla base della loro semplice appartenenza a Russia e Bielorussia tradisce palesemente il messaggio e lo spirito olimpico di fratellanza e di pace tra i popoli, indipendentemente dal contesto storico.

    Si aggiunge adesso la copertura del David a Firenze decisa dal sindaco di Firenze: “il David di Michelangelo, emblema della libertà contro la tirannia si copre di nero…un gesto simbolico di lutto…”, come ha successivamente dichiarato lo stesso sindaco di una delle capitali mondiali della cultura.

    Queste esplicite manifestazioni di intolleranza nei confronti di chi non segue la narrativa della maggioranza, spingendo addirittura ad una censura culturale e personale di tali posizioni di minoranza in assoluto contrasto con quanto dovrebbero garantire una democrazia ed un istituto universitario, negano la pluralità del pensiero in ogni sua forma.

    Sulla base del medesimo furore ideologico vengono esclusi dalle competizioni olimpiche gli atleti solo sulla base della loro provenienza nazionale. A queste posizioni si aggiunge quella del sindaco Nardella di Firenze, il quale si spinge ad utilizzare il simbolo della bellezza e quindi di una delle massime espressioni culturali per fini impropri a conferma di una mentalità e di una cultura ormai oscurantista.

    All’interno di momenti storici così difficili la cultura, in ogni sua molteplice forma, e lo sport rappresentano due valori in grado di proporre all’interno di un contesto bellico un messaggio di unità e di pluralità democratica tra gli uomini utilizzando i propri simboli culturali e comportamenti democratici.

    Questi episodi rappresentano l’ennesima triste conferma di una cultura escludente e profondamente oscurantista la cui forza nasce dalla sola capacità di sottrarre simboli e discriminare le persone sulla base di semplici comportamenti e pensieri annullando il confronto democratico, il quale viene sostituto in questo modo da una ripetitiva quanto monocratica amplificazione del pensiero unico che non presenta nulla di culturale.

    Mai come ora l’integralismo iconoclasta utilizzato contro i simboli culturali e le libere espressioni di pensieri indipendenti dimostra la propria forza all’interno di quella che una volta poteva venire considerata la cultura occidentale.

  • In attesa di Giustizia: soldati di fortuna

    Li hanno chiamati così e in molti altri modi quando il centro principale di inquadramento era a Bruxelles e la “Paladines” li reclutava con annunci sul Times; in tempi più recenti vengono definiti contractors o free fighters ma sono meglio noti con il nome di mercenari: un termine neppure velatamente dispregiativo che allude al fatto che si tratta di combattenti prezzolati e – dunque – non animati da amor patrio, quasi sempre ex militari delle Forze Speciali di varie Nazioni.

    In questi giorni si è assistito, ad una crescente richiesta di arruolamento, anche da parte di cittadini italiani, per andare a sostenere l’Ucraina nel conflitto impari che la vede contrapposta alla Russia e il Consolato Ucraino di Milano ha postato su Facebook un ringraziamento specificando che i volontari erano attesi per sostenere un colloquio muniti di passaporto. Il post è stato rimosso un paio di giorni dopo perché qualcuno si è accorto che si potevano configurare dei reati: innanzitutto quello previsto dall’articolo 288 del codice penale che punisce con la reclusione fino a quindici anni chiunque, nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini perché militino al servizio o in favore di uno Stato straniero.

    La norma ha la finalità di evitare che siano usurpati due poteri che spettano esclusivamente allo Stato: quello di coscrizione e quello di disporre soccorsi o interventi militari all’estero. L’incriminazione è possibile solo nei confronti di chi arruola o arma e non di chi si arruola, ecco spiegata la celere eliminazione del post dal sito del Consolato Ucraino che poteva suonare come un bando di leva.

    Vi è poi, nel nostro sistema, anche una legge del 1995 che – in attuazione di una convenzione internazionale ONU – punisce anche i mercenari e non solo i reclutatori.

    Si tratta di reati infrequenti a verificarsi ma il fondamento della incriminazione è validissimo in quanto talune forme di reclutamento sia attivo che passivo potrebbero essere interpretate come una dissimulazione per svolgere azioni belliche sotto falsa bandiera e così potenzialmente determinando reazioni di tipo militare.

    Sono anche reati problematici da accertare; dopo un  precedente che impegnò i tre gradi di giudizio  – fino alla sentenza della Cassazione del 5 dicembre 1939 – ma che risale alla Guerra Civile Spagnola, di soldati di ventura non se ne è più parlato sino alla vicenda che vide protagonista Fabrizio Quattrocchi, assassinato in Iraq nel 2004: il giovane che lavorava per una compagnia di sicurezza, catturato e sequestrato delle sedicenti Falangi Verdi di Maometto, e davanti al boia disse “Ora vi faccio vedere come muore un italiano”.

    Furono processati ed assolti i suoi presunti reclutatori e Quattrocchi insignito della medaglia d’oro al valore civile alla memoria visto che non poteva essere considerato tecnicamente un militare.

    Alcuni anni fa, infine, sono stati indagati dalla Procura di Genova, processati e condannati anche per altri reati i responsabili (alcuni dei quali italiani) del reclutamento e addestramento di mercenari filorussi da inviare proprio nell’area del Donbass.

    Non si tratta, quindi di previsioni di illecito – ed è possibile che presto se ne risentirà parlare – da considerare anacronistiche bensì frutto di una legislazione prudente e lungimirante, lontana dalle  approssimazioni anche linguistiche che caratterizzano la produzione normativa più recente e che rendono ancora più difficile l’amministrazione della giustizia: quest’ultima affidata – come parrebbe – in buona misura a cacciatori di notorietà propedeutica a conseguire confortevoli e ben remunerate poltrone.

  • La compagnia dell’orrore e della tirannia

    L’ONU ha condannato la Russia per la proditoria invasione dell’Ucraina, con una maggioranza schiacciante di ben 141 Stati contro 5 (e 35 astensioni). Un isolamento mai visto della superpotenza imperiale e dello Zar che la guida. Ma la cosa più imbarazzante sono i Paesi che hanno votato contro la condanna dell’invasione dell’Ucraina. Appena 4, oltre alla Russia stessa, ma chi sono? Nientepopodimeno che la Bielorussia, la Siria, la Corea del Nord e l’Eritrea.

    Parafrasando la famosa “Compagnia dell’Anello” di Tolkien, una vera e propria “compagnia dell’orrore e della tirannia”, considerata la reputazione dei rispettivi capi di Stato di questi Paesi, non a caso sodali della Russia, perché sostanzialmente uguali. Tutti noti per il despotismo, la negazione totale di libertà, l’assenza dei diritti democratici, l’irriducibile persecuzione degli oppositori interni, nonché per nulla avulsi, in caso di necessità, all’uso di armi di distruzione di massa, compresi i famigerati gas contro civili inermi, il cui divieto è universale, ed il cui utilizzo qualifica chi lo fa come criminale di guerra. Proprio una compagnia adatta per un Paese che è scandalosamente componente permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cabina di regia istituita per garantire la pace nel mondo. Come affidare la tutela delle pecore al lupo o, meglio, nella fattispecie all’orso.

    Un risultato storico di condanna meritata, che trova un’ulteriore conferma nell’arroganza con cui ha operato il ministro degli esteri russo Sergev Lavrov, nei confronti del Parlamento del nostro Paese.

    Con un atteggiamento da bullo di quartiere malfamato, Lavrov ha avuto la spudoratezza di fare consegnare al suo ambasciatore a Roma una lettera al presidente della Commissione difesa della Camera Gianluca Rizzo, con l’incarico di portarla a conoscenza dei deputati italiani, con cui ha minacciato l’Unione Europea e l’Italia affermando che “Le azioni della UE non resteranno senza risposta”, e poi precisando che “I cittadini e le strutture della UE, coinvolti nella fornitura di armi letali e di carburante e lubrificanti alle forze armate ucraine, saranno ritenuti responsabili di qualsiasi conseguenza di tali azioni nel contesto dell’operazione militare speciale in corso”. Concludendo, con un crescendo melodrammatico: “Non possono non capire il grado di pericolo delle conseguenze”.

    Una azione senza precedenti, quella di un ministro degli esteri che si rivolge direttamente al Parlamento di un Paese sovrano e minaccia gravissime conseguenze per il voto liberamente espresso dai deputati, nell’esercizio delle loro prerogative, ed al servizio del loro Paese. Un gravissimo ed intollerabile strappo al protocollo nei rapporti istituzionali tra Stati, poiché un ministro straniero si può rivolge al governo di un altro Paese, ma non direttamente al Parlamento e, soprattutto, mai per una critica o, addirittura per una minaccia, come in questo caso, per un voto espresso dallo stesso. Un atto di bullismo istituzionale, profondamente offensivo per la nostra Patria, la nostra Costituzione e la dignità di tutti gli Italiani, che il ministro russo, come lui stesso afferma, “non avrebbe potuto non capire” di avere commesso.

    Questi aspetti di tracotante arroganza, insieme agli insulti gratuiti di Putin al governo di Kiev “costituito da una banda di drogati e neonazisti” e alle dichiarazioni pubbliche di Lavrov sui veri obiettivi della guerra, consistenti “nel cambio di regime a Kiev, né più e né meno”, quindi la sostituzione del governo legittimo di uno stato sovrano, con un governo fantoccio di Mosca, dovrebbero fare riflettere sull’opportunità di cambiare opinione a quanti ancora insistono nell’improbabile arrampicata sugli specchi, per giustificare un orribile atto di guerra quale è l’aggressione dell’Ucraina, attuata per l’anacronistica ricostituzione dell’impero zarista.

    *già sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

  • Vadano loro

    Egregio Direttore,

    nella maggior parte dei Paesi del mondo si sono svolte e si svolgono manifestazioni per chiedere che il presidente Putin fermi le armi che stanno distruggendo la vita e le case, il futuro di cittadini inermi. Credo che solo in Italia si siano svolte manifestazioni per chiedere che non si forniscano armi di difesa agli ucraini. A tutti coloro che nelle scorse ore, mentre è in atto la continua distruzione e morte di un popolo, hanno chiesto che non siano inviate armi in Ucraina, negandole così il legittimo diritto a difendersi, a difendere la propria libertà e la vita di milioni di civili, rivolgiamo un fermo invito: vadano loro a fare da scudo umano contro le bombe di Putin, i missili, la minaccia nucleare. Vadano in Ucraina e vadano anche a Mosca a ripristinare quelle emittenti chiuse dal regime, vadano a Mosca a manifestare per il cessate il fuoco e la pace. Vadano a Mosca, Landini e tutti gli altri per capire, finalmente, qual è la differenza tra uno Stato democratico e liberale, che li lascia parlare in piazza anche quando dicono pericolose idiozie, e uno Stato che vive sotto il regime violento ed irresponsabile di Putin, una dittatura che non conosce le parole libertà e rispetto degli altri. Vadano nelle carceri a incontrare le migliaia di cittadini russi incarcerati proprio perché, nelle piazze, chiedevano la pace e dicevano no alla guerra.

    Lettera pubblica su La Libertà di Piacenza domenica 6 marzo 2022

  • Un impegno comune

    Abbiamo faticosamente, spesso in quasi solitudine, attraversato gli anni del covid piangendo i nostri morti e impossibilitati a curare di persona i nostri malati. Socializzare era diventato più difficile mentre una parte di noi anelava il ritorno ad una vita normale, momenti di svago e divertimento compresi, ed una parte rimaneva chiusa nella bolla che la pandemia aveva creato. Poi è scoppiata la guerra in Ucraina e tutti i sentimenti sopiti, tutta l’empatia che sembrava perduta sono tornati prorompenti spingendoci, per quello che ciascuno può, a cercare di essere d’aiuto. Le donne, i vecchi, i malati, i bambini che fuggono dai bombardamenti, le case, gli ospedali, le scuole distrutte, i cumuli di macerie sono diventati anche la nostra realtà. Come se conoscessimo da sempre quelle persone, che nell’arco di poche ore hanno perso tutto, abbiamo sentito il desiderio di dare il nostro contributo non per dovere ma per umana condivisione, per comprensione del loro dolore. Abbiamo sentito che combattere le ingiustizie è compito di ciascuno, così come difendere la libertà e la democrazia è compito di ognuno di noi, non soltanto delle istituzioni. Ogni giorno ci sono principi fondamentali che vanno difesi, a qualunque costo, perché altrimenti il rischio è di perdere tutto. Difendere il diritto alla vita ed alla libertà degli ucraini è difendere la libertà e la vita anche dei popoli confinanti, è, deve essere, un impegno comune che, purtroppo, oggi non si può perseguire senza sapere ed accettare che ci saranno sacrifici per tutti e si dovranno fare scelte difficili ma non eludibili. Dobbiamo tenere viva la speranza di pace continuando nell’attività di mediazione e diplomazia ma, prima di tutto, dobbiamo salvare la vita delle persone e quel che resta dell’Ucraina bombardata e martoriata e per fare questo dobbiamo sapere che per fermare la guerra di Putin non bastano più le parole.

  • 2020/2022: dalla pandemia al catasto

    A partire dal 31 gennaio del 2020, quando fu proclamato il primo stato di emergenza, i cittadini italiani hanno dato prova di un’estrema compattezza anche se con diverse posizioni relative alle strategie sanitarie e in riferimento a quelle vaccinali fino alle politiche economiche.

    Anche se con forti contrasti sociali, generati spesso dalla stessa classe politica, nel suo complesso il nostro Paese ha dimostrato un senso di democraticità come espressione del valore più alto della libertà la quale ha permesso confronti anche aspri tra le diverse posizioni ma comunque sempre all’interno di una unità democratica dell’Italia.

    L’emergenza sanitaria ha dimostrato come molto spesso la cittadinanza si dimostri migliore della stessa classe politica la quale ha pure cercato di sfruttare in questo lungo periodo emergenziale le molteplici problematiche solo ad uso e consumo dei propri ritorni elettorali.

    Alle soglie del 31 marzo 2022, quando sarebbe dovuta scadere l’ultima proroga dello stato di emergenza, il mondo intero si trova coinvolto nella terribile questione della guerra in Ucraina. Una catastrofe umana, sanitaria ed economica che ha colpito con colpevole sorpresa tutte le maggiori nazioni ed ha costretto il governo in carica a prorogare lo stato di emergenza al 31/12/2022. Quindi, anche se per diverse motivazioni, il nostro Paese si troverà, arrivati al dicembre 2022, con trentacinque (35) mesi senza interruzione di stato di emergenza: un caso unico nel mondo che dovrebbe aprire invece un dibattito istituzionale sull’abuso da parte degli ultimi governi della propria posizione e del potere che la Costituzione ha loro riservato.

    Il nostro Paese, va ricordato, sta pagando un peso aggiuntivo ancora più alto rispetto agli altri partner europei in termini di sospensione delle prerogative democratiche, anche con un parlamento ridotto ormai a semplice esecutore degli atti governativi.

    Le conseguenze economiche, sintesi di due anni di emergenza pandemica ai quali vanno sommati quelli attuali per la guerra in Ucraina, si stanno rivelando disastrose con l’esplosione dei costi energetici e delle materie prime la cui stessa reperibilità risulta molto problematica sul mercato internazionale.

    In soli due anni, dal 2020 al 2022, il gas è aumentato del 1637%, e solo nell’ultimo anno del 736%, determinando la perdita progressiva della competitività del nostro sistema industriale ed imprenditoriale e l’impennata dei costi delle bollette ormai assolutamente insopportabili.

    In più, l’ultima rilevazione del tasso di inflazione segna un +5,7% il quale andrà interamente a carico delle fasce della popolazione con redditi più bassi (l’inflazione è la tassa più ingiusta del panorama economico fiscale), dimostrando una volta di più come la “riforma fiscale” del 2021 voluta dal governo in carica e relativa alla rimodulazione delle aliquote IRPEF, avendo favorito le fasce reddituali tra i 40/50.000 euro, determini un ulteriore peggioramento per le fasce più deboli da risultare persino offensiva nei confronti dei cittadini meno fortunati.

    A questa situazione disastrosa il governo ha risposto quindi o con dei pannicelli caldi o peggio attuando una politica fiscale avversa alle fasce di reddito più basso mentre la Francia, la Polonia e la Germania hanno adottato l’unica soluzione appropriata in questo contesto: la riduzione della pressione fiscale soprattutto per i prodotti energetici.

    Il grande senso di tolleranza della popolazione e del mondo del lavoro risulta ampiamente superato, come dimostrano i primi blocchi dei Tir contro il caro gasolio al quale il governo sembra voglia rispondere con una riduzione dei pedaggi autostradali i quali, immancabilmente, tra un paio d’anni verranno bocciati come aiuti di Stato dall’Unione Europea.

    Al di là del valore numerico della crescita del PIL siamo all’inizio di una crisi economica senza precedenti successiva ad oltre due (2) anni di emergenza pandemica la quale ha determinato un declino sociale, politico ed economico del nostro Paese alla quale si aggiunge la stagione di guerra.

    Partendo da questa situazione drammatica, soprattutto in prospettiva, la priorità del governo in carica è invece “la riforma del catasto” o, come viene definito, “un semplice aggiornamento del catasto”, talmente semplice da indurre il Presidente del Consiglio Draghi e la sottosegretaria Guerra (Pd) a minacciare una crisi di governo.

    Un comportamento istituzionale assolutamente inappropriato ed inaccettabile perché legato alla situazione attuale che vede il nostro
    Paese all’interno di una stagione di guerra immediatamente successiva a ventiquattro (24) mesi di pandemia le cui terribili conseguenze sono drammatiche in termini sanitari, sociali ed economici.

    Tutto questo dovrebbero indurre ad una maggiore consapevolezza del momento storico attuale e quindi spingere il governo e le forze politiche
    ad una rimodulazione delle priorità della loro agenda politica e governativa.
    Mai come ora la classe politica e governativa italiana aveva dimostrato un completo disprezzo per le difficoltà della popolazione italiana.

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