idee

  • Cosa ha di fronte oggi un giovane o una giovane italiana?

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera che l’Arch. On. Gabriele Pagliuzzi ha inviato al Patto Sociale dopo la pubblicazione dell’intervista di ‘Policy Maker’ all’On. Cristiana Muscardini sulle recenti vicende che hanno riguardato alcuni giovani militanti di Fratelli d’Italia.

    Cara Cristiana,

    sono del tutto d’accordo con le tue affermazioni. Soprattutto sul ruolo distorcente e malefico della rete. In tutte le direzioni: sia per la “cultura” frammentata ed esibizionista dei soggetti intercettati sia per i montaggi che dalle Iene in avanti sono ormai abituali nelle attuali regie di facile presa. Sarà molto difficile districarsi in questa situazione oggi e nel futuro perché l’infiltrazione, lo spionaggio e l’allestimento di dossier sugli avversari sono endemici nella mentalità cekista/leninista dei “comunisti”. Ne sappiamo bene noi “reduci” degli anni ’70, senza volerci addentrare nel ricordo degli innumerevoli covi informativi rossi, brigatisti e non. Detto questo, per cogliere l’occasione di una riflessione più ampia vorrei evidenziare che in tutta questa discussione occhieggia silente un convitato di pietra che è il Nazionalismo italiano. Uso la maiuscola per ridare dignità a questo pensiero che è stato demonizzato da 79 anni al pari del Fascismo e del Nazionalsocialismo, che fra l’altro non sono la stessa cosa, ma qui dovremmo aprire un altro fronte di riflessione. Sembra fuori tempo riportare al centro questo concetto, rimbambiti e ricattati da un sogno europeo di imbelli e immorali affaristi, che non è certo quello di Europa Nazione, ma non è così.  I giovani sono sempre splendidi ed è un delitto che la loro meravigliosa energia venga fatta volutamente marcire nella disperazione priva di luce e spenta nel mito del denaro, nell’esibizione della più volgare superficialità, dell’invidia e della frustrazione sociale. O peggio nella violenza gratuita, senza un perché. E’ inevitabile che per spirito di contraddizione si assumano provocatoriamente gesti e slogan inaccettabili di cui per inciso l’antisemitismo è la parte più deprecabile, perché portati alla sopraffazione e alla discriminazione degli altri, scimmiottando parole d’ordine prese dal buio della storia, ma cosa ha di fronte oggi un giovane o una giovane italiana?  E meno male che siamo in ambito politico, in un partito e non in un barrio di qualche nostra periferia metropolitana. Si dirà che sono problemi che investono e a volte in modo anche più drammatico varie contrade del nostro continente ma ognuno ha le sue vicende e le nostre le conosciamo bene e sta a noi affrontarle. Una Patria che non è Nazione e viceversa che cosa può insegnare? Può forse coltivare quegli orizzonti di bellezza, di coraggio di positività fraterna di chi costruisce assieme il destino comune che rendono degna di essere vissuta la vita di ciascuno? La “cultura” internazionalista comunista e cattolica, quella che ha impastato la nostra “meravigliosa” Costituzione gettata in bocca ai vincitori come ossequiente e definitivo atto di resa, ha insistito per mezzo secolo a demolire ogni residuo di dignità e verità storica nazionale. In modo cattivo e violento. E pur consunta nelle fondamenta continua ad agitare la sua coda velenosa. Ci si è dovuti arroccare in modo a volte contraddittorio e non privo di errori in una Destra che c’era e c’è sempre stata. Poteva chiamarsi M.S.I., forse con maggior merito, ma anche P.L.I., poteva chiamarsi Monarchia, quell’istituto che costruì la nostra Italia, poteva chiamarsi Nuova Repubblica ecc. Questa era ed è la nostra area di riscatto ideale. Non saranno quattro ragazzotti ignoranti espressione di un disagio di sottocultura più che politico a inficiarne i compiti e le responsabilità di portata storica ma resta intatto il macigno di fondo cui noi tutti superstiti saggi dobbiamo concorrere a rimuovere e non c’è Europa, Nato o America o Russia o Cina che tenga!

    Un carissimo saluto,

    Gabriele Pagliuzzi

  • Il vuoto identitario ed ideologico

    Nel secolo scorso Enrico Berlinguer, segretario del PCI, aveva posto la classe lavorativa al centro della propria attività politica. Difficilmente qualcuno potrebbe affermare che esistesse una identità personale tra il segretario del PCI e la classe operaia, tuttavia l’impianto ideologico del suo partito cercava di porsi come obiettivo la tutela e gli interessi della classe lavorativa. Una mancanza di identità, intesa come vicinanza nello stile di vita, veniva quindi sostituita da un articolato impianto ideologico in grado di unire persone e rappresentanti politici di estrazione culturale molto distanti.

    Viceversa, nei partiti odierni la ricerca ossessiva di una assoluta identità tra leader di partito iscritti e simpatizzanti esprime, invece, un deserto intellettuale ma soprattutto una incolmabile distanza tra gli stessi, cristallina espressione della mancanza di uno quadro ideologico di riferimento.

    In altre parole, in relazione al PD, l’inserimento e l’esaltazione di un fattore identificativo come l’orientamento sessuale, e soprattutto condiviso nella vita privata, esprime la volontà di creare identificazione tra simpatizzanti e quadri dirigenti.

    Tutto questo, mentre il mondo industriale registra il 15° calo consecutivo della produzione industriale ed assistiamo all’esplosione della cassa integrazione nei primi sei mesi del 2024, per i quali il PD non esprime alcuna opinione se non quella di una volontà referendaria contro il Jobs Act.

    Un comportamento molto comune anche a destra, in quanto la scelta di una multinazionale di Singapore di avviare uno stabilimento di chip in Piemonte piuttosto che nel Veneto non ha suscitato alcuna reazione nell’attuale presidente Zaia: esattamente come quella precedente della Intel che scelse la Germania piuttosto che la provincia di Verona. Risultò più interessante partecipare e mantenere, durante il covid, un bollettino quotidiano, oppure continuare ad intervenire alle diverse sagre di paese. Anche in questo caso il Presidente della Regione Veneto ha dimostrato, come il PD, una volontà di coltivare una identità tra il censo politico ed il popolo degli elettori.

    Questa legittima strategia nasce ed esprime, tuttavia, l’assoluto vuoto ideologico che contraddistingue, tanto a destra quanto a sinistra, i diversi leader privi di una visione del nostro Paese, soprattutto in prospettiva del suo futuro, dimostrandosi attenti ed interessati alla sola contemporaneità.

    L’identità e la condivisione, in altre parole, rappresentano il vuoto politico ed ideologico nato da un declino culturale all’interno del quale un fattore privato, come l’identità sessuale, diventa un elemento catalizzatore e caratterizzante.

    Esattamente come ci sono leader di partito che propongono il reddito di maternità (Gasparri) o affermano che una pista di bob rappresenti assieme alle Olimpiadi invernali uno strumento per fermare lo spopolamento montano (Zaia). Anche per questo il Paese si avvia ad una delle crisi istituzionali, economica e di rappresentanza più disastrose dal dopoguerra ad oggi.

  • Il sovranismo mediatico ed il dubbio socratico

    Esiste una corrente di pensiero estremamente pericolosa e detestabile che avrebbe l’intenzione, ergendosi a censore in virtù di una non meglio identificata superiorità morale ed ideologica, di porre un limite alla divulgazione di notizie “false” specialmente in questo periodo di ennesima pandemia di covid.

    Andrebbe ricordato a lorsignori come la democrazia non può prevedere alcun limite all’espressione del pensiero del singolo cittadino, il quale ovviamente se ne assume, in relazione ai contenuti, tutte le responsabilità penali e civili.

    Si cerca, invece, di imporre una sorta ‘Pensiero Unico’ come espressione di una forma   di totalitarismo mediatico la cui prima apparizione e, peggio ancora, di certificazione istituzionale si potrebbe individuare nella istituzione di una commissione parlamentare nel luglio 2020 relativa alle fake news.

    Il desiderio di porre un filtro, quindi un vincolo, e conseguentemente un istituto censore dotato di questo potere, alla libera circolazione delle notizie risulta talmente evidente in quanto, sempre in relazione al carosello mediatico, questa commissione ed il Parlamento non si sono mai preoccupati della posizione del nostro Paese all’interno della classifica mondiale della libertà di stampa.

    Il tutto si delinea come quanto di più indegno all’interno di uno stato democratico nel quale gli organi istituzionali, invece di attivarsi per il mantenimento di una pur sempre migliorabile libertà di pensiero ed espressione, si preoccupano degli effetti, spesso risibili, delle teorie ridicole dei no Green pass, come dei terrapiattisiti, e contemporaneamente di verità “scientifiche” considerate assolute poi spesso smentite dallo stessa comunità.

    Andrebbe ricordato a questi dotti signori assieme agli esponenti delle istituzioni parlamentari, che oggi come allora si ergono a  tutori della verità assoluta in nome di una superiorità intellettuale ed etica e, di conseguenza, come gli unici “distributori” della verità, nel momento in cui si ponga un limite alla diffusione delle notizie, fermo restando le responsabilità penali quanto  civili, verrebbe meno la stessa democrazia la quale prevede appunto la libertà indipendentemente dai contenuti o dai divulgatori.

    In verità questo tentativo rappresenta semplicemente una pessima “riesumazione di obsoleti contenuti politici ed ora mediatici” di un’ideologia post-comunista la quale ritrova nella gestione mediatica la possibilità di imporre i medesimi paradigmi espressione di una propria superiorità intellettuale etica e morale.

    Un totalitarismo che si estende ovviamente nel non prevedere ogni possibilità, anche solo del dubbio in relazione alla continua evoluzione del mondo scientifico, come è normale vista l’eccezionalità della situazione. A questa normale difficoltà e tourbillon comunicativo, tuttavia, la cittadinanza dovrebbe dimostrare un’assoluta fiducia priva di ogni dubbio quasi in segno di una propria sottomissione al mondo della scienza e di una parte del ceto politico. In questo contesto andrebbe ricordato come il trenta  giugno  del 2021 all’interno de Il Messaggero venne pubblicato il risultato di una ricerca della Washington University School of Medicine nella quale si affermava come la seconda dose del vaccino assicurasse una immunizzazione   per almeno  3-5 anni (https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/pfizer_moderna_vaccini_durata_immunita_studio_varianti_ultime_notizie_news-6053222.html). La dinamica della pandemia delle ultime settimane di fatto ridicolizza le conclusioni a soli pochi mesi da questa ricerca espressione di un’altra “certezza scientifica” ma proprio grazie alla sublimazione del Dubbio Socratico applicato, allora come oggi, questa notizia risulta passata nell’oblio senza che abbia determinato alcuna reazione antiscientifica e tantomeno ispiratrice di un passaggio verso le teorie no-vax.

    Purtroppo la complessa gestione pandemica viene utilizzata dai promotori della supremazia del Pensiero Unico ancora una volta come un’occasione finalizzata all’imposizione della propria supremazia ideologica etica la quale utilizza i fallibili risultati scientifici in continua evoluzione con l’obiettivo di imporre i propri dogmi morali, etici ed ideologici.

    Questa miserabile declinazione di un nuovo “socialismo mediatico” trova la propria massima espressione nella gestione di molti programmi televisivi sia pro vax che no vax: in quanto il confronto tra opinioni diverse, se non addirittura opposte, presuppone la dimostrazione di competenze minime non necessarie nelle trasmissioni ad indirizzo unico.

    Anche la elementare libertà di espressione di incompetenze più assolute rappresenta una garanzia democratica e si può porre come base per l’evoluzione del progresso ed un termine di riferimento dal quale sottrarsi. Contemporaneamente a questa strategia mediatica umiliante per un paese democratico per comoda convenienza politica si omette di commentare come l’Italia nella classifica della Libertà di Stampa risulti al settantasettesimo (77°) posto. Un risultato vergognoso e non perché non esistano giornali a sufficienza o format televisivi ma perché giornalisti ed editori hanno scelto di divulgare semplicemente la propria ideologia di appartenenza o dell’area politica di appartenenza.

    Socrate diede il valore e i connotati di una forma di intelligenza al Dubbio verso chi proponeva certezze: egli sapeva di non sapere. Un sano bagno di umiltà sarebbe certamente rigeneratore per la nostra democrazia anche solo per comprendere come dimostrare di avere un dubbio nei confronti di granitiche certezze non comporti automaticamente appartenere alla fazione avversa come gli “illuminati del pensiero unico” credono e vorrebbero imporre.

    Il dubbio si manifesta, invece, come una limpida espressione di quel processo di crescita complessiva il quale per fortuna di ideologico non ha proprio nulla.

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