imposte

  • Rivalutazione dei beni di impresa, qualche riflessione

    La legge di bilancio 2020 (L. 160/2019) ha riproposto la rivalutazione dei beni di impresa. Un’interessante opportunità che negli ultimi anni è stata più volte rivisitata, pur rifacendosi, in sostanza, al provvedimento originario del 2000 (L. 342/2000).

    La normativa si rivolge a tutte le società di capitali, alle società di persone a carattere commerciale, alle imprese individuali, alle società cooperative agli non commerciali, per i beni riconducibili all’attività di impresa e ai soggetti non residenti con stabili organizzazioni in Italia.

    Sono rivalutabili i beni risultanti dal bilancio al 31/12/2018 e deve effettuarsi nel bilancio dell’esercizio successivo (31/12/2019) di prossima approvazione. Ancora pochi giorni, quindi, per gli amministratori per valutare il provvedimento e, eventualmente, effettuare le opportune variazioni nel progetto di bilancio in fase di definizione.

    Potrà trattarsi di beni materiali o immateriali (con l‘eccezione dei meri costi pluriennali) e delle partecipazioni in società controllate e collegate, purché iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie. Sono esclusi i beni al cui scambio o alla cui produzione è diretta l’attività di impresa (cosiddetti beni merce). La rivalutazione non può prescindere dalla corretta classificazione dei beni in categorie omogenee dovendo necessariamente riferirsi a tutti i beni appartenenti alla medesima categoria (unica eccezione per i beni immateriali che potrà riferirsi al singolo bene). Quest’ultima attività è tutt’altro che banale e va compiuta con estremo rigore e precisione potendo inficiare, a posteriori, la validità della rivalutazione stessa.

    Alla rivalutazione consegue il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 10% o al 12% dei maggiori valori, rispettivamente per i beni non ammortizzabili o per quelli ammortizzabili. Anche in questo caso, la suddivisione apparentemente semplice, è tutt’altro che banale soprattutto con riferimento ai fabbricati poiché, i nuovi principi contabili, non prevedono che gli stessi siano esclusi dal processo di ammortamento. A rigor di logica, i beni immobili patrimonio, essendo soggetti a limiti di indeducibilità dei costi anche con riferimento alle quote di ammortamento, dovrebbero essere ricompresi nella fascia con aliquota più bassa. Maggiori certezze si hanno invece con riferimento ai terreni esclusi per definizione dal processo di ammortamento.

    La norma non impone la redazione di perizie che sono tuttavia assolutamente consigliabili per contrastare rilievi futuri anche in considerazione del fatto che non si possono eccedere i valori correnti. Non è prevista la possibilità di dare valenza fiscale ad eventuali svalutazioni, nonostante il periodo storico di riferimento meriterebbe attenzione al fenomeno.

    A fronte dei maggiori valori va iscritta in bilancio una riserva “in sospensione di imposta” che può essere liberata dal vincolo con il versamento di un ulteriore 10%, portando il costo complessivo dell’operazione al 20% o al 22% rispetto al 27,9% della tassazione ordinaria. Nonostante le aliquote delle imposte sostitutive siano scese rispetto a quelle dell’ultimo provvedimento analogo, comportano comunque un costo complessivo non trascurabile, soprattutto in caso di affrancamento della riserva. Opzione, quest’ultima, che andrà attentamente ponderata in funzione dei piani aziendali prospettici disponibili.

    I maggiori valori acquistano valenza fiscale dal terzo anno successivo (2022) con riguardo alla deducibilità degli ammortamenti e alla disciplina sulle società di comodo, mentre dal quarto anno successivo per la determinazione di plusvalenze e minusvalenze. In caso di cessione nel periodo di sorveglianza, si terranno in considerazione i valori ante rivalutazione, emergerà un credito di imposta per il contribuente e si liberà la riserva in sospensione.

    Vorrei sollecitare nei destinatari del provvedimento alcuni ragionamenti per consentire una scelta consapevole.

    I maggiori valori acquisiranno rilevanza per il superamento del test di operatività ai sensi della normativa sulle società di comodo (art. 30 legge n. 724 del 1994) con impatti a volte complicati soprattutto se riferiti alle società operanti nel mercato immobiliare.

    Effettuare la rivalutazione senza affrancare la riserva implica un elevato costo futuro in caso di successiva distribuzione della stessa, occorrerà quindi aver ben presenti i piani prospettici dell’azienda, la politica dei dividendi nonché la redditività futura. In periodi di crisi, la rivalutazione dei maggiori valori latenti può contribuire a patrimonializzare l’azienda aumentandone la capacità di sopportare perdite future. Se questo fosse l’orizzonte, potrebbe risultare superfluo affrancare la riserva emergente. Analoghe conclusioni potrebbero essere tratte in caso di una politica di forte reinvestimento in azienda degli utili realizzati.

    Un’ultima questione sulle riserve in sospensione di imposta generatesi a seguito di precedenti rivalutazioni. Ci si potrebbe chiedere se fosse possibile affrancarle sfruttando il provvedimento legislativo odierno pagando l’imposta sostitutiva del 10%. Ebbene il testo normativa sembra far esplicito riferimento alla possibilità di affrancare esclusivamente la riserva generatasi in occasione della presente rivalutazione e in tal senso si era espressa l’Agenzia nel 2006 e nel 2013 con riferimento ai rispettivi provvedimenti normativi.

  • Compensazione dei crediti di imposta a ostacoli

    Con il 2020 sembra concluso un processo iniziato qualche anno fa che ha imposto oneri sempre più complessi e penalizzanti nei confronti dei contribuenti e dei loro professionisti per il lecito utilizzo delle proprie posizioni creditorie nei confronti del fisco.

    Le norme di riferimento sono da individuarsi nel Dlgs 241/1997, agli articoli 17 e 17 bis che disciplinano l’istituto dei versamenti e delle relative compensazioni.

    Prima di addentrarci nella disciplina specifica e nei vincoli da rispettare giova ricordare che, a seguito dell’introduzione di norme “anti evasione”, si sono generate posizioni fisiologicamente a credito: si pensi al reverse charge IVA il cui ambito di applicazione è stato esteso in deroga alla normativa europea o all’introduzione dello split payment per le transazioni nei confronti della pubblica amministrazione.

    Si ricordi ancora, che il sistema degli acconti d’imposta può generare posizioni a credito per il semplice fatto che il reddito dichiarato risulti inferiore a quello dell’anno precedente (in tal senso sarà opportuno, ancora più che in passato, valutare con attenzione il reddito previsto per l’anno successivo al fine di adeguare di conseguenza il versamento degli acconti richiesti),così come quello delle ritenute d’acconto,essendo operate sui fatturati complessivi dei lavoratori autonomi che spesso ne risultano incisi in misura eccessiva rispetto al reddito realizzato al netto dei costi subiti.

    In un mondo perfetto questi crediti dovrebbero essere resi immediatamente disponibili al contribuente,affinché possano essere reimmessi nel sistema, contribuendo a finanziare investimenti e a sostenere i consumi. In Italia, dove si è diffuso pericolosamente il fenomeno dell’utilizzo di crediti inesistenti, così purtroppo non avviene. Ancora una volta, il malcostume di “pochi” ha portato al varo di norme molto penalizzanti per tutti.

    Vediamo cosa succede. In primis tutti gli F24 in cui siano presenti compensazioni (indipendentemente che siano presentati da titolari di partita IVA o privati cittadini) dovranno essere trasmessi attraverso i sistemi messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate (ENTRATEL o FISCONLINE). Non sarà possibile la presentazione telematica tramite i canali bancari. Probabilmente, questo il mio pensiero, le banche avranno fatto pressioni per ridurre un lavoro scarsamente remunerativo, rendendo,così, più oneroso quello dei contribuenti che dovranno utilizzare i suddetti canali telematici ufficiali, a volte con procedure meno intuitive, o dovranno rivolgersi ai propri intermediari, supportandone i relativi costi.

    I crediti relativi a IVA, imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive delle imposte sui redditi e IRAP sono soggetti allo sbarramento di 5.000 euro. Significa che l’utilizzo di detti crediti in compensazione, per importi eccedenti tale soglia, sarà possibile solo previa apposizione del visto di conformità da parte di un professionista abilitato e solo decorsi 10 giorni dal regolare invio della dichiarazione.

    Si ricorda inoltre che, pur nel rispetto di tutti gli adempimenti richiesti, in base all’art. 37 comma 49-ter del DL 223/2006, introdotto nel 2017, l’Agenzia delle entrate può sospendere fino a 30 giorni l’esecuzione dei modelli F24 contenenti compensazioni che presentino “profili di rischio”. I criteri di blocco sono molto vaghi e quindi ampia discrezionalità è demandata all’amministrazione finanziaria. In caso di scarto del modello, i pagamenti si hanno per non eseguiti esponendo il contribuente alle sanzioni per tardivo pagamento (30%) oltre a quelle per lo scarto (5%, massimo 250 euro) laddove questo sia effettivamente giustificato da tentativi di violare la normativa descritta (o almeno così è auspicabile che venga interpretata la norma).

    Ricordiamo infine che, nell’ambito dei rapporti di appalto connaturati da prevalenza di manodopera eseguiti presso la sede del committente con l’utilizzo di beni strumentali a quest’ultimo riconducibili, le ritenute operate e i contributi previdenziali devono essere pagati escludendo, a determinate condizioni, la possibilità di compensare i propri crediti di imposta (per approfondimenti in merito si rimanda al contributo specifico pubblicato in data 20 gennaio 2020).

    Tutti i meccanismi descritti comporteranno, senza meno, difficoltà nell’utilizzo dei crediti con notevoli risvolti negativi nei flussi finanziari disponibili per il sistema economico. I contribuenti saranno costretti ad anticipare l’invio delle proprie dichiarazioni con il rischio, visti i consueti chiarimenti e aggiornamenti software forniti a ridosso delle scadenze, di dover integrare i modelli inviati. Ancora una volta l’intento antifrode è condivisibile, ma l’onere sopportato dalla collettività estremamente elevato.

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