guerra

  • Scorte europee di gas già ok da agosto

    Le riserve di gas dell’Unione europea sono arrivate ad essere piene al 90%, due mesi e mezzo prima della scadenza prevista il primo novembre. Lo ha riferito la Commissione europea, specificando che tali dati mostrano come il blocco comunitario sia “ben preparato” in vista della stagione invernale. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della drastica riduzione delle forniture russe, i Paesi membri dell’Ue hanno adottato a giugno del 2022 un quadro legislativo che obbliga a raggiungere collettivamente un tasso di riempimento dei loro depositi di gas del 90% il primo novembre di ogni anno. Secondo i dati aggregati di Gas Infrastructure Europe (Gie), un’associazione che riunisce gli operatori europei delle infrastrutture del gas, oggi in media gli impianti di stoccaggio europei erano pieni al 90,12%, circa 93 miliardi di metri cubi in totale.

    I livelli variano a seconda del Paese, dal 77% in Lettonia a oltre il 99% in Spagna, con la Francia che mostra un tasso dell’84% mentre l’Italia si attesta sopra la media: il 13 agosto è stata superata la quota 90%, mentre secondo l’ultimo rilevamento il riempimento degli stoccaggi di gas nazionali è salito ora al 90,62%.

    “L’Ue è ben preparata per l’inverno, questo contribuirà a stabilizzare ulteriormente i mercati (dell’energia) nei prossimi mesi”, ha affermato la Commissario europea per l’Energia Kadri Simson commentando gli ultimi dati. “La Commissione continuerà a monitorare la situazione per garantire che i livelli di stoccaggio rimangano sufficientemente alti con l’avvicinarsi dell’inverno”, ha affermato Simson.

  • “Dure risposte”

    “La parte russa si riserva il diritto di adottare dure misure di risposta” per gli attacchi con droni su Mosca e sulla Crimea.

    Riesce difficile, se non si è Putin od uno dei suoi stretti collaboratori, capire la logica per la quale se i russi colpiscono Kiev, Odessa, tutto il territorio ucraino, ammazzano, seviziano, distruggono, in speciale modo abitazioni civili, chiese, ospedali, scuole, silos per il grano, luoghi per le derrate alimentari etc, gli ucraini e noi dovremmo trovarlo più o meno normale mentre se gli ucraini, od altri, mandano droni su Mosca o colpiscono la Crimea i russi hanno il diritto di adottare dure risposte.

    Diventa anche difficile capire cosa intendano i russi per dure risposte dopo avere fatto scempio di uno stato libero e sovrano distruggendo tutto quello che riuscivano, dopo aver deportato migliaia di bambini, distrutto gran parte delle riserve alimentari che servono a popoli affamati, impedito il traffico di navi che trasportano il grano causando altre tragedie in altri paesi, cosa devono fare ancora!

    Hanno già fatto, continuano a fare, non penseranno di stupirci con le loro minacce, ormai chi è in buona fede li conosce bene e chi è in mala fede continua come prima magari aspettandosi qualche rublo in premio.

  • Continuano le morti ‘misteriose’ a Mosca

    Dopo la morte “misteriosa” dell’oligarca Kudryakov trovato senza vita, nei giorni scorsi, nel suo appartamento di Mosca ora è la volta di Anton Cherepennikov, milionario con legami con i servizi segreti russi e proprietario della Russia IKS holding, la più grande azienda russa di informatica, intercettazioni, sistemi operativi investigativi.

    L’azienda è stata usata  dall FSB, il servizio di sicurezza federale per condurre intercettazioni telefoniche.

    Continuano le morti sospette di molte persone collegate a Putin, sospette si fa per dire ovviamente visto che la loro morte non è ovviamente una punizione divina ma umana e che è noto come Putin, da sempre, non abbia remore a far sparire chi è diventato, per qualsivoglia motivo, scomodo o pericoloso.

  • Togliamo a Putin l’arma del grano

    Fino a qualche anno fa chi deteneva il petrolio aveva in mano il futuro di altre nazioni, poi è venuto il tempo delle terre rare, senza le quali il nostro moderno sistema di vita si inceppa, e del nucleare, che da minaccia reciproca, ma controllata, impediva alle grandi potenze di annientarsi vicendevolmente e consentiva alle altre di avere l’energia necessaria, anche se spesso rischiosa.

    Nessuno si era reso conto che la vera potenza è detenere le materie alimentari, le strutture per coltivare, produrre, conservare ed esportare quegli alimenti primari senza i quali molte popolazioni sono destinate alla carestia ed alla morte per fame.

    Anche negli anni scorsi si sapeva quanta disperazione stringeva d’assedio paesi più poveri: la mancanza di acqua e, conseguentemente, di cibo è stata causa anche di varie sommosse e rivoluzioni oltre che una ovvia spinta inarrestabile all’immigrazione.

    La guerra che Putin ha portato e continua, con immutata ferocia, a portare in Ucraina si è tramutata in una guerra a tutto campo con la nuova decisione di sospendere l’accordo sul grano che porta la conseguenza, a lui ben nota, di provocare altra fame e disperazione in molti paesi i quali necessitano di quel grano, russo od ucraino che sia, per continuare a sopravvivere.

    La sospensione dell’accordo, oltre a portare nuova fame e disperazione, avrà l’ovvia conseguenza di moltiplicare l’esodo di massa, che già avviene dai paesi più poveri, verso l’Europa: un’immigrazione sempre più massiccia e incontrollabile è la potente arma di Putin contro l’Occidente, specie europeo.

    La sospensione dell’accordo sul grano è l’arma di ricatto e di pressione che potrebbe spingere, in breve, paesi non occidentali, ma che sono stati favorevoli a sostenere la resistenza Ucraina, a cambiare posizione e a fare pressioni, nelle sedi internazionali, per una soluzione al conflitto anche accettando le imposizioni russe.

    Non dimentichiamoci che a Bruxelles paesi dell’America Latina hanno già manifestato, nei giorni scorsi, il loro pensiero in merito al proseguimento di aiuti all’Ucraina.

    Il cibo è un arma spaventosa e non può essere lasciata alla Russia, noi stessi non siamo in grado, come non lo eravamo per l’energia, di essere autosufficienti.

    È urgente che, mentre si useranno tutti i mezzi possibili per tornare a fare rispettare l’accordo sul grano, si comprenda la necessità, in sede nazionale ed europea, di una nuova politica agricola che metta a regime tutta la terra possibile per le coltivazioni di interesse europeo ed extra europeo e che si trovino nuovi modi di cooperazione con quei paesi che potrebbero coltivare meglio se avessero l’acqua e maggiori strumenti di produzione.

  • Il gioco degli specchi

    Come avevamo avuto modo di scrivere sul Patto Sociale del 25 giugno la pseudo marcia della Wagner verso Mosca non era che una nuova pirotecnica azione di contro controinformazione.

    Prigozhin non è il super ricercato nascosto in Bielorussia, o chissà dove, ma è stato a Mosca dove si è intrattenuto in un lungo colloquio, con disamina di varie situazioni, per più di tre ore, con lo zar Putin, con lui anche diversi massimi esponenti del suo esercito privato.

    Intanto nelle ultime settimane vi sono state sparizioni di noti esponenti militari e non, misteriosi, si fa per dire, silenzi e nuove iniziative e manovre sono in corso da giorni.

    Non è un mistero che da molti anni Putin e Prigozhin abbiano agito di comune accordo essendo sempre di reciproco sostegno!

    Troppi gli interessi economici e politici che condividono non solo in Russia ma in tutti quei paesi dove in questi anni, per ordine del capo del Cremlino, la Wagner ha sostenuto dittatori, contrastato i dissidenti, commesso atrocità, occupato territori e si è impadronita di immense ricchezze non solo minerarie.

    Oggi sopprimere Prigozhin lascerebbe un numero spropositato, si parla di più di cinquantamila, soldati mercenari pronti a tutto, sia a vendicare il capo che a prendere iniziative, personali o di gruppo, non controllabili vanificando tutta l’attività di controllo su diversi Paesi africani che Putin ha messo in piedi, un disastro politico oltre che economico.

    Come avevamo scritto Putin, per quanto indebolito da una guerra tragica, che si è ritorta contro di lui non solo sul piano internazionale, sa bene che proprio la presenza della Wagner può essere una garanzia anche contro dissensi interni che, seppur sott’acqua, diventano sempre più pericolosi.

    Prigozhin resta la lunga mano del capo della Russia, disponibile a fare quanto anche altri sanguinosi amici di Putin non sarebbero in grado di fare, non fosse altro perché mancano di un esercito privato, di contatti in vari paesi e di immense ricchezze, che condivide come sempre, con lo stesso presidente

    Ora i due sodali hanno dato vita ad un nuovo gioco degli specchi, specchi che riflettono non quello che c’è ma quello che si vuole che gli altri vedano, per ricominciare tutto da capo, un’altra volta mettendo in funzione l’arte antica ed imbattibile che è una delle forze più incontrollabili di quello che fu il potere degli zar, il potere della repubblica sovietica ed ora della Federazione Russa: l’inganno, tramutare l’apparenza in realtà e la realtà in apparenza.

  • Un bel tacer non fu mai scritto

    Siamo abituati da tempo, molto tempo, alle notizie contrastanti, alle smentite, ai proclami, alle minacce, alle contro controinformazioni che arrivano dalla Federazione Russa, sappiamo che in periodo di guerra anche da altre parti si annunciano e smentiscono interventi di vario genere ma restiamo un po’ perplessi di fronte agli annunci di aiuti militari a Kiev poi smentiti o corretti in modo sostanziale.

    Diceva un vecchio detto “un bel tacer non fu mai scritto” e noi restiamo del parere che, durante una guerra, una crisi internazionale, un momento di tensione, pur rispettando il dovere degli organi di informazione di informare, bisognerebbe usare maggiore prudenza e fare uso di quel silenzio necessario a portare a termine operazioni delicate.

    Credo che a pochi abbia fatto piacere apprendere la notizia, vera o falsa, che si volevano fornire all’Ucraina, dagli Stati Uniti, quelle famose bombe a grappolo che la Russia ha abbondantemente usato dall’inizio dell’invasione e il cui uso tutti abbiamo contestato come crimine di guerra, bombe a grappolo messe al bando per la pericolosità che avranno, anche dopo la fine del conflitto, per la popolazione civile, soprattutto per i bambini.

    Oggi sembra vi sia una nuova dilazione per l’invio degli aerei che Kiev chiede da sempre e che, finalmente, sembrava sarebbero stati consegnati.

    La minaccia nucleare continua ad incombere su tutti mentre, risulterebbe, che a Prigozhin siano stati riconsegnati i molti beni sequestrati dopo la surreale marcia verso Mosca.

    Sul futuro del capo della Wagner si fanno le più diverse ipotesi ma è il presente che deve indurci a riflettere per capire, o almeno provare a decodificare, il messaggio che arriva dalla cosiddetta ribellione poi rientrata.

    Se Putin, come alcuni sostengono, è diventato più debole difficile dichiarare con certezza che può fare a meno della Wagner e la Wagner difficilmente può fare a meno di Prigozhin e dei molti rapporti, contatti, ricchezze che lo stesso ha accumulato in molti paesi africani.

    Non è fantapolitica immaginare che Putin e Prigozhin possano essere ancora molto uniti e che il cosiddetto cuoco del Cremlino abbia sostenuto una parte difficile e pericolosa ma in accordo, almeno parziale, con il suo amico presidente.

    Certo nessuno dei due si fiderà completamente dell’altro ma entrambi hanno bisogno sia di stanare nemici interni e coperti sia di trovare una via d’uscita al labirinto nel quale sono finiti.

    Non giova però all’Occidente e al futuro di libertà, pace, rispetto delle regole internazionali, vedere che proprio paesi occidentali si prestano a dare e smentire notizie ed interventi come se il germe della menzogna avesse superato, come in Russia, ogni livello di guardia.

    Sì un bel tacer non fu mai scritto ma sarebbe ora che tanti leader, a vario livello, tante agenzie di intelligence, e tanti operatori dei media capissero che in certi momenti tacere è meglio.

  • Niente è come appare e come si vuol far credere

    Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere.

    Jean Cocteau

    “Non è un colpo di Stato, ma una marcia di giustizia”. Così dichiarava e garantiva nelle prime ore della mattina del 24 giugno scorso il proprietario e comandante del gruppo militare di mercenari Wagner. Ed ha aggiunto convinto: “Andremo fino in fondo”. Lo ha fatto mentre si trovava a Rostov sul Don, una città nel territorio russo che si trova vicino all’Ucraina. Una città che, vista la sua posizione geografica, ha un’importanza strategica particolare per le sorti della guerra in corso dal 24 febbraio 2022. Quanto accadeva in Russia in quelle ore, ma anche in seguito, ha tenuto con il fiato sospeso gli stessi russi, l’opinione pubblica internazionale e le più importanti cancellerie del mondo. Per tutta la giornata di sabato scorso, le notizie di quello che stava accadendo in Russia hanno preso tutto lo spazio mediatico. Ed era più che comprensibile, visto che si trattava di una marcia di un numeroso e ben noto contingente militare verso la capitale della Russia. Una marcia di truppe di mercenari che, dall’inizio della guerra in Ucraina, hanno determinato gli sviluppi sul campo. In più, si trattava di una ribellione messa in atto da uno dei più stretti collaboratori del dittatore russo. Colui che, oltre ad essere un collaboratore, si vantava anche della “stretta amicizia” con il presidente. Ovviamente tutti sanno che lui non è uno stinco di santo, anzi!

    Quando era ancora giovane lui era stato condannato per furti e rapina, frode e coinvolgimento di minori nella prostituzione. In seguito, dopo aver avviato la sua attività vendendo cibi di strada e poi con dei negozi alimentari, è diventato noto per alcuni suoi lussuosi ristoranti a San Pietroburgo. E proprio in quei suoi ristoranti il dittatore russo aveva ospitato illustri ospiti internazionali. L’attuale proprietario del gruppo militare Wagner ha vinto molti appalti milionari per fornire pasti alle scuole e all’esercito russo. Si è inserito con successo anche nel campo delle attività informatiche. Nel 2013 fonda la società militare Wagner, composta da mercenari, carcerati, veterani delle forze armate e dei servizi segreti russi, ma anche da altri Paesi dell’Europa orientale. Nel 2014 l’appena costituito gruppo Wagner prese parte nella guerra del Donbass. In Ucraina il gruppo ritornò dopo l’aggressione russa del 24 febbraio 2022. I mercenari del gruppo Wagner, facendo sempre “il lavoro sporco”, hanno preso parte attiva anche nei conflitti in Libia, Siria, Mali ed altri Paesi africani. Ed è proprio in Africa che il proprietario del gruppo ha investito anche nell’industria mineraria. Nel frattempo la “collaborazione attiva” e la “stretta amicizia” tra il dittatore russo ed il proprietario del gruppo militare Wagner sono state rafforzate. Ovviamente tutti sanno che anche il dittatore russo non è uno stinco di santo, anzi! Ma i due si sono trovati da anni e poi hanno stabilito “con molta naturalezza” i loro rapporti. Si potrebbe dire che il caso abbia voluto che i loro interessi si incrociassero. Ne erano convinti i saggi dell’antichità e lo affermava anche Cicerone: “Pares cum paribus facillime congregantur”. Un detto che, come testimoniano le innumerevoli esperienze umane, vissute e sofferte dalla notte dei tempo ad oggi, conferma: “Ciascuno frequenta il suo simili con facilità”. Si, perché chi si somiglia si piglia.

    Sabato scorso, mentre il suo “stretto amico e collaboratore” marciava verso la capitale, il dittatore russo si è rivolto alla nazione con un discorso trasmesso dai media. Senza mai nominare il capo dei mercenari del gruppo Wagner, e ha ribadito che “il nome e la gloria degli eroi della Wagner che hanno combattuto nell’operazione militare speciale in Ucraina e hanno dato la vita per l’unità del mondo russo sono stati traditi da coloro che hanno organizzato la ribellione”. Il presidente russo, durante il suo discorso alla nazione di sabato scorso ha sottolineato, riferendosi sempre al suo ormai ex “stretto amico e collaboratore”, che “ambizioni esorbitanti e interessi personali hanno portato al tradimento della Russia e del popolo russo”. Poi riferendosi alla storia, il dittatore russo ha ricordato che “Questo colpo è stato dato al popolo russo anche nel 1917 quando combatteva la prima guerra mondiale, quando la vittoria gli è stata praticamente rubata”. Aggiungendo, parlando di guerra civile, sia nel 1917 sia adesso, che “…i russi uccidevano altri russi, i fratelli uccidevano altri fratelli. I vari avventurieri politici hanno tratto vantaggio da questa situazione. Noi non permetteremo la ripetizione di una situazione del genere”. L’annunciata “marcia su Mosca” il dittatore russo la ha considerata una “pugnalata alle spalle”, affermando: “Quello che stiamo affrontando e’ un tradimento. Gli interessi personali hanno portato al tradimento del nostro Paese e alla causa che le nostre forze armate stanno combattendo”. Ovviamente, chi aveva preparato il discorso del presidente è stato attento a dare anche dei messaggi rassicuranti. “Difenderemo il nostro popolo e il nostro Stato da ogni tradimento interno”, ha detto il presidente e dittatore russo. Immediata è stata anche la replica del proprietario e comandante del gruppo militare di mercenari Wagner, il diretto accusato senza essere mai stato nominato. Riferendosi al suo ex “caro amico”, ha detto che lui Si sbaglia, io non sono un traditore, basta con la corruzione e la menzogna”.

    Nel frattempo però, mentre i due ex “amici” si scambiavano delle accuse reciproche, a Mosca venivano prese delle misure di sicurezza. Sono stati rafforzati molti punti di ingresso nella capitale e sono stati evacuati diversi musei e centri commerciali. I cittadini sono stati invitati a rimanere a casa ed in più, il sindaco della capitale ha deciso di dichiarare il lunedì 26 giugno una giornata non lavorativa. Sempre sabato scorso il ministero degli Esteri russo ha avvertito i Paesi occidentali di non approfittare dalla situazione in corso. “Stiamo mettendo in guardia i Paesi occidentali contro qualsiasi accenno di un potenziale utilizzo della situazione interna russa per il raggiungimento dei loro obiettivi russofobici. Tali tentativi sono privi di prospettive e non saranno incoraggiati ne’ in Russia, ne’ tra le forze politiche di buon senso all’estero.” si leggeva in un comunicato del ministero. Nello stesso comunicato si affermava che “tra non molto la situazione troverà una soluzione degna della secolare saggezza del popolo russo e dello Stato russo”, In più si rassicurava che “La Russia continuerà il suo corso sovrano per garantire la sua sicurezza, difendere i suoi valori, rafforzare la sua autorità sulla scena globale, formare un giusto ordine mondiale multipolare”. E sempre sabato scorso, mentre i mercenari del gruppo Wagner si stavano avvicinando a Mosca, il Patriarca Kirill ha invitato i russi a pregare per il presidente russo. Lui non a caso ha scelto di parlare, nella sua omelia, del “tradimento e delle sue conseguenze”. E anche il Patriarca, come il dittatore russo nel suo discorso alla nazione, ha fatto riferimento a quello che viene considerato come l’odiato “Occidente collettivo”. Proprio quell’occidente che “vorrebbe portare un Paese cosi’ ricco e forte nell’orbita della propria influenza”. Il Patriarca Kirill ha invitato tutti a pregare per il presidente russo “affinche’ il Signore rafforzi, illumini, protegga dai peccati e dagli errori e, allo stesso tempo, ispiri azioni che portino alla protezione della nostra Patria da tutte le minacce esterne, forse anche le più pericolose e terribili”.

    Sabato pomeriggio però la marcia dei mercenari del gruppo militare Wagner è stata fermata. Chissà perché?! Si sa ormai però che un altro amico e stretto collaboratore del dittatore russo, il presidente della Bielorussia si è proposto come mediatore tra le parti. Una simile iniziativa non poteva però essere stata presa senza il consenso, se non, addirittura, senza la richiesta del presidente russo. Anche perché si trattava di una situazione veramente seria e pericolosa. E nel caso di un accordo raggiunto, non si potevano dare delle garanzie senza il beneplacito della parte russa, cioè del presidente. Sabato pomeriggio l’ufficio stampa della presidenza bielorussa ha confermato che i negoziati tra il proprietario del gruppo Wagner ed il presidente bielorusso “sono andati avanti tutto il giorno”. L’ufficio stampa della presidenza bielorussa ha altresì confermato che “sono giunti ad accordi sull’inammissibilità di scatenare un sanguinoso massacro”. In più il comandante del gruppo Wagner “ha accettato la proposta del presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko di fermare l’avanzata di membri armati della compagnia Wagner sul territorio russo e di compiere ulteriori passi per allentare le tensioni”. In seguito, sempre nel pomeriggio di sabato scorso, sono state rese note le richieste del proprietario del gruppo Wagner. Lui confermava di non voler cambiare il presidente della Russia e neanche le autorità centrali ed il sistema costituzionale della Federazione Russa. Il comandante del gruppo Wagner, come risulta dalle richieste rese note sabato scorso, “…è tenuto ad ottenere la guida del ministero della Difesa russo”.

    Dopo queste dichiarazioni ed altre “garanzie” ottenute durante i negoziati tra il capo del gruppo Wagner ed il presidente bielorusso, il contingente dei mercenari ha fermato la sua avanzata verso la capitale. E non solo hanno fermato la loro avanzata, ma hanno cominciato la loro ritirata verso le loro basi. Una simile decisione è stata presa, secondo il proprietario del gruppo Wagner, perchè, “…è arrivato il momento nel quale si rischia di versare sangue russo”. Aggiungendo: “Oggi non abbiamo versato una sola goccia del sangue dei nostri combattenti”. Allo stesso tempo però il proprietario del gruppo militare di mercenari Wagner, riferendosi ai suoi avversari a Mosca, ministro della Difesa compreso, ha dichiarato che loro “Volevano sciogliere Wagner. Siamo partiti il 23 giugno per la ‘Marcia della giustizia’. In un giorno abbiamo marciato a poco meno di 200 km da Mosca”. Alla fine, “rendendoci conto di tutta la responsabilità per il fatto che il sangue russo verrà versato”, lui ha confermato: “stiamo girando le nostre colonne e partendo nella direzione opposta, verso i nostri campi, secondo il piano”. Allo stesso tempo il comandante del gruppo militare di mercenari Wagner ha avuto la garanzia che non sarà processato in Russia per aver organizzato ed attuato il tentativo del colpo di Stato. E “visti i loro meriti sul fronte ucraino”, non saranno processati neanche i mercenari che avevano seguito il loro comandante nella loro “marcia su Mosca”. Così ha dichiarato sabato scorso il portavoce del presidente russo. Aggiungendo anche che “…Alcuni di loro, se lo desiderano, firmeranno contratti con il ministero della Difesa”. Così si è conclusa sabato pomeriggio la “marcia su Mosca” del contingente militare dei mercenari del gruppo Wagner, guidati dal loro comandante. Da colui che, fino a pochi giorni fa, era ancora uno “stretto collaboratore ed amico” del dittatore russo. Si tratta però di “amicizie” basate su degli interessi che possono cessare appena cessano gli interessi. Sia tra singole persone, sia tra dei “rappresentati politici ed istituzionali”, ma anche tra cancellerie, per delle “ragioni di Stato”. “Ragioni” che, in realtà, sono sempre legate a degli interessi geopolitici e geostrategici.

    Nel frattempo Pechino ha garantito che “…in qualità di vicino amichevole e partner di cooperazione strategica globale nella nuova era, la Cina sostiene la Russia nel mantenere la stabilità nazionale e nel raggiungere lo sviluppo e la prosperità”. Un simile appoggio alla Russia lo ha dichiarato anche l’Iran. Mentre le cancellerie occidentali sono state prudenti con le loro dichiarazioni durante e dopo la fine della “marcia su Mosca”, attuata sabato scorso dal comandante dei mercenari del gruppo Wagner. Dagli Stati Uniti d’America è arrivata la conferma che “non sono stati coinvolti e non saranno coinvolti in questa situazione”. Mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha detto che “non abbiamo la sfera di cristallo per sapere che cosa succederà. […]. Bisogna essere molto prudenti”.

    Chi scrive queste righe pensa che è ancora molto presto per sapere tutto quello che ha portato alla “marcia su Mosca” di sabato scorso. Ma egli è convinto che niente è come appare e come si vuol far credere. Aveva ragione Jean Cocteau: “Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere”. E non solo riferendosi all’apparenza delle singole persone, ma ben altro e ben oltre.

  • Il gioco delle parti

    Putin, con la scellerata guerra che ha portato in Ucraina, non ha soltanto ucciso civili, deportato bambini, seviziato donne, distrutto intere città, condannato alla fame anche altri popoli, procurato una tragedia ambientale che si è riversata e si riverserà per anni su gran parte del pianeta, ma ha anche mandato al massacro centinaia di migliaia di russi trascinando il suo Paese in una crisi profonda.

    Prigozhin è il padrone di una milizia sanguinaria che prima di portare le sue efferatezze in Ucraina ha insanguinato, per seguire gli interessi ed i voleri di Putin, tanta parte dell’Africa e di altri Paesi.

    Putin è un dittatore che ha violato il diritto internazionale, che da sempre ha impedito, in Russia, ogni espressione di libertà: per suo ordine sono stati ammazzati ex amici e collaboratori anche fuori dal territorio della Federazione Russa e si è arricchito smodatamente ai danni della sua popolazione.

    Prigozhin è un oligarca di grande potenza economica, privo di scrupoli e assettato di potere, almeno quanto Putin, e oggi sta giocando la sua carta: chiede alla popolazione, all’esercito di ribellarsi alla catastrofe voluta dall’ex amico e padrone o, in un gioco delle parti, fa un altro servizio al capo del Cremlino?

    Entrambi più o meno vengono dal nulla ma con una volontà implacabile, un cinismo esasperato, una preponderante vena sanguinaria ed una dose considerevole di furbizia e spregiudicatezza sono arrivati, nei rispettivi ruoli, ai massimi livelli.

    E’forse giunto il tempo della resa dei conti, ed i conti si fanno quando il capo è più vecchio e più debole, o semplicemente è una manovra per ottenere altra libertà di movimento, la testa di qualcuno, generale o ministro, scomodo ad entrambi ? O l’alibi per arrivare finalmente a mettere i presupposti per una trattativa di cessate il fuoco, se non di pace, o per scatenare una ancora maggior repressione interna?

    O anche questa fase che sembrava preannunciare l’avvio di una guerra interna è invece l’ennesima matrioska?

    E’, ancora una volta, un’operazione di contro controinformazione?

    Un’apparente ribellione per sconfiggere altri nemici interni o, soprattutto, per confondere la Nato e gli ucraini?

    Può essere tutto e il contrario di tutto come siamo abituati da tempo a vedere, senza mai imparare, fino in fondo, cosa si cela dietro le minacce od i sorrisi degli uomini di potere, non solo in Russia.

    Il ruolo del presidente bielorusso è quello di pontiere o la paura di una rivolta popolare potrebbe portare Lukashenko  a scelte diverse da quelle che Putin dà per scontate?
    Sappiamo che, da sempre, il compromesso fa parte della vita e specialmente della politica, la ragion di stato è superiore a qualunque considerazione morale, bisogna saper fare di necessità virtù come ha dimostrato l’alleanza con Stalin fatta prima da Hitler e poi dagli alleati per sconfiggere Hitler. La ragion di stato per Putin è mantenere il suo potere oggi sempre più vacillante sia per la coraggiosa resistenza Ucraina, appoggiata da tutto il mondo libero, che per le più variegate e nuove opposizioni interne.

    La priorità, non solo per l’Occidente, è che la guerra finisca riconoscendo all’Ucraina i suoi diritti, dalla sicurezza all’integrità territoriale, dalla ricostruzione alla capacità di tornare ad essere granaio del mondo perché troppi altri popoli stanno soffrendo, per Putin la priorità potrebbe essere trovare quella via di uscita che forse proprio la misteriosa avanzata e poi ritirata di Prigozhin gli sta fornendo.

    Il gioco delle parti continua ma per tanti, troppi è un gioco di morte che non avevano voluto e che non possono evitare.

  • La ragione del più forte e anche del più influente

    La ragione del più forte è sempre la migliore.

    Jean de La Fontaine; dalla favola “Il lupo e l’agnello”

    “Il lupo e l’agnello” è una favola scritta più di venticinque secoli fa da Esopo, uno tra i più celebri scrittori dell’antichità. Una favola con un significato sempre attuale, dalla quale bisogna trarre lezione. Come da tutte le favole d’altronde. Questa favola è stata riscritta circa venti secoli fa dal noto scrittore romano Fedro, Ma il contenuto della favola “Il lupo e l’agnello” non poteva non attirare l’attenzione di Jean de La Fontaine, un altro noto scrittore di favole che, nella seconda metà del diciasettesimo secolo la inserì nella sua celebre raccolta intitolata Fables choisis mises en vers (Favole scelte messe in versi; n.d.a.). “La ragione del più forte è sempre la migliore”. (La raison du plus fort est toujours la meilleure). Così comincia il testo originale della favola in versi “Il lupo e l’agnello” scritta da La Fontaine. Il contenuto della favola, in tutte le successive versioni, rimane sempre lo stesso, quello concepito e scritto da Esopo. I due personaggi della favola sono, ovviamente, il lupo e l’agnello. E si sa, un lupo, quando trova di fronte a se un agnello, non fa altro che saltargli addosso, azzannarlo e poi mangiarlo. Un cibo prelibato per il lupo. E si sa, nel mondo delle favole, anche gli animali ragionano e parlano. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente sotto di lui e gli venne voglia di mangiarselo”. Così cominciava la versione originale della favola scritta da Esopo. Mentre Fedro scrive: “Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio”. Il lupo, che voleva trovare una qualsiasi scusa per incolpare l’agnello e poi mangiarlo, gli grida pieno di rabbia: “E chi ti ha detto/d’intorbidar la fonte mia così?”. Questo ci racconta Jean de La Fontaine. E poi prosegue con le parole dell’agnello, che chiama maestà il lupo: “… s’ella guarda, di subito vedrà/ch’io mi bagno più sotto la sorgente/d’un tratto, e che non posso l’acque chiare/della regal sua fonte intorbidare”. Ma il lupo non voleva sentir ragione e continuò ad accusare l’innocente agnello di cose mai accadute. “Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima”, scriveva Esopo. Sei mesi fa hai parlato male di me!”. Un’altra infondata accusa come ci racconta Fedro. Si, perché l’agnello non era nato ne l’anno prima e neanche sei mesi prima. Glielo disse, ma il lupo sapeva quello che voleva. E allora gridò al povero e tremante agnello: “Di voi, dei vostri cani e dei pastori/vendetta piglierò”. Questa ferma determinazione del lupo ce lo testimonia Jean de La Fontaine. Affamato com’era, il lupo smise di inventare altre infondate accuse. Tanto lui lo sapeva; si trattava semplicemente di scuse, prima di portare a compimento quello che non vedeva l’ora di farlo. Perciò il lupo, che aveva dalla sua parte la ragione del più forte, “…saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. Così scriveva Esopo e con questa frase la favola finisce. Ma si sa, dalle favole devono imparare non solo i bambini. La saggezza millenaria del genere umano ci insegna che i messaggi pervenuti dalle favole sono utili per tutti, bambini ed adulti.

    Il monito trasmesso dalla favola “Il lupo e l’agnello” rimane sempre attuale e dovrebbe servire da lezione a chi di dovere. Si, perché i “forti del mondo”, pur non avendo né ragione e neanche diritto, approfittano dalle “circostanze”, dalle congiunture e cercano di sopraffare i più deboli. Una valida ed utile lezione che ci da la storia, fatti accaduti da millenni sul nostro pianeta alla mano. E anche quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra la Serbia ed il Kosovo ne è una significativa testimonianza. Purtroppo le decisioni che hanno preso e che stanno prendendo “i grandi del mondo” evidenziano anche l’irresponsabilità e la loro convinzione che “la ragione è dalla parte del più forte”. Non sono valse a niente le drammatiche conseguenze delle loro scelte fatte e decisioni prese in diverse precedenti occasioni, in altre parti del mondo, durante questi ultimi decenni. In nome della “stabilità” hanno volutamente ignorato e calpestato i principi base della democrazia. In nome della “stabilità” hanno chiuso occhi, orecchie e cervello ed hanno consapevolmente appoggiato degli autocrati i quali, in seguito, hanno generato tante sofferenze e hanno consolidato i loro regimi che con la democrazia non avevano/hanno niente in comune. Purtroppo quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio 2022 testimonia proprio il fallimento delle scelte fatte dai “grandi del mondo” nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa ed il referendum nella regione di Donbass. Il dittatore russo, l’attuale presidente, convinto di essere “il più forte”, ha deciso ed ha messo in atto quello che voleva. Come il lupo della favola. Mentre i “grandi del mondo” hanno formalmente “protestato e condannato” e, allo stesso tempo però, hanno anche collaborato con lui, beneficiando delle “opportunità” che offriva/offre la Russia, idrocarburi e grano inclusi. Ma non è solo questo fallimento subito dai “grandi del mondo”. Quanto è accaduto in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in alcuni Paesi dell’America centrale e quella Latina lo testimonia. Perché hanno scelto di appoggiare “il più forte” a scapito dei principi della democrazia. Principi che però pretendevano di difendere e di garantire. Chissà perché non ci sono riusciti?!

    La saggezza secolare del genere umano ci insegna che dagli errori fatti bisogna sempre trarre delle lezioni. Ma sembrerebbe che i “grandi del mondo” non riescano a farlo. Chissà perché?! Quanto sta accadendo in queste settimane nel nord del Kosovo lo sta dimostrando. Hanno scelto e deciso di appoggiare il presidente della Serbia, l’ormai loro “amico ed alleato”, ignorando le vere, vissute e ben note realtà. Ignorando anche il passato politico dell’attuale presidente della Serbia come ministro ed uno degli stretti collaboratori di Slobodan Milošević, inserito allora nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Si, proprio lui che ormai è, addirittura, “un partner che diventa sempre migliore” (Sic!), come affermava alcuni giorni fa l’ambasciatore statunitense in Serbia. L’appoggio che i “grandi del mondo”, compresi anche i massimi rappresentanti della Commissione europea, stanno dando al presidente della Serbia dagli ultimi giorni del maggio scorso, quando sono iniziati di nuovo gli scontri violenti nel nord del Kosovo, è palese. Ovviamente, anche in questo caso si tratterebbe di un affermato appoggio per delle “ragioni di stabilità” nella regione dei Balcani occidentali. Un appoggio condizionato da determinati sviluppi dopo l’inizio dell’agressione russa contro l’Ucraina e legato a degli “interessi geopolitici e geostrategici”. Un appoggio dato ad una persona che ha dimostrato sempre di non rispettare la “parola data” e gli accordi presi. Accordi che il presidente della Serbia non a caso preferisce non firmare però. Come nel caso dei due accordi con il Kosovo il primo a Bruxelles, il 27 febbraio scorso ed il secondo ad Ohrid, il 18 marzo scorso. Accordi che il primo ministro del Kosovo era dichiaratamente pronto a firmare in qualsiasi momento. Il nostro lettore è stato informato su quanto sta accadendo nel nord del Kosovo dal fine del maggio scorso e sulle ragioni che hanno portato a questo nuovo conflitto tra la Serbia ed il Kosovo (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023). Allora come ci si potrebbe fidare di una simile persona, qual è il presidente della Serbia?! Non sono valse ancora le lezioni dei precedenti fallimenti del passato, causati proprio dalle scelte sbagliate delle persone da appoggiare?! E come sempre nel passato, le conseguenze sono state e spesso ancora continuano ad essere drammatiche. Questo accade quando i “grandi del mondo” decidono, in base a delle determinate congiunture internazionali e a degli interessi di parte, chi sono “i più forti” ed in seguito considerano e trattano le loro ragioni come “le ragioni migliori”, perciò da prevalere sulle altre e da essere prese in considerazione. Ma la storia, questa grande ed infallibile maestra, ci insegna che la “ragione del più forte” spesso non è anche la dovuta ragione che genera i necessari sviluppi i quali, a loro volta, portano e garantiscono la pace duratura, i principi della democrazia e la giustizia. Spessoi più forti” non pensano alle conseguenze a medio e lungo termine; pensano soltanto ai “successi effimeri”, nonché agli interessi, “condizionati” dagli interventi lobbistici di certi raggruppamenti occulti internazionali. Ma spesso però a scapito di intere popolazioni. Quanto purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Afghanistan, dopo il ritiro vergognoso delle truppe militari internazionali da Kabul nella seconda metà di agosto 2021 ed il preoccupante ritorno al potere dei talebani, ne è una chiara testimonianza. E non solo in Afghanistan. La storia, anche quella di questi due ultimi decenni lo dimostra. Così come dimostra e testimonia anche le barbarie, le sanguinose violenze che hanno subito le popolazioni in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo in seguito alle operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo. L’attuale presidente della Serbia era il ministro dell’informazione proprio quando in Kosovo si stavano attuando delle atroci crudeltà e si svolgeva un vero e proprio genocidio contro la popolazione di etnia albanese.

    Quanto sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo è parte integrante di una strategia resa pubblica molto prima, già nel lontano 1844. Strategia che è stata in seguito elaborata e ripresentata nel 1937 da un noto professore universitario serbo. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito del contenuto di questa strategia (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Una strategia che prevedeva la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi che “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Compresa la “soluzione finale”. Una soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza per raggiungere l’obiettivo strategico. Ma quella non è l’unica strategia che si sta attuando nei Balcani occidentali. Nel 1999, dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, è stato pubblicato un articolo che presentava i punti cardini di quella strategia. L’autore dell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). Lui, riferendosi alla regione, ribadiva che i Balcani occidentali “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. In più lui suggeriva che la regione dei Balcani occidentali “…deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania.”! Anche di questa nuova strategia il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Bisogna sottolineare che sono ben noti all’opinione pubblica gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” di George Soros sia con il presidente della Serbia che con in primo ministro albanese. Rapporti passati in questi ultimi anni in “eredità” da Soros padre a suo figlio. E sono altresì ben noti all’opinione pubblica anche gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” che i Soros, padre e figlio, hanno con molti “potenti” negli Stati Uniti e in altri paesi, compresi alcuni massimi dirigenti dell’Unione europea. Ma nei Balcani occidentali si incrociano anche altri interessi. Sono presenti quelli della Russia, che gode della lunga e provata amicizia con la Serbia. I suoi interessi sono soprattutto geostrategici, ma non solo. Anche la Turchia è interessata ai Balcani occidentali, sia dovuta alla “Dottrina Davutoğlu” (il nostro lettore è ormai informato), che per interessi economici. I Paesi del Golfo Persico sono interessati e presenti nella regione. Così com’è interessata anche la Cina per degli interessi economici, parte del loro noto progetto “La nuova via della seta” (Belt and Road Initiative; n.d.a.).

    Chi scrive queste righe sta seguendo l’evolversi della situazione nel nord del Kosovo perché valuta che si tratta di sviluppi geopolitici, geostrategici e di interessi economici che vanno oltre quelli tra la Serbia ed il Kosovo. Egli è convinto che i “grandi del mondo” stanno sbagliando di nuovo, pensando, come scriveva La Fontaine all’inizio della sua favola “Il lupo e l’agnello”, che “La ragione del più forte è sempre la migliore”.

  • UN chief ‘appalled’ by Darfur’s ethnic and sexual violence

    UN chief António Guterres says he is appalled by reports of large-scale violence in the Darfur region of Sudan.

    His spokesperson says Mr Guterres has called on all warring parties to stop fighting and commit to a durable cessation of hostilities.

    “He is highly worried about the increasing ethnic dimension of the violence, as well as by reports of sexual violence,” Stéphane Dujarric said.

    “With nearly nine million people now urgently requiring humanitarian aid and protection in Darfur, he stresses the need for an end to looting and widened access so aid can reach those who most need it.”

    Earlier the UN’s head of mission for Sudan, Volker Perthes, said these attacks appeared to have been committed by Arab militia and the paramilitary Rapid Support Forces (RSF).

    “These reports are deeply worrying and, if verified, could amount to crimes against humanity,” he said in a statement.

    Meanwhile, Saudi Arabia has announced it will jointly lead a conference on the humanitarian response to the war in Sudan next week. Saudi Arabia and the US have been trying to mediate in the eight-week conflict between the army and the RSF.

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