guerra

  • How missiles from Yemen could escalate Israel-Gaza war

    It is well over 1,000 miles from the coast of Yemen to the Gaza Strip, and yet what happened last Sunday at the southern end of the Red Sea has the potential to dramatically escalate the war between Israel and Hamas.

    According to US Central Command, the division of the US Department of Defence that covers the Middle East, Iranian-backed Houthi rebels in Yemen carried out four attacks on three commercial ships operating in international waters. The attacks involved a combination of explosive drones and anti-ship ballistic missiles.

    The US Navy already had a guided missile destroyer in the vicinity, the USS Carney, which managed to shoot down three of the drones. Others hit their targets, causing some damage but no casualties.

    “These attacks” said the Pentagon, “represent a direct threat to international commerce and maritime security.” In a further statement it added that it believed the attacks from Yemen were “enabled by Iran”.

    The location of the attacks is significant. They took place just north of the strategic chokepoint of the Bab El Mandeb Strait, a 20-mile wide channel that separates Africa from the Arabian Peninsula and through which about 17,000 ships and 10% of global trade pass every year. Any ship passing through the Suez Canal and heading on south to the Indian Ocean has to pass this strait, close to the coast of Yemen.

    So what was behind these attacks and what exactly is the link to Gaza?

    Most of the populated parts of Yemen, including its Red Sea coast, have been under the control of a tribal militia known as the Houthis which overthrew the legitimate, elected Yemeni government in late 2014. They are backed by Iran which has allegedly been supplying them with weapons and training, including drone and missile technology, just as it has with Hamas in Gaza and Hezbollah in Lebanon.

    The Houthi coup triggered a catastrophic civil war that has dragged on for more than nine years, causing thousands of casualties and triggering a humanitarian disaster. While Iran backs the Houthis, Saudi Arabia and the UAE went to war against them in 2015, backed by the US and UK, in an unsuccessful bid to restore the internationally recognised government.

    During this war the Houthis have fired numerous long-range missiles and drones at targets in Saudi Arabia, the UAE and inside Yemen, hitting civil airports, towns and petrochemical infrastructure as well as military targets.

    Following the outbreak of the latest Israel-Hamas conflict in Gaza on 7 October, the Houthis declared their support for what they called “their brothers in Gaza” and have fired missiles and drones towards Eilat and other targets in Israel. These were intercepted by the US Navy’s USS Carney which shot them down.

    But the Houthis have also targeted any shipping which they suspect of having Israeli connections. In November they landed troops by helicopter on the deck of a cargo ship, the Galaxy Leader, and seized it. They have vowed to prevent any Israeli vessels from passing their coast and in a statement on Sunday their military spokesman said the vessels they fired missiles at were attacked because they were “Israeli”. Israel’s military denied any connection between its government and the ships but media reports say there are some private commercial links with wealthy Israeli businessmen.

    The US has said subsequently it is “considering all appropriate responses in full coordination with its allies and partners”.

    In practice, Washington will be reluctant to raise tensions any further in a region already nervous about spill-over from the war in Gaza. But if the Houthis in Yemen continue to fire missiles beyond their borders, then eventually the US may decide it needs to retaliate by targeting those missile launch sites. If that happens then there follows the risk that Iran, which supports the Houthis, could also retaliate, potentially leading to the nightmare scenario of a direct conflict between Iran and the US. For now, this is something both sides wish to avoid.

  • L’Europa si riarma: supermissile atomico per la Francia, nuova fregata per la Germania

    La Francia ha testato il missile balistico intercontinentale M51, in grado di trasportare testate atomiche. Lo ha annunciato il ministro della Difesa, Sébastien Lecornu. La versione modificata del missile può percorrere 10 mila chilometri, è mille volte più potente della bomba sganciata su Hiroshima e trasporta 10 testate atomiche, ciascuna diretta su un obiettivo diverso.

    Il missile è stato lanciato da un sottomarino a propulsione atomica dal Golfo di Biscaglia, non lontano dalla regione delle Lande di Guascogna, nella Francia sud-occidentale, ed è caduto nell’Atlantico a diverse centinaia di chilometri dalla costa.

    La Germania ha avviato la costruzione di quattro fregate multiruolo K126, con la prima unità che dovrebbe entrare in servizio nella Marina tedesca nel 2028. È quanto riferisce l’emittente radiotelevisiva “Ard”, evidenziando che si tratta del progetto “più costoso” nella storia della forza armata, con un valore di oltre 5 miliardi di euro.

    A realizzare le parti posteriori delle navi saranno i cantieri Peene di Wolgast, mentre gli altri settori verranno prodotti in quelli di Amburgo e Kiel. Alla guida del progetto vi è il gruppo per la cantieristica navale olandese Damen. Le K126 andranno ad avvicinare le quattro fregate F123 in servizio nella Marina tedesca dal 1994 e sono state sviluppate per svolgere una pluralità di compiti: dalle operazioni di superficie a quelle antisommergibile, dalle attività antipirateria alle evacuazioni. Le unità potranno essere impiegate su scala globale anche per lunghi periodi di tempo.

    Secondo la Marina tedesca, non vi è ancora nessun’altra nave da guerra in grado di svolgere l’ampia varietà di compiti per cui sono state progettate le fregate K126. Come armamento, queste unità monteranno missili antiaerei e antinave a lunga gittata, nonché un cannone da 127 millimetri.

  • Dal mare al fiume, l’idea di Israele per liberare la Palestina da Hamas

    Dal fiume al mare, dicono quelli che vogliono completare la soluzione finale lasciata incompiuta negli anni Quaranta, intendendo con quelle parole significare la cacciata di tutti gli ebrei tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, cioè la distruzione di Israele. Ma dal mare al fiume potrebbe essere chiamata l’idea di Israele per liberare la Striscia di Gaza dai terroristi del gruppo armato palestinese islamista Hamas e della Jihad islamica.

    Le operazioni delle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferito dal generale Yaron Finkelman, capo del Comando sud delle Idf, hanno condotto i soldati israeliani “nel cuore di Jabaliya, nel cuore di Shejaiya e, da oggi, anche nel cuore di Khan Younis”, la città più grande nel sud della Striscia, considerata da Israele una delle roccaforti del movimento islamista palestinese Hamas. Le Idf starebbero valutando l’ipotesi di pompare acqua di mare nella rete di tunnel di Hamas a Gaza, secondo quanto riferisce il quotidiano statunitense “Wall Street Journal”. Cinque grandi pompe sono già state montate a nord del campo profughi di Al Shati nell’ultimo mese, ciascuna in grado di pompare migliaia di metri cubi di acqua di mare nei tunnel. Da parte loro, le Brigate Qassam, l’ala armata di Hamas, hanno affermato sul loro canale Telegram di aver colpito obiettivi delle Idf nell’area di Khan Younis, distruggendo totalmente o parzialmente 24 veicoli e riempiendo di esplosivo un edificio contenente una postazione dell’esercito israeliano, causandone il completo crollo.

    Dall’inizio della guerra tra Israele e il gruppo islamista il 7 ottobre scorso, sono morti circa 1.200 civili israeliani e 9.460 sono rimasti feriti. Secondo quanto si apprende, oltre 11.500 raffiche di razzi sono state lanciate verso il territorio israeliano. È salito invece a 15.900 il bilancio dei morti negli attacchi delle Idf a Gaza dall’inizio della guerra, secondo l’ultimo annuncio della ministra della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mai al Kaila. Secondo le stime del governo di Hamas sarebbero invece 16.248.

    Proseguono nella regione le preoccupazioni per un eventuale allargamento del conflitto. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che “le atrocità commesse dall’esercito israeliano nel conflitto nella Striscia di Gaza non si devono trasformare in una guerra che coinvolge tutta la regione del Golfo”. Erdogan è intervenuto in occasione del 44esimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) in corso a Doha, in Qatar, durante il quale diversi leader regionali affronteranno varie questioni politiche ed economiche, in particolare il conflitto in corso tra il movimento islamista palestinese Hamas e Israele nella Striscia di Gaza. Nel suo intervento, Erdogan ha dichiarato: “La Turchia confida in un cessate il fuoco permanente e nella creazione di uno Stato sovrano palestinese indipendente”, aggiungendo che “l’amministrazione Netanyahu è pericolosa perché sta mettendo a rischio la sicurezza e il futuro di tutta regione del Golfo, a causa dei suoi calcoli politici errati”.

  • Per Erdogan anche in guerra c’è una legge, ma non lo ricorda a Putin

    Erdogan, riferendosi ad Israele e, come al solito, attaccandolo, dice “anche in guerra c’è una legge.”

    Perché non lo ricorda al suo amico Putin che da quasi due anni sta massacrando il popolo ucraino senza alcuna giustificazione se non la sua brama di sangue e potere!

    Secondo Erdogan sono diversi dai palestinesi i civili bombardati in Ucraina, i bambini morti o rapiti, gli ospedali o le case e le chiese rase al suolo, il grano, necessario anche ad altri paesi affamati, bruciato dalle bombe russe, le donne stuprate, i civili torturati? Certo non sono musulmani gli ucraini e forse perciò sono meno interessanti per il leader turco che continua, nonostante l’età, a sognare di essere un riunificatore del mondo arabo e musulmano mentre nelle sue carceri sono detenuti giornalisti, uomini di pensiero, un gran numero di coloro che non la pensano come lui, come ogni dittatore imprigiona la protesta per non confrontarsi con la realtà ma non si possono, in eterno, far stolti gli dei per far brillare come giuste le proprie colpe.

  • Inutili oggi i se ed i ma

    In un giorno Hamas, il 7 ottobre, ha ucciso 1400 persone in Israele, donne stuprate ed uccise con bambini, vecchi, uomini che stavano facendo  la loro vita.
    In 35 giorni di guerra Israele ha ucciso, secondo i dati, da verificare, diffusi da Hamas, circa 10.000 persone, una parte di queste sono miliziani e dirigenti di Hamas.
    Se Israele avesse applicato i sistemi di Hamas, non con la crudeltà dei terroristi ma con più energiche azioni di guerra, seguendo i numeri e le percentuali del 7 ottobre, i morti sarebbero stati quasi 50.000, ma sembra che nessuno faccia qualche calcolo.
    Se Hamas non avesse attaccato ed ucciso i civili israeliani non ci sarebbero stati, nella striscia di Gaza, né morti né la distruzione di gran parte della città.
    Se Hamas non avesse impedito ai civili di scappare non ci sarebbero stati tante vittime civili, se Hamas non avesse costruito i tunnel sotto case, scuole, ospedali non ci sarebbero stati così sanguinosi bombardamenti, se avesse fatto riparare i civili, come ha fatto l’amministrazione Ucraina, le vittime sarebbero molte meno.
    Se i palestinesi di Gaza, o almeno una parte di loro, si fosse ribellata al dominio di Hamas, che li ha fatti vivere nella miseria utilizzando gli aiuti economici per armarsi sempre di più invece che per far vivere meglio la popolazione, avesse denunciato e almeno tentato di impedire la costruzione dei tunnel e dei depositi delle armi sotto gli ospedali e le case.
    Se Hamas con i suoi alleati, a partire dall’Iran, avessero riconosciuto lo Stato di Israele.
    Se, se, inutili oggi i se ed i ma, la realtà è quella che è: Hamas è responsabile per quanto ha fatto il 7 ottobre e per le conseguenze che ne sono derivate nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, Israele ha il diritto di difendersi ed il dovere di cercare di difendere anche quella popolazione civile palestinese che Hamas usa come scudi umani mentre Abu Mazen aveva ed ha il dovere di condannare Hamas se vuole impedire che altri morti insanguino la Cisgiordania, oltre la striscia di Gaza.

    La realtà è che Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, Hamas è stata la lunga mano utilizzata per realizzare un disegno più ampio che ha un duplice obiettivo: 1)cercare di distruggere per sempre lo Stato di Israele, 2) tentare di unire il più possibile la parte integralista del mondo arabo-mussulmano per mettere in minoranza i governi moderati e lanciare una sfida a tutto campo all’Occidente.
    Ci sono in gioco valori fondamentali come la libertà, i diritti umani, il rispetto delle culture e interessi di potere ed economici di grande portata.

    L’Islam integralista con aspirazioni egemoniche è presente in molti paesi, dall’Asia all’Africa, e sue cellule terroriste vivono e ramificano in occidente supportate dalla mancanza di visione di molti governi e dalla ingenuità di chi parla di pace senza accettare che, per mantenere la pace, bisogna rispettare regole e territori.
    In questa che sta diventando una guerra a tutto campo vi sono  anche chiare responsabilità della Russia, della Cina e dell’Onu diventata da anni un organismo pletorico incapace di difendere i principi  del diritto internazionale anche al proprio interno, come si è visto già dalla guerra in Ucraina.
    Comincino a pensare a questo coloro che sfilano senza accorgersi che anche le bandiere della pace sono ormai insanguinate dai distinguo tra i morti dell’una o dell’altra parte.

  • Sudan conflict: Thousands flee fresh ethnic killings in Darfur

    Thousands of people have been forced to flee the Sudanese region of West Dafur amid fears of ethnic cleansing, a medical charity says.

    Witnesses have accused the paramilitary group Rapid Support Forces (RSF) of targeting and killing non-Arabs, with reports of hundreds of deaths.

    This comes after the RSF captured the Sudanese army headquarters in West Darfur capital of El Geneina.

    The RSF says it is not involved in what it describes as a “tribal conflict”.

    It has been battling the army for control of the country since April.

    Medecins Sans Frontieres (MSF) says that most of the 7,000 people who have crossed into Chad in the past three days are women and children who are fleeing with nothing.

    Hatim Ali, a local human rights monitor, said he had fled to Chad after the RSF and allied militias arrived on horses, camels and motorbikes and besieged Erdamta, just across a river from El Geneina.

    He said they “killed so many men and raped a lot of women”, adding that hundreds of people may have been killed.

    Since the capture of El Geneina, the RSF and allied Arab militias have been accused of murdering ethnic Masalit people, looting homes and raping women.

    The RSF and Arab militia even reportedly attacked a camp for internally displaced people in Erdamta, where some 800 people are said to have been killed.

    A man who fled the camp with his family before the attack told the BBC: “I’m still alive, but I lost a lot”.

    Alaa Babikr, a resident of El Geneina, told the BBC that civilians had no way to escape the fighting.

    While many people have fled to Chad, thousands remain trapped in Sudan as Arab militias demand huge sums of money to cross the border, an aid worker told BBC.

    Pierre Honnorat, the head of the World Food Programme (WFP) in Chad, told the BBC the key challenge was feeding the thousands of refugees.

    “We need support, and we need it now. We do need to secure a meal a day to them all. They have nothing,” he said.

    The RSF originated in Darfur and has been accused of atrocities against non-Arabic groups in the region during this year’s conflict.

    The paramilitary group has been gaining more territory in Darfur since the beginning of this month, taking control of four of the region’s five states.

    Peace talks in Saudi Arabia have been unfruitful as efforts to secure a ceasefire have failed, according to Reuters.

    The UN refugee agency says “an unimaginable” humanitarian crisis is unfolding in Sudan.

    Nearly six million people have been forced from their homes since the war began.

  • La memoria corta

    Il 5 ottobre la Russia, con un attacco missilistico contro il villaggio ucraino di Hroza, ha ucciso 59 persone, 36 donne, 22 uomini e un bambino che partecipavano ad una veglia funebre.

    Sempre soldati russi avevano ucciso, nel Donbass occupato dall’esercito di Mosca, 9 componenti di una famiglia che stava festeggiando un compleanno.

    Due casi che sono gocce nel mare di sangue nel quale il popolo ucraino cerca di non affogare da quando Putin ha iniziato la sua crudele guerra contro una nazione libera ed indipendente.

    La memoria degli uomini è sempre più corta così, mentre assistiamo con dolore alla morte di civili nella striscia di Gaza, civili che Hamas ha usato ed usa come scudi umani, abbiamo già relegato in ricordi lontani la strage di Bucha e le altre tante, troppe tragedie che l’Ucraina sta vivendo con intere città rase al suolo, centinaia di bambini morti, centinaia di bambini feriti ed altrettante centinaia di bambini rapiti, deportati  in Russia.

    L’Ucraina non era un pericolo per la Russia quando Putin ha deciso di attaccarla annettendone, in modo violento e fraudolento, interi territori. Gli ucraini hanno non solo il diritto ma il dovere di difendersi e così facendo difendono il diritto internazionale, la libertà ed il futuro anche degli altri paesi europei.

    Israele non era un pericolo per i palestinesi, se i musulmani integralisti radicali avessero riconosciuto Israele, come la comunità  internazionale chiede da anni, anche i palestinesi oggi avrebbero uno stato riconosciuto, libertà ed indipendenza.

    Israele non era un pericolo ma da anni Hamas costruiva tunnel per attaccarla e in quel tragico 7 ottobre è entrata, con i suoi terroristi, sul suolo israeliano per commettere atrocità che solo dei mostri imbottiti di droga e con pietre al posto del cuore potevano compiere.

    Oggi quello spaventoso giorno, che ha visto anche bambini decapitati e bruciati vivi, sembra già dimenticato da quanti ricordano solo i civili morti a Gaza senza chiedersi come nessuno nelle striscia abbia visto, per anni, costruire i tunnel o si sia chiesto dove finivano i soldi, i molti soldi, dati ad Hamas per il popolo palestinese e che sono invece stati usati per comperare e costruire armi di attacco e per far vivere lussuosamente, all’estero, i capi  del terrorismo jihadista.

    Memoria corta, troppo corta ma noi non dimentichiamo chi ha tentato di distruggere l’Ucraina, chi sta tentando di distruggere Israele e tenteremo sempre di far tornare la memoria a chi trova comodo dimenticare.

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • In memoria di Bambotto e non solo

    Bambotto era un bellissimo cervo di cinque anni che, come sua madre, amava, ricambiato, gli umani, mangiava dalle loro mani quando andava a trovarli facendo sorridere grandi e piccoli in quella che non era una favola ma la realtà.

    Bambotto è stato ucciso da un giovane cacciatore, la madre di Bambotto era da tempo, misteriosamente, scomparsa, forse aveva fatto la sua stessa fine.

    Perché occuparci di un cervo mentre i miliziani di Hamas hanno decapitato, bruciato tanti bambini israeliani e tanti bambini palestinesi muoiono sotto le bombe necessarie per tentare di distruggere il terrore e la perfidia che gli jihadisti rappresentano non solo per Israele?

    Perché parlare di un cervo assassinato mentre Putin da quasi due anni sta facendo assassinare tanti ucraini?

    Perché un assassinio è sempre un assassinio e quando la morte è procurata da una persona giovane, come il cacciatore che ha ucciso Bambotto, non possiamo che chiederci da cosa nasce tanta voglia di uccidere, tanta crudeltà e mancanza di rispetto verso il miracolo della natura, tanta indifferenza per le molte persone che amavano Bambotto e dividevano con lui momenti di vita e serenità.

    Siamo convinti che le atrocità alle quali assistiamo, in questi tempi di guerre sempre più efferate, nascano propria dalla cultura della violenza, dalla mancanza di rispetto per la vita, dall’ incapacità di provare empatia, da una povertà d’animo che ci porta, ancora una volta, a dire che l’essere più feroce sulla terra è l’essere umano perciò non chiamiamo lupi solitari gli assassini terroristi, chiamiamoli con il loro nome: mostri umani.

    Mettiamo giù, qualche volta, i nostri strumenti informatici e proviamo a guardare quello che ci circonda, persone, animali, natura, proviamo a risvegliare quei sentimenti che abbiamo perduto e forse anche questo nostro nuovo modo di essere darà una mano a sconfiggere l’odio e il terrorismo.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

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